N. 146 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 ottobre 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Veneto). 
 
Trasporto  -  Fondo  relativo  agli  incentivi  per   l'acquisto   di
  autoveicoli nuovi di  fabbrica  a  basse  emissioni  complessive  -
  Criteri di gestione - Previsione  che,  con  decreti  del  Ministro
  dello  sviluppo  economico  di  natura  non   regolamentare,   sono
  stabilite   le   modalita'   per   la   preventiva   autorizzazione
  all'erogazione  nonche'  le  condizioni  per   la   fruizione   dei
  contributi e vengono rideterminate per gli  anni  2014  e  2015  le
  ripartizioni delle risorse sulla base della dotazione del  fondo  e
  del monitoraggio  relativo  all'anno  precedente  -  Ricorso  della
  Regione  Veneto  -  Denunciata   elusione   della   procedura   per
  l'approvazione dei regolamenti statali - Violazione  del  principio
  di buon andamento della  pubblica  amministrazione,  ridondante  in
  lesione delle competenze regionali in materia di trasporto pubblico
  locale e di servizi di trasporto non di linea. 
- Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 17-undecies, commi 4 e 6. 
- Costituzione, art. 97; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma
  4. 
Enti locali -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza  economica  -
  Adeguamento della relativa disciplina al referendum popolare e alla
  normativa dell'Unione europea - Previsione di  modifiche  minimali,
  sostanzialmente confermative della normativa gia' abrogata per  via
  referendaria e reintrodotta dall'art. 4 del  decreto-legge  n.  138
  del 2011 - Ricorso della Regione Veneto -  Denunciata  compressione
  della competenza regionale residuale in materia di servizi pubblici
  locali e di quella concorrente in materia  di  coordinamento  della
  finanza pubblica -  Violazione  del  divieto  di  ripristino  della
  normativa abrogata dalla volonta' popolare espressa nel  referendum
  - Violazione del giudicato costituzionale derivante dalla  sentenza
  n. 199 del 2012 della Corte costituzionale. 
- Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 53, comma 1, lett. b). 
- Costituzione, art. 136. 
Sport - Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica
  sportiva - Istituzione  presso  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
  ministri ai fini della realizzazione di nuovi impianti  sportivi  o
  della ristrutturazione di quelli esistenti - Ricorso della  Regione
  Veneto - Denunciata istituzione di un fondo statale a  destinazione
  vincolata in un ambito estraneo alle materie di competenza  statale
  - Invasione delle competenze legislative regionali  concorrenti  in
  materia di "ordinamento sportivo" e di "governo del  territorio"  -
  Violazione dell'autonomia finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 64, comma 1. 
- Costituzione, artt. 119 e 117, comma terzo. 
Sport - Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica
  sportiva  -  Criteri  per  l'erogazione  delle   relative   risorse
  finanziarie -  Prevista  definizione  con  decreto  di  natura  non
  regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il  turismo  e
  lo sport,  di  concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
  finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata - Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata omissione di meccanismi di  intesa  con
  le Regioni - Violazione del principio  di  leale  collaborazione  -
  Esorbitanza dalla potesta' regolamentare dello Stato. 
- Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 64, comma 2. 
- Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 120. 
(GU n.47 del 28-11-2012 )
    Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279  -  P.IVA
023926343279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 2003 del 2 ottobre 2012 (all. 1), rappresentato e
difeso, per mandato a margine del  presente  atto,  tanto  unitamente
quanto  disgiuntamente,  dagli  avv.ti  prof.  Luca  Antonini   (C.F.
NTNLCU63E27D869I)      del      Foro      di       Milano       (pec:
luca.antonini@cert.ordineavvocatimilano.it),   Ezio    Zanon    (C.F.
ZNNZEI57L07B563K)  coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,  Daniela
Palumbo (C.F.  PLMDNL57D69A266Q)  della  Direzione  regionale  Affari
Legislativi  (pec:   danielapalumbo@pec.ordineavvocatitreviso.it)   e
Andrea Manzi (C.F. MNZNDR64T26I804V)  dello  Studio  Legale  Manzi  e
Associati del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio  di
quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri  n.   5   (per   eventuali
comunicazioni:            fax             06/3211370,             pec
andreamanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni del decreto-legge 22 giugno  2012,  n.  83,  cosi'  come
convertito, con modificazioni, dalla legge di  conversione  7  agosto
2012, n. 134, pubblicata nella G.U. n. 187 dell'11 agosto 2012 - S.O.
n. 171: 
        dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione  dell'art.
97 della Costituzione; 
        dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136
della Costituzione; 
        dell'art. 64, comma 1, per violazione degli  articoli  119  e
117, terzo comma, della Costituzione; 
        dell'art. 64, comma 2, per violazione  dell'art.  117,  comma
sesto  della   Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
 
                             M o t i v i 
 
1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17-undecies, commi 4  e  6
per violazione dell'art. 97 della Costituzione. 
    La  disposizione  dell'art.  17-undecies,  commi  4   e   6   del
decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  cosi'  come  convertito,  con
modificazioni, dalla legge di  conversione  7  agosto  2012,  n.  134
prevede al comma 4 che «Con decreto di natura non  regolamentare  del
Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta  giorni
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle
finanze, sono stabilite le modalita' per la preventiva autorizzazione
all'erogazione e  le  condizioni  per  la  fruizione  dei  contributi
previsti dall'art. 17-decies, a valere sulle risorse di cui al  comma
2 del presente articolo, in modo da  assicurare  che  una  quota  non
inferiore  a  5  milioni  di  euro  per  l'anno  2013  sia  destinata
all'erogazione dei contributi  statali  di  cui  all'art.  17-decies,
comma 1, lettera a). 
