N. 154 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 18 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 18 ottobre 2012 (della Regione Lombardia). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riordino delle Province e loro funzioni - Previsione del riordino di tutte le Province delle Regioni a statuto ordinario, mediante decreto da emanarsi, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, con deliberazione del Consiglio dei ministri, sulla base dei requisiti minimi da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati con la deliberazione predetta, rispettivamente, in 2500 km. e in 350.000 abitanti) - Prevista partecipazione al riordino delle Province mediante atto legislativo ad iniziativa governativa, all'esito di una procedura cui partecipano il Consiglio delle autonomie locali delle singole Regioni a statuto ordinario e le Regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di riordino e previo parere della Conferenza unificata - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione del principio democratico della sovranita' popolare, nonche' del principio autonomistico delle comunita' locali - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province - Lesione del principio di ragionevolezza per l'adozione di una misura sproporzionata e non efficace rispetto alla finalita' dichiarata dalla normativa impugnata di riduzione della spesa pubblica - Denunciata violazione dei presupposti di legittimita' costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del decreto-legge - Denunciata violazione dell'assetto costituzionale ed ordinamentale della Regione - Denunciata violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Denunciata violazione dell'autonomia regionale in relazione ai principi di sussidiarieta' verticale e di adeguatezza - Denunciata lesione della potesta' regolamentare delle Province - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Violazione del principio costituzionale della partecipazione della popolazione interessata alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione - Denunciata violazione del procedimento per l'approvazione delle leggi costituzionali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12. - Costituzione, artt. 1, 2, 3, 5, 71, primo comma, 77, comma secondo, 114, 117, 118, 119, 120, 123, 133 e 138.(GU n.48 del 5-12-2012 )
Ricorso della Regione Lombardia (c.f. 80050050154), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale n. IX/4177 del 12 ottobre 2012, giusta procura a margine del presente atto, dal Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio in Roma, Via di Porta Pinciana n. 6 (fax: 06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it); contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore. Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4 e 4-bis, comma 11, nonche' commi 6 e 12, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale, 14 agosto 2012, n. 189 - Suppl. Ordinario n. 173, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», per violazione degli artt. 1, 2, 3, 5, 71, comma 1, 77, comma 2, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, 123, comma 4, 133 e 138 della Costituzione. Fatto Il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, reca «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario». Scopo primario del provvedimento e' la razionalizzazione della spesa pubblica attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, nonche' il contenimento e la stabilizzazione della finanza pubblica anche attraverso misure volte a garantire l'efficienza e l'economicita' dell'organizzazione degli enti pubblici. Tuttavia, alcune delle disposizioni recate dall'intervento legislativo in parola appaiono di incerta idoneita' rispetto al fine programmatico dell'intervento normativo e, altresi', gravemente lesive dell'autonomia regionale. In quest'ottica, una disciplina manifestamente lesiva delle prerogative regionali si rinviene nell'art. 17, rubricato «Riordino delle province e loro funzioni». A norma di tale articolo, allo scopo di conseguire obiettivi di finanza pubblica necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio, viene disposto il riordino di tutte le province delle regioni a statuto ordinario, sulla base dei criteri delineati dai successivi commi. Il comma 2 dispone che entro 10 giorni dall'entrata in vigore del d.l. 95/2012, il Consiglio dei Ministri determini, con apposita deliberazione - su proposta dei Ministri dell'interno e della Pubblica Amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, individuati nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (tale deliberazione e' stata approvata il 20 luglio 2012, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 2012). Entro 70 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della suddetta deliberazione governativa, e dunque entro il 2 ottobre 2012, il Consiglio delle autonomie locali (o, in mancanza, analogo organo di raccordo tra regione ed enti locali), nel rispetto del principio di continuita' territoriale, deve approvare e poi trasmettere alla Regione un'ipotesi di riordino relativa alle province presenti nel territorio regionale. Entro 20 giorni dalla trasmissione o, in mancanza, entro 92 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della deliberazione governativa (e quindi al piu' tardi entro il 24 ottobre), le regioni trasmettono al Governo una proposta di riordino delle province formulata sulla base delle ipotesi avanzate dal C.A.L. o dall'analogo organo di raccordo (comma 3). Da ultimo, il comma 4, nel delineare la fase conclusiva dell'iter descritto, prevede che, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 95/2012 (vale a dire entro il 14 ottobre), un «atto legislativo di iniziativa governativa» perfezioni il riordino delle province, sulla base delle proposte regionali pervenute. In caso di mancata trasmissione di tali proposte entro tale ultima data, il provvedimento legislativo di riordino delle Province sara' assunto previo parere della Conferenza unificata. Peraltro, appare da subito evidente come il termine a quo per l'esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato ex comma 4 (14 ottobre) inizia a decorrere prima ancora che sia scaduto il termine ad quem (24 ottobre 2012) per l'adozione delle proposte regionali ai sensi del comma 3. Il descritto riordino prevede inoltre (comma 4-bis) che il ruolo di comune capoluogo delle singole province venga assunto dal comune gia' capoluogo di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso di diverso accordo tra i comuni gia' capoluogo di ciascuna provincia oggetto di riordino. All'art. 17 d.l. 95/2012, comma 6, vi e' la previsione dei trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative in precedenza conferite alle province e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, in attuazione dell'art. 23, comma 18, d.l. n. 201/2011, convertito in l. n. 214/2011. La norma dispone il suddetto trasferimento «fatte salve le funzioni di indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 23, comma 14» del medesimo decreto. Il comma 12, nell'individuare gli organi di governo della Provincia nel Consiglio provinciale e nel Presidente della Provincia, fa salve, analogamente al comma 6, le previsioni di cui all'art. 23, comma 15, del citato d.l. n. 201/2011. Sia consentito rammentare come le suddette disposizioni dell'art. 23 sono oggetto di impugnativa da parte della regione Lombardia dinanzi a Codesta Ecc.ma Corte con ricorso n. 24 del 2012, pendente. Il comma 11 del menzionato art. 17, infine, individua le funzioni spettanti alla Regione a seguito della conclusione del processo riordino provinciale, limitandole alle sole funzioni di programmazione e di coordinamento, loro spettanti nelle materie di cui all'art. 117 cost. e a quelle esercitate ex art. 118 Cost. Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 95 del 2012, come convertite con legge n. 135 del 2012, risultano gravemente lesive delle prerogative della Regione Lombardia, in quanto viziate da manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di Diritto 1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi da 1 a 4-bis, del d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 135/2012, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 5, 71, comma 1, 77, comma 2, 114, commi 1 e 2, 117, commi 1, 2, 3 e 4, 118, comma 2, 119, comma 2, 120, comma 2, 123, comma 4, 133 e 138 Cost. 1.1. I commi da 1 a 4-bis dell'art. 17 del d.l. n. 95/2012 risultano manifestamente illegittimi laddove, descrivendo compiutamente il procedimento di riordino delle province attualmente esistenti, si pongono in stridente contrasto con le previsioni di cui all'art. 133, comma 1, Cost. Tale disposizione costituzionale prevede che il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province nell'ambito delle regioni siano coperti da riserva di legge rinforzata, prescrivendo l'approvazione di una legge della Repubblica su iniziativa dei Comuni interessati, previo parere della Regione. In via preliminare, non sembra revocabile in dubbio come la riserva di legge rinforzata prevista dalla citata norma costituzionale debba senz'altro trovare applicazione anche nell'ipotesi - quale e' quella oggetto del presente giudizio - nella quale non viene stabilita l'istituzione di una nuova provincia, ovvero mutamento della circoscrizione di una gia' esistente, bensi' viene disposto un riordino territoriale di carattere generale, il quale deve quindi ritenersi a fortiori soggetto al richiamato procedimento legislativo speciale. Peraltro, e' appena il caso di rammentare come possa derogarsi al procedimento definito dall'art. 133 cost. solo mediante approvazione di apposita legge costituzionale, a pena di violare, oltre alla citata norma costituzionale, altresi' il procedimento di revisione costituzionale previsto dall'art. 138 Cost. La necessita' del ricorso alla legge costituzionale per derogare al procedimento di variazione delle circoscrizioni provinciali, trova conferma da parte della giurisprudenza costituzionale. In particolare, con la sentenza n. 230 del 2001, Codesta Ecc.ma Corte ritenne legittima una legge della Regione Sardegna istitutiva di quattro nuove province, sebbene assunta in difformita' dell'art. 133 Cost., solo in considerazione del fatto che il predetto provvedimento legislativo regionale trovava il proprio fondamento direttamente nello Statuto speciale della Regione Sardegna, il quale, in quanto adottato con legge costituzionale, aveva «forza derogatoria» rispetto alla predetta disposizione costituzionale. Allo stesso modo Codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 2, della legge 142 del 1990 in base al quale sono state istituite sette nuove province con leggi delegate. In questo caso, infatti, secondo il Giudice delle leggi non vi fu deroga rispetto alla procedura disposta dall'art. 133 Cost., in quanto quest'ultima «non esclude che l'istituzione di una nuova provincia (o la modifica della circoscrizione di una provincia esistente) possa essere effettuata, oltre che con legge formale delle Camere, anche mediante il ricorso ad una delega legislativa» e «non vi sono ostacoli di natura costituzionale che impediscano che gli adempimenti procedurali destinati a "rinforzare" il procedimento (e consistenti nell'iniziativa dei comuni e nel parere della regione) possano intervenire, oltre che in relazione alla fase di formazione della legge di delegazione, anche successivamente alla stessa, con riferimento alla fase di formazione della legge delegata» (sent. 347/1994). Orbene, nel caso di specie emerge chiaramente il carattere derogatorio del procedimento di riordino delle province rispetto all'ordinario procedimento di revisione territoriale delle province. In primo luogo, un elemento in tal senso deve essere rinvenuto nella mancata previsione di un adeguato ruolo dei Comuni interessati dal riordino, che ben potrebbero essere del tutto contrari alle ipotesi formulate dal CAL. Ne', del resto, tali organi possono strutturalmente essere ritenuti rappresentativi dei comuni interessati. Altro elemento di incompatibilita' della disciplina ivi censurata con la disposizione costituzionale coincide con l'esplicita esclusione della possibilita' che le proposte regionali di riordino tengano conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali deliberate successivamente all'adozione della deliberazione del Consiglio dei ministri che ha determinato i criteri per il riordino medesimo (deliberazione adottata in data 20 luglio 2012). Cio' manifesta una grave ed insanabile incoerenza della procedura «creata» dal Governo che, per un verso disattende il dettato costituzionale (art. 133 e art. 138 Cost), e sotto altro profilo tuttavia «tiene conto» di una eventuale iniziativa comunale, circoscrivendola pero' ad un periodo anteriore a quello in cui i comuni interessati hanno avuto cognizione dei criteri di riordino, certamente non rispettando il principio di leale collaborazione tra istituzioni. Ulteriore dato da cui risulta desumibile la violazione del menzionato art. 133, comma 1, Cost., e' senz'altro quello alla luce del quale e' riconosciuto al Governo il potere di provvedere legislativamente al riordino delle province anche in assenza delle proposte di riordino formulate dalle regioni sulla base delle ipotesi trasmesse dall'organo di raccordo tra regione ed enti locali. Gia' dal rapido esame delle suddette previsioni, emerge in maniera incontestabile l'assoluta inconciliabilita' del procedimento previsto dall'art. 17 del d.l. n. 95/2012 rispetto a quello costituzionale, del quale il legislatore statale sancisce di fatto la sospensione e temporanea disapplicazione. Inoltre, la necessita' di attenersi ad un procedimento che garantisse la piu' ampia forma di partecipazione dal