N. 149 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2012

Ordinanza del 2  maggio  2012  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Unione  nazionale  dei
Giudici di pace ed altri contro Ministero della giustizia e Ministero
dello sviluppo economico. 
 
Procedimento civile - Disciplina della  mediazione  finalizzata  alla
  conciliazione   delle   controversie   civili   e   commerciali   -
  Obbligatorieta' del procedimento di mediazione per le  controversie
  nelle materie elencate dall'art. 5 del decreto  legislativo  n.  28
  del 2010, configurazione del preventivo esperimento  di  esso  come
  condizione di procedibilita' della domanda giudiziaria,  necessita'
  che l'improcedibilita'  sia  eccepita  dal  convenuto,  a  pena  di
  decadenza, o rilevata d'ufficio dal  giudice  non  oltre  la  prima
  udienza - Lesione della tutela giudiziale dei diritti - Esorbitanza
  dalle previsioni  della  legge  delega  n.  69  del  2009  e  della
  direttiva comunitaria  n.  2008/52/CE  -  Contrasto  con  specifici
  principi direttivi in tema di mediazione. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, [comma 1,]  primo,
  secondo e terzo periodo. 
- Costituzione, artt. 24 e 77, in relazione all'art. 60, lett.  c)  e
  n), della legge 18 giugno 2009, n. 69. 
Procedimento civile - Disciplina della  mediazione  finalizzata  alla
  conciliazione delle controversie civili e  commerciali  -  Prevista
  abilitazione degli enti pubblici o privati che  diano  garanzie  di
  serieta' ed  efficienza  a  costituire  gli  organismi  deputati  a
  gestire il  procedimento  di  mediazione  -  Lesione  della  tutela
  giudiziale dei diritti - Esorbitanza dalle previsioni  della  legge
  delega n. 69 del 2009 e della direttiva comunitaria n. 2008/52/CE -
  Contrasto con specifici principi direttivi in tema di mediazione. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 16, comma 1. 
- Costituzione, artt. 24 e 77, in relazione all'art. 60, lett.  c)  e
  n), della legge 18 giugno 2009, n. 69. 
(GU n.33 del 22-8-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 463 del 2011, proposto da: 
        Unione Nazionale dei Giudici  di  Pace  -  Unagipa,  Gabriele
Longo, Alberto Rossi, Carla Rufini, Aldo  Zamparelli,  Mariaflora  Di
Giovanni,   Giacomoantonio   Russo   Walti,    Emilio    Manganiello,
rappresentati  e   difesi   dagli   avv.ti   Emilio   Manganiello   e
Giacomantonio Russo Walti, con domicilio eletto presso lo studio  del
secondo in Roma, piazza Giuseppe Mazzini, n. 27; 
    Contro Ministero  della  giustizia  e  Ministero  dello  sviluppo
economico, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, presso la cui sede domiciliano per  legge  in  Roma,  via  dei
Portoghesi, n.12; 
    Per l'annullamento  del  decreto  del  Ministro  della  giustizia
adottato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico n.  180
del 18.10.2010, pubblicato nella G.U. n. 258 del 4.11.2010, avente ad
oggetto «regolamento recante la determinazione dei  criteri  e  delle
modalita' di iscrizione e tenuta  del  registro  degli  organismi  di
mediazione e dell'elenco dei formatori  per  la  mediazione,  nonche'
l'approvazione delle indennita' spettanti agli  organismi,  ai  sensi
dell'art.  16  del  decreto  legislativo  n.  28  del  2010»,  previa
eventuale  dichiarazione  della  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  5  e  16  del
d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento agli artt. 77 e 24 Cost. 
    Visto il ricorso; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
giustizia e del Ministero dello sviluppo economico; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del 18 aprile 2012 il  cons.  Anna
Bottiglieri e uditi  per  le  parti  i  difensori  come  da  relativo
verbale. 
    1. Con il ricorso in trattazione, interposto con atto  notificato
in data 3 gennaio 2011 e  depositato  il  successivo  20  gennaio,  i
ricorrenti, associazione non riconosciuta Unagipa - Unione  nazionale
dei giudici di pace,  giudici  di  pace  ed  avvocati,  impugnano  il
decreto  18  ottobre  2010,  n.  180  adottato  dal  Ministro   della
giustizia, di concerto con  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,
ovvero il regolamento che, in forza della previsione di cui  all'art.
16 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28,  «Attuazione  dell'art.  60  della
legge 18 giugno 2009, n. 69, in  materia  di  mediazione  finalizzata
alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», reca  la
determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione  e  tenuta
del  registro  degli  organismi  di  mediazione  e  dell'elenco   dei
formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle  indennita'
spettanti ai suddetti organismi. 
    I  ricorrenti,  in  particolare,  ne   domandano   l'annullamento
ritenendolo lesivo degli interessi della  categoria  dei  giudici  di
pace e forense, nonche'  illegittimo  perche'  in  contrasto  con  il
precitato d.lgs. n. 28 del 2010, con  la  relativa  legge  delega  ed
affetto da eccesso di potere sotto vari profili. 
    I  ricorrenti  sollevano  poi  incidentalmente  la  questione  di
costituzionalita' degli artt. 5 e 16 dello stesso d.lgs.  n.  28  del
2010, per contrasto con i precetti di cui agli artt. 77  e  24  della
Costituzione. Nello scenario investito dal gravame si  innesta  anche
la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento  europeo  e
del Consiglio dell'Unione europea, che ha disciplinato alcuni aspetti
della mediazione in materia civile e commerciale. 
    Ancorche', infatti, la precitata legge delega n. 69 del 2009  non
menzioni specificamente la direttiva n. 2008/52/CE, l'ambito  oggetto
di regolazione  comunitaria  e'  pressoche'  coincidente  con  quello
disciplinato dalle richiamate norme legislative nazionali ed  attuato
con il decreto impugnato, ed il comma 2 nonche' il terzo  criterio  e
principio direttivo della legge delega in parola (art. 60,  legge  n.
69 del 2009) prescrivono al legislatore delegato di  disciplinare  la
mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa  comunitaria.
Tant'e'  che  la  direttiva  n.  2008/52/CE   e'   stata   richiamata
espressamente nel preambolo del decreto delegato 28/2010. 
    2. Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  spiegate  dai
ricorrenti  risultano  rilevanti  ai  fini   del   decidere   e   non
manifestamente  infondate,  come,  del  resto,  gia'  ritenuto  dalla
Sezione con la precedente ordinanza 12 aprile  2011,  n.  3202,  resa
nell'ambito dei ricorsi riuniti nn. 10937/2010 e 11235/2010, pendenti
innanzi a questo Tribunale. 
    3. Deve necessariamente essere svolta, ancorche'  sinteticamente,
l'illustrazione del quadro normativo della controversia,  per  quanto
qui di interesse. 
    4. In forza dell'invito formulato agli Stati membri dal Consiglio
europeo nella riunione di Tampere del 15 e  16  ottobre  1999,  delle
conclusioni  adottate  dal  Consiglio  nel  maggio  2000  sui  metodi
alternativi di risoluzione delle controversie  in  materia  civile  e
commerciale, nonche' del Libro  verde  presentato  dalla  Commissione
nell'aprile del 2002, relativo ai  modi  alternativi  di  risoluzione
delle controversie nelle predette materie,  la  direttiva  21  maggio
2008,  n.  2008/52/CE  del  Parlamento  europeo   e   del   Consiglio
dell'Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti  della  mediazione
in materia civile e commerciale. 
    Come sempre in tema  di  diritto  comunitario,  i  «considerando»
della  direttiva  delineano  la   generale   impostazione   conferita
all'oggetto della regolazione, sia quanto alle finalita', sia  quanto
alle caratteristiche. 
    La direttiva chiarisce innanzitutto che l'obiettivo di  garantire
un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale,
e, segnatamente, la disponibilita' del servizio  di  mediazione,  nel
contesto della politica dell'Unione europea  volta  a  istituire  uno
spazio  di  liberta',  sicurezza  e  giustizia,  e'   un   importante
contributo al corretto  funzionamento  del  mercato  interno  (quinto
considerando). Alla luce del sesto considerando della  direttiva,  la
mediazione e',  infatti,  ritenuta  una  risoluzione  extragiudiziale
conveniente  e  rapida  delle  controversie  in  materia   civile   e
commerciale, poiche' le relative procedure  sono  concepite  in  base
alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla  mediazione
hanno maggiori probabilita'  di  essere  rispettati  volontariamente,
oltre  a  preservare  piu'  facilmente  una  relazione  amichevole  e
sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche piu'  evidenti
nelle questioni di portata trans frontaliera. 
    La direttiva intende indi delinearne  gli  elementi  chiave,  per
rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando). 
