N. 146 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Veneto). Trasporto - Fondo relativo agli incentivi per l'acquisto di autoveicoli nuovi di fabbrica a basse emissioni complessive - Criteri di gestione - Previsione che, con decreti del Ministro dello sviluppo economico di natura non regolamentare, sono stabilite le modalita' per la preventiva autorizzazione all'erogazione nonche' le condizioni per la fruizione dei contributi e vengono rideterminate per gli anni 2014 e 2015 le ripartizioni delle risorse sulla base della dotazione del fondo e del monitoraggio relativo all'anno precedente - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata elusione della procedura per l'approvazione dei regolamenti statali - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ridondante in lesione delle competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale e di servizi di trasporto non di linea. - Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 17-undecies, commi 4 e 6. - Costituzione, art. 97; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 4. Enti locali - Servizi pubblici locali di rilevanza economica - Adeguamento della relativa disciplina al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea - Previsione di modifiche minimali, sostanzialmente confermative della normativa gia' abrogata per via referendaria e reintrodotta dall'art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata compressione della competenza regionale residuale in materia di servizi pubblici locali e di quella concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica - Violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volonta' popolare espressa nel referendum - Violazione del giudicato costituzionale derivante dalla sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale. - Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 53, comma 1, lett. b). - Costituzione, art. 136. Sport - Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva - Istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai fini della realizzazione di nuovi impianti sportivi o della ristrutturazione di quelli esistenti - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata istituzione di un fondo statale a destinazione vincolata in un ambito estraneo alle materie di competenza statale - Invasione delle competenze legislative regionali concorrenti in materia di "ordinamento sportivo" e di "governo del territorio" - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 64, comma 1. - Costituzione, artt. 119 e 117, comma terzo. Sport - Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva - Criteri per l'erogazione delle relative risorse finanziarie - Prevista definizione con decreto di natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata omissione di meccanismi di intesa con le Regioni - Violazione del principio di leale collaborazione - Esorbitanza dalla potesta' regolamentare dello Stato. - Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 64, comma 2. - Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 120.(GU n.47 del 28-11-2012 )
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 023926343279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 2003 del 2 ottobre 2012 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano (pec: luca.antonini@cert.ordineavvocatimilano.it), Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela Palumbo (C.F. PLMDNL57D69A266Q) della Direzione regionale Affari Legislativi (pec: danielapalumbo@pec.ordineavvocatitreviso.it) e Andrea Manzi (C.F. MNZNDR64T26I804V) dello Studio Legale Manzi e Associati del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, pec andreamanzi@ordineavvocatiroma.org); Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata nella G.U. n. 187 dell'11 agosto 2012 - S.O. n. 171: dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione dell'art. 97 della Costituzione; dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136 della Costituzione; dell'art. 64, comma 1, per violazione degli articoli 119 e 117, terzo comma, della Costituzione; dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art. 117, comma sesto della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. M o t i v i 1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6 per violazione dell'art. 97 della Costituzione. La disposizione dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134 prevede al comma 4 che «Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabilite le modalita' per la preventiva autorizzazione all'erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi previsti dall'art. 17-decies, a valere sulle risorse di cui al comma 2 del presente articolo, in modo da assicurare che una quota non inferiore a 5 milioni di euro per l'anno 2013 sia destinata all'erogazione dei contributi statali di cui all'art. 17-decies, comma 1, lettera a). Al comma 6 dispone poi che: «Per gli anni 2014 e 2015, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun anno, vengono rideterminate le ripartizioni delle risorse di cui al comma 2, sulla base della dotazione del fondo di cui al comma 1 e del monitoraggio degli incentivi relativo all'anno precedente». Nello specifico si tratta di due decreti, espressamente qualificati come di natura non regolamentare, di disciplina dei