parte dei comuni nonche' la consultazione delle popolazioni interessate, secondo i chiari principi espressi dall'art. 133 Cost., trova ulteriore conferma nelle previsioni della Carta europea delle autonomie locali (European Charter of Local Self-Government) del 15 ottobre 1985 ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439. La Carta, tra le numerose disposizioni poste a garanzia dell'autonomia politica, amministrativa e finanziaria delle comunita' locali, prevede altresi' espressamente, all'art. 5, che per ogni modifica dei limiti locali territoriali, le collettivita' locali interessate, dovranno essere preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora cio' sia consentito dalla legge e, all'art. 4, comma 2, che le collettivita' locali hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'. Orbene, e' noto che secondo la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte gli articoli della Carta europea dell'autonomia locale non hanno contenuto precettivo, ma sono prevalentemente definitori, e programmatici (Corte cost. n. 325/2010). Purtuttavia essa, costituendo atto di diritto internazionale recepito con legge ordinaria nell'ordinamento interno, ben puo' rientrare nella previsione costituzionale di cui all'art. 117, comma 1, cost. che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Ne deriva che la Carta costituisce parametro idoneo ad orientare l'attivita' del legislatore, che i suoi principi deve rispettare. Invero, alla luce delle indicazioni chiaramente desumibili dalla giurisprudenza costituzionale, una siffatta procedura di riordino generale delle circoscrizioni provinciali, imposta dallo Stato agli altri enti territoriali come obbligatoria, avrebbe senza dubbio dovuto trovare nel piu' complesso procedimento previsto per l'approvazione delle leggi costituzionali, tracciato dall'art. 138 cost. il suo necessario fondamento, a garanzia e nel rispetto di quel principio di autonomia che la Costituzione pone a tutela degli enti territoriali nei confronti dello Stato. E del resto, non puo' certo sfuggire come lo Stato, lungi dal godere di una potesta' legislativa ordinaria generale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., ha competenza limitatamente a legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali, dalla quale non appare certamente inferibile alcun titolo competenziale giustificativo in ordine alla modifica delle circoscrizioni provinciali oggetto dell'intervento legislativo qui impugnato. E' evidente, dunque, come le censurate previsioni di cui all'art. 17 risultino palesemente illegittime per violazione degli artt. 133, comma 1, Cost., nonche' dell'art. 138 Cost. 1.2. Sotto diverso profilo, le disposizioni oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale si pongono in stridente contrasto con il ruolo che la Carta costituzionale attribuisce alle province. In tal senso, sia consentito rammentare come queste ultime vengono delineate quali enti territoriali autonomi, costitutivi della Repubblica, dotati di statuti, poteri e funzioni garantiti direttamente dalla Costituzione. Tali enti istituzionali sono diretta espressione del principio autonomistico attraverso il quale le comunita' locali sono riconosciute quali formazioni sociali ai sensi dell'art. 2 Cost., nonche' del principio democratico attraverso cui si esplica la sovranita' popolare. A chiarire in maniere inequivoca il legame tra il principio di sovranita' di cui all'art. 1, il principio autonomistico, tutelato all'art. 5 Cost., e la nuova formulazione dell'art. 114 Cost., e' intervenuta la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte che, nella sent. 106 del 2002, ha affermato che «Il nuovo Titolo V - con l'attribuzione alle Regioni della potesta' di determinare la propria forma di governo, l'elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualita' a favore delle Regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l'abolizione dei controlli statali - ha disegnato di certo un nuovo modo d'essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuita' nelle relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranita' popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall'inizio dell'esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare». E' evidente, pertanto, la diretta incidenza delle disposizioni censurate sui principi fondamentali sanciti dagli artt. 1, 2 e 5 Cost., in combinato disposto con l'art. 114 Cost., i quali afferiscono in via diretta agli essenziali valori democratici dell'ordinamento e alla separazione verticale dei poteri. Peraltro, le considerazioni appena svolte rilevano anche sotto un ulteriore profilo. In particolare, se deve essere riconosciuta alla disciplina di cui all'art. 17 l'attitudine a gravare direttamente sulla piena realizzazione dei predetti valori costituzionali, e' di certo indubitabile che simili previsioni non possano trovare la propria sedes materiae all'interno dello strumento del decreto-legge. Nessuna ragione di necessita' e urgenza, infatti, puo' giustificare una deroga ai richiamati principi costituzionali. Anche a voler ammettere che un simile intervento straordinario rinvenga la propria ratio nella finalita' di garantire il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, finalita' asseritamente sostenuta dal comma 1 del censurato art. 17, sia sufficiente richiamare, in senso contrario, alcune pregnanti affermazioni, mediante le quali Codesta Ecc.ma Corte, proprio in riferimento all'attuale situazione di emergenza finanziaria, ha recentemente chiarito che «il principio salus rei pubblicae suprema lex esto non puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione» (sentt. n. 148 e n. 151 del 2012). Peraltro, l'esame delle disposizioni introdotte dal censurato art. 17 palesa con ogni evidenza come la disciplina statale sia carente dei requisiti di necessita' ed urgenza ai quali l'art. 77, comma 2, cost. vincola il corretto esercizio del potere legislativo da parte del Governo. Appare chiaro, in tal senso, che l'intervento da parte dello Stato, lungi dall'integrare quei connotati di straordinarieta' prescritti dalla disposizione costituzionale, assume piuttosto il carattere di opera di riordino generale del complessivo sistema ordinamentale delle Province, come tale inidoneo ad essere perseguito con lo strumento della decretazione d'urgenza. Ne' tale evidente profilo di illegittimita' potrebbe ritenersi superato dall'avvenuta conversione del d.l. n. 95/2012 ad opera della l. n. 135/2012. In tal senso, non pare prestarsi ad interpretazioni difformi il consolidato orientamento sulla base del quale Codesta Ecc.ma Corte ritiene che «la legge di conversione non ha efficacia sanante di eventuali vizi del decreto-legge» (Corte cost., sent. n. 355 del 2010, e le ivi richiamate sentt. n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008). Per tale ragione oltre alle gia' richiamate