    Sotto il profilo sostanziale, in  positivo,  si  afferma  che  la
direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere,  ma
che nulla  dovrebbe  vietare  agli  Stati  membri  di  estenderla  ai
«procedimenti di mediazione interni» (ottavo considerando). 
    In  negativo,  si  afferma  che  la   mediazione   non   dovrebbe
applicarsi: «ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno  la
facolta'  di  decidere  da  sole  in  base  alla   pertinente   legge
applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente  frequenti
in  materia  di  diritti  di   famiglia   e   del   lavoro»   (decimo
considerando); «alle trattative precontrattuali o ai procedimenti  di
natura arbitrale quali talune forme di conciliazione  dinanzi  ad  un
organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l'arbitrato  e  la
valutazione  di  periti  o  i  procedimenti  gestiti  da  persone  od
organismi  che  emettono  una  raccomandazione  formale,   sia   essa
legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della  controversia»
(undicesimo considerando). 
    Quanto  agli  elementi  chiave  della  mediazione,   vengono   in
evidenza, sempre tra i considerando, la differenza  tra  mediatore  e
giudice (dodicesimo considerando),  la  possibilita'  di  rendere  il
ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto  a  incentivi  o
sanzioni, purche' non venga impedita alle  parti  «di  esercitare  il
loro diritto di  accesso  al  sistema  giudiziario»  (quattordicesimo
considerando) ovvero non si impedisca alle  parti,  nell'incoraggiare
la  mediazione,  in  relazione  ai  termini  di  prescrizione  e   di
decadenza,  «di  adire  un  organo  giurisdizionale  o  di  ricorrere
all'arbitrato  in  caso  di  infruttuoso  tentativo  di   mediazione»
(ventiquattresimo considerando),  la  fissazione  di  un  termine  al
processo di mediazione (tredicesimo  considerando),  la  riservatezza
del  relativo  procedimento,   anche   in   relazione   all'eventuale
successivo  procedimento  giudiziario  od  arbitrale   (ventitreesimo
considerando), l'esecutivita' dell'accordo scritto  raggiunto,  fatta
salva l'ipotesi di contrasto tra lo stesso  e  il  diritto  nazionale
ovvero quella che l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere
per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai  fini
erariali, la tendenziale neutralita' finanziaria  in  relazione  agli
stati membri della mediazione,  che  puo'  includere  «il  ricorso  a
soluzioni basate sul mercato» (diciassettesimo considerando). 
    Viene inoltre  in  rilievo  l'assistenza  del  mediatore  (decimo
considerando),  la  sua  formazione  e  l'introduzione  di   efficaci
meccanismi di controllo della qualita' della fornitura  del  servizio
(sedicesimo  considerando),  la  flessibilita'  del  procedimento  di
mediazione   e   l'autonomia   delle   parti,   nonche'   l'efficacia
l'imparzialita' e la  competenza  della  mediazione  (diciassettesimo
considerando). 
    4.1. La direttiva  2008/52/CE  regola  indi  la  materia  con  14
articoli. 
    In particolare: 
        l'art.    1    enuncia    l'obiettivo    della    regolazione
(«...facilitare  l'accesso   alla   risoluzione   alternativa   delle
controversie  e  di  promuovere  la  composizione  amichevole   delle
medesime  incoraggiando  il  ricorso  alla  mediazione  e  garantendo
un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento  giudiziario»)
e   ne   delinea   il   campo   di   applicazione   [«...controversie
transfrontaliere, in  materia  civile  e  commerciale  tranne  per  i
diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti  dalla  pertinente
legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla  materia
fiscale, doganale e amministrativa  ne'  alla  responsabilita'  dello
Stato per atti o omissioni nell'esercizio di  pubblici  poteri  (acta
iure imperii)]; 
        l'art.  3,  dedicato  alle  definizioni,  dispone   che   per
mediazione, al di la' della denominazione, si intende un procedimento
strutturato ove «...due o piu' parti di una controversia tentano esse
stesse,  su  base  volontaria,  di  raggiungere  un   accordo   sulla
risoluzione della medesima con l'assistenza  di  un  mediatore.  Tale
procedimento puo' essere avviato dalle parti, su lento od ordinato da
un organo giurisdizionale  o  prescritto  di  diritto  da  uno  Stato
membro»; 
        lo stesso art. 3  esplicita  che  per  mediatore  si  intende
«...qualunque terzo cui e' chiesto di condurre la mediazione in  modo
efficace,   imparziale   e   competente,   indipendentemente    dalla
denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato  membro
interessato...» (lett. b), che comunque incoraggia «...la  formazione
iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di  garantire  che  la
mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale  e  competente
in relazione alle parti» (art. 4, par. 2); 
        l'art. 5, dedicato al ricorso alla  mediazione,  esplicitando
l'intendimento gia' anticipato dal preambolo, prevede  che  «L'organo
giurisdizionale  investito  di  una  causa  puo',   se   lo   ritiene
appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare
le parti a ricorrere  alla  mediazione  allo  scopo  di  dirimere  la
controversia...» e che «La presente direttiva  lascia  impregiudicata
la legislazione  nazionale  che  rende  il  ricorso  alla  mediazione
obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni,  sia  prima  che
dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche' tale legislazione
non impedisca alle parti di  esercitare  il  diritto  di  accesso  al
sistema giudiziario»; 
        l'art. 6 delinea la  esecutivita'  degli  accordi  risultanti
dalla mediazione, che e', peraltro, esclusa laddove «...il  contenuto
dell'accordo e' contrario alla legge dello Stato membro in cui  viene
presentata la richiesta o se la legge di detto Stato  membro  non  ne
prevede l'esecutivita'»; 
        l'art. 8 dispone che «Gli Stati membri  provvedono  affinche'
alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di  dirimere  una
controversia  non  sia  successivamente  impedito   di   avviare   un
procedimento  giudiziario  o  di  arbitrato  in  relazione   a   tale
controversia per il fatto che durante il procedimento  di  mediazione
siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza». 
    5. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata «Disposizioni per
lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita'  nonche'
in materia di processo civile», e, segnatamente, con  l'art.  60,  il
legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno  o  piu'
decreti legislativi in materia di mediazione e  di  conciliazione  in
ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con
la normativa comunitaria e  in  conformita'  ai  principi  e  criteri
direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). 
    Tra questi  ultimi,  sono  attinenti  alla  materia  dell'odierno
contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: 
        «a)   prevedere   che   la   mediazione,   finalizzata   alla
conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili,
senza precludere l'accesso alla giustizia; 
        b) prevedere  che  la  mediazione  sia  svolta  da  organismi
professionali e indipendenti,  stabilmente  destinati  all'erogazione
del servizio di conciliazione; 
        c) disciplinare la mediazione, nel rispetto  della  normativa
comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di  cui
al decreto legislativo  17  gennaio  2003,  n.  5,  e  in  ogni  caso
attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia,  senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro  degli
organismi di conciliazione...; 
        d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro  e
per la sua conservazione siano stabiliti  con  decreto  del  Ministro
della giustizia; 
        e) prevedere la possibilita', per  i  consigli  degli  ordini
degli avvocati,  di  istituire,  presso  i  tribunali,  organismi  di
conciliazione che,  per  il  loro  funzionamento,  si  avvalgono  del
personale degli stessi consigli; 
        f) prevedere che gli  organismi  di  conciliazione  istituiti
presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; 
        g) prevedere, per le controversie in particolari materie,  la
facolta' di istituire organismi di conciliazione  presso  i  consigli
degli ordini professionali; 
        h) prevedere che gli organismi di conciliazione di  cui  alla
lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; 
        n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente,
prima  dell'instaurazione  del  giudizio,   della   possibilita'   di
avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli
organismi di conciliazione; 
        p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude  il
processo corrisponda interamente al contenuto  dell'accordo  proposto
in sede di  procedimento  di  conciliazione,  che  il  giudice  possa
escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore  che  ha
rifiutato  l'accordo  successivamente  alla  proposta  dello  stesso,
condannandolo altresi', e nella  stessa  misura,  al  rimborso  delle
spese sostenute dal soccombente... e, inoltre, che  possa  condannare
il  vincitore  al  pagamento  di  un'ulteriore  somma  a  titolo   di
contributo unificato...; 
        q) prevedere che il procedimento di conciliazione  non  possa
avere una durata eccedente i quattro mesi; 
        r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime
di incompatibilita' tale da garantire la neutralita',  l'indipendenza
e  l'imparzialita'  del  conciliatore  nello  svolgimento  delle  sue
funzioni; 
        s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia  efficacia
esecutiva per l'espropriazione forzata,  per  l'esecuzione  in  forma
specifica  e  costituisca  titolo   per   l'iscrizione   di   ipoteca
giudiziale». 
    6. La delega in parola e' stata esercitata con il d.lgs. 4  marzo
2010, n. 28. 
