N. 218 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 2012

Ordinanza del 19 giugno  2012  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Apollonio  Adriana  ed
altri c/o Ministero degli affari esteri. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento  della  spesa  in  materia  di  pubblico   impiego   -
  Dipendenti pubblici (nella specie,  consiglieri  di  ambasciata)  -
  Previsione che le progressioni di  carriera,  comunque  denominate,
  disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti
  anni, ai fini esclusivamente giuridici - Violazione  del  principio
  solidaristico - Lesione del principio di uguaglianza  -  Violazione
  del  principio  di  retribuzione  proporzionata   ed   adeguata   -
  Violazione del principio di capacita' contributiva - Violazione del
  principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 36, 53 e 97. 
(GU n.41 del 17-10-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato la presente ordinanza, nel giudizio introdotto con
il ricorso n. 10321/11, proposto da Adriana Apollonio, Carlo  Batori,
Alberto Bertoni, Lorenzo  Morini,  Paolo  Scartozzoni,  Massimo  C.M.
Branciforte, Stefano Verrecchia, Laura  Aghilarre,  Stefano  Bianchi,
Laura  Egoli,  Michele  Pala,  Cecilia  Piccioni,  Michele   Tommasi,
Marilina  Armellin,  Alessandro  Gonzales,  Gianluca  Greco,   Enrico
Nunziata  ed  Alberto  Vecchi,  nonche'   dal   Sindacato   nazionale
dipendenti ministero affari esteri - SNDMAE, in  persona  del  legale
rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'avv. M.
Scongiaforno, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,  via
Postumia 3; 
    Contro il Ministero degli affari esteri, in persona del  ministro
pro tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, domiciliataria per legge; 
    Per l'annullamento del d.m. 26 luglio 2011, n. 1615, nella  parte
in cui ha disposto che la progressione dei  ricorrenti  al  grado  di
consigliere d'ambasciata per gli anni 2011, 2012 e 2013  debba  avere
effetto  ai  fini  esclusivamente  giuridici;  di  ogni  altro   atto
preparatorio, preliminare, connesso, consequenziale ed esecutivo. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  degli
affari esteri; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 il cons.
avv. A. Gabbricci ed uditi per le parti i difensori come  specificato
nel verbale; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    1.1. Laura Aghilarre, Adriana Apollonio, Marilina Armellin, Carlo
Batori, Alberto Bertoni, Stefano Bianchi, Massimo  C.M.  Branciforte,
Laura Egoli, Alessandro Gonzales,  Gianluca  Greco,  Lorenzo  Morini,
Enrico Nunziata Michele Pala, Cecilia  Piccioni,  Paolo  Scartozzoni,
Michele Tommasi, Alberto Vecchi e Stefano Verrecchia sono  dipendenti
del Ministero degli esteri, promossi, con  decorrenza  dal  2  luglio
2011, al grado di consigliere d'ambasciata mediante il d.m. 26 luglio
2011, n. 1615. 
    1.2. Tale provvedimento, peraltro, stabilisce all'art. 2 che,  a'
sensi dell'art. 9, comma  XXI,  del  d.l.  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito con modificazioni in legge 30  luglio  2010,  n.  122,  la
progressione in carriera dei promossi avrebbe avuto effetto,  per  il
triennio 2011-2013, a fini esclusivamente giuridici. 
    Gli interessati l'hanno pertanto impugnato in questa parte, e con
essi  ha  proposto  gravame   anche   il   sindacato   di   categoria
S.N.D.M.A.E., la  cui  legittimazione,  ed  i  limiti  della  stessa,
verranno specificatamente esaminati nella decisione definitiva. 
    2.1. Il ripetuto  art.  9,  comma  XXI,  per  quanto  d'immediato
interesse, stabilisce appunto che, per il personale di cui all'art. 3
del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - cioe' tuttora in regime di diritto
pubblico, compreso appunto anche quello della carriera diplomatica  -
«le  progressioni  di  carriera  comunque  denominate   eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici». 
    2.2. I ricorrenti sostengono l'illegittimita' del d.m. n. 1615/11
che questa norma ha  inteso  applicare,  sotto  un  duplice  profilo:
dapprima assumendo, sotto piu' aspetti, che il ripetuto art. 9, comma
XXI, non troverebbe ad essi  applicazione;  solo  in  subordine  essi
affermano  che  quest'ultima   disposizione   presenterebbe   profili
d'incostituzionalita'   non   manifestamente   infondati,   da    cui
deriverebbe l'invalidita' del provvedimento ministeriale che  vi  da'
attuazione. 