    Al comma 6 dispone poi che:  «Per  gli  anni  2014  e  2015,  con
decreto di natura  non  regolamentare  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun  anno,  vengono
rideterminate le ripartizioni delle risorse di cui al comma 2,  sulla
base della dotazione del fondo di cui al comma 1 e  del  monitoraggio
degli incentivi relativo all'anno precedente». 
    Nello  specifico  si  tratta  di   due   decreti,   espressamente
qualificati come di  natura  non  regolamentare,  di  disciplina  dei
criteri di gestione del fondo relativo agli incentivi per  l'acquisto
di autoveicoli istituto dall'art. 17-undecies,  comma  1,  diretti  a
stabilire, il primo, le modalita' per  la  preventiva  autorizzazione
all'erogazione, le condizioni per la fruizione dei contributi nonche'
a indirizzare una quota dei contributi verso determinate fattispecie,
il secondo a rideterminare le ripartizioni delle risorse  sulla  base
della dotazione del fondo e del monitoraggio degli incentivi relativo
all'anno precedente. 
    Al   riguardo   occorre   considerare   la   recente    pronuncia
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012,
dove si precisa: «nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno
efficacemente descritto in termini di "fuga dal regolamento" (che  si
manifesta,  talvolta  anche  in   base   ad   esplicite   indicazioni
legislative, tramite l'adozione di atti normativi  secondari  che  si
autoqualificano in termini  non  regolamentari)  deve,  in  linea  di
principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, piu' in
generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti  "atipici",  di
natura non regolamentare». 
    In tali casi, infatti, viene a realizzarsi  la  violazione  delle
regole procedimentali di cui all'art. 17, comma  4,  della  legge  23
agosto 1988, n. 400, che prevedono il parere del Consiglio di Stato e
il controllo della Corte dei Conti. 
    E' utile quindi precisare che lo stesso Servizio Studi del Senato
ha sollevato perplessita'  in  ordine  alle  norme  in  oggetto:  «La
clausola  "di  natura  non  regolamentare"  -  riferita  all'emanando
decreto, cosi' come quello che al comma 6 stabilira' le modalita'  di
erogazione e le condizioni per la fruizione dei  contributi  previsti
dall'art. 17-undecies - esclude l'applicazione dell'art. 17, comma 4,
della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  che  reca  la  procedura  per
l'approvazione dei regolamenti (prevedendo fra l'altro il parere  del
Consiglio di Stato) e, qualora il contenuto del  decreto  da  emanare
abbia natura sostanzialmente  normativa,  si  configura  come  tacita
deroga alla citata norma della legge  n.  400.  Quando  il  rinvio  a
decreti di natura non regolamentare e'  stato  oggetto  di  esame  da
parte della Corte costituzionale (sentenza n. 116 del 2006), essa  lo
qualifico'  come  "un  atto   statale   dalla   indefinibile   natura
giuridica"». 
    Disponendo l'utilizzo di decreti ministeriali in  questi  termini
la norma impugnata determina pertanto una  violazione  del  principio
del buon andamento dell'amministrazione  di  cui  all'art.  97  della
Costituzione. 
    Questa lesione ridonda in una lesione della  sfera  di  autonomia
costituzionalmente garantita alla Regione. 
    Infatti, dal momento che, in base alla lettere a) e b)  dell'art.
17-decies, le principali quote del fondo sono riservate  anche  «alla
sostituzione di veicoli pubblici o privati destinati all'uso di terzi
come definito dall'art. 82 del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285», la  norma  interferisce  con  la
competenza regionale in materia di trasporto pubblico locale (si veda
al riguardo la legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25, Disciplina  ed
organizzazione del trasporto pubblico locale) nonche' con  quella  in
materia di servizi di trasporto non di linea (si veda la riguardo  la
l. reg. Veneto 30 luglio 1996, n. 22,  Norme  per  l'esercizio  delle
funzioni amministrative in materia di servizi  di  trasporto  non  di
linea per via di terra). 
    Si tratta di materie nelle quali, a  seguito  della  riforma  del
Titolo  V  della  Costituzione,  la  competenza  regionale   -   gia'
preesistente come dimostrano le leggi regionali ricordate - e'  stata
ulteriormente rafforzata, come riconosciuto dalla sentenza n. 222 del
2005 di codesta Ecc.ma Corte. Nella sentenza, infatti, si afferma che
la materia del trasporto pubblico locale  rientra  nell'ambito  delle
competenze residuali delle Regioni di cui al quarto  comma  dell'art.
117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della
riforma del Titolo V della Costituzione, il  decreto  legislativo  19
novembre 1997, n. 422 [...] aveva  ridisciplinato  l'intero  settore,
conferendo alle Regioni  ed  agli  enti  locali  funzioni  e  compiti
relativi a tutti  i  "servizi  pubblici  di  trasporto  di  interesse
regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi
forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di  interesse
nazionale». 