    L'art. 2 del d.lgs. n.  28/2010  recita  che  «1.  Chiunque  puo'
accedere alla mediazione per la  conciliazione  di  una  controversia
civile e commerciale vertente  su  diritti  disponibili,  secondo  le
disposizioni del presente decreto». 
    L'art.  4  chiarisce  che  «1.  La  domanda  di   mediazione...e'
presentata mediante deposito di un'istanza presso  un  organismo...2.
L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni
della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato
e' tenuto a informare l'assistito della possibilita' di avvalersi del
procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e  delle
agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa
altresi' l'assistito dei casi in cui l'esperimento  del  procedimento
di  mediazione  e'  condizione  di   procedibilita'   della   domanda
giudiziale...». 
    E' bene a questo punto illustrare l'art. 5 del d.lgs. n.  28  del
2010, che, in continuita' logica  con  l'ultima  disposizione  appena
richiamata, sancisce al  comma  1  che  «Chi  intende  esercitare  in
giudizio  un'azione  relativa  ad  una  controversia  in  materia  di
condominio, diritti reali, divisione, successioni  ereditarie,  patti
di famiglia, locazione, comodato, affitto  di  aziende,  risarcimento
del danno derivante dalla  circolazione  di  veicoli  e  natanti,  da
responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa  o
con altro mezzo di pubblicita',  contratti  assicurativi,  bancari  e
finanziari, e' tenuto preliminarmente a esperire il  procedimento  di
mediazione ai sensi del presente decreto ovvero  il  procedimento  di
conciliazione previsto dal decreto legislativo  8  ottobre  2007,  n.
179, ovvero il procedimento  istituito  in  attuazione  dell'articolo
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e  creditizia
di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive
modificazioni,  per  le  materie  ivi  regolate.  L'esperimento   del
procedimento di mediazione  e'  condizione  di  procedibilita'  della
domanda  giudiziale.  L'improcedibilita'  deve  essere  eccepita  dal
convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non
oltre la prima udienza...». 
    Esclusa,  ai  sensi  dell'ultimo  periodo  del  ridetto  comma  1
dell'art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli  arte  37,
140 e 140-bis del codice del consumo (d.lgs.  6  settembre  2005,  n.
206), il successivo comma 4 dispone ancora  che  lo  stesso  comma  1
(nonche' il comma 2) non si applica: 
        «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa  l'opposizione,
fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione  della
provvisoria esecuzione; 
        b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto,  fino
al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura
civile; 
        c) nei  procedimenti  possessori,  fino  alla  pronuncia  dei
provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo  comma,  del  codice  di
procedura civile; 
        d)  nei  procedimenti  di  opposizione   o   incidentali   di
cognizione relativi all'esecuzione forzata; 
        e) nei procedimenti in camera di consiglio; 
        f) nell'azione civile esercitata nel processo penale». 
    Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il  procedimento  di
mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata  massima
di  quattro  mesi),  gli  effetti  dalla  legge  ricondotti  ai  suoi
possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo,
art.  8,  comma  5;  b)   raggiungimento   dell'accordo   amichevole,
formazione del relativo processo verbale  anche  sulla  base  di  una
proposta  di  mediazione,  ed  efficacia  esecutiva   ed   esecuzione
dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a norme imperative,
previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e  art.  12;  c)  mancato
raggiungimento dell'accordo, art. 11,  comma  41,  nonche'  le  spese
dell'eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di  mediazione
nel quale non si e' raggiunto un accordo (art. 13), il capo  III  del
d.lgs. n. 28/2010 e' dedicato agli organismi di mediazione. 
    Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell'art.  16,  comma
1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che  diano
garanzie di serieta' ed efficienza, di organismi deputati, su istanza
della parte interessata, a  gestire  il  procedimento  di  mediazione
nelle materie di cui all'art. 2. 
    Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con  separate
sezioni,  disciplinato  da  appositi  decreti  del   Ministro   della
giustizia, di concerto, relativamente alla materia del  consumo,  con
il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le  indennita'
loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). 
    Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di  competenza,
le autorita' vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). 
    Ai fini dell'iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16,
gli organismi,  unitamente  alla  relativa  domanda,  sono  tenuti  a
depositare il proprio regolamento  di  procedura,  la  cui  idoneita'
forma oggetto di specifica valutazione da parte del  Ministero  della
giustizia, e il codice etico. Al regolamento  devono  inoltre  essere
allegate  le  tabelle  delle  indennita'  spettanti  agli   organismi
costituiti da enti privati,  che  sono  a  loro  volta  proposte  per
l'approvazione, a norma del successivo art. 17. 
    Invero, l'art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che  tutti  gli  atti,
documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono
esenti dall'imposta di bollo e da ogni  spesa,  tassa  o  diritto  di
qualsiasi specie e natura, e che il  verbale  di  accordo  e'  esente
dall'imposta di registro entro il limite di  valore  di  50.000  euro
(altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente),  prevede  al
comma 4 che con  il  decreto  di  cui  all'art.  16,  comma  2,  sono
determinati: 
        «a) l'ammontare minimo e massimo delle  indennita'  spettanti
agli organismi pubblici, il criterio di calcolo  e  le  modalita'  di
ripartizione tra le parti; 
        b)  i  criteri  per  l'approvazione   delle   tabelle   delle
indennita' proposte dagli organismi costituiti da enti privati; 
        c) le maggiorazioni  massime  delle  indennita'  dovute,  non
superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi  di  successo  della
mediazione; 
        d) le riduzioni minime delle indennita' dovute nelle  ipotesi
in cui  la  mediazione  e'  condizione  di  procedibilita'  ai  sensi
dell'articolo 5, comma 1». 
    La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla  al
comma 5, che dispone che,  quando  la  mediazione  e'  condizione  di
procedibilita'  della  domanda  ai  sensi  dell'art.  5,   comma   1,
all'organismo non e' dovuta alcuna  indennita'  dalla  parte  che  si
trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a  spese  dello
Stato. 
    7. Con  decreto  18  ottobre  2010,  n.  180  il  Ministro  della
giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo  economico,  ha
adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle
modalita' di iscrizione e tenuta  del  registro  degli  organismi  di
mediazione e dell'elenco dei formatori  per  la  mediazione,  nonche'
l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi. 
    8. Come gia' sopra anticipato, il decreto  n.  180  del  2010  e'
l'atto di cui in questa sede i ricorrenti domandano, per  il  tramite
del ricorso in trattazione, l'annullamento, per  le  ragioni  che  si
passa sinteticamente ad illustrare. 
    8.1. Il primo ed il secondo motivo di gravame  (con  i  quali  si
denunzia violazione di legge, violazione dell'art. 16 del  d.lgs.  n.
28/10,  erronea  interpretazione,  eccesso  di  potere,  difetto   di
presupposto,    illogicita',    arbitrarieta',    contraddittorieta')
racchiudono i tratti salienti dell'interesse azionato in  giudizio  e
investono anche questioni di  rilevanza  costituzionale,  poi  meglio
esplicitate con il quarto motivo di gravame. 
    Di essi si trattera' piu' diffusamente nell'immediato prosieguo. 
    Il  terzo  motivo  di  ricorso  (violazione  di  legge,   erronea
interpretazione, eccesso  di  potere,  irragionevolezza)  e'  diretto
avverso la carenza rilevata nel provvedimento di  norme  di  raccordo
con quanto previsto dal codice di procedura civile circa  l'attivita'
degli uffici del giudice di pace sia in sede giudiziale che  in  sede
non contenziosa. 
    Il quinto motivo di  ricorso  (violazione  di  legge,  violazione
dell'art. 16 del d.lgs. n. 28/10, violazione dell'art. 60 della legge
n. 69/09, difetto di presupposto, eccesso di  potere,  arbitrarieta',
illogicita', sviamento) e' diretto ad avversare  l'art.  4,  comma  4
dell'impugnato regolamento, che subordina l'accesso al registro degli
organismi di mediazione  da  parte  degli  organismi  costituiti  dai
consigli dell'ordine degli avvocati e degli avvocati-giudici di  pace
alla  verifica  del   possesso   di   un   requisito   di   carattere
economico-finanziario. 
    8.2. Come si desume da quanto appena riferito, mentre la disamina
della fondatezza delle doglianze di cui al terzo e quinto  motivo  di
gravame non investe  l'apprezzamento  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale,  e  puo'  indi  essere   rimandata   all'atto   della
definizione del ricorso, analoga condizione non si ravvisa per le due
prime doglianze, e per  la  quarta  ad  esse  correlata,  che  vanno,
pertanto, illustrate in dettaglio. 
    8.3. Mediante le censure dedotte  al  primo,  al  secondo  ed  al
quarto motivo di gravame i ricorrenti lamentano  che  il  decreto  n.