disposizioni costituzionali le richiamate norme violano anche l'art. 77, comma 2, Cost. 1.3. Sotto diverso profilo, la regione ricorrente non puo' esimersi dal rilevare come il procedimento descritto dall'art. 17 per il riordino degli enti provinciali, oltre a derogare illegittimamente alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali, in palese contrasto con l'art. 133 Cost., ridonda altresi' in violazione della disciplina costituzionale posta dall'art. 71 cost. in materia di iniziativa legislativa. In particolare, sia consentito osservare che, ai sensi dell'art. 17, il riordino delle province sia realizzato mediante atto legislativo di iniziativa legislativa, adottato alla luce delle proposte regionali di riordino formulate in base all'ipotesi approvate dai CAL (o in mancanza, dagli organi di raccordo tra regioni ed enti locali). Tuttavia, tale previsione si pone in contrasto con quanto previsto dall'art. 133, comma 1, a mente del quale il potere di iniziativa spetta ai Comuni interessati, sentita la Regione nel cui territorio gli stessi si situano. In tal modo, pertanto, il legislatore statale finisce di fatto per spostare il potere di necessaria integrazione del formale atto di iniziativa legislativa in capo a soggetti - CAL o organi di raccordo - diversi da quelli previsti dall'art. 133 Cost. A tal fine, e' opportuno precisare che nei predetti organi di raccordo - a prescindere da ogni altra considerazione sulla loro natura e sui loro poteri - non e' comunque presente la totalita' dei comuni interessati, dal momento che vi partecipano invece soggetti che sicuramente non sono coinvolti dal riordino in base ai criteri definiti dal Governo (ad esempio, i sindaci della provincia nel cui territorio si trova il comune capoluogo di regione). La mancanza dell'iniziativa dei comuni interessati, nonche' del parere della regione per l'avvio del procedimento di riordino - atti da intendersi entrambi costituzionalmente obbligatori - rende del tutto illegittima, a norma degli artt. 133, comma 1, e 71, comma 1, Cost., la presentazione della formale iniziativa legislativa da parte del Governo. In tal senso, sia consentito rammentare come, sia pure con riferimento al diverso - ma in ogni caso analogo - procedimento di revisione territoriale ex art. 132, comma 2, Cost., Codesta Ecc.ma Corte abbia avuto modo di precisare che la legge ordinaria dovesse limitarsi alla esclusiva attuazione dei soli adempimenti prescritti da detta norma costituzionale, rimanendo invece del tutto preclusa l'introduzione di ulteriori aggravi procedimentali non previsti, in quanto inidonei a perseguire «la finalita' di consentire la complessiva emersione di tutti gli interessi locali implicati nella operazione» (Corte cost., sent. n. 246 del 2010). Orbene, nel caso di specie risulta immediatamente evidente come la trasmissione delle proposte regionali di riordino formulate sulla base delle ipotesi dei CAL o degli organi di raccordo appaia del tutto inidonea a realizzare l'acquisizione delle posizioni dei singoli comuni interessati, obiettivo invece chiaramente perseguito dall'art. 133, comma 2, Cost. Anche sotto tale profilo, pertanto, l'art. 17 deve ritenersi manifestamente contrario al dettato costituzionale. 1.4. Peraltro, il coinvolgimento del CAL (o, in mancanza, dell'organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali) nell'ambito del procedimento descritto dalla disciplina statale censurata risulta altresi' profondamente lesivo delle competenze regionali attribuite dagli artt. 123 e 117, comma 4, Cost. E' appena il caso di rammentare come, in forza del menzionato art. 123, comma 4, Cost., «in ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali». Codesta Ecc.ma Corte, nel pronunciarsi proprio in ordine al Consiglio delle Autonomie locali, ha osservato come, alla stregua della richiamata disposizione costituzionale, lo stesso costituisca un «organo costituzionalmente necessario che deve essere disciplinato dallo statuto». Sulla base di tale presupposto, interpretando il menzionato art. 123, comma 4, Cost., Codesto Ecc.mo Giudice ha precisato che «quest'ultima disposizione, imponendo una espressa riserva statutaria, presuppone ovviamente che la fonte regolatrice sia nella disponibilita' della Regione» (Corte cost., sent. n. 370 del 2006). Dalle suddette riflessioni emerge chiaramente, allora, come ogni regolamentazione e specificazione delle funzioni consultive del CAL, nonche' l'eventuale attribuzione allo stesso di ogni ulteriore compito spetti in via esclusiva all'autonomia statutaria regionale, stante la predetta riserva sancita dalla Carta costituzionale. Orbene, nel caso di specie il legislatore statale, assegnando al CAL delle competenze eccedenti le funzioni consultive di tale organo, ha illegittimamente invaso la sfera di disciplina strettamente riservata all'autonomia statutaria delle regioni. Con precipuo riferimento alla Regione Lombardia, il Consiglio delle Autonomie locali e' stato istituito con DUPCR n. 3 del 10 gennaio 2011, trovando compiuta disciplina nell'art. 54 dello Statuto d'Autonomia lombardo, nonche' nella l.r. n. 22/2009. E' appena il caso di rilevare come, tra le varie funzioni che la Regione ricorrente ha attribuito a tale organo, non rientrano di certo quelle previste dalle disposizioni oggetto dell'odierna questione di legittimita' costituzionale. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, l'art. 17 d.l. n. 95/2012 risulta altresi' in contrasto sia con l'art. 123, comma 4, Cost., sia con la competenza legislativa residuale (e quindi esclusiva) in materia di disciplina della propria organizzazione interna che l'art. 117, comma 4, cost. riconosce alle Regioni. 1.5. Un ulteriore profilo di incostituzionalita' della disciplina statale deve essere rinvenuto nella previsione secondo la quale il riordino delle province avvenga nell'Osservanza di requisiti minimi, la cui individuazione e' rimessa al Consiglio dei Ministri sulla base dei soli criteri della dimensione territoriale e della popolazione residente in ciascuna provincia (comma 2). Analoghe censure possono essere mosse nei confronti della disciplina relativa alla determinazione dei parametri per l'individuazione del comune capoluogo delle nuove province risultanti in esito al riordino (comma 4-bis). In quest'ultimo caso, il criterio della dimensione demografica o all'accordo tra i Comuni interessati, non tiene conto dell'evidente necessita' di assicurare al capoluogo una certa centralita' all'interno del nuovo contesto territoriale. Sia consentito evidenziare come alla luce dei parametri individuati dalla Delibera del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012, le province di Sondrio, Mantova, Monza Brianza, Cremona, Lodi, Como Lecco Varese, non rispettano i prescritti requisiti demografici e territoriali. Ma, soprattutto, la definizione di tali criteri e' avvenuta in totale assenza di un idoneo