N. 159 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale del 19 ottobre 2012 del Presidente della Corte Costituzionale a norma dell'art. 20 delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Obbligo per le Regioni di procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato di prestazioni di servizi in favore della p.a. superiore al novanta per cento dell'intero fatturato - Previsione che ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette societa' non possono comunque ricevere affidamenti diretti, ne' possono fruire di rinnovi di affidamenti di cui sono titolare e che i servizi gia' prestati dalle societa', ove non vengano prodotti nell'ambito delle amministrazioni, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale - Previsione della non applicazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti, ove non sia possibile per l'amministrazione controllante un efficace ed utile ricorso al mercato dell'attivazione di una speciale procedura per accertare i casi in cui per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento, che prevede anche l'acquisizione di un parere vincolante dell'Autorita' garante della concorrenza - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, di solidarieta' sociale e di leale collaborazione - Denunciata violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario, in tema di affidamenti in house. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 1, 2 e 3. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione, per le pubbliche amministrazioni ed i soggetti aggiudicatari di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, della limitazione dell'affidamento dei sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico del servizio sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione - Denunciata violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario, in tema di affidamenti in house. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 7 e 8. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che le Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari, in misura non inferiore al 20 per cento, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto-legge impugnato, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione, o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 della Costituzione - Previsione di apposita procedura articolata in tre fasi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie ed organismi; b) definizione mediante intese da adottarsi in sede di Conferenza unificata dei costi e delle tempistiche per l'attuazione delle norme; c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie ed organismi, con conseguente nullita' di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province ed i Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del decreto, non abbiano dato attuazione al precetto normativo - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riduzione delle spese di personale - previsione che ai fini dell'applicazione dei parametri previsti dall'art. 19, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 e dall'art. 4, comma 69, della legge n. 183 del 2011 (relativi al dimensionamento della rete scolastica ed al Piano di Dimensionamento regionale) che per aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistica si intendono quelle nelle quali siano presenti minoranze di madre lingua straniera - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata violazione del principio di uguaglianza - Denunciata violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 14, comma 16. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Sanita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria - Riduzione delle spese sanitarie per l'acquisto di beni e servizi - Previsione da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano dell'obbligo di adottare entro il 31 dicembre 2012 provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivo di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni - Previsione che la riduzione dei posti letto e' a carico dei presidi ospedalieri pubblici per una quota non inferiore al 50 per cento del totale dei posti letto da ridurre e che e' conseguita esclusivamente attraverso la soppressione di unita' operative complesse - Previsione della sospensione del conferimento e rinnovo degli incarichi ai sensi dell'art. 15-septies del d.lgs. n. 502 del 1992, fino ad avvenuta realizzazione della riduzione stessa - Previsione per le Regioni e le Province autonome dell'obbligo di operare una verifica, sotto il profilo assistenziale gestionale, della funzionalita' delle piccole strutture ospedaliere pubbliche e di promuovere l'ulteriore passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale, favorendo l'assistenza residenziale e domiciliare - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione della potesta' legislativa regionale in materia di organizzazione dei propri uffici e del relativo personale, nonche' in materia di igiene e sanita' e di assistenza sanitaria ed ospedaliera, gia' disciplinata con normative regionali, mediante l'adozione di una disciplina minuziosa e di dettaglio. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 15, comma 13. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Sanita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria - Riduzione delle spese sanitarie per l'acquisto di beni e servizi - Previsione della riduzione del livello di fabbisogno del servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e di 2100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione della potesta' legislativa regionale in materia di organizzazione dei propri uffici e del relativo personale, nonche' in materia di igiene e sanita' e di assistenza sanitaria ed ospedaliera, gia' disciplinata con normative regionali, mediante l'adozione di una disciplina minuziosa e di dettaglio. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 15, comma 13. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa degli enti territoriali - Previsione che con le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013, 1.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e che l'importo del concorso alla manovra e' annualmente accantonato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti della Regione e stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 3. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa degli enti territoriali - Previsione che nelle more dell'attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province e' fatto divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti della Regione e stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 9. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riordino delle Province e loro funzioni - Previsione del riordino di tutte le Province delle Regioni a statuto ordinario, mediante decreto da emanarsi, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, con deliberazione del Consiglio dei ministri, sulla base dei requisiti minimi da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati con la deliberazione predetta, rispettivamente, in 2500 km. e in 350.000 abitanti) - Prevista partecipazione al riordino delle Province mediante atto legislativo ad iniziativa governativa, all'esito di una procedura cui partecipano il Consiglio delle autonomie locali delle singole Regioni a statuto ordinario e le Regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di riordino e previo parere della Conferenza unificata - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province - Lesione del principio di ragionevolezza per l'adozione di una misura sproporzionata e non efficace rispetto alla finalita' dichiarata dalla normativa impugnata di riduzione della spesa pubblica - Denunciato illegittimo uso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza - Denunciata violazione dell'assetto costituzionale ed ordinamentale della Regione - Denunciata violazione dell'autonomia regionale in relazione ai principi di sussidiarieta' verticale e di adeguatezza - Denunciata lesione della potesta' regolamentare delle Province - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Violazione del principio costituzionale della partecipazione della popolazione interessata alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17. - Costituzione, artt. 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133; Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 3, 4, nn. 1 e 1-bis, 8, 49 e 54; d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9; legge 13 dicembre 2010, n. 220; legge 15 dicembre 1999, n. 482.(GU n.49 del 12-12-2012 )
Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (cod. fiscale 80014930327; p. IVA 00526040324) in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott. Renzo Tondo, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1690 del 27 settembre 2012 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355, Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1, 2, 3, 7 e 8; dell'art. 9; dell'art. 14, comma 16; dell'art. 15, commi 13 e 22; dell'art. 16, commi 3 e 9; dell'art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata nella G.U. n. 189 del 14 agosto 2012, Per violazione: - degli artt. 3, 4, n. 1 e n. 1-bis, 8, 49 e 54 dello Statuto speciale; - degli articoli 2, 3, 6, 77, 117, 119 e 133 della Costituzione; - della legge n. 220/2010 e della legge n. 482/1999; del d.lgs. 9/1997; - del principio di leale collaborazione, per le parti, i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o Il d.l. 95/2012, intitolato Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario (c.d. spending review 2) e convertito nella legge n. 135/2012, contiene norme volte a ridurre la spesa pubblica. Alcune di esse sono, ad avviso della ricorrente Regione, lesive delle proprie competenze costituzionali, e percio' costituzionalmente illegittime. Data la diversita' degli oggetti sui quali tali norme intervengono, il loro oggetto e contenuto sara' illustrato direttamente in diritto, unitamente allo svolgimento delle censure. Alcune di esse, tuttavia, sono impugnate in via meramente cautelativa, per l'ipotesi che la clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis non sia ritenuta sufficiente ad assicurarne - nel momento della presente impugnazione - la non rilevanza per la Regione Friuli-Venezia Giulia, come meglio illustrato nella seguente Premessa generale sull'impugnazione degli articoli 4, 9 e 14. La presente impugnazione comprende alcune disposizioni degli articoli 4, 9 e 14. In relazione ad esse, tuttavia, la ricorrente Regione desidera sin dall'inizio precisare che l'impugnazione ha carattere subordinato, per l'ipotesi in cui si dovesse intendere che esse sono destinate ad applicarsi anche nel territorio regionale, o che comunque pongano attualmente limiti o vincoli alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Essa infatti ritiene che le disposizioni indicate non siano destinate a vincolarla, per il disposto della clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis, secondo la quale "fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all'azione di risanamento cosi' come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale". Sembra alla Regione che tale clausola renda del tutto inapplicabili ad essa ed alle proprie autonomie speciali tutte le rimanenti disposizioni, tranne quelle che a loro volta (come e' il caso dell'art. 17) contengano specifiche disposizioni sulla loro applicabilita' alle autonomie speciali. Poiche' gli articoli 4, 9 e 14 non contengono alcuna specifica menzione, si ritiene qui che esse non siano applicabili alle autonomie speciali, e si ritiene inoltre che tali disposizioni non pongano giuridicamente alcun vincolo ai modi con i quali in futuro le "procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione" ne disciplineranno eventualmente l'applicazione: come del resto codesta stessa ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte sentenziato (da ultimo v., in relazione a clausole di salvaguardia assai simili a quella posta dall'art. 24-bis qui in questione, le sentenze n. 198, n. 193 e n. 178/2012, con richiamo ai precedenti). La Regione ritiene che la non applicabilita' delle cennate disposizioni alle autonomie speciali, in forza della clausola di salvaguardia, non possa essere contraddetta da quanto statuito da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 289 del 2008. Allora la clausola di salvaguardia (comma 1-bis del decreto-legge n. 223 del 2006) era formulata come segue: «Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano in conformita' agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione», e la decisione ha ritenuto che la clausola di salvaguardia cosi' espressa fosse «troppo generica» per giustificare una conclusione di non applicazione delle norme del decreto, tanto che essa non risultava neppure precisato «quali norme dovrebbero considerarsi non applicabili alla ricorrente per incompatibilita' con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione e quali, invece, dovrebbero ritenersi applicabili». E' palese che tale non e' affatto la situazione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis. Questa infatti individua con precisione le disposizioni che, nonostante la clausola di salvaguardia, rimangono applicabili, con cio' individuando precisamente anche quelle non applicabili, costituite dall'insieme delle altre (in quanto non diversamente da esse disposto). Inoltre, l'art. 24-bis non condiziona l'applicabilita' delle disposizioni in questione ad un indeterminato giudizio di compatibilita', ma la esclude direttamente, rinviandola per il futuro alle "procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione", cioe' ad ulteriori e futuri atti normativi, il cui contenuto e' vincolato solo dallo Statuto e dalla stessa Costituzione. Ove invece - e contrariamente a quanto ora argomentato - si dovesse ritenere che le disposizioni impugnate degli articoli 4, 9 e 14 sono destinate ad applicarsi alla ricorrente Regione