180/2010 non reca alcun criterio volto a individuare e a  selezionare
gli organismi di mediazione in ragione  dell'attivita'  squisitamente
giuridica  che  essi  andranno  ad  effettuare,  nel  rispetto  delle
garanzie richieste sia dalla normativa nazionale (art. 16 del  d.lgs.
n. 28/10, che dispone che gli organismi di mediazione diano  garanzie
di' serieta' ed efficienza) sia dalla normativa comunitaria  (art.  4
direttiva 2008/52/CE, che disciplinando la qualita' della  mediazione
individua  l'obiettivo  della   gestione   efficace,   imparziale   e
competente). 
    A sostegno della censura, osservano i ricorrenti che l'art. 4 del
regolamento  n.  180  del  2010,  nel  disciplinare  l'iscrizione,  a
domanda, degli organismi di mediazione, che possono essere costituiti
sia da enti pubblici che da enti privati, si limita a  prevedere,  al
comma     2,     una     serie     di     parametri      di      tipo
amministrativo-economico-finanziario   (tra    cui    la    capacita'
finanziaria e organizzativa, il possesso di polizza assicurativa,  la
trasparenza amministrativa e contabile), poi a prescrivere, al  comma
3,  una  verificazione  di  tipo  «aggiuntivo»   sui   requisiti   di
qualificazione dei mediatori, che viene demandata al responsabile del
procedimento («Il  responsabile  verifica  altresi'  i  requisiti  di
qualificazione dei mediatori»), senza essere in alcun modo  correlata
con le competenze giuridiche oggettivamente richieste  dall'attivita'
di mediazione. 
    I ricorrenti escludono che il criterio selettivo di cui lamentano
la carenza possa essere costituito dalle previsioni di  cui  all'art.
4, comma 3, lett. a) del regolamento impugnato, che  prevede  che  il
mediatore debba essere in  possesso  di  «un  titolo  di  studio  non
inferiore al diploma di laurea universitaria  triennale»  ovvero,  in
alternativa, essere iscritto «ad un ordine o collegio professionale»,
ovvero di cui alla lett. b), relativa ad  «una  specifica  formazione
e... uno specifico aggiornamento almeno  biennale,  acquisiti  presso
gli enti di formazione», regolati al successivo art. 18. 
    Cio' in  quanto,  secondo  i  ricorrenti,  tutti  tali  elementi,
essendo    sprovvisti    dell'indicazione    di     una     specifica
professionalita',  delineano  un'area  generica,  attinente  al  solo
ambito della formazione culturale, che risulta,  pertanto,  priva  di
quegli agganci ad una precipua qualificazione e  perizia  nell'ambito
giuridico e  processuale  -  senza  la  quale  l'attivita'  formativa
specifica prevista non puo'  raggiungere  utili,  scopi  -  che  essi
ritengono  invece  necessaria  in  ragione  della   tipologia   della
prestazione che deve essere resa.  E  cio'  soprattutto  considerando
che, alla luce dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, per le  materie
ivi  previste,  l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione   e'
condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. 
    L'assunto, secondo il quale il  procedimento  di  mediazione  non
puo' che essere gestito  con  l'ausilio  dei  soggetti  svolgenti  la
professione legale  o  di  giudice  di  pace,  viene  dai  ricorrenti
affidata anche alla considerazione che: 
        il procedimento  di  mediazione  non  positivamente  concluso
incide sulle spese del successivo giudizio [art. 13, d.lgs. n. 28/10;
art. 60, comma 3, lett. p), legge n. 69/09]; 
        il  verbale  dell'accordo  conclusivo  del  procedimento   di
mediazione, non contrario all'ordine pubblico o a  norme  imperative,
nonche' sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo  esecutivo
per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma  specifica  e
per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d.lgs. n. 28/10). 
    Proseguendo nel  descritto  ambito  argomentativo,  i  ricorrenti
pervengono alla conclusione  che  l'intero  corpo  sistematico  delle
fonti di` disciplina del procedimento di mediazione  faccia  emergere
evidenti profili di contraddittorieta', ed, in  particolare,  che  la
mancata previsione di idonei criteri di valutazione della  competenza
degli organismi di  mediazione  ponga  il  regolamento  impugnato  in
palese contrasto non solo e non tanto con l'art.  16  del  d.lgs.  n.
28/2010, ma piuttosto con  i  principi  generali  e  l'insieme  delle
disposizioni dell'intero impianto legislativo considerato. 
    I ricorrenti espongono indi che gli artt. 5 e 16  del  d.lgs.  n.
28/2010 non sfuggirebbero a censure di  legittimita'  costituzionale,
in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione. 
    In particolare: 
        a) l'art. 5 del d.lgs. n. 28  del  2010,  nel  prevedere  che
l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e'  condizione   di
procedibilita'  della  domanda   giudiziale   in   riferimento   alle
controversie  nelle  previste  materie  (condominio,  diritti  reali,
divisione, successioni  ereditarie,  patti  di  famiglia,  locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante  dalla
circolazione  di  veicoli  e  natanti,   responsabilita'   medica   e
diffamazione  con  il  mezzo  della  stampa  o  con  altro  mezzo  di
pubblicita',   contratti   assicurativi,   bancari   e   finanziari),
precluderebbe  l'accesso  diretto  alla  giustizia  (con  l'ulteriore
aggravio di un costo da sostenere per  il  pagamento  dell'indennita'
del mediatore e della difesa tecnica), disattendendo espressamente le
previsioni della legge delega, art. 60 della legge n. 69 del 2009, e,
segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui alla lett. a),
che tale accesso diretto tutela specificamente; 
        b) l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, ponendo quali criteri
di   selezione,   degli   organismi   abilitati    alla    mediazione
esclusivamente  la  «serieta'  ed  efficienza»,  liberalizzerebbe  il
settore, lasciando aperta una interpretazione non pienamente aderente
alla previsioni della legge delega e contravvenendo  sia  all'art.  4
della direttiva 2008/52/CE, sia alla citata legge  di  delega,  lett.
b), che fanno riferimento alla professionalita' ed indipendenza della
mediazione. 
    9.  A  questo  punto  va  subito  chiarito  che  l'eccezione   di
costituzionalita' relativa alla mancata esplicitazione in  capo  agli
organismi di mediazione del requisito della indipendenza  si  profila
non rilevante ai fini del  presente  giudizio,  in  quanto  afferisce
esclusivamente  allo  scrutinio  di  legittimita'  dell'art.  4   del
regolamento stesso. 
    10. Ritiene, invece,  il  Collegio  che  le  altre  questioni  di
costituzionalita' sollevate dai ricorrenti siano  rilevanti  ai  fini
della  decisione  del  gravame  e  non  si  profilino  manifestamente
infondate. 
    Esse investono, precisamente: 
        l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma  1,  primo  periodo
(che introduce  a  carico  di  chi  intende  esercitare  in  giudizio
un'azione relativa  alle  controversie  nelle  materie  espressamente
elencate  l'obbligo  del  previo  esperimento  del  procedimento   di
mediazione),  secondo  periodo  (che  prevede  che  l'esperimento  di
mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale),
terzo  periodi  (che  dispone  che  l'improcedibilita'  deve   essere
eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal
giudice, non oltre la prima udienza); 
        l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone
che sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza  della
parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione  gli  enti
pubblici e privati, che diano garanzie di serieta' ed efficienza. 
    11. Va, quindi, ora immediatamente affrontato  il  profilo  della
rilevanza ai fini della decisione della presente  controversia  delle
questioni di cui al precedente punto 10. 
    Punto  centrale  della  decisione  stessa,  nonche'  qualificante
espressione dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, alla luce
della prima e dalla seconda doglianza di cui al ricorso  n.  463  del
2011, e' la dedotta omissione, da parte  dell'art.  4  dell'impugnato
regolamento 180/2010,  di  criteri  volti  a  delineare  i  requisiti
attinenti alla specifica professionalita'  giuridico-processuale  del
mediatore. 
    L'illegittimita' di siffatta omissione, precisano  i  ricorrenti,
non si apprezza che in relazione alle previsioni contenute  nell'art.
4 della direttiva 2008/52/CE e nell'art. 60 della  legge  n.  69  del
2009, che appunto prevedono, rispettivamente, che la mediazione debba
essere svolta con competenza e professionalita'. 
    Cio' in quanto l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del  2010,  di  cui  il
regolamento  costituisce  attuazione,  e  in  relazione  al  quale  i
ricorrenti introducono il sospetto di incostituzionalita', ha obliato
la  valenza   di   detti   requisiti   (si   ripete,   competenza   e
professionalita'), sostituendoli con altri (serieta' ed  efficienza),
che il regolamento impugnato ha fatto propri, ma che non  soddisfano,
pero', secondo i ricorrenti, le esigenze considerate dal  legislatore
comunitario e da quello nazionale delegante. 