    E'  utile  quindi  precisare  che,  nell'ambito  interessato  dai
contributi statali, la Regione interviene  in  diverse  forme,  anche
inerenti al finanziamento e al relativo riparto delle risorse, ed  e'
appunto cio' che accade, ad esempio, relativamente ai servizi  minimi
di cui all'art. 7, lett. d) e f) della  legge  regionale  30  ottobre
1998, n. 25, prima ricordata. 
    L'adozione  di  atti  atipici,  quali  i  decreti  che  si   auto
qualificano  come  di  natura  non  regolamentare  -  essendo  invece
destinati a compiere scelte di carattere normativo anche in relazione
all'identificazione dei concreti destinatari dei contributi -,  senza
alcun coinvolgimento della Regione, determina pertanto una violazione
del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui
all'art 97 Cost., che ridonda  in  una  violazione  delle  competenze
regionali in materia. 
    Il mancato raccordo con la programmazione della Regione,  che  e'
il soggetto competente  a  ripartire  i  finanziamenti  nel  settore,
viene, infatti, a compromettere  l'utilizzo  ottimale  delle  risorse
pubbliche. 
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 1, lett. b), per
violazione dell'art. 136 della Costituzione. 
    L'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22  giugno  2012,
n. 83, convertito, con modificazioni, con legge  7  agosto  2012,  n.
134,  apporta  modifiche  -  non  sostanziali  -   all'art.   4   del
decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138,  convertito  con  legge  14
settembre 2011, n. 148, in materia di servizi pubblici locali. 
    Questa norma, piu' volte nel tempo  modificata  (in  particolare,
per effetto dell'art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre
2011, n. 183 e dell'art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24
marzo 2012, n. 27, nonche' - appunto - dell'art. 53, comma 1, lettera
b),  del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,  convertito,  con
modificazioni,  con  legge  7  agosto   2012,   n.   134),   contiene
disposizioni di dichiarato Adeguamento della disciplina  dei  servizi
pubblici locali al referendum popolare e alla  normativa  dall'Unione
europea, dettando la nuova disciplina dei servizi pubblici locali  di
rilevanza economica in luogo dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del  12  e  13
giugno 2011. 
    Com'e'  noto,  l'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.   112/2008,
conteneva una disciplina assai rigorosa e restrittiva  della  materia
dell'affidamento dei servizi pubblici locali, avendo  in  particolare
eliminato l'alternativita' tra le diverse forme di  gestione  di  cui
all'art. 113  del  d.lgs.  n.  267/2000  (T.U.E.L.)  e  previsto  che
l'affidamento diretto costituisse  una  deroga  praticabile  solo  in
presenza di particolari condizioni  e  caratteristiche  economiche  e
sociali del contesto tali da rendere  inefficiente  il  ricorso  alle
procedure ordinarie ad evidenza pubblica. Prevedeva, inoltre,  misure
di disciplina delle societa' a partecipazione pubblica locale e delle
societa' c.d. in house e l'assoggettamento di queste ultime al  patto
di stabilita' interno, nonche' regole di distinzione tra  regolazione
e gestione con il regime delle  incompatibilita'  tra  amministratori
dell'ente e amministratori delle societa' che forniscono  i  servizi,
oltre che la definizione del regime  transitorio  relativamente  agli
affidamenti non conformi alla disciplina in esso stabilita. 
    Detta norma e' stata travolta dal referendum popolare del 12 e 13
giugno  2011,  e  all'esito  del  referendum,  e'  stata  formalmente
abrogata con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113. 
    Cio' ha verosimilmente indotto il legislatore ad adottare  l'art.
4 del decreto-legge n. 138/2011, al dichiarato  fine  di  Adeguamento
della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e
alla normativa dall'Unione europea (cosi' la  rubrica  dell'articolo,
definita «ipocrita» da A.  Lucarelli,  in  La  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 199/2012 e la questione  dell'inapplicabilita'  del
patto di stabilita interno alle  s.p.a.  in  house  ed  alle  aziende
speciali,  in  federalismi.it,  n.   18/2012),   con   l'effetto   di
reintrodurre  sostanzialmente  la   disciplina   abrogata   per   via
referendaria. 
    Di qui l'impugnativa dell'art. 4 del  decreto-legge  n.  138/2011
gia' operata da parte di alcune Regioni, e l'intervento  della  Corte
costituzionale con la sentenza n. 199/2012, che ha  "abrogato"  -  si
potrebbe dire, nuovamente - la norma. 
    Infatti,  con  la  ricordata  sentenza  n.  199/2012   la   Corte
costituzionale - su ricorso di varie Regioni, che ritenevano la norma
lesiva delle competenze costituzionali delle regioni  in  materia  di
servizi pubblici locali e di fatto  riproduttiva  di  una  disciplina
normativa abrogata  per  volonta'  popolare  espressa  nel  ricordato
referendum - ha ritenuto che l'art. 4  del  decreto-legge  13  agosto
2011, n. 138, abbia violato «il divieto di ripristino della normativa
abrogata dalla volonta'  popolare  desumibile  dall'art.  75  Cost.»,
«senza  modificare  ne'  i  principi  ispiratori  della   complessiva
disciplina  normativa  preesistente   ne'   i   contenuti   normativi
essenziali dei singoli precetti» e «tenuto conto del brevissimo lasso
di  tempo  intercorso   fra   la   pubblicazione   dell'esito   della
consultazione referendaria e l'adozione  della  nuova  normativa  (23
giorni), ora oggetto di  giudizio,  nel  quale  peraltro  non  si  e'
verificato nessun mutamento idoneo a  legittimare  la  reintroduzione
della    disciplina    abrogata»;    conseguentemente     dichiarando
costituzionalmente illegittima la norma per violazione  dell'art.  75
Cost., «sia nel testo  originario  che  in  quello  risultante  dalle
successive modificazioni» sopra ricordate. 