titolo competenziale legittimante all'interno del dettato costituzionale. Di certo, tale potesta' non puo' essere rinvenuta all'interno dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., alla stregua del quale la competenza statale deve limitarsi a legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Ne' alcuna attribuzione puo' discendere dal comma 3 dello stesso articolo costituzionale. Peraltro, il potere statale di determinare tali criteri non trova nemmeno riscontro nell'art. 133 Cost., il quale, come gia' visto, si limita infatti a riservare ai Comuni interessati l'atto di iniziativa dello speciale procedimento per il mutamento delle circoscrizioni provinciali, da realizzarsi con eventuale legge provvedimento dello Stato. Nella richiamata disposizione costituzionale, tuttavia, alcun riferimento e' rinvenibile in ordine alla possibile determinazione ex lege di requisiti minimi delle circoscrizioni medesime. Del resto, i criteri posti dalla Delibera del 20 luglio - in disparte ogni fondato rilievo sulla congruita' e appropriatezza - vengono stabiliti con deliberazione del Consiglio dei Ministri in aperta violazione della riserva di legge operante ai sensi dell'art. 133 Cost. L'art. 17, al comma 2, si limita ad una generica enunciazione dei criteri della dimensione territoriale e della popolazione residente in ciascuna provincia, senza definire alcuna loro parametrazione, neanche di massima, mentre la loro effettiva individuazione viene attribuita al Governo. L'Esecutivo risulta cosi' dotato di un potere pienamente discrezionale e del tutto arbitrario, in evidente spregio della ratio dell'art. 133 Cost., che al contrario vincola eventuali mutamenti delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province allo strumento della legge, posto a chiaro presidio dei principi democratici e autonomistici e della identita' territoriale delle Province. Peraltro, non sfugge a codesta Regione come, prima della riforma del Titolo V, la revisione delle circoscrizioni provinciali abbia trovato la propria disciplina ad opera dell'art. 16 l. n. 142/1990 (poi rinnovato dall'art. 21 d.lgs. n. 267/2000), il quale conteneva la fissazione di alcuni criteri e indirizzi per l'esercizio dell'iniziativa comunale ex art. 133 Cost., relativi, tra l'altro, alla dimensione territoriale e all'ampiezza demografica di ciascuna provincia. Tuttavia, occorre rilevare che detti criteri, oltre a non essere rigidi ma solo tendenziali, trovavano allora giustificazione alla stregua del previgente testo del Titolo V, a norma del quale le Province erano anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale (art. 129 Cost.) e svolgevano funzioni determinate in via generale e attribuite dallo Stato o delegate dalle regioni, per quanto di rispettiva competenza (art. 118 v.t. e art. 128 v.t. Cost.). A seguito della l.cost. n. 3/2001, gli artt. 5 e 114 cost. riconoscono ora le Province quali enti autonomi costitutivi della Repubblica, dotati di propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Nell'ambito del nuovo disegno costituzionale, e' altresi' opportuno rilevare che alle Province spetta il conferimento di funzioni amministrative sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Pertanto e' ben possibile che le stesse, in virtu' dei predetti canoni, siano attributarie di funzioni diverse in base alle diverse esigenze rilevanti sul territorio. In altre parole, in base ai nuovi principi che regolano il conferimento delle funzioni amministrative, non sono le caratteristiche territoriali delle autonomie locali a dover essere adeguate alle funzioni amministrative «decentrate» dallo Stato e dalla Regione, ma le funzioni medesime a dover essere riconosciute come «proprie» o a dover essere «conferite» ad autonomie locali costitutive della Repubblica sulla base del principio di sussidiarieta' e dunque anche in maniera differenziata tra provincia e provincia secondo criteri di adeguatezza funzionale. Venuto meno il precedente criterio di uniformita' delle competenze dei vari livelli di autonomia locale, non trova quindi alcun possibile fondamento nel nuovo Titolo V della Costituzione la fissazione di criteri rigidi per il riordino territoriale delle Province. Sotto diverso profilo, la determinazione da parte dello Stato di requisiti minimi, fondati sulla dimensione territoriale e la popolazione residente, risulta altresi' in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalita', con violazione dell'art. 3 Cost. E' immediatamente evidente, infatti, come il riferimento esclusivo a parametri dimensionali ovvero demografici finisca per svilire e non tenere nel benche' minimo rilievo la natura storico-identitaria delle autonomie territoriali, sancita dagli artt. 1, 2, 5 e 114 cost. In tal senso, il legislatore statale mostra di trascurare la necessita' di prendere in prioritaria considerazione criteri storici e culturali per la delimitazione dei confini provinciali e l'individuazione dei rispettivi capoluoghi. Inoltre, anche a voler concedere che possa costituire un titolo competenziale idoneo quello invocato (ma non meglio qualificato) dal legislatore statale «al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio», i rigidi criteri fissati per il riordino delle Province appaiono irragionevoli e sproporzionati rispetto agli obiettivi medesimi, determinando un vulnus dei principi costituzionali fondamentali della sovranita' popolare, dell'inviolabilita' dei diritti delle formazioni sociali e dell'autonomia locale, i quali non appaiono adeguatamente ponderati nell'ambito di quel ragionevole bilanciamento dei valori che avrebbe dovuto piu' correttamente orientare il legislatore statale nel legittimo perseguimento delle proprie finalita' di contenimento della spesa. Alla luce delle considerazioni appena svolte, appare manifesta l'illegittimita', nonche' l'irragionevolezza delle previsioni censurate. Peraltro, tale illegittimita' sussisterebbe anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui si ritenesse che il predetto intervento legislativo possa trovare giustificazione nell'ambito della competenza legislativa statale di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica. In tal senso, deve infatti osservarsi che la disciplina statale risulta gia' da un primo esame non coerente con le condizioni poste dalla giurisprudenza costituzionale per il legittimo esercizio della competenza medesima. Secondo l'orientamento ormai consolidato e costante di Codesta Ecc.ma Corte, infatti, affinche' le disposizioni con cui lo Stato pone dei vincoli all'autonomia regionale possano dirsi legittime occorre che le stesse «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (in tal senso, di recente, Corte cost., sentt. n. 148 e n. 193 del 2012). Nel caso di specie, tuttavia, nessuna delle due suddette condizioni risulta rispettata. Da una parte, infatti, la normativa volta a ridurre la spesa mediante il «riordino delle province» intenderebbe produrre l'effetto - strutturale e niente affatto transitorio - della soppressione delle Province che non rispondono ai criteri fissati dallo Stato. Dall'altra, la rigida determinazione di tali criteri (individuati come requisiti minimi di dimensione territoriale e popolazione residente) risulta demandata direttamente dal Governo (con atto non normativo non soggetto al raccordo con le regioni e gli enti locali), senza alcuna possibilita' di adattamento alle esigenze del territorio degli obiettivi di riduzione della spesa. Peraltro, in riferimento alle perseguite finalita' di contenimento della spesa pubblica, e' bene precisare come dalla relazione tecnica al disegno di legge di conversione del d.l. n. 95/2012 non sia dato evincere alcun criterio di esatta quantificazione degli effetti finanziari conseguibili. Le menzionate previsioni, pertanto, risultano del tutto inidonee a definire norme di coordinamento della finanza pubblica, derivandone la violazione degli artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, Cost. 1.6. In ultimo, la disciplina relativa al procedimento di riordino delle province risulta altresi' incompatibile con gli artt. 3, 118, 120 e 133 Cost., nella parte in cui viene configurata un'ipotesi di esercizio del potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni nel caso di mancato invio delle proposte di riordino da parte di queste ultime. In particolare, il comma 4 dell'art. 17 dispone che se entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 95/2012 una o piu' proposte di riordino non sono trasmesse dalla Regione al Governo, il provvedimento legislativo di riordino delle Province e' assunto previo parere della Conferenza unificata. Peraltro, il meccanismo surrogatorio delineato dalla disposizione sopra descritta non risulta coerente con i requisiti e presupposti stabiliti dalla costante giurisprudenza costituzionale in ordine al corretto esercizio di un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti territoriali. Requisiti che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione trovano ora anche positivo fondamento nell'art. 120, comma 2, cost. e nell'art. 8 l. n. 131/2003, che al primo da' attuazione. In primo luogo, e' pacifico l'orientamento di Codesta Ecc.ma Corte secondo cui la sostituzione trova il proprio ontologico presupposto nel mancato o inesatto adempimento di atti o attivita' dovuti o necessari, ossia privi di discrezionalita' nell'an (in tal senso, si vedano a titolo meramente esemplificativo, Corte cost., sentt. n. 240 e n. 43 del 2004, nonche' sent. n. 177 del 1988). Appare chiaro come tali non possano certo ritenersi le proposte regionali di riordino delle province, le quali vanno intese come atti di iniziativa del procedimento di revisione ex art. 133, comma 1, Cost., e quindi, con ogni evidenza, assolutamente discrezionali e certamente non vincolati. Sotto diverso profilo, non risulta nemmeno rispettato il principio di leale collaborazione. Dall'esame della disciplina censurata emerge come l'eventuale ritardo nella trasmissione della proposta di riordino comporti l'automatica sostituzione della volonta' regionale da parte del Governo, senza che sia garantita alla Regione interessata alcuna interlocuzione, ne' «alcuna limitazione procedurale, che consenta all'ente inadempiente di compiere l'atto» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011). In tal senso, non e' dato rinvenire all'interno della disciplina censurata nessuna delle fasi procedimentali prescritte dall'art. 8 l. n. 131/2003. Ne' il mero parere espresso dalla Conferenza unificata in ordine al provvedimento legislativo di riordino puo' ritenersi satisfattivo delle garanzie partecipative delle singole Regioni. Peraltro, la mancata predisposizione di adeguate forme di collaborazione assume un profilo ancor piu' lesivo nella misura in cui, attraverso l'esercizio del suddetto intervento sostitutivo, lo Stato diventa l'unico attore di una fattispecie costituzionale che, alla stregua delle chiare indicazioni desumibili dall'art. 133, comma 2, Cost., non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale, che pretermetta del tutto la necessaria iniziativa dei comuni interessati e della consultazione regionale. Ne' si puo' ritenere che l'atto di iniziativa del procedimento di revisione delle circoscrizioni provinciali (sul quale deve essere sentita anche la Regione) possa essere oggetto di una chiamata in sussidiarieta' dello Stato, giacche' in tal modo la «flessibilizzazione» di una specifica competenza assegnata direttamente dalla Costituzione - e non, in via mediata, dalle leggi di conferimento delle funzioni amministrative ai sensi dell'art. 118 cost. - ridonderebbe nella violazione del principio di rigidita' costituzionale ricavabile dall'art. 138 Cost. In ultimo, ad aggravare ulteriormente la lesione del principio di lealta' istituzionale, la scrivente difesa non puo' esimersi dal rilevare come a norma del comma 4 del censurato art. 17 il termine a quo per l'esercizio del potere sostitutivo statale inizia a decorrere ancor prima della scadenza del termine ad quem per l'adozione dei provvedimenti oggetto della surrogazione. In tal senso, il potere sostitutivo e' azionato dallo Stato nel caso di mancato invio delle proposte regionali di riordino entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 95/2012, ossia il 15 ottobre 2012. Tuttavia, il precedente comma 3 assegna alle Regioni, come termine massimo per la trasmissione di tali proposte, 92 giorni dalla data di pubblicazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri avente ad oggetto l'individuazione dei requisiti minimi di riordino (ossia il 24 ottobre 2012). Il meccanismo sostitutivo delineato dalla disciplina statale, nella parte in cui riconosce al Governo un potere sostitutivo azionabile ancor prima del decorso integrale dei termine per il compimento dell'attivita' oggetto di sostituzione, risulta manifestamente illegittimo, oltre che per violazione dell'art. 120, comma 2, Cost., anche per contrasto con l'essenziale principio di razionalita' interna della legge, sancito dall'art. 3 Cost. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 6 e 12, del d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 135/2012, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. 