    Tali   ultime   esigenze   i   ricorrenti   ritengono,    invece,
insopprimibili, soprattutto osservando che, per un vasto ventaglio di
materie, l'art. 5 dello stesso d.lgs. n. 28/2010, pure dai ricorrenti
sospettato  di   incostituzionalita',   rende   l'esperimento   della
mediazione condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. 
    E  allora,  per  effettuare  in  questa  sede   autonomamente   e
compiutamente la disamina della eventuale fondatezza di  un  siffatto
impianto argomentativo -  prescindendo,  cioe',  dalle  questioni  di
costituzionalita' - il Collegio dovrebbe sottoporre l'art.  60  della
legge n. 69 del 2009 e l'art. 16 del d.lgs. n. 28  del  2010  ad  una
interpretazione costituzionalmente orientata, che tenga  conto  della
necessita' di una stretta continuita' e coerenza delle  disposizioni,
tra di esse ed in relazione all'art. 4 della direttiva 2008/52/CE. 
    Cio'  al  fine  di   risolvere   ermeneuticamente   il   problema
consistente nella non sovrapponibilita' dei concetti di «competenza»,
«professionalita'»,     nonche'     «serieta'     ed     efficienza»,
alternativamente utilizzati dalle  fonti  regolatrici  della  materia
(rispettivamente,  direttiva,  legge  delega  e  decreto   delegato),
individuando, anche alla luce degli scopi e dei principi fondanti che
esse assumono, il parametro normativo specifico in relazione al quale
apprezzare  se  la  disposizione  regolamentare  impugnata  (art.  4)
presenti le caratteristiche della completezza e della congruenza. 
    ln tal modo, non solo non si porrebbe la necessita' di scrutinare
in via incidentale l'art. 16 del d.lgs. n. 28/2010, ma anche l'art. 5
dello  stesso  d.lgs.  n.  28/2010  rimarrebbe  sullo  sfondo   della
controversia,  senza  essere   direttamente   investito   dalla   sua
definizione. 
    Ma il Collegio ritiene che  una  siffatta  impostazione  non  sia
oggettivamente perseguibile. 
    Cio' in quanto essa non  esaurirebbe  che  in  una  misura  molto
limitata l'ambito delle questioni sottoposte a  giudizio,  lasciando,
in particolare, aperto l'interrogativo di  quale  sia  il  ruolo  che
l'ordinamento giuridico  nazionale  intende  effettivamente  affidare
alla mediazione. 
    Laddove, invece, e' proprio la puntuale  individuazione  di  tale
ruolo ad essere imprescindibilmente  pregiudiziale  all'apprezzamento
dei requisiti che,  in  via  attuativa-amministrativa,  e'  legittimo
richiedere al mediatore ovvero da cui  e'  legittimamente  consentito
prescindere. E' infatti intuitivo, anche sotto il profilo  del  grado
di affidamento da  ingenerarsi  verso  l'esterno  in  relazione  alla
figura del mediatore, e che si riflette nella professionalita' che in
capo al medesimo l'amministrazione e' tenuta a verificare, che: 
        una cosa e' la costruzione della  mediazione  come  strumento
cui lo Stato in  un  vasto  ambito  di  materie  obbligatoriamente  e
preventivamente rimandi per l'esercizio  del  diritto  di  difesa  in
giudizio; 
        altra cosa e' la costruzione della mediazione come  strumento
generale  normativamente  predisposto,  di  cui  lo  Stato  incoraggi
favorisca l'utilizzo, lasciando purtuttavia impregiudicata la liberty
nell'apprezzamento  dell'interesse  del  privato  ad  adirla   ed   a
sopportarne i relativi effetti e costi. 
    In altre parole, non pare potersi porre  fondatamente  in  dubbio
che la disamina rimessa a questa  sede  in  ordine  alla  valutazione
della fondatezza delle descritte doglianze, in relazione  alle  norme
del regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda demolitoria
nei sensi sopra precisati, non  possa  prescindere  dall'accertamento
della correttezza, in raffronto ai criteri della legge delega  ed  ai
precetti  costituzionali,   e   tenuto   conto   delle   disposizioni
comunitarie, delle scelte operate dal legislatore delegato laddove: 
        all'art. 16, ha conformato gli organismi di  conciliazione  a
parametri, o meglio  a  qualita',  che  attengono  esclusivamente  ed
essenzialmente all'aspetto della funzionalita' generica, e  che,  per
contro, sono scevri da  qualsiasi  riferimento  a  canoni  tipologici
tecnici  o   professionali   di   carattere   qualificatorio   ovvero
strutturale; 
        al contempo, all'art. 5, ha configurato, per le  materie  ivi
previste, l'attivita' da questi posta in essere  come  insopprimibile
fase preprocessuale, cui altre norme del decreto  assicurano  effetti
rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in ogni  suo  possibile
sviluppo, o di conformare definitivamente  i  diritti  soggettivi  da
essa coinvolti, o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la
giustiziabilita' nelle sedi  istituzionali  e  si  intenda  adire  la
tutela giudiziale. 
    E cio' anche tenendo particolarmente conto, sotto un profilo piu'
generale, del fatto che nel decreto legislativo n.  28  del  2010  si
rinvengono, come  al  Collegio  sembra  palese,  elementi  che  fanno
emergere due scelte di fondo che, in relazione ai diritti disponibili
e nelle materie considerate, in misura inversamente proporzionale, ma
biunivocamente,   mirano,   con   forza    cogente,    l'una,    alla
deistituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia civile e
commerciale nelle materie stesse, e, l'altra, alla enfatizzazione  di
un procedimento para-volontario di  componimento  delle  controversie
nelle materie stesse, che, pero', per come strutturate, non risultano
omogenee con una ulteriore scelta pure ivi operata. 
    Che consiste nel disporre che l'atto che conclude la  mediazione,
sottoposto ad omologazione,  possa  acquistare  efficacia  di  titolo
esecutivo per l'espropriazione forzata,  per  l'esecuzione  in  forma
specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art.  12,  d.lgs.
n. 28/10) - rientrando, cosi', a pieno titolo tra gli atti aventi gli
stessi effetti giuridici tipici delle statuizioni  giurisdizionali  -
laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto  legislativo
stesso, il profilo della competenza tecnica del mediatore  sbiadisce,
e, vieppiu', anche il diritto positivo viene in evidenza  solo  sullo
sfondo,  come  cornice  esterna  ovvero  come  generale  limite  alla
convenibilita' delle posizioni giuridiche in essa coinvolte  (divieto
di  omologare  accordi  contrari  all'ordine  pubblico  o   a   norme
imperative, art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010). 
    E allora, per  assicurare  la  certezza  della  fattibilita'  del
descritto meccanismo, al fine di escludere che lo stesso  ridondi  in
danno del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24 Cost.,
risulta insopprimibile la necessita' che l'interpretazione  dell'art.
16 del d.lgs. n. 28/2010 [propedeutica alla disamina della  impugnata
disposizione regolamentare dell'art. 4)]  sia  correlata  con  quanto
previsto dall'art. 5  dello  stesso  decreto  (entrambi  nelle  parti
precisate al punto 9), il cui combinato disposto costituisce il  vero
perno della regolazione delegata. 
    Tale ultima  norma,  pero',  per  le  ragioni  che  si  passa  ad
illustrare, non risulta al Collegio  trovare  una  rispondenza  nella
legge delega, con conseguente violazione dell'art. 77 Cost.. 
    12.  Nell'illustrare  il  complessivo  quadro   normativo   della
fattispecie, si e' dato conto che la direttiva  21  maggio  2008,  n.
2008/52/CE  e'  chiara  nell'affermare,  all'ottavo  considerando  ed
all'art.  1,  che  il  campo  privilegiato  di   applicazione   delle
disposizioni  comunitarie  sulla  mediazione  in  materia  civile   e
commerciale e' rappresentato dalle controversie transfrontaliere,  ma
che nulla  dovrebbe  vietare  agli  Stati  membri  di  estenderla  ai
«procedimenti di mediazione interni». 
    L'intento della direttiva sul punto e' chiaro. 
    La immediata disponibilita' nell'ambito dell'Unione  europea  del
servizio   di   mediazione    in    relazione    alle    controversie
transfrontaliere  nelle  materie  civili  e   commerciali   risponde,
infatti, con efficacia apprezzabile a prima vista, alla necessita' di
superare le problematiche solitamente e squisitamente proprie di tali
tipologie di controversie,  quali  l'individuazione  dell'ordinamento
statale applicabile e del giudice comperate, contribuendo, cosi',  ad
una soluzione rapida ed efficace delle ragioni  del  contendere,  che
altrettanto  indubitabilmente  manifesta   il   ruolo   di   elemento
necessario al  corretto  funzionamento  del  mercato  interno,  anche
tenuto  conto  che  la  materia  degli  scambi  commerciali  non   e'
ontologicamente   estranea   alla   composizione   amichevole   delle
controversie. 