    3.1.  Nei  limiti  imposti  dalla  verifica  di  rilevanza  della
questione di costituzionalita', va anzitutto considerata quella parte
del ricorso che non la investe direttamente, e cosi' i  relativi  tre
motivi, il primo dei quali e'  rubricato  nella  violazione  e  falsa
applicazione degli artt. 101 e 112 del d.P.R. 5 gennaio 1967,  n.  18
del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206 e dell'art. 9, comma XXI, del  d.l.
31 maggio 2010, n. 78 e, ancora nell'eccesso di potere per sviamento,
ovvero per nullita' derivante da carenza di potere. 
    3.2. Osservano intanto i  ricorrenti  come  il  d.m.  n.  1615/11
statuisca sulla loro progressione di carriera, rinviando,  quanto  al
conseguente trattamento economico, al vigente accordo  sindacale  per
il personale della carriera diplomatica,  relativamente  al  servizio
prestato in Italia, recepito mediante decreto presidenziale. 
    3.3.1.  In  effetti,  il  personale  appartenente  alla  carriera
diplomatica e' retto dal proprio specifico ordinamento, regolato  dal
d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, il cui art. 112  -  siccome  sostituito
dal d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 -  ha  introdotto  il  sistema  della
contrattazione,   da   trasfondere   successivamente   in   un   atto
regolamentare, emanato sotto forma di decreto  del  Presidente  della
Repubblica  (art.  112,  commi  2  e  3):  attualmente,   l'atto   di
recepimento e' rappresentato dal d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206. 
    3.3.2. L' art. 112, secondo i ricorrenti, assegnerebbe  al  d.P.R
il ruolo di atto-fonte per la  determinazione  e  l'attribuzione  del
trattamento economico, e costituirebbe  «una  vera  e  propria  norma
sulla produzione», tale  essendo  quella  norma  che  «definisce  gli
atti-fonte,  imputa  loro  potesta'  normativa  e  ne   delimita   le
competenze». Al contrario, l'art. 9, XXI comma,  del  d.l.  n.  78/10
configurerebbe «una norma di produzione, attesa l'immediata incidenza
materiale delle sue  prescrizioni  sui  rapporti  sui  quali  il  suo
contenuto prescrittivo va ad incidere». 
    3.3.3 Ora, il citato d.P.R. n.  206/10,  successivo  allo  stesso
d.l. n. 78/10, recependo l'ipotesi  d'accordo,  ne  ha  espressamente
decretato l'applicazione  al  personale  appartenente  alla  carriera
diplomatica,  e,  dunque,  la  relativa  disciplina   degli   aspetti
giuridici ed economici, decorrente dalla data della  sua  entrata  in
vigore, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 
    3.3.4. Sarebbe allora evidente l'illegittimita' del ripetuto art.
2 del d.m. n. 1615/11, per la parte in cui  ha  ritenuto  applicabile
anche nei confronti dei ricorrenti il  citato  art.  21,  XXI  comma,
poiche' questo non ha  costituito  oggetto  di  specifico  e  puntale
recepimento da parte del decreto presidenziale in questione,  e  cio'
costituirebbe invece una condizione imprescindibile perche' lo stesso
art. 21, XXI comma, possa trovare  applicazione  anche  al  personale
diplomatico. 
    3.4.1. Il secondo motivo di ricorso censura ancora l'art.  2  del
d.m. n. 1615/11 per violazione dell'art. 112  del  d.P.R.  5  gennaio
1967, n. 18, dell'art. 17, I comma, della legge 23  agosto  1988,  n.
400; per violazione e falsa applicazione del d.P.R. 13  agosto  2010,
n. 206 e, infine, per violazione dell'art. 9, XXI comma, del d.l.  31
maggio 2010, n. 78. 
    3.4.2. I ricorrenti muovono nuovamente dall'affermazione per  cui
l'art. 112 del d.P.R. n. 18/61 delegificherebbe la  disciplina  della
materia. 