    A  pochi  mesi  dal  referendum   vengono   apportate   (con   il
decreto-legge n. 83/2012) e confermate, a pochi giorni dalla sentenza
n. 199/2012, con  modificazioni  (con  la  legge  di  conversione  n.
134/2012)  alcune  modifiche,  non  sostanziali,  dell'art.   4   del
decreto-legge n. 138/2011, appresso riepilogate: 
        1) al  comma  3  dell'art.  4,  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: 
          a) dopo le parole «la delibera di  cui  al  comma  2»  sono
inserite le  seguenti:  «nel  caso  di  attribuzione  di  diritti  di
esclusiva se il valore economico del servizio  e'  pari  o  superiore
alla somma complessiva di  200.000  euro  annui»;  in  sostanza,  per
ragioni di omogeneita' con la soglia di valore indicata dal comma  13
per poter procedere agli affidamenti alle societa' in house in deroga
(limite originariamente fissato in 900.000 euro annui, e poi  portato
a 200.000 euro annui - con abbassamento della soglia entro  la  quale
si puo' procedere ad  affidamenti  in  house  in  deroga  alle  altre
disposizioni dello stesso art. 4 - per effetto  gia'  dei  precedenti
interventi del legislatore sulla norma), si prevede che  la  delibera
dell'ente territoriale di programmazione della gestione  dei  servizi
pubblici  locali  venga  trasmessa   per   il   parere   obbligatorio
dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato «nel  caso  di
attribuzione di diritti di  esclusiva  se  il  valore  economico  del
servizio e' pari o superiore alla somma complessiva di  200.000  euro
annui»; 
          b)  le  parole  «adottata  previo»  sono  sostituite  dalle
seguenti: «trasmessa  per  un»;  si  definisce  cosi'  l'innesco  del
menzionato parere dell'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del
mercato, che resta comunque «obbligatorio»; 
          c)  le  parole:  «dell'Autorita'»  sono  sostituite   dalle
seguenti: «all'Autorita'»; mero  maquillage  linguistico  necessitato
dalla modifica appena ricordata; 
          d) le parole «che si pronuncia entro sessanta giorni»  sono
sostituite dalle seguenti:  «che  puo'  pronunciarsi  entro  sessanta
giorni»;  modifica  anch'essa  di  adattamento  rispetto   a   quella
riportata sub b), non essendo  (apparentemente)  il  parere  piu'  da
rendersi «previamente», anche  se,  restando  detto  parere  comunque
«obbligatorio» (e' cosi' definito sia al comma 3 sia al comma  4),  e
condizionando in ogni caso - come si vedra' sub f) - l'adozione della
delibera, non muta sostanzialmente l'assetto della norma; 
          e) le parole «dall'ente di governo locale dell'ambito o del
bacino  o  in  sua  assenza»  sono  eliminate;   modifica   anch'essa
irrilevante sulla norma base; 
          f) alla fine del primo periodo,  dopo  le  parole  «di  una
pluralita' di servizi pubblici locali.» sono  inserite  le  seguenti:
«Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente,  l'ente
richiedente adotta la  delibera  quadro  di  cui  al  comma  2.»;  si
chiarisce che il parere e' «obbligatorio» ma l'Autorita'  garante  ha
sessanta giorni di tempo per renderlo; 
        2) al comma 4 sono apportate le seguenti modificazioni: 
          a) le parole: «trenta  giorni  dal  parere  dell'Autorita'»
sono sostituite dalle seguenti: «novanta  giorni  dalla  trasmissione
del parere all'Autorita'»; si tratta del dies ad quem per  l'adozione
da parte degli enti locali della delibera quadro, che  deve  avvenire
entro  il  novantesimo   giorno   dalla   trasmissione   del   parere
all'Autorita'  (la  norma  dice:  dalla   trasmissione   del   parere
all'Autorita'; ma probabilmente intendeva  dire:  dalla  trasmissione
dello  schema  di  delibera  all'Autorita');  si  tratta  percio'  di
modifica conseguente alla affermazione -  sub  d)  -  della  facolta'
(«puo' pronunciarsi») dell'Autorita' di pronunciarsi  con  un  parere
espresso e con la assegnazione di un termine per farlo, decorrente  -
appunto - dalla trasmissione dello schema di delibera; 
        2-bis) al comma 5, dopo le parole: «alle aziende esercenti  i
servizi  stessi»  sono  inserite  le  seguenti:   «determinate,   con
particolare riferimento al trasporto  pubblico  regionale  e  locale,
tenendo in adeguata considerazione l'ammortamento degli  investimenti
effettuati nel comparto del trasporto su gomma, e che  dovra'  essere
osservato   dagli   enti   affidanti   nella   quantificazione    dei
corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel  bando  di  gara  o
nella lettera d'invito di cui al comma  11»;  nella  norma  (art.  4,
comma 5) che gia' imponeva - in tutti i campi e  in  via  generale  -
agli enti locali di definire preliminarmente gli obblighi di servizio
pubblico e di prevedere le eventuali compensazioni per i gestori,  si
stabiliscono percio' regole di dettaglio  per  la  determinazione  di
dette  compensazioni  proprio  nel  trasporto  pubblico  regionale  e
locale; 
        3) al comma 14 le parole «per le riforme per il  federalismo»
sono sostituite dalle seguenti: «per  gli  Affari  Regionali»;  nella
norma che dispone l'assoggettamento delle societa' in house al  patto
di stabilita' interno secondo le modalita' definite con  il  concerto
del Ministro di  riferimento,  si  opera  questa  modifica  meramente
conseguente alla soppressione del Ministero per  le  riforme  per  il
federalismo; 
        4) al  comma  32,  lettera  a),  terzo  periodo,  le  parole:
«azienda in capo alla» sono soppresse; 
        5) al comma 32-ter le parole: «di cui all'art.  2,  comma  3,
lettera e) del presente decreto» sono soppresse; modifiche  di  ardua
comprensione, e  comunque  non  significative,  in  punto  di  regime
transitorio; 
        6) dopo il comma 35 e' inserito il seguente: 
    «35-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma  35,  a  decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.