    Al contempo, il  legislatore  comunitario  esprime  evidentemente
l'avviso  che  nulla  osta  a  che  la  mediazione,  quale  strumento
tendenzialmente  generale  di  risoluzione  delle  controversie,  sia
valorizzata   dalle   singole   legislazioni   nazionali,    mediante
l'esercizio di un'opzione estensiva dell'istituto, come delineato nei
tratti salienti dalla direttiva, che ne comporti l'applicazione anche
a quelle che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri,  e  che
ricadono interamente  nell'ambito  degli  ordinamenti  interni  degli
Stati  membri.  Secondo  le  attribuzioni  proprie   dell'ordinamento
nazionale vigente, l'eventuale adesione, di  carattere  pacificamente
discrezionale, a siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la
competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non puo' che essere
individuata che in capo  alla  fonte  normativa  primaria  [art.  111
Cost.; art. 117, lett. l) ed m) Cost.]. 
    E cio' anche perche', come meglio in seguito, essa non  esaurisce
le  scelte  da  compiersi,  ma  costituisce  il  presupposto  da  cui
scaturisce la necessita' di operare altre scelte, che ineriscono,  se
cosi' si puo' dire, ai massimi livelli del  sistema  nazionale  della
«giustizia» in materia  civile.  Si  pone,  indi,  la  necessita'  di
verificare se le scelte  effettuate  dal  legislatore  delegato,  con
specifico riferimento alle prime tre  disposizioni  dell'art.  5  del
d.lgs. n. 28/2010, possano essere  ascritte,  nelle  parti  fondanti,
all'art. 60 della piu' volte richiamata legge n. 69 del 2009. 
    E' il caso di chiarire  che  ad  analoga  necessita'  condurrebbe
anche l'eventualita' che l'art. 60 della legge n. 69 del 2009,  oltre
a porsi in continuita' con la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE
- come sembra al  Collegio  palese  ancorche'  la  stessa  non  venga
richiamata nel testo dell'articolo, che rimanda pero'  al  «rispetto»
ed alla «coerenza» con la normativa comunitaria [comma 2 e  comma  3,
lett. c)], e come e' in effetti sembrato palese anche al  legislatore
delegato, che l'ha citata nel preambolo - esprima  anche  l'ulteriore
ed autonomo intendimento  del  legislatore  di  approntare  soluzioni
volte a  fronteggiare  le  note  problematiche  connesse  nel  nostro
ordinamento al processo civile. 
    In  tale  ultimo  senso  sembrano,   per   vero,   militare   sia
l'inserimento dell'art. 60 non nella legge comunitaria annuale bensi'
in   un   corpus   normativo   per   «lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile», sia la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo,
che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi del comma 1 che
lo precede («in materia di mediazione e di  conciliazione  in  ambito
civile e commerciale») quale «riforma». 
    Infatti, quand'anche ci si  trovasse  di  fronte  ad  un'autonoma
«riforma»   di   carattere   ordinamentale,   meramente   occasionata
dall'obbligo di recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua  il
contenuto essenziale, ma senza che l'intento recettivo  esaurisca  le
intenzioni  del  legislatore,  a  maggior   ragione   si   imporrebbe
l'indagine sull'oggetto che costituisce il reale ambito della delega,
che  non  potrebbe  essere  sic   et   simpliciter   derivato   dalle
disposizioni comunitarie in corso di recepimento. 
    13. Ma il Collegio non rinviene nella legge delega alcun elemento
che consenta di ritenere che la  regolazione  della  materia  andasse
effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell'art. 5
del d.lgs. n. 28 del 2010. 
    E cio' per le ragioni che si passa ad illustrare. 
    13.1.  Va  subito  chiarito  che,  laddove  indubitabilmente   e'
ascrivibile al piu' volte nominato art. 60 della legge  n.  60/09  la
scelta di ampliare il  ricorso  alla  mediazione  nelle  controversie
interne in  ambito  civile  e  commerciale,  nessuno  dei  criteri  e
principi   direttivi   previsti   e   nessuna   altra    disposizione
dell'articolo   espressamente   assume   l'intento   deflattivo   del
contenzioso giurisdizionale o configura l'istituto  della  mediazione
quale fase preprocessuale obbligatoria. 
    Ne' detto tema puo' ritenersi rientrante nell'ambito di liberta',
ovvero  nell'area  di  discrezionalita'  commessa  alla  legislazione
delegata, esso non costituendo,  per  quanto  sopra  riferito  e  per
quanto in seguito, ne' un mero sviluppo delle  scelte  effettuate  in
sede di delega ne' una fisiologica  attivita'  di  riempimento  o  di
coordinamento normativo, sia che si tratti di recepire  la  direttiva
comunitaria n.  2008/52/CE  sia  che  si  tratti  della  riforma  del
processo civile. 
    Ne  consegue  che,  ai  fini  della  positiva  valutazione  della
costituzionalita' delle prime tre previsioni dell'art. 5  del  d.lgs.
n. 28 del 2010., tenendo conto del silenzio serbato  dal  legislatore
delegante sullo specifico tema, occorrerebbe  almeno  che  l'art.  60
lasci trasparite elementi in tal senso univoci e concludenti. 
    Ma cosi' non e'. 
    13.2. Va poi anche escluso che l'art. 60 della legge  n.  69  del
2009, con la locuzione del relativo comma 2 (regolare la riforma «nel
rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria»), ovvero con  il
principio e criterio direttivo  posto  alla  lett.  c)  del  comma  3
(«disciplinare   la   mediazione   nel   rispetto   della   normativa
comunitaria») possa essere inteso quale delega al Governo a  compiere
ogni e qualsivoglia  scelta  latamente  occasionata  dalla  direttiva
comunitaria n. 2008/52/CE, che, come sopra si e' rilevato, il Governo
non e' stato neanche espressamente chiamato a recepire. 
    Ma, sul punto, come gia' sopra accennato, e' ancor piu'  decisivo
osservare che varie sono le opzioni da considerare  a  termini  della
direttiva in parola. 
    La prima e la  piu'  significativa,  nonche'  quella  chiaramente
compiuta  dall'art.  60,  e'  indubbiamente  quella   relativa   alla
estensione dell'applicazione  delle  disposizioni  comunitarie  sulla
mediazione    anche    ai    procedimenti    interamente    ricadenti
nell'ordinamento nazionale, per i quali essa non  e'  originariamente
ed obbligatoriamente prevista. 
    La seconda e' quella di valutare se il procedimento di mediazione
debba essere «avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato  membro»  [art.
3, lett. a), direttiva n. 2008/52 /CE] . 
    La terza, logicamente conseguente all'ultima delle opzioni  della
seconda,  e'  quella  di  apprezzare  se,   dinamicamente,   lasciare
«impregiudicata la legislazione nazionale che rende il  ricorso  alla
mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o  sanzioni,  sia
prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario» (art.  5,  par.
2, direttiva n. 2008/52/CE). 
    Il tutto, tenendo comunque  conto  del  limite  costituito  dalla
necessita' di non impedire «alle parti di esercitare  il  diritto  di
accesso al  sistema  giudiziario»  (art.  5,  par.  2,  direttiva  n.
2008/52/CE). 
    I ricaschi della scelta estensiva dell'istituto della  mediazione
dal campo privilegiato delle controversie  transfontaliere  a  quello
dei procedimenti interamente ricadenti nell'ordinamento interno sono,
indi, molteplici, ed attengono precipuamente alle varie modalita' con
cui tale estensione, salvaguardando l'accesso  alla  giustizia,  puo'
essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in primis, all'opzione
di rendere il ricorso alla mediazione «prescritto dal diritto»,  indi
«obbligatorio» e «soggetto a sanzioni». 
    Quand'anche, pertanto, dovesse ritenersi che l'art. 60  si  ponga
un intento integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE,  il
silenzio del legislatore delegante su tali ultime opzioni non ha, ne'
puo' avere, alla luce della doverosa interpretazione della delega  in
conformita' agli artt. 24, 76 e 77 Cost., il significato di assentire
la meccanica  introduzione  nell'ordinamento  statale  delle  opzioni
comunitarie  che,  rispetto  al  diritto  di  difesa  come   scolpito
dall'art. 24 Cost., appaiono le piu' estreme, ovvero la «prescrizione
di diritto» per talune materie dell'obbligatorieta' del ricorso  alla
mediazione, e la predisposizione della massima «sanzione» per il  suo
eventuale inadempimento, quale e' l'improcedibilita' rilevabile anche
d'ufficio, come, al contempo, ha fatto l'art. 5 del decreto delegato. 
    13.3. Va, altresi', chiarito che nessun elemento decisivo, sempre
ai fini in parola, e' ricavabile dal principio e  criterio  direttivo
previsto dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone che la
mediazione,  finalizzata  alla  conciliazione,  abbia   per   oggetto
controversie su diritti disponibili, «senza precludere l'accesso alla
giustizia». 