    La norma assegnerebbe al d.P.R. n. 206/10  la  funzione  di  atto
regolamentare   speciale,   che   non   potrebbe   essere    comunque
eterointegrato da prescrizioni pur contenute in una  fonte  di  grado
superiore, se non le abbia formalmente recepite: nel  caso  cio'  non
sarebbe avvenuto, nonostante, come  gia'  osservato,  l'art.  9,  XXI
comma, sia antecedente al d.P.R. n. 206/10. 
    3.4.3. Sotto altro profilo, il d.P.R. n. 206/10, in quanto  norma
primaria speciale, ed atto fonte a competenza specifica sopravvenuta,
ha ridisciplinato il trattamento economico del personale diplomatico,
escludendo che a questo si possa applicare  la  disposizione  di  cui
all'art. 9, XXI comma: pertanto, il d.m. n. 1615/11  disapplicherebbe
illegittimamente il d.P.R. n. 206/10, sul quale la legge anteriore  -
compreso  l'art.  9,  XXI  comma  del  d.l.  n.  78  -  non  potrebbe
interferire. 
    3.5.1. Il terzo motivo, infine, e' rubricato nella  violazione  e
falsa applicazione degli artt. 2, 3  e  97  della  Costituzione,  del
d.P.R. n. 18/67, dell'art.  17,  I  comma,  della  legge  n.  400/88,
nonche' del d.P.R. n. 206/10. 
    3.5.2. I ricorrenti rammentano come il  d.P.R.  n.  206/10  abbia
stabilito quale sarebbe stato, a partire  dal  2008,  il  trattamento
economico del personale diplomatico,  cosi'  ingenerando  un  preciso
affidamento negli interessati, poi indebitamente  smentito  dal  d.m.
impugnato. 
    4.1.  Orbene,  in  una  valutazione   necessariamente   sommaria,
finalizzata,   come   gia'   detto,   al   giudizio   di    rilevanza
costituzionale, nella rammentata  sommarieta',  le  censure  appaiono
infondate. 
    Cio' e' particolarmente evidente per l'ultimo motivo, sia perche'
le previsioni  del  d.P.R.  n.  206/10  non  escludono  espressamente
un'eventuale integrazione esterna, sia perche', comunque, l'eventuale
affidamento non renderebbe illegittimo il d.m. n. 1615/11, ove questo
applicasse  correttamente  le  norme  vigenti,  ma  giustificherebbe,
eventualmente, una richiesta d'indennizzo per  chi,  in  buona  fede,
fosse stato senza colpa indotto a ritenere che la previsione  di  cui
all'art. 9, XXI comma, non trovasse applicazione e ne  avesse  subito
pregiudizio. 
    4.2. Per quanta riguarda gli altri due motivi di ricorso,  questi
muovono dal comune presupposto che solo il decreto  presidenziale  di
recepimento  potrebbe  disciplinare  il  trattamento  economico   del
personale  diplomatico,  sicche'  solo  alle  previsioni  in   quello
contenute avrebbe potuto riferirsi il d.m. attuativo. 
    4.3. Ora, e' intanto da ritenere che la  delegificazione  di  una
materia, effettuata mediante un atto avente forza e valore  fonte  di
legge, non  escluda  che  altre  norme  dello  stesso  grado  possano
integrare, con previsioni generali o speciali,  la  disciplina  della
materia delegificata: in altre parole,  la  delegificazione  comporta
che la materia  trova  la  sua  disciplina  ordinaria  in  una  fonte
inferiore,  non  che  questa  e'  l'unica  fonte   costituzionalmente
legittima per la disciplina della materia stessa. 
    4.4. Nel caso, non pare revocabile in dubbio l'art. 9 del d.l. n.
78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e  per  la
finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera  e  la  ratio
delle stesse - si  prefigga  lo  scopo  di  intervenire  su  tutti  i
rapporti d'impiego con le pubbliche  amministrazioni,  quale  sia  la
loro struttura e la fonte principale che li disciplina. 
    4.5. Invero,  sempre  lo  stesso  XXI  comma,  immediatamente  di
seguito  alla  norma  fin  qui  considerata,  dispone   ad   evidente
integrazione di quella che «per  il  personale  contrattualizzato  le
progressioni di carriera comunque denominate ed  i  passaggi  tra  le
aree eventualmente disposte  negli  anni  2011,  2012  e  2013  hanno
effetto, per i predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente  giuridici»:
sicche' sembra chiara la volonta' del legislatore di  escludere,  per
il periodo d'interesse, efficacia economica a qualsiasi  progressione
di carriera, a prescindere dalla  fonte  che  regola  direttamente  o
indirettamente il rapporto stesso. 