criteri di gestione del fondo relativo agli incentivi per l'acquisto di autoveicoli istituto dall'art. 17-undecies, comma 1, diretti a stabilire, il primo, le modalita' per la preventiva autorizzazione all'erogazione, le condizioni per la fruizione dei contributi nonche' a indirizzare una quota dei contributi verso determinate fattispecie, il secondo a rideterminare le ripartizioni delle risorse sulla base della dotazione del fondo e del monitoraggio degli incentivi relativo all'anno precedente. Al riguardo occorre considerare la recente pronuncia dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012, dove si precisa: «nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di "fuga dal regolamento" (che si manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite l'adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non regolamentari) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, piu' in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti "atipici", di natura non regolamentare». In tali casi, infatti, viene a realizzarsi la violazione delle regole procedimentali di cui all'art. 17, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che prevedono il parere del Consiglio di Stato e il controllo della Corte dei Conti. E' utile quindi precisare che lo stesso Servizio Studi del Senato ha sollevato perplessita' in ordine alle norme in oggetto: «La clausola "di natura non regolamentare" - riferita all'emanando decreto, cosi' come quello che al comma 6 stabilira' le modalita' di erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi previsti dall'art. 17-undecies - esclude l'applicazione dell'art. 17, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che reca la procedura per l'approvazione dei regolamenti (prevedendo fra l'altro il parere del Consiglio di Stato) e, qualora il contenuto del decreto da emanare abbia natura sostanzialmente normativa, si configura come tacita deroga alla citata norma della legge n. 400. Quando il rinvio a decreti di natura non regolamentare e' stato oggetto di esame da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 116 del 2006), essa lo qualifico' come "un atto statale dalla indefinibile natura giuridica"». Disponendo l'utilizzo di decreti ministeriali in questi termini la norma impugnata determina pertanto una violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Questa lesione ridonda in una lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alla Regione. Infatti, dal momento che, in base alla lettere a) e b) dell'art. 17-decies, le principali quote del fondo sono riservate anche «alla sostituzione di veicoli pubblici o privati destinati all'uso di terzi come definito dall'art. 82 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285», la norma interferisce con la competenza regionale in materia di trasporto pubblico locale (si veda al riguardo la legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25, Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale) nonche' con quella in materia di servizi di trasporto non di linea (si veda la riguardo la l. reg. Veneto 30 luglio 1996, n. 22, Norme per l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di servizi di trasporto non di linea per via di terra). Si tratta di materie nelle quali, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la competenza regionale - gia' preesistente come dimostrano le leggi regionali ricordate - e' stata ulteriormente rafforzata, come riconosciuto dalla sentenza n. 222 del 2005 di codesta Ecc.ma Corte. Nella sentenza, infatti, si afferma che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i "servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale». E' utile quindi precisare che, nell'ambito interessato dai contributi statali, la Regione interviene in diverse forme, anche inerenti al finanziamento e al relativo riparto delle risorse, ed e' appunto cio' che accade, ad esempio, relativamente ai servizi minimi di cui all'art. 7, lett. d) e f) della legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25, prima ricordata. L'adozione di atti atipici, quali i decreti che si auto qualificano come di natura non regolamentare - essendo invece destinati a compiere scelte di carattere normativo anche in relazione all'identificazione dei concreti destinatari dei contributi -, senza alcun coinvolgimento della Regione, determina pertanto una violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all'art 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali in materia. Il mancato raccordo con la programmazione della Regione, che e' il soggetto competente a ripartire i finanziamenti nel settore, viene, infatti, a compromettere l'utilizzo ottimale delle risorse pubbliche. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136 della Costituzione. L'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134, apporta modifiche - non sostanziali - all'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di servizi pubblici locali. Questa norma, piu' volte nel tempo modificata (in particolare, per effetto dell'art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre 2011, n. 183 e dell'art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, nonche' - appunto - dell'art. 53, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134), contiene disposizioni di dichiarato Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea, dettando la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in luogo dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Com'e' noto, l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008, conteneva una disciplina assai rigorosa e restrittiva della materia dell'affidamento dei servizi pubblici locali, avendo in particolare eliminato l'alternativita' tra le diverse forme di gestione di cui all'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) e previsto che l'affidamento diretto costituisse una deroga praticabile solo in presenza di particolari condizioni e caratteristiche economiche e sociali del contesto tali da rendere inefficiente il ricorso alle procedure ordinarie ad evidenza pubblica. Prevedeva, inoltre, misure di disciplina delle societa' a partecipazione pubblica locale e delle societa' c.d. in house e l'assoggettamento di queste ultime al patto di stabilita' interno, nonche' regole di distinzione tra regolazione e gestione con il regime delle incompatibilita' tra amministratori dell'ente e amministratori delle societa' che forniscono i servizi, oltre che la definizione del regime transitorio relativamente agli affidamenti non conformi alla disciplina in esso stabilita. Detta norma e' stata travolta dal referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, e all'esito del referendum, e' stata formalmente abrogata con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113. Cio' ha verosimilmente indotto il legislatore ad adottare l'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011, al dichiarato fine di Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea (cosi' la rubrica dell'articolo, definita «ipocrita» da A. Lucarelli, in La sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 e la questione dell'inapplicabilita' del patto di stabilita interno alle s.p.a. in house ed alle aziende speciali, in federalismi.it, n. 18/2012), con l'effetto di reintrodurre sostanzialmente la disciplina abrogata per via referendaria. Di qui l'impugnativa dell'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011 gia' operata da parte di alcune Regioni, e l'intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 199/2012, che ha "abrogato" - si potrebbe dire, nuovamente - la norma. Infatti, con la ricordata sentenza n. 199/2012 la Corte costituzionale - su ricorso di varie Regioni, che ritenevano la norma lesiva delle competenze costituzionali delle regioni in materia di servizi pubblici locali e di fatto riproduttiva di una disciplina normativa abrogata per volonta' popolare espressa nel ricordato referendum - ha ritenuto che l'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, abbia violato «il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volonta' popolare desumibile dall'art. 75 Cost.», «senza modificare ne' i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente ne' i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti» e «tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell'esito della consultazione referendaria e l'adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di giudizio, nel quale peraltro non si e' verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata»; conseguentemente dichiarando costituzionalmente illegittima la norma per violazione dell'art. 75 Cost., «sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni» sopra ricordate. A pochi mesi dal referendum vengono apportate (con il decreto-legge n. 83/2012) e confermate, a pochi giorni dalla sentenza n. 199/2012, con modificazioni (con la legge di conversione n. 134/2012) alcune modifiche, non sostanziali, dell'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011, appresso riepilogate: 1) al comma 3 dell'art. 4, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole «la delibera di cui al comma 2» sono inserite le seguenti: «nel caso di attribuzione di diritti di esclusiva se il valore economico del servizio e' pari o superiore alla somma complessiva di 200.000 euro annui»; in sostanza, per ragioni di omogeneita' con la soglia di valore indicata dal comma 13 per poter procedere agli affidamenti alle societa' in house in deroga (limite originariamente fissato in 900.000 euro annui, e poi portato a 200.000 euro annui - con abbassamento della soglia entro la quale si puo' procedere ad affidamenti in house in deroga alle altre disposizioni dello stesso art. 4 - per effetto gia' dei precedenti interventi del legislatore sulla norma), si prevede che la delibera dell'ente territoriale di programmazione della gestione dei servizi pubblici locali venga trasmessa per il parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato «nel caso di attribuzione di diritti di esclusiva se il valore economico del servizio e' pari o superiore alla somma complessiva di 200.000 euro annui»; b) le parole «adottata previo» sono sostituite dalle seguenti: «trasmessa per un»; si definisce cosi' l'innesco del menzionato parere dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, che resta comunque «obbligatorio»; c) le parole: «dell'Autorita'» sono sostituite dalle seguenti: «all'Autorita'»; mero maquillage linguistico necessitato dalla modifica appena ricordata; d) le parole «che si pronuncia entro sessanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «che puo' pronunciarsi entro sessanta giorni»; modifica anch'essa di adattamento rispetto a quella riportata sub b), non essendo (apparentemente) il parere piu' da rendersi «previamente», anche se, restando detto parere comunque «obbligatorio» (e' cosi' definito sia al comma 3 sia al comma 4), e condizionando in ogni caso - come si vedra' sub f) - l'adozione della delibera, non muta sostanzialmente l'assetto della norma; e) le parole «dall'ente di governo locale dell'ambito o del bacino o in sua assenza» sono eliminate; modifica anch'essa irrilevante sulla norma base; f) alla fine del primo periodo, dopo le parole «di una pluralita' di servizi pubblici locali.» sono inserite le seguenti: «Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente, l'ente richiedente adotta la delibera quadro di cui al comma 2.»; si chiarisce che il parere e' «obbligatorio» ma l'Autorita' garante ha sessanta giorni di tempo per renderlo; 2) al comma 4 sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: «trenta giorni dal parere dell'Autorita'» sono sostituite dalle seguenti: «novanta giorni dalla trasmissione del parere all'Autorita'»; si tratta del dies ad quem per l'adozione da parte degli enti locali della delibera quadro, che deve avvenire entro il novantesimo giorno dalla trasmissione del parere all'Autorita' (la norma dice: dalla trasmissione del parere all'Autorita'; ma probabilmente intendeva dire: dalla trasmissione dello schema di delibera all'Autorita'); si tratta percio' di modifica conseguente alla affermazione - sub d) - della facolta' («puo' pronunciarsi») dell'Autorita' di pronunciarsi con un parere espresso e con la assegnazione di un termine per farlo, decorrente - appunto - dalla trasmissione dello schema di delibera; 2-bis) al comma 5, dopo le parole: «alle aziende esercenti i servizi stessi» sono inserite le seguenti: «determinate, con particolare riferimento al trasporto pubblico regionale e locale, tenendo in adeguata considerazione l'ammortamento degli investimenti effettuati nel comparto del trasporto su gomma, e che dovra' essere osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel bando di gara o nella lettera d'invito di cui al comma 11»; nella norma (art. 4, comma 5) che gia' imponeva - in tutti i campi e in via generale - agli enti locali di definire preliminarmente gli obblighi di servizio pubblico e di prevedere le eventuali compensazioni per i gestori, si stabiliscono percio' regole di dettaglio per la determinazione di dette compensazioni proprio nel trasporto pubblico regionale e locale; 3) al comma 14 le parole «per le riforme per il federalismo» sono sostituite dalle seguenti: «per gli Affari Regionali»; nella norma che dispone l'assoggettamento delle societa' in house al patto di stabilita' interno secondo le modalita' definite con il concerto del Ministro di riferimento, si opera questa modifica meramente conseguente alla soppressione del Ministero per le riforme per il federalismo; 4) al comma 32, lettera a), terzo periodo, le parole: «azienda in capo alla» sono soppresse; 5) al comma 32-ter le parole: «di cui all'art. 2, comma 3, lettera e) del presente decreto» sono soppresse; modifiche di ardua comprensione, e comunque non significative, in punto di regime transitorio; 6) dopo il comma 35 e' inserito il seguente: «35-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 35, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, la verifica di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, le attivita' di cui al comma 5 e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei di cui all'art. 3-bis dagli enti di governo degli stessi istituiti o designati ai sensi del medesimo articolo.». Si stabilisce che le attivita' di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 (verifiche e delibere quadro degli enti locali, nonche' parere dell'Autorita' garante) e al comma 5 (la definizione degli obblighi di servizio pubblico e le compensazioni economiche) e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 (le procedure per l'affidamento della gestione dei servizi, per la scelta del partner e l'affidamento in house) avvengano per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, il perimetro dei quali a norma dell'art. 3-bis va definito in modo tale da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio, e che vadano operate dagli organi di governo di detti ambiti. Cosi' riportata la norma impugnata e sinteticamente descritta la sua incidenza sulla materia, va detto che questa, al pari delle sue «ceneri» (l'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011 e, prima di questo, l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008), lede l'autonomia regionale, poiche' ne comprime le sfere di competenza residuale in materia di servizi pubblici locali e concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Cosi' e' per l'assoggettamento a parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato della delibera di programmazione dei servizi locali adottata dagli enti locali, che certamente lede le sfere di competenza regionale in materia di servizi pubblici locali; allo stesso modo per la disciplina delle modalita' di innesco e acquisizione di detto parere; cosi' e' per la disciplina delle compensazioni in una materia come