    Tale principio e  criterio  direttivo,  infatti,  nella  dinamica
della  delega,  non  sembra  assumere  altro  ruolo  che  quello   di
richiamare l'attenzione sulla necessita' di rispettare  un  principio
assoluto  e  primario  dell'ordinamento  nazionale  (art.  24   della
Costituzione) e di quello comunitario. 
    Cio' posto, e' vero che l'accesso  alla  giustizia  potrebbe  non
ritenersi ex se precluso dalla previsione di una fase preprocessuale,
che, ancorche' obbligatoria, lasci comunque  aperta  la  facolta'  di
adire la via giurisdizionale. 
    Infatti, secondo  il  costante  insegnamento  del  Giudice  delle
leggi, l'art. 24 Cost. non impone che il cittadino  possa  conseguire
la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e  con  i  medesimi
effetti,  e  non  vieta  quindi  che  la  legge   possa   subordinare
l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purche' non vengano
imposti oneri tali o non vengano prescritte modalita' tali da rendere
impossibile o  estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa o lo svolgimento dell'attivita' processuale (Corte  cost.,  21
gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non  puo'  non
richiamarsi anche la recente sentenza della Corte  di  Giustizia  CE,
IV, 18 marzo 2010). 
    Ma e' altresi' vero: 
        sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le
modalita' di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine  di
valutarne la conformita' a Costituzione; 
        sia che nell'ordinamento giuridico vigente, e  specificamente
in quello che regola la delega legislativa, non tutto cio' che e'  in
via generale permesso all'autorita' delegante  puo'  ritenersi  anche
assentito alla sede delegata. 
    Di  talche',  anche  potendosi  ammettere  che   le   prime   tre
disposizioni  del  comma  1  dell'art.  5  del  d.lgs.  n.   28/2010,
isolatamente considerate, possano non  essere  in  contrasto  con  il
principio  costituzionale  del  diritto  alla  difesa,  alla   stessa
conclusione potrebbe non pervenirsi tenendo conto degli  effetti  del
loro coordinamento con altre disposizioni  dello  stesso  d.lgs.,  e,
segnatamente, con l'art. 16. In ogni  caso,  poi,  attesa  la  natura
della fonte,  occorrerebbe  rinvenirne  il  fondamento  in  un  altro
principio e criterio direttivo della delega. 
    Ma, come si e' gia' accennato, cio' non e' dato. 
    13.4. Atteso, quindi, che i principi e criteri  direttivi  appena
esaminati appaiono neutrali al  fine  di  apprezzare  la  rispondenza
dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/10  alla  legge  delega,  va  osservato,
vieppiu', che ben due principi e criteri direttivi depongono, invece,
a favore della non rispondenza. 
    13.4.1. Con il principio e criterio direttivo previsto  dall'art.
60, lett. c), si prevede che la  mediazione  sia  disciplinata  anche
«attraverso  l'estensione  delle  disposizioni  di  cui  al   decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5». 
    Il  decreto  legislativo  n.  5/2003  reca  la  «Definizione  dei
procedimenti in materia di diritto societario  e  di  intermediazione
finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in  attuazione
dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366»,  e  nel  titolo
VI, dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale gli artt.  da  38  a
40, ora abrogati proprio dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010. 
    Il richiamo' dell'art. 60  in  parola  al  d.lgs.  n.  5/2003  fa
escludere che la puntuale scelta operata dal comma 1 dell'art. 5  del
d.lgs. n. 28/2010 possa essere ascritta al legislatore delegante. 
    Infatti, il d.lgs. n. 5/2003, segnatamente, all'art. 40, comma 6,
molti piu' limitatamente di quanto previsto dal  ridetto  art.  5,  e
solo nello scenario in cui «il  contratto  ovvero  lo  statuto  della
societa' prevedano una clausola di conciliazione e il  tentativo  non
risulti esperito», prevede che «il giudice, su  istanza  della  patte
interessata proposta nella prima difesa dispone  la  sospensione  del
procedimento pendente davanti a lui fissando  un  termine  di  durata
compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di
conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero  quello
indicato dal contratto o dallo statuto». 
    Il modello legale valorizzato dall'art. 60 della legge  n.  69/90
mediante il richiamo al d.lgs. n. 5/2003 e' quello, quindi, in cui si
versa innanzitutto in un ambito gia'  delineato  da  norme  di  fonte
volontaria privata (contratto o statuto sociale). 
    In  tale  quadro,  e'  comunque  rimesso  ad  un  altro   momento
volontario privato, ovvero  alla  facolta'  della  parte  che  vi  ha
interesse, e non alla forza cogente della  legge,  far  constare  nel
giudizio  gia'  interposto,  ed  entro   termini   prestabiliti,   la
sussistenza di una clausola conciliativa ed  il  mancato  esperimento
della conciliazione. 
    Ed anche qualora la parte ritenga di avvalersi di tale  facolta',
il  procedimento  giudiziale  non  si  estingue,   ma,   molto   piu'
limitatamente, deve essere  sospeso  per  il  periodo  necessario  ad
esperire la conciliazione. 
    Il decreto legislativo n. 5/2003 delinea, dunque, una fattispecie
nella quale l'esistenza di un modulo normativo di composizione  delle
controversie alternativo alla giurisdizione, di cui l'interessato non
si sia avvalso, ne' pospone de iure  il  suo  diritto  di  difesa  in
giudizio ne' lo rende, eventualmente,  inutiliter  esercitato,  come,
invece, fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell'art.  5  del
d.lgs. n. 28/2010. 
    E' bene aggiungere che  nulla  muta,  poi,  considerando  che  il
decreto delegato n. 28 del 2010, al comma  2  dello  stesso  art.  5,
affianca al meccanismo sospetto  di  incostituzionalita'  di  cui  al
comma 1 anche un meccanismo coincidente a  quello  appena  descritto,
ascrivibile al modello richiamato dal legislatore  delegante  (d.lgs.
n. 5/2003), in forza del quale e' il giudice adito, anche in sede  di
appello, che, valutati una serie  di  elementi,  invita  le  parti  a
procedere alla mediazione e differisce la decisione  giurisdizionale:
tale disposizione, infatti, tiene comunque «Fermo quanto previsto dal
comma 1...». 
    Anzi, il comma 2 dell'art. 5 lumeggia maggiormente la incisivita'
della diversa scelta compiuta dal legislatore  delegato  al  comma  1
dello stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi  previste  il
diritto di  difesa  in  giudizio  all'esperimento  della  mediazione,
rendendo ancor piu' pressante l'esigenza che di una  siffatta  scelta
si individui il preciso fondamento nella legge delega. 
    13.4.2. A sua volta, la lett. n) del piu' volte  richiamato  art.
60 prevede il dovere. dell'avvocato di informare  il  cliente,  prima
dell'instaurazione  del  giudizio,  della   «possibilita'»,   e   non
dell'obbligo, di avvalersi dell'istituto della conciliazione  nonche'
di ricorrere agli organismi di conciliazione. 
    Anche tale disposizione non consente di ritenere che l'art. 5 del
d.lgs. n. 20/10, al comma 1, nelle tre prime disposizioni,  trovi  un
riscontro nella legge delega n. 69/09. 
    Infatti,   la   possibilita'   e',   per   definizione,   diversa
dall'obbligatorieta', e l'accentuazione di tale differenza  non  puo'
ritenersi  superflua,  vertendosi   nel   campo   della   deontologia
professionale, ovvero in un complesso di' obblighi e  doveri  la  cui
inosservanza puo' determinare  conseguenze  pregiudizievoli  in  base
all'ordinamento  civile  (risarcimento  del  danno),   amministrativo
(sanzioni disciplinari) e pubblicistico (art. 4, comma 3,  d.lgs.  n.
28/2010),  che  richiedono  l'esatta  individuazione   del   precetto
presidiato dalle sanzioni. 
    Tant'e'  che  lo  stesso  decreto  delegato  28/2010  ha   dovuto
differenziare, al comma 3 dell'art. 4, l'ipotesi  in  cui  l'avvocato
omette di informare il  cliente  della  «possibilita'»  di  avvalersi
della mediazione, da quella in cui l'omissione informativa concerne i
casi  in  cui  «l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione   e'
condizione di procedibilita' della domanda giudiziale». 
    E cio' ancorche' poi, alquanto sorprendentemente, l'art. 4, comma
3 in parola: non diversifichi poi  la  sanzione  correlata  alle  due
fattispecie, che sono state entrambe ricondotte alla unica  categoria
della    «violazione    degli    obblighi    di    informazione»    e
all'annullabilita'  del  contratto  intercorso   tra   l'avvocato   e
l'assistito, nonostante la  assai  maggior  pregiudizievolezza  della
seconda. 