1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27,  la
verifica di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, le attivita' di cui al comma  5
e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 per il  conferimento  della
gestione dei servizi pubblici locali a rete di  rilevanza  economica,
sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali  ottimali
e omogenei di cui all'art. 3-bis dagli enti di governo  degli  stessi
istituiti o designati ai sensi del medesimo articolo.». Si stabilisce
che le attivita' di cui ai commi 1, 2, 3 e 4  (verifiche  e  delibere
quadro degli enti locali, nonche' parere dell'Autorita' garante) e al
comma 5 (la definizione degli obblighi  di  servizio  pubblico  e  le
compensazioni economiche) e le procedure di cui ai commi 8, 12  e  13
(le procedure per l'affidamento della gestione dei  servizi,  per  la
scelta del partner e l'affidamento in house) avvengano per  ambiti  o
bacini territoriali ottimali e omogenei, il  perimetro  dei  quali  a
norma dell'art. 3-bis va definito in modo tale da consentire economie
di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del
servizio, e che vadano operate  dagli  organi  di  governo  di  detti
ambiti. 
    Cosi' riportata la norma impugnata e sinteticamente descritta  la
sua incidenza sulla materia, va detto che questa, al pari  delle  sue
«ceneri» (l'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011 e, prima di  questo,
l'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.  112/2008),  lede  l'autonomia
regionale, poiche' ne comprime le sfere di  competenza  residuale  in
materia di servizi  pubblici  locali  e  concorrente  in  materia  di
coordinamento della finanza pubblica. Cosi' e' per  l'assoggettamento
a parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e  del
mercato della delibera di programmazione dei servizi locali  adottata
dagli enti  locali,  che  certamente  lede  le  sfere  di  competenza
regionale in materia di servizi pubblici locali; allo stesso modo per
la disciplina delle modalita' di  innesco  e  acquisizione  di  detto
parere; cosi' e' per la disciplina delle compensazioni in una materia
come quella del trasporto pubblico regionale  e  locale  strettamente
collegata al territorio e facente  capo  alla  competenza  regionale;
cosi' e' per l'assoggettamento dei  soggetti  affidatari  diretti  di
servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno, che viola  le
competenze regionali sia in materia di servizi pubblici locali sia in
materia di coordinamento della finanza pubblica;  cosi'  e',  infine,
per la affermazione  dell'ambito  di  riferimento  per  tutte  queste
attivita' (ambiti o bacini territoriali ottimali e  omogenei)  e  per
l'assegnazione agli enti di governo di detti  ambiti  del  potere  di
gestire le procedure per l'affidamento della  gestione  dei  servizi,
per la scelta del partner e l'affidamento in  house,  che  certamente
ledono le competenze regionali in materia di pubblici  servizi  e  di
organizzazione degli uffici e degli enti  regionali.  Di  tanto,  ove
occorra, si ha diretta conferma anche nelle varie pronunce che  hanno
gia' statuito in ordine alla lesione arrecata dalle precedenti  norme
previamente riproposte  dal  legislatore:  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 325 del 2010 che ha censurato in parte  qua  l'art.
23-bis  del  decreto-legge  n.  112/2008  proprio  laddove  prevedeva
l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici
locali al patto  di  stabilita'  interno;  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 199 del 2012 che ha censurato integralmente  l'art.
4 del decreto-legge n. 83/2012,  con  affermazione  della  potenziale
lesione della sfera delle competenze regionali, riespanse  a  seguito
dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis e nuovamente compresse
per via della reintroduzione da parte del legislatore - con l'art. 4,
anche qui in esame - della medesima disciplina restrittiva. 