    5.1. Acquista  cosi'  rilevanza,  ai  fini  della  decisione,  la
questione  -  prospettata  nel  quarto  motivo  di   ricorso   -   di
costituzionalita' del ripetuto art. 21, XXI comma, del d.l. n. 78/10,
nella parte d'interesse: disposizione che, secondo quanto si  e'  fin
qui visto, trova applicazione alla fattispecie attraverso il d.m.  n.
1615/11, che lede direttamente i ricorrenti, e  che  potrebbe  dunque
essere travolto soltanto unitamente alla prima. 
    5.2. Nel determinare se la questione sia  o  meno  manifestamente
infondata, sembra al Collegio di dover partire da quello  che  e'  il
concreto effetto della disposizione  («le  progressioni  di  carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni  2011,  2012  e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici») e cioe' che, per il triennio in questione, al  dipendente
non vengono versati le somme corrispondenti agli emolumenti, al netto
d'imposta, stabiliti per la posizione attuale -  in  concreto,  nella
fattispecie, quello di consigliere di ambasciata  -  ma  gli  importi
corrispondenti alla loro precedente qualifica di appartenenza, da cui
il  dipendente  e'  cessato:  in  altre  parole,  per  effetto  della
disposizione  de  qua,  il  dipendente,  pur  svolgendo   un   lavoro
presuntivamente di  maggiore  complessita'  ed  impegno,  continua  a
percepire un  corrispettivo  equivalente  al  precedente  trattamento
economico, che si deve presumere adeguato invece ad  una  prestazione
meno onerosa. 
    5.3. Orbene, a seconda  del  significato  giuridico  che  a  tale
situazione economica si  vuole  attribuire,  si  presentano  distinti
profili  di  potenziale  incostituzionalita',  non  configgenti,   ma
subordinati tra loro: nel rispetto dunque  del  principio,  affermato
dalla Corte costituzionale, che  considera  invece  inammissibili  le
questioni di costituzionalita' della stessa  disposizioni  di  legge,
poste tra loro in forma alternativa ed incompatibile. 
    5.4.1. Orbene, l'art. 9, XXI comma,  del  d.l.  n.  78/10,  nella
parte d'interesse, determina anzitutto,  in  violazione  dell'art.  2
Cost., un'irragionevole disparita'  di  trattamento  all'interno  del
personale della carriera diplomatica. 
    Infatti, a parita' di qualifica e con  mansioni  conseguentemente
corrispondenti - con incarichi complessi e responsabilita' di  uffici
apicali,  come  previsto  per  i  consiglieri  d'ambasciata  -   tali
dipendenti percepiscono o meno lo stesso  trattamento  economico  (in
disparte le maggiorazioni per la diversa anzianita'  nella  qualifica
stessa), in relazione ad un elemento del tutto aleatorio,  costituito
dall'anno in cui la qualifica e' stata ad essi attribuita, che non ha
evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. 
    5.4.2. D'altro canto, ex art. 36 Cost. il lavoratore  ha  diritto
ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita'  del  suo
lavoro: e si deve presumere che, in specie, tale sia la  retribuzione
tabellare assegnata ai consiglieri diplomatici, stabilita per effetto
di a specifica trattativa con la  parte  datoriale  pubblica,  e  poi
recepita nel decreto presidenziale piu' volte richiamato. 
    Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta ai
colleghi promossi prima del  2011,  e'  invece  negata  agli  odierni
ricorrenti e cio' per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad
oltre trentasei mensilita': l'art. 9, XXI comma, si  pone  dunque  in
espresso contrasto con la norma costituzionale teste' citata. 
    5.4.3. Non e' dubbio che il legislatore con l'art. 9, XXI  comma,
persegua la riduzione del passivo del bilancio statale, ma questo  si
deve comunque armonizzare, secondo proporzionalita' e ragionevolezza,
e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e  sostanziale  ex
artt. 2 e 3 Cost., con gli altri valori tutelati dalla  Costituzione,
tra cui appunto quelli definiti dall'art. 36 Cost.. 
    Questo non si verifica invece nella  specie:  l'eliminazione  del
miglior  trattamento  economico,  riferibile  alla  nuova   posizione
acquisita, contrasta con  il  principio  di  proporzionalita'  teste'
richiamato, che il legislatore, pur nella  sua  discrezionalita',  e'
tenuto a rispettare. 