    14. Nessuna delle problematiche di rilievo  costituzionale  sopra
evidenziate   viene   risolta   dalle    difese    formulate    dalle
amministrazioni resistenti. 
    14.1. Si opina che il recente d.m.  6  luglio  2011,  n.  145  ha
introdotto una rilevante modifica all'art. 7 del decreto n.  180  del
2010 in questa sede impugnato, in forza della  quale  il  regolamento
dell'organismo di mediazione deve recare  «criteri  inderogabili  per
l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi
della specifica competenza  professionale  del  mediatore  designato,
desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta». 
    Per la difesa erariale, vieppiu', la sopravvenienza di tale norma
determinerebbe l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza del primo
motivo di gravame. 
    L'argomentazione non puo', pero', essere seguita, atteso  che  la
disposizione aggiunta, che si limita ad individuare  un  criterio  di
assegnazione degli affari interno all'organismo di mediazione, lascia
ampiamente  impregiudicata  ogni  questione  inerente  il  meccanismo
tramite il quale  la  mediazione  e'  stata  introdotta,  per  alcune
materie, nell'ordinamento vigente e la conseguente individuazione dei
requisiti minimi necessari in capo al mediatore. 
    14.2. Si opina ancora che lo  schema  procedimentale  seguito  e'
quello dell'art. 46 della legge 3 maggio 1982, n.  203,  in  tema  di
controversie agrarie. 
    Ma la risalente legge invocata, che effettivamente  configura  un
meccanismo in forza del quale il previo esperimento del tentativo  di
conciliazione assume la condizione di presupposto processuale, la cui
carenza preclude al giudice eventualmente adito  di  pronunciare  nel
merito della domanda (Cass. SS.UU, 20 dicembre 1985, n. 6517),  oltre
a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di cui  all'art.
5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010) ipotesi dei contratti  agrari,
non figura  menzionata  in  alcuna  parte  della  legge  delega,  che
richiama, invece, la completamente diversa fattispecie normativa  del
gia' citato d.lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata. 
    14.3.  L'assunzione  di  finalita'  deflative   del   contenzioso
giudiziale,   l'apprezzamento   dell'equilibrio    della    soluzione
prescelta,  anche  per  quanto  attiene  ai   procedimenti   il   cui
svolgimento  non  e'  precluso  dalla   mediazione   neppure   quando
obbligatoria, e ai procedimenti cui non si applicano le  disposizioni
sulla  condizione  di  procedibilita',   nonche'   ai   costi   della
mediazione, non sono qui in discussione. 
    Si tratta, infatti, di questioni di merito  sottratte  all'ambito
proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, piu'  a  monte,
occorre verificare, per le suesposte ragioni ed in  osservanza  delle
regole proprie dello scrutinio incidentale  di  costituzionalita'  di
cui all'art. 1 della 1. cost. n. 1 del 1948, se  trattasi  di  scelte
che il  Governo  era  legittimato  ad  attuare,  e  con  le  previste
modalita', in forza delle attribuzioni delegate dal Parlamento. 
    14.4. E' fuori tema e non  coglie  comunque  nel  segno,  per  le
stesse ragioni appena riferite e per  quanto  al  punto  13.3.,  ogni
questione attinente alle indicazioni ricavabili dalla  giurisprudenza
comunitaria  (in  tema  di  telecomunicazioni  invocata  dalle  parti
resistenti in relazione alla astratta possibilita' per il legislatore
nazionale  di  sottoporre  l'esercizio  dei  diritti  fondamentali  a
restrizioni  compatibili  con  obiettivi  di  interesse  generale,  a
condizione che essi siano perseguiti in modo  non  sproporzionato.  o
inaccettabile, ed alla verifica del rispetto di  siffatte  condizioni
da parte delle norme delegate. 
    14.5. Non e' vero, per quanto pure in  precedenza  riferito,  che
l'unico limite posto al decreto delegato e' quello del rispetto della
possibilita' di accesso alla giustizia. 
    Si e' infatti sopra dato conto che nell'art. 60 della legge n. 69
del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo  univoci  e
concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle  gia'  illustrate
disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38
a 40, ora abrogati dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010), che,  nel
rapporto tra mediazione e processo,  delineano  un  equilibrio  molto
diverso da quello assunto dal comma 1 dell'art. 5. 
    Ne' e' conducente, per quanto  sopra  pure  diffusamente  esposto
(13.2),  affermare  che  la  normativa   comunitaria   fa   esplicito
riferimento  all'ipotesi  di  mediazione  obbligatoria  anche   negli
specifici termini estremi fatti propri dal  legislatore  delegato  (e
non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto
comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni  via  via
«facoltizzate». 
    In altre parole, e conclusivamente, quanto riferito dalla  difesa
erariale  si  profila  di  assoluta  neutralita'  in  relazione  alle
questioni dibattute in questa sede, come sopra delineate. 
    15. Tutto quanto sin qui argomentato giustifica la valutazione di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo
(che introduce  a  carico  di  chi  intende  esercitare  in  giudizio
un'azione relativa  alle  controversie  nelle  materie  espressamente
elencate  l'obbligo  del  previo  esperimento  del  procedimento   di
mediazione),  secondo  periodo  (che  prevede  che  l'esperimento  di
mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale),
terzo  periodo  (che  dispone  che  l'improcedibilita'  deve   essere
eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice); 
        dell'art. 16 del d.lgs. n. 28  del  2010,  comma  1,  laddove
dispone che abilitati a costituire  organismi  deputati,  su  istanza
della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono
gli enti pubblici e privati,  che  diano  garanzie  di  «serieta'  ed
efficienza». 
    15.1. In particolare, le disposizioni di cui sopra  risultano  in
contrasto con l'art. 24 Cost. nella misura in cui determinano,  nelle
considerate materie, una incisiva influenza da  parte  di  situazioni
preliminari e pregiudiziali sull'azionabilita' in giudizio di diritti
soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale  statuale,  su
cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce. 
    Cio'  in  quanto  esse  non  garantiscono,  mediante  un'adeguata
conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano
irreversibili  pregiudizi  derivanti  dalla  non  coincidenza   degli
elementi loro  offerti  in  valutazione  per  assentire  o  rifiutare
l'accordo  conciliativo,  rispetto   a   quelli   suscettibili,   nel
prosieguo, di essere evocati in giudizio. 
    15.2. Le disposizioni in parola risultano altresi'  in  contrasto
con l'art. 77 Cost.,  atteso  il  silenzio  serbato  dal  legislatore
delegante in tema di obbligatorieta'  del  previo  esperimento  della
mediazione  al  fine  dell'esercizio  della  tutela   giudiziale   in
determinate materie, nonche' tenuto conto del grado  di  specificita'
di alcuni principi e criteri direttivi fissati  dalla  legge  delega,
art. 60  della  legge  n.  69/09,  che  risultano  stridenti  con  le
disposizioni stesse. 
    In particolare, alcuni principi e criteri  direttivi  [lett.  c);
lett.  n)]  fanno  escludere   che   l'obbligatorieta'   del   previo
esperimento della mediazione  al  fine  dell'esercizio  della  tutela
giudiziale   in   determinate   materie   possa    rientrare    nella
discrezionalita' commessa  alla  legislazione  delegata,  quale  mero
sviluppo o fisiologica attivita' di riempimento della  delega,  anche
tenendo conto della sua  ratio  e  finalita',  nonche'  del  contesto
normativo comunitario al quale e' ricollegabile. 
    15.3. Si rende conseguentemente  necessaria  la  sospensione  del
giudizio  e  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche' si pronunci sulla questione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Cosi' dispone: 
        1) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 24 e 77  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs. n.  28  del  2010,
comma 1, primo  periodo  (che  introduce  a  carico  di  chi  intende
esercitare in giudizio un'azione  relativa  alle  controversie  nelle
materie espressamente elencate l'obbligo del previo  esperimento  del
procedimento  di  mediazione),  secondo  periodo  (che  prevede   che
l'esperimento di mediazione e'  condizione  di  procedibilita'  della
domanda    giudiziale),    terzo    periodo    (che    dispone    che
l'improcedibilita' deve essere  eccepita  dal  convenuto  o  rilevata
d'ufficio dal giudice); 
        2) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 24 e 77  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.lgs. n. 28  del  2010,
comma  1,  laddove  dispone  che  abilitati  a  costituire  organismi
deputati,  su  istanza  della  parte  interessata,   a   gestire   il
procedimento di mediazione sono gli  enti  pubblici  e  privati,  che
diano garanzie di serieta' ed efficienza; 
        3) dispone la sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        4) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  costituite  e   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
          Cosi' deciso in Roma  nella  camera  di  consiglio  del  18
aprile 2012. 
 
                        Il Presidente: Politi 
 
 
                                             L'estensore: Bottiglieri