    Palese, altresi', la violazione dell'art. 136 Cost.: 
        se, da un lato, si puo' gia' dire che  l'art.  53,  comma  1,
lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  convertito  con
legge 7 agosto 2012, n. 134, apportando modifiche - non sostanziali -
all'art. 4 del decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,  e  percio'
riportando in vita le disposizioni di questo articolo,  a  sua  volta
riproduttivo dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008 del quale
condivide integralmente ratio, effetti e - quasi alla  lettera  -  le
disposizioni  gia'  abrogate  per  effetto  del   referendum   citato
(sentenza n. 199/2012), violi l'art. 75  Cost.,  perche'  reintroduce
nell'ordinamento la norma abrogata dal referendum  (sul  punto  valga
quanto statuito con la piu' volte richiamata  sentenza  n.  199/2012,
che ha censurato proprio per tale ragione la norma qui  ulteriormente
riproposta, che pertanto si espone alla medesima censura, non mutando
sostanza); 
        dall'altro lato e' innegabile che l'art. 53, comma  1,  lett.
b),  del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,  convertito,  con
modificazioni, con legge 7 agosto 2012,  n.  134,  viola  l'art.  136
della  Costituzione,  poiche'  reintroduce   una   norma   dichiarata
incostituzionale dalla Corte costituzionale con la piu' volte  citata
sentenza n. 199/2012, norma che invece «cessa di avere efficacia  dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione». 
    E che cio' integri una lesione  diretta  anche  delle  competenze
regionali e' del tutto evidente, poiche' la violazione dell'art.  136
Cost.,  e  percio'   della   regola   della   definitiva   espulsione
dall'ordinamento della norma dichiarata illegittima dal Giudice delle
leggi, lede direttamente l'aspirazione delle Regioni -  appunto  -  a
non veder  reintrodotta  una  disciplina  restrittiva  dell'esercizio
delle loro prerogative  e  attivita'  (si  pensi  ai  condizionamenti
imposti alla programmazione dei  servizi,  alle  limitazioni  imposte
agli affidamenti, all'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti
dei servizi locali al patto  di  stabilita'  interno,  e  cosi'  via)
certamente lesiva della riespansione, a  seguito  della  abrogazione,
delle prerogative regionali in materia di servizi pubblici locali, di
organizzazione degli uffici e degli enti regionali e di coordinamento
della finanza pubblica (come gia' ritenuto nelle sentenze n. 325/2010
e n. 199/2012). 
    Ne' la circostanza  che  la  norma  impugnata  apporta  modifiche
all'art. 4 la pone al riparo dalle censure sollevate.  Si  e'  visto,
infatti, che si tratta di modifiche minimali, non sostanziali, e  che
resta intatta - proprio come nel caso  esaminato  dalla  sentenza  n.
199/2012  -  la  ratio  ispiratrice,  la  disciplina  restrittiva   e
l'effetto di compressione delle competenze regionali tutelate. 
    Si consideri, infine, che se e' pur vero che  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 199/2012 si e' gia' pronunciata  sull'art.  4
come novellato dall'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83 (il che, per certi versi, rende ancora piu' palese
l'incostituzionalita' di quest'ultimo, meramente da riaffermare),  e'
anche vero che la sua conversione in legge  con  la  legge  7  agosto
2012, e quindi in data successiva alla sentenza della Corte, in primo
luogo ne determina la novazione (e la palese violazione dell'art. 136
Cost.), e in secondo luogo e' avvenuto con modificazioni rispetto  al
decreto-legge (con l'introduzione - comma 1, lett. b), n. 2-bis -  di
un periodo in seno al comma 5 dell'art. 4, che  peraltro  aggrava  la
lesione denunciata poiche' stabilisce regole di dettaglio restrittive
e invasive proprio nel trasporto pubblico regionale e locale  per  la
determinazione delle compensazioni per le aziende  che  gestiscono  i
servizi pubblici), il che sottolinea la volonta' del  legislatore  di
non conformarsi al giudicato costituzionale. 
3.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  64,   comma   1,   per
violazione degli articoli 119 e 117, III comma, della Costituzione. 
    L'art.  64,  comma  1,  prevede:  «1.  E'  istituito,  presso  la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo per lo sviluppo e  la
capillare diffusione della pratica sportiva a tutte  le  eta'  e  tra
tutti gli strati della popolazione finalizzato alla realizzazione  di
nuovi  impianti  sportivi  ovvero  alla  ristrutturazione  di  quelli
esistenti, con una dotazione finanziaria, per l'anno 2012, fino a  23
milioni di euro». 
    Il comma 1 dell'art. 64 istituisce in  questi  termini  un  fondo
statale a destinazione vincolata nell'ambito di una materia  che  non
contiene alcun aggancio alle competenze statali di cui all'art.  117,
II  comma,  essendo  invece  riconducibile  a  materie  rimesse  alla
competenza regionale concorrente (come «ordinamento sportivo» e anche
«governo del territorio»). 
    E'  utile  ricordare  che  secondo  l'attuale  art.   119   della
Costituzione le Regioni hanno «autonomia finanziaria di entrata e  di
spesa» e godono di «risorse autonome», ovvero di tributi  ed  entrate
proprie, da essi stessi stabiliti secondo i principi di coordinamento
della finanza pubblica, di compartecipazioni al  gettito  di  tributi
statali riscossi sul loro  territorio,  e  dell'accesso  a  un  fondo
perequativo  per  i  territori  con  minore  capacita'  fiscale,   da
utilizzarsi «senza vincoli di destinazione». Tali sono le risorse che
debbono consentire  alle  Regioni  di  «finanziare  integralmente  le
funzioni pubbliche  loro  attribuite».  Lo  Stato  puo'  quindi  solo
destinare risorse  aggiuntive  ed  effettuare  interventi  finanziari
speciali  «in  favore  di  determinati   Comuni,   Province,   Citta'
metropolitane e Regioni» per gli scopi indicati nel comma 5 dell'art.