2.1. L'art. 17 del d.l. n. 95/2012 risulta altresi' illegittimo nella parte in cui, ai commi 6 e 12, fa salve alcune disposizioni dell'art. 23 d.l. n. 201/2011, le quali sono state oggetto di precedente impugnazione da parte della Regione Lombardia dinanzi a Codesta Ecc.ma Corte, anche a tutela delle Province presenti sul proprio territorio (reg. ric. n. 24 del 2012, Udienza pubblica fissata al 6 novembre 2012). In particolare, il predetto comma 6, nel dare attuazione all'art. 23, comma 18, d.l. n. 201/2011, dispone il trasferimento ai comuni delle funzioni precedentemente conferite alle province con legge statale nelle materie di competenza esclusiva ex art. 117, comma 2, Cost., fatte salve le funzioni di indirizzo e coordinamento di cui al comma 14 del menzionato art. 23. Il successivo comma 12 dell'art. 17, invece, fa salvo l'art. 23, comma 15, d.l. n. 201/2011 (anch'esso gia' oggetto di ricorso), confermando la limitazione degli organi della provincia solamente al Consiglio provinciale e al Presidente della Provincia. Le norme oggi censurate, nel richiamare le suddette previsioni dell'art. 23, risultano viziate dagli stessi profili di illegittimita' gia' dedotti dalla Regione Lombardia dinanzi a Codesta Ecc.ma Corte nei confronti di tale ultimo articolo. A tal fine, sia consentito richiamare le censure avanzate dalla ricorrente nell'ambito del giudizio di costituzionalita' precedentemente instaurato. In tale sede, e' stato in primo luogo posto in rilievo come l'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l. n. 201/2011 sia gravemente viziato da irragionevolezza, arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, ridondanti in una grave illegittimita' per contrasto con il principio di ragionevolezza, nonche' in riferimento agli artt. 1 e 5 Cost. Tale articolo opera invero un radicale intervento che colpisce in profondita' funzioni, organi e caratteristiche rappresentative delle Province, alterando completamente la fisionomia del sistema delle Autonomie locali. L'intervento normativo incide in modo diretto sul livello della rappresentanza politica e sulle funzioni. Viene determinata la drastica riduzione degli amministratori, e' disposta l'eliminazione delle elezioni provinciali dirette, si realizza sostanziale svuotamento delle funzioni, fatte salve imprecisate e generiche funzioni di «indirizzo e di coordinamento», che all'evidenza necessitano di ulteriori strumenti di chiarificazione e di definizione. In particolare, si espongono a gravi e fondate critiche di legittimita' le disposizioni che prevedono: a) la limitazione delle funzioni provinciali esclusivamente a quelle «di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14); b) l'obbligo imposto alle Regioni di provvedere (entro il 31 dicembre 2012) al trasferimento ai Comuni (salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza) delle funzioni provinciali, con previsione, in caso di inadempimento, di esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 131 del 2003 (comma 18); c) l'obbligo imposto alle Regioni di provvedere altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia (comma 19). Le impugnate disposizioni rendono necessaria la riallocazione di funzioni, personale, risorse e strutture sia verso i Comuni, sia verso la Regione. L'intervento denota una grave carenza valutativa in termini di compatibilita' costituzionale, dimensione effettiva della trasformazione e funzionalita' rispetto agli obiettivi da perseguire. E' tanto piu' irragionevole perche' operata mediante lo strumento d'urgenza del decreto-legge. Produce inoltre una serie di paradossi che si oppongono, in modo assai deciso, al conseguimento degli obiettivi attesi dalla sua attuazione. Ed infatti, nonostante la perentoria proclamazione dell'intestazione dell'articolo, il risultato dell'attuazione della norma non si traduce in immediati e rilevanti risparmi di spesa, la quale spesa semplicemente viene spostata verso il nuovo destinatario delle funzioni amministrative precedentemente provinciali. Senza contare, poi, che il sistema risultante dalle disposizioni di cui all'art. 23 non esclude, ma anzi presuppone e quindi autorizza, una proliferazione di apparati amministrativi di livello regionale e sovracomunale (con particolare riguardo agli organi di raccordo previsti dal comma 21) e provinciale (le strutture che forniranno il supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia di cui al comma 19). In ultimo, non e' peregrino ritenere che la portata della trasformazione determinata dal d.l. n. 201/2011 implichi un processo lungo, conflittuale e con costi difficilmente quantificabili. L'insorgenza certa di tali criticita', connessa all'immediata operativita' della norme impugnate, certamente contraddice frontalmente la ratio ispiratrice dell'art. 23. Gravissime appaiono le ripercussioni delle norme in questione in ordine alla gestione delle cd. «aree vaste». In tal senso, le misure di rimodellazione della rappresentanza politica della Provincia e di riallocazione forzata delle funzioni sono state assunte in assenza di qualsivoglia indicatore di segno negativo che contraddicesse l'appropriatezza delle Province quale ambito territoriale ottimale per la gestione delle funzioni relative ad aree vaste. Dovendosi escludere che tutte le funzioni provinciali da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, possano essere assunte direttamente dalla Regione, e' da ritenere che - fino a una futura razionalizzazione dell'assetto organizzativo degli enti locali regionali - si verifichera', con ogni probabilita', un aumento dei costi, determinato dall'istituzione di nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal venir meno delle economie di scala su base provinciale e, comunque, dalla necessita' di far fronte ad una fase di riorganizzazione certamente complessa e conflittuale. In aggiunta, deve porsi in rilievo come la riforma attuata dall'art. 23 colpisca le province solo quali enti autonomi, ovvero enti di gestione di funzioni amministrative regionali, e non anche quali ambiti di articolazione periferica dello Stato. L'ambito di decentramento statale di livello provinciale, con riguardo a numerosissime funzioni, continua ad essere pienamente operativo e assolutamente non inciso (si pensi al ruolo degli uffici territoriali del Governo-prefetture, dei provveditori scolastici, delle soprintendenze per i beni culturali). Non e' possibile, infine, tacere che le norme qui impugnate non introducono nessun elemento di adattamento a contesti territoriali che presentano caratteristiche di profonda differenziazione sul territorio nazionale. I gravi e numerosi problemi rendono palese l'incongruita', l'inadeguatezza e la piena insufficienza delle disposizioni di cui ai commi dal 14 al 20, dell'art. 23 rispetto al conseguimento dell'obiettivo di snellimento, semplificazione e riduzione dei costi del sistema. Sotto diverso profilo, appare evidente come l'impianto complessivo disegnato dall'art. 23, e in particolare dai commi 15, 16 e 20, si ponga in chiaro contrasto con l'autonomia costituzionalmente garantita delle Province, in aperta violazione dell'art. 114 Cost. Cio' appare chiaro nella misura in cui legislatore statale ha inteso trasformare radicalmente l'ente, sopprimendo le giunte provinciali e mantenendo quali unici organi di governo il Consiglio provinciale e il Presidente della Provincia (comma 15), nonche' prefigurando una rappresentanza di secondo grado dei futuri Consigli