    5.5. Per altro verso, poi, la situazione cosi' descritta, dove il
trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni
e le conseguenti responsabilita', ma  in  relazione  ad  un  elemento
casuale come il momento in cui la qualifica e' stata  conferita,  non
puo' che  interferire  negativamente  sui  rapporti  tra  i  colleghi
stessi, alcuni  dei  quali  ingiustamente  discriminati,  e  cio'  si
riverbera sull'organizzazione degli uffici,  incidendo  negativamente
sul loro buon andamento, cosi' violando l'art. 97 Cost. 
    5.6.1. Sotto un diverso profilo, ed in  subordine  rispetto  alle
censure precedentemente dedotte, si deve constatare  come  l'art.  9,
XXI comma, sebbene  letteralmente  prescriva  di  non  accrescere  il
trattamento economico dovuto  a  determinate  categorie  di  pubblici
dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l'Erario, sotto
un profilo sostanziale  e  degli  effetti,  impone  a  quegli  stessi
dipendenti una prestazione patrimoniale, poiche'  gli  trattiene  una
parte dei compensi maturati con la promozione e che sono  corrisposti
agli altri colleghi di pari qualifica. 
    5.6.2. L'art. 9, comma XXI,  impone  cioe'  agli  interessati  un
peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero,  in  altri  termini,
istituisce un tributo anomalo, il  quale  contrasta  con  i  principi
costituzionali in materia, quali stabiliti dagli  artt.  2,  3  e  53
della Costituzione. 
    5.6.3. E' infatti anzitutto violato  il  principio  di  capacita'
contributiva, poiche' il sacrificio e' richiesto non in relazione  ad
uno  specifico  indice  di  ricchezza  ma  al  dato,   economicamente
insignificante, del momento in cui la qualifica e' stata acquisita, e
senza alcuna considerazione del principio di progressivita'. 
    Si  aggiunga   che,   in   evidente   violazione   dei   principi
costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo  una  parte
dei dipendenti che hanno  raggiunto  una  determinata  qualifica,  e,
comunque, soltanto i redditi dei pubblici  dipendenti,  senza  invece
gravare, a parita' capacita' contributiva, su analoghe  categorie  di
lavoratori, o di redditi. 
    5.6.4.  Per  dirla  altrimenti,  un  limite  espresso  all'azione
impositiva e'  quello  per  cui  a  situazioni  uguali  corrispondono
tributi uguali, e viceversa: per cui il sacrificio  patrimoniale,  il
quale incida soltanto  sulla  condizione  e  sul  patrimonio  di  una
determinata  categoria  di  pubblici   impiegati,   lasciando   altre
categorie di  lavoratori  (essenzialmente  e  segnatamente  autonomi)
indenni,  o  comunque  colpendoli  piu'  leggermente,  a  parita'  di
capacita' reddituale, e' arbitrario  ed  irragionevole,  e  viola  il
principio  di  uguaglianza  ex  art.  3   Cost.   ed   il   principio
solidaristico di cui all'art. 2 Cost. 
    6.1. In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza
e  di  non  manifesta  infondatezza  che  impongono  al  Collegio  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma
XXI, del d.l. 31 marzo 2010,  n.  78,  convertito  con  modificazioni
nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per la parte  in  cui  stabilisce
che «le progressioni di carriera  comunque  denominate  eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici», per contrasto con gli  artt.
2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione. 
    6.2. Restano riservati  all'esito  del  giudizio  incidentale  le
determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul  merito  e
sulle spese. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Prima): 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma XXI,  del
d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni  nella  legge
30 luglio 2010, n. 122, nei termini  e  per  le  ragioni  esposti  in
motivazione, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36, 53 e  97  della
Costituzione; 
        b) sospende il giudizio in corso; 
        c) ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura
della segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte  le  parti  in
causa  ed  al  presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  che  sia
comunicata al presidente del Senato della Repubblica ed al presidente
della Camera dei deputati; 
        d) dispone la trasmissione degli atti, a  cura  della  stessa
segreteria, alla Corte costituzionale. 
          Cosi' deciso in Roma, nella  camera  di  consiglio  del  23
maggio 2012. 
 
                      Il Presidente: Piscitello 
 
 
                       Il consigliere: Politi 
 
 
                 Il consigliere-estensore: Gabbricci