119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni». 
    E' opportuno anche ricordare che, in ossequio  a  questo  dettato
costituzionale, il d.lgs. n. 68 del 2011 dispone la soppressione  dei
trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario.  In  base
all'art. 7 del suddetto decreto legislativo, infatti: «1. A decorrere
dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di  parte
corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso  all'indebitamento,
in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi  carattere
di  generalita'  e  permanenza  e   destinati   all'esercizio   delle
competenze regionali, ivi compresi quelli  finalizzati  all'esercizio
di funzioni da parte di province  e  comuni.  Le  regioni  a  statuto
ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista  dagli  articoli
5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei  termini
fissati  dal  presente  Capo.  Sono  esclusi  dalla  soppressione   i
trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'art. 3,  commi
2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549». 
    Nel contesto dell'art. 119 della Costituzione, la  giurisprudenza
di codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha quindi  chiarito  che  sono
preclusi interventi finanziari diretti dello Stato,  vincolati  nella
destinazione, per normali attivita' e  compiti  di  competenza  delle
Regioni, fuori  dall'ambito  dell'attuazione  di  discipline  dettate
dalla legge statale nelle materie  di  propria  competenza,  o  della
disciplina  degli  speciali  interventi  finanziari  in   favore   di
determinate  Regioni,  ai  sensi  del  quinto  comma  dell'art.  119.
Soprattutto non sono ammissibili tali forme di intervento nell'ambito
di materie e funzioni la cui  disciplina  spetta  invece  alla  legge
regionale, pur eventualmente nel  rispetto  (quanto  alle  competenze
concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello  Stato.  Ove
non  fossero  osservati  tali  limiti  e  criteri,   il   ricorso   a
finanziamenti ad hoc  diventerebbe  -  secondo  quanto  affermato  da
codesta Ecc. ma Corte -  uno  strumento  indiretto  ma  pervasivo  di
ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali
e  di  sovrapposizione  di  politiche  e   di   indirizzi   governati
centralmente a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  Regioni  negli
ambiti materiali di propria competenza. 
    Nello specifico, e' utile ricordare la sentenza n.  16  del  2004
che ha dichiarato l'incostituzionalita'  del  Fondo  statale  per  la
riqualificazione urbana dei Comuni, cosi' come la sentenza n. 49  del
2004, sulla  incostituzionalita'  del  Fondo  per  il  sostegno  alla
progettazione delle  opere  pubbliche  delle  Regioni  e  degli  enti
locali. 
    E' poi decisivo ricordare quanto affermato, nella sentenza n. 424
del 2004, da codesta Ecc.ma Corte, riguardo ai finanziamenti  statali
ricadenti nella specifica materia «ordinamento sportivo»: «l'art.  4,
comma 204, della legge n. 350 del 2003 dispone che "per consentire lo
svolgimento  dei  propri  compiti  istituzionali,  nonche'   per   il
finanziamento e il potenziamento dei programmi  relativi  allo  sport
sociale, agli enti di promozione sportiva e' destinata la somma di  i
milione di euro per l'anno 2004". ... Orbene, non vi e' dubbio che la
disposizione attenga  alla  materia  "ordinamento  sportivo"  di  cui
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.  Il  finanziamento  in
esame e' finalizzato, infatti, in parte alla promozione dei programmi
dello sport sociale e in parte a favorire lo svolgimento dei  compiti
istituzionali  degli  enti   di   promozione   sportiva,   che   sono
associazioni aventi lo scopo di promuovere  e  organizzare  attivita'
fisico-sportive con finalita' ricreative e formative tra  i  giovani,
nonche'  di  organizzare   l'attivita'   amatoriale   (cfr.   decreto
ministeriale 23 giugno 2004 recante  statuto  del  Comitato  olimpico
nazionale italiano, adottato dal Consiglio nazionale del CONI  il  23
marzo  2004).  Detti  profili,  pertanto,  per  loro  stessa  natura,
nell'attuale  assetto   costituzionale   della   ripartizione   delle
competenze tra Stato e Regioni in materia di sport, non  possono  non
comportare un diretto coinvolgimento delle Regioni, in  quanto  anche
esse titolari di potesta' legislativa  nella  specifica  materia.  Di
tale esigenza non tiene, evidentemente, conto  l'impugnata  norma  di
cui all'art. 4, comma 204, della legge n. 350  del  2003,  la  quale,
mentre e' del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore del
finanziamento in questione e ai criteri di riparto dello stesso,  non
prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni. Per tale
assorbente considerazione, la norma  stessa  deve  essere  dichiarata
costituzionalmente illegittima». 
    E' quindi molto chiara la linea della  giurisprudenza  di  questa
Ecc.ma  Corte,  anche  perche'  nel  caso  oggetto   della   presente
impugnativa (lo dimostra appunto la sentenza appena citata) non  vale
nemmeno invocare a contrariis altre pronunce di codesta Ecc.ma  Corte
che riguardavano  situazioni  del  tutto  particolari  e  risultavano
relative a materie peculiari come lo sviluppo della cultura (sent. n.
307 del 2004) o la ricerca scientifica (sentenza  n.  423  del  2004)
inquadrata anche come «un valore costituzionalmente protetto». 