quella del trasporto pubblico regionale e locale strettamente collegata al territorio e facente capo alla competenza regionale; cosi' e' per l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno, che viola le competenze regionali sia in materia di servizi pubblici locali sia in materia di coordinamento della finanza pubblica; cosi' e', infine, per la affermazione dell'ambito di riferimento per tutte queste attivita' (ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei) e per l'assegnazione agli enti di governo di detti ambiti del potere di gestire le procedure per l'affidamento della gestione dei servizi, per la scelta del partner e l'affidamento in house, che certamente ledono le competenze regionali in materia di pubblici servizi e di organizzazione degli uffici e degli enti regionali. Di tanto, ove occorra, si ha diretta conferma anche nelle varie pronunce che hanno gia' statuito in ordine alla lesione arrecata dalle precedenti norme previamente riproposte dal legislatore: la sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010 che ha censurato in parte qua l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008 proprio laddove prevedeva l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno; la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 che ha censurato integralmente l'art. 4 del decreto-legge n. 83/2012, con affermazione della potenziale lesione della sfera delle competenze regionali, riespanse a seguito dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis e nuovamente compresse per via della reintroduzione da parte del legislatore - con l'art. 4, anche qui in esame - della medesima disciplina restrittiva. Palese, altresi', la violazione dell'art. 136 Cost.: se, da un lato, si puo' gia' dire che l'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134, apportando modifiche - non sostanziali - all'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, e percio' riportando in vita le disposizioni di questo articolo, a sua volta riproduttivo dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008 del quale condivide integralmente ratio, effetti e - quasi alla lettera - le disposizioni gia' abrogate per effetto del referendum citato (sentenza n. 199/2012), violi l'art. 75 Cost., perche' reintroduce nell'ordinamento la norma abrogata dal referendum (sul punto valga quanto statuito con la piu' volte richiamata sentenza n. 199/2012, che ha censurato proprio per tale ragione la norma qui ulteriormente riproposta, che pertanto si espone alla medesima censura, non mutando sostanza); dall'altro lato e' innegabile che l'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134, viola l'art. 136 della Costituzione, poiche' reintroduce una norma dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con la piu' volte citata sentenza n. 199/2012, norma che invece «cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione». E che cio' integri una lesione diretta anche delle competenze regionali e' del tutto evidente, poiche' la violazione dell'art. 136 Cost., e percio' della regola della definitiva espulsione dall'ordinamento della norma dichiarata illegittima dal Giudice delle leggi, lede direttamente l'aspirazione delle Regioni - appunto - a non veder reintrodotta una disciplina restrittiva dell'esercizio delle loro prerogative e attivita' (si pensi ai condizionamenti imposti alla programmazione dei servizi, alle limitazioni imposte agli affidamenti, all'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti dei servizi locali al patto di stabilita' interno, e cosi' via) certamente lesiva della riespansione, a seguito della abrogazione, delle prerogative regionali in materia di servizi pubblici locali, di organizzazione degli uffici e degli enti regionali e di coordinamento della finanza pubblica (come gia' ritenuto nelle sentenze n. 325/2010 e n. 199/2012). Ne' la circostanza che la norma impugnata apporta modifiche all'art. 4 la pone al riparo dalle censure sollevate. Si e' visto, infatti, che si tratta di modifiche minimali, non sostanziali, e che resta intatta - proprio come nel caso esaminato dalla sentenza n. 199/2012 - la ratio ispiratrice, la disciplina restrittiva e l'effetto di compressione delle competenze regionali tutelate. Si consideri, infine, che se e' pur vero che la sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 si e' gia' pronunciata sull'art. 4 come novellato dall'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (il che, per certi versi, rende ancora piu' palese l'incostituzionalita' di quest'ultimo, meramente da riaffermare), e' anche vero che la sua conversione in legge con la legge 7 agosto 2012, e quindi in data successiva alla sentenza della Corte, in primo luogo ne determina la novazione (e la palese violazione dell'art. 136 Cost.), e in secondo luogo e' avvenuto con modificazioni rispetto al decreto-legge (con l'introduzione - comma 1, lett. b), n. 2-bis - di un periodo in seno al comma 5 dell'art. 4, che peraltro aggrava la lesione denunciata poiche' stabilisce regole di dettaglio restrittive e invasive proprio nel trasporto pubblico regionale e locale per la determinazione delle compensazioni per le aziende che gestiscono i servizi pubblici), il che sottolinea la volonta' del legislatore di non conformarsi al giudicato costituzionale. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 1, per violazione degli articoli 119 e 117, III comma, della Costituzione. L'art. 64, comma 1, prevede: «1. E' istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le eta' e tra tutti gli strati della popolazione finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti sportivi ovvero alla ristrutturazione di quelli esistenti, con una dotazione finanziaria, per l'anno 2012, fino a 23 milioni di euro». Il comma 1 dell'art. 64 istituisce in questi termini un fondo statale a destinazione vincolata nell'ambito di una materia che non contiene alcun aggancio alle competenze statali di cui all'art. 117, II comma, essendo invece riconducibile a materie rimesse alla competenza regionale concorrente (come «ordinamento sportivo» e anche «governo del territorio»). E' utile ricordare che secondo l'attuale art. 119 della Costituzione le Regioni hanno «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» e godono di «risorse autonome», ovvero di tributi ed entrate proprie, da essi stessi stabiliti secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica, di compartecipazioni al gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio, e dell'accesso a un fondo perequativo per i territori con minore capacita' fiscale, da utilizzarsi «senza vincoli di destinazione». Tali sono le risorse che debbono consentire alle Regioni di «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Lo Stato puo' quindi solo destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi finanziari speciali «in favore di determinati Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni» per gli scopi indicati nel comma 5 dell'art. 119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni». E' opportuno anche ricordare che, in ossequio a questo dettato costituzionale, il d.lgs. n. 68 del 2011 dispone la soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario. In base all'art. 7 del suddetto decreto legislativo, infatti: «1. A decorrere dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalita' e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni. Le regioni a statuto ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista dagli articoli 5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei termini fissati dal presente Capo. Sono esclusi dalla soppressione i trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'art. 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549». Nel contesto dell'art. 119 della Costituzione, la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha quindi chiarito che sono preclusi interventi finanziari diretti dello Stato, vincolati nella destinazione, per normali attivita' e compiti di competenza delle Regioni, fuori dall'ambito dell'attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza, o della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinate Regioni, ai sensi del quinto comma dell'art. 119. Soprattutto non sono ammissibili tali forme di intervento nell'ambito di materie e funzioni la cui disciplina spetta invece alla legge regionale, pur eventualmente nel rispetto (quanto alle competenze concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello Stato. Ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc diventerebbe - secondo quanto affermato da codesta Ecc. ma Corte - uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza. Nello specifico, e' utile ricordare la sentenza n. 16 del 2004 che ha dichiarato l'incostituzionalita' del Fondo statale per la riqualificazione urbana dei Comuni, cosi' come la sentenza n. 49 del 2004, sulla incostituzionalita' del Fondo per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali. E' poi decisivo ricordare quanto affermato, nella sentenza n. 424 del 2004, da codesta Ecc.ma Corte, riguardo ai finanziamenti statali ricadenti nella specifica materia «ordinamento sportivo»: «l'art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003 dispone che "per consentire lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, nonche' per il finanziamento e il potenziamento dei programmi relativi allo sport sociale, agli enti di promozione sportiva e' destinata la somma di i milione di euro per l'anno 2004". ... Orbene, non vi e' dubbio che la disposizione attenga alla materia "ordinamento sportivo" di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Il finanziamento in esame e' finalizzato, infatti, in parte alla promozione dei programmi dello sport sociale e in parte a favorire lo svolgimento dei compiti istituzionali degli enti di promozione sportiva, che sono associazioni aventi lo scopo di promuovere e organizzare attivita' fisico-sportive con finalita' ricreative e formative tra i giovani, nonche' di organizzare l'attivita' amatoriale (cfr. decreto ministeriale 23 giugno 2004 recante statuto del Comitato olimpico nazionale italiano, adottato dal Consiglio nazionale del CONI il 23 marzo 2004). Detti profili, pertanto, per loro stessa natura, nell'attuale assetto costituzionale della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di sport, non possono non comportare un diretto coinvolgimento delle Regioni, in quanto anche esse titolari di potesta' legislativa nella specifica materia. Di tale esigenza non tiene, evidentemente, conto l'impugnata norma di cui