provinciali (comma 16) e la conseguente decadenza degli organi in carica delle Province (comma 20). La soppressione dell'organo esecutivo provinciale appare inoltre in stridente contrasto con l'attribuzione ad opera del DL 95/2012 di un fascio di funzioni di grande rilievo e complessita', individuate dai legislatore statale come proprie e indefettibili dell'ente. In tal modo, la disciplina statale ha di fatto disconosciuto alla Provincia la natura di ente autonomo costitutivo della Repubblica cui spetta una sfera incomprimibile di poteri, funzioni e competenze. In questo senso, il comma 19, stabilendo che io Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, si pone palesemente in contrasto con l'autonomia statutaria, organizzativa nonche' finanziaria delle Province e con la riserva di potere regolamentare di cui all'art. 117, comma 6. Anche a voler concedere che il predetto intervento legislativo possa trovare la propria giustificazione nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., in materia di legislazione elettorale ed organi di governo di Comuni e Province, non puo' certo revocarsi in dubbio come lo Stato non possa tuttavia incidere sul carattere democratico dell'ente territoriale, implicato dal principio autonomistico di cui agli artt. 5 e 114 Cost. Ulteriore ragione di illegittimita' dell'art. 23 deve essere poi rinvenuta nell'obbligo per le Regioni di riallocare le funzioni conferite alle Province dalla vigente legislazione regionale. Tale imposizione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata e illegittima ove si pensi che l'art. 23 non determina la soppressione assoluta dei predetti enti, i quali, ancorche' depotenziati, continuano comunque ad essere presenti nell'ordinamento. Ben possono, quindi, essere scelti discrezionalmente dalle Regioni quali soggetti istituzionali destinatari delle funzioni regionali, cosi' come del resto stabilito dallo stesso art. 118 Cost. Di contro, a nulla varrebbe per lo Stato invocare il menzionato art. 117, comma 2, lett. p), cost. Codesta Ecc.ma Corte ha, infatti, chiaramente affermato che «quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto art. 118, secondo comma, sta di fatto che sara' sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni»(Corte cost., sent. n. 43 del 2004). Orbene, l'obbligo di riallocazione delle funzioni imposto al legislatore regionale determina un'illegittima invasione delle attribuzioni delle Regioni, nella misura in cui viene a limitare la loro autonomia in merito alla determinazione del livello territoriale di governo piu' idoneo all'esercizio di funzioni di loro competenza. Invasione tanto piu' grave e manifesta ove solo si consideri che l'art. 23 prevede espressamente l'esercizio di un potere sostitutivo statale - per giunta di carattere legislativo - in caso di mancato adempimento. Alla luce delle censure sopra Osservate, non pare revocabile in dubbio come i commi 6 e 12 dell'art. 17 d.l. n. 95/2012, nel fare salve, ovvero dare attuazione alle previsioni recate dal menzionato art. 23 d.l. n. 201/2011, finiscono per ripetere e confermare il grave vulnus arrecato dalle stesse a danno della sfera di competenze regionali. Ne deriva la loro manifesta illegittimita' costituzionale. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 11, del d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 135/2012 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Infine, un'ultima ragione di illegittimita' del menzionato art. 17 d.l. n. 95/2012 si rinviene nella parte in cui, dopo aver individuato le funzioni di area vasta quali funzioni fondamentali delle province (comma 10), al successivo comma 11 riconosce alle Regioni le sole funzioni di programmazione e di coordinamento, spettanti nelle materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, Cost., nonche' quelle esercitate ai sensi dell'art. 118 Cost. In altre parole, la norma suddetta, qualora dovesse essere interpretata nel senso di limitare il ruolo regionale all'esclusivo svolgimento dei compiti sopra individuati, sottrarrebbe di fatto alle Regioni tutte le funzioni non espressamente richiamate, malgrado le stesse siano pacificamente spettanti ai sensi del chiaro disposto degli artt. 117 e 118 cost. E', infatti, fuori di dubbio che alla stregua del dettato costituzionale il novero dei poteri regionali in materia di esercizio delle funzioni amministrative non possa ritenersi esaurito - a differenza di quanto sembra invece affermare la norma statale - dalle sole attribuzioni di programmazione e coordinamento. In tal senso, non sfugge certo alla scrivente difesa che l'art. 118, comma 1, Cost., nella formulazione successiva alla riforma del Titolo V, ha enunciato il principio della competenza generale dei Comuni come enti istituzionali attributari in via preferenziale delle funzioni amministrative. Tuttavia, non puo' certo trascurarsi che tale norma costituzionale reca invero un criterio direttivo e di orientamento nei confronti del legislatore regionale. Del resto, tale conclusione trova espressa conferma anche nella giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte. In particolare, «quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto art. 118, secondo comma, sta di fatto che sara' sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni» (Corte cost., sent. n. 43 del 2004). Appare, pertanto, evidente che, dal momento che l'attribuzione in concreto delle funzioni amministrative necessita pur sempre di una legge statale o regionale di conferimento, non v'e' dubbio alcuno che la Regione ben potra' disporre di un ampio novero di funzioni che potra' delegare, tra gli altri, anche alle Province sulla base dei principi di differenziazione, adeguatezza e sussidiarieta'. Tale configurazione non esclude, pertanto, che nella propria opera di concreta destinazione delle funzioni amministrative rientranti nelle materie di propria competenza ex art. 117, commi 3 e 4, Cost., la Regione possa riservare a se' l'esercizio di compiti diversi ed ulteriori rispetto a quelli di programmazione e coordinamento. Limitando invece il ruolo regionale allo svolgimento esclusivo di tali ultimi compiti, la disposizione censurata illegittimamente ridimensiona in maniera sensibile il potere della Regione di optare per un diverso sistema di riparto delle funzioni amministrative. Cio' in palese violazione delle previsioni costituzionali sancite dagli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost.
P. Q. M. Chiede che Codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4 e 4-bis, comma 11, nonche' commi 6 e 12, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invadenza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», per violazione degli artt. 1, 2, 3, 5, 71, comma 1, 77, comma 2, 97, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, 123, comma 4, 133 e 138 della Costituzione. Roma, 12 ottobre 2012 Prof. Avv. Caravita di Toritto