    Infine, e' utile riproporre quanto affermato nella  piu'  recente
sentenza n. 79 del 2011, dove  codesta  Ecc.ma  Corte  ha  nuovamente
sottolineato  come  solo  la  chiamata  in  sussidiarieta'  (con   la
previsione di meccanismi preventivi di  intesa  con  le  regioni  sui
relativi criteri di riparto) possa legittimare  l'istituzione  di  un
fondo statale con vincolo di destinazione in  materia  di  competenza
regionale concorrente o residuale ex alt 117,  commi  3  e  4,  Cost.
(nello stesso senso, la sentenza n. 16 del 2010). 
    Nel caso di specie, come si specifica nel  punto  4  di  seguito,
nulla a di tutto cio' e' stato previsto. 
    E'  evidente  quindi  in  questo  caso  il  vulnus  all'autonomia
regionale, con violazione dell'art. 119 Cost., data l'inerenza  della
materia, in cui il  fondo  interviene,  alle  competenze  legislative
regionali di cui all'art. 117, terzo  comma  della  Costituzione.  La
Regione,  in  tal  modo,  viene  espropriata  della  possibilita'  di
esercitare correttamente i compiti di programmazione e di riparto del
fondo all'interno del proprio territorio. 
    La disposizione impugnata, pertanto,  costituisce  uno  strumento
indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio  delle
funzioni regionali che appare  rivolto  a  sovrapporre  politiche  ed
indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle
Regioni negli ambiti materiali di propria competenza. 
4. Illegittimita' dell'art. 64, comma  2,  per  violazione  dell'art.
117, sesto comma, della Costituzione, nonche' del principio di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Il comma 2 dell'art. 64 qui impugnato dispone: «2. Con decreto di
natura non regolamentare del Ministro per gli  affari  regionali,  il
turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e  delle
finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata di cui all'art.  8
del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive
modificazioni, sono definiti i criteri per l'erogazione delle risorse
finanziarie del fondo di cui al comma 1. 
    Con successivo decreto adottato dal Capo del Dipartimento per gli
affari regionali sono individuati gli interventi ammessi al  relativo
finanziamento». 
    La disposizione prevede pertanto che i criteri  per  l'erogazione
delle risorse finanziarie del fondo siano  definiti  con  decreto  di
natura non regolamentare del Ministro per gli  affari  regionali,  il
turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e  delle
finanze. 
    Non viene prevista  nessuna  intesa  con  le  Regioni  bensi'  si
dispone che, per la definizione dei criteri  relativi  all'erogazione
delle risorse del  Fondo,  sia  solamente  «sentita»  -  alla  stessa
stregua del CONI - la Conferenza unificata. 
    La costruzione normativa della  disposizione  impugnata  dimostra
quindi  in  modo  palese  la  scarsa  considerazione  che  e'   stata
riconosciuta all'autonomia costituzionale garantita alle Regioni.  E'
chiara la violazione del principio di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Costituzione. 
    Inoltre, al di la' dell'autoqualificazione del  decreto  come  di
natura  non  regolamentare,  e'  indubbio  -  anche  alla  luce   dei
chiarimenti disposti dalla recente pronuncia  dell'Adunanza  plenaria
del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 (ricordata nel punto  1
del presente ricorso) -  che  si  tratti  di  un  decreto  di  natura
sostanzialmente  regolamentare,  che  in  quanto  tale  si  pone   in
contrasto con il comma sesto dell'art. 117 che preclude allo Stato la
possibilita' di  emanare  regolamenti  nelle  materie  relative  alla
competenza concorrente.  L'intera  regolamentazione  dei  criteri  di
riparto del Fondo e' infatti  rimessa  al  suddetto  decreto,  atteso
anche che la disposizione legislativa impugnata non  stabilisce  essa
stessa alcun principio in relazione ai criteri di  riparto.  Se  tale
norma vieta l'approvazione  di  regolamenti  statali  in  materie  di
competenza regionale, non  si  vede  come  possa  essere  considerata
permissiva di atti meno formalizzati ma proprio per questo ancor piu'
problematici nell'ambito delle competenze non esclusive dello Stato. 
    Per questi motivi il comma 2 dell'art. 64 si dimostra  in  palese
contrasto con l'art. 117, comma sesto,  della  Costituzione,  nonche'
con il principio di leale collaborazione di cui  all'art.  120  della
Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Chiede   che   l'Ecc.ma   Corte   costituzionale   dichiari    la
illegittimita'  costituzionale  delle   seguenti   disposizioni   del
decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  cosi'  come  convertito,  con
modificazioni, dalla legge di conversione  7  agosto  2012,  n.  134,
pubblicata nella G.U. n. 187 del il agosto 2012 - S.O. n. 171: 
        dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione  dell'art.
97 della Costituzione; 
        dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136
della Costituzione; 
        dell'art. 64, comma 1, per violazione degli  articoli  119  e
117, terzo comma, della Costituzione; 
        dell'art. 64, comma 2, per violazione  dell'art.  117,  comma
sesto,  della  Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Si deposita: 
        1) delibera della Giunta Regionale  n.  2003  del  2  ottobre
2012,  di   autorizzazione   a   proporre   ricorso   e   affidamento
dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale. 
          Venezia-Roma, 9 ottobre 2012. 
 
          Avv. Prof. Antonini - Avv.ti Zanon-Manzi-Palumbo