all'art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003, la quale, mentre e' del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore del finanziamento in questione e ai criteri di riparto dello stesso, non prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni. Per tale assorbente considerazione, la norma stessa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima». E' quindi molto chiara la linea della giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte, anche perche' nel caso oggetto della presente impugnativa (lo dimostra appunto la sentenza appena citata) non vale nemmeno invocare a contrariis altre pronunce di codesta Ecc.ma Corte che riguardavano situazioni del tutto particolari e risultavano relative a materie peculiari come lo sviluppo della cultura (sent. n. 307 del 2004) o la ricerca scientifica (sentenza n. 423 del 2004) inquadrata anche come «un valore costituzionalmente protetto». Infine, e' utile riproporre quanto affermato nella piu' recente sentenza n. 79 del 2011, dove codesta Ecc.ma Corte ha nuovamente sottolineato come solo la chiamata in sussidiarieta' (con la previsione di meccanismi preventivi di intesa con le regioni sui relativi criteri di riparto) possa legittimare l'istituzione di un fondo statale con vincolo di destinazione in materia di competenza regionale concorrente o residuale ex alt 117, commi 3 e 4, Cost. (nello stesso senso, la sentenza n. 16 del 2010). Nel caso di specie, come si specifica nel punto 4 di seguito, nulla a di tutto cio' e' stato previsto. E' evidente quindi in questo caso il vulnus all'autonomia regionale, con violazione dell'art. 119 Cost., data l'inerenza della materia, in cui il fondo interviene, alle competenze legislative regionali di cui all'art. 117, terzo comma della Costituzione. La Regione, in tal modo, viene espropriata della possibilita' di esercitare correttamente i compiti di programmazione e di riparto del fondo all'interno del proprio territorio. La disposizione impugnata, pertanto, costituisce uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni regionali che appare rivolto a sovrapporre politiche ed indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza. 4. Illegittimita' dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Il comma 2 dell'art. 64 qui impugnato dispone: «2. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono definiti i criteri per l'erogazione delle risorse finanziarie del fondo di cui al comma 1. Con successivo decreto adottato dal Capo del Dipartimento per gli affari regionali sono individuati gli interventi ammessi al relativo finanziamento». La disposizione prevede pertanto che i criteri per l'erogazione delle risorse finanziarie del fondo siano definiti con decreto di natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Non viene prevista nessuna intesa con le Regioni bensi' si dispone che, per la definizione dei criteri relativi all'erogazione delle risorse del Fondo, sia solamente «sentita» - alla stessa stregua del CONI - la Conferenza unificata. La costruzione normativa della disposizione impugnata dimostra quindi in modo palese la scarsa considerazione che e' stata riconosciuta all'autonomia costituzionale garantita alle Regioni. E' chiara la violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Inoltre, al di la' dell'autoqualificazione del decreto come di natura non regolamentare, e' indubbio - anche alla luce dei chiarimenti disposti dalla recente pronuncia dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 (ricordata nel punto 1 del presente ricorso) - che si tratti di un decreto di natura sostanzialmente regolamentare, che in quanto tale si pone in contrasto con il comma sesto dell'art. 117 che preclude allo Stato la possibilita' di emanare regolamenti nelle materie relative alla competenza concorrente. L'intera regolamentazione dei criteri di riparto del Fondo e' infatti rimessa al suddetto decreto, atteso anche che la disposizione legislativa impugnata non stabilisce essa stessa alcun principio in relazione ai criteri di riparto. Se tale norma vieta l'approvazione di regolamenti statali in materie di competenza regionale, non si vede come possa essere considerata permissiva di atti meno formalizzati ma proprio per questo ancor piu' problematici nell'ambito delle competenze non esclusive dello Stato. Per questi motivi il comma 2 dell'art. 64 si dimostra in palese contrasto con l'art. 117, comma sesto, della Costituzione, nonche' con il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
P. Q. M. Chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari la illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata nella G.U. n. 187 del il agosto 2012 - S.O. n. 171: dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione dell'art. 97 della Costituzione; dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136 della Costituzione; dell'art. 64, comma 1, per violazione degli articoli 119 e 117, terzo comma, della Costituzione; dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art. 117, comma sesto, della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Si deposita: 1) delibera della Giunta Regionale n. 2003 del 2 ottobre 2012, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale. Venezia-Roma, 9 ottobre 2012. Avv. Prof. Antonini - Avv.ti Zanon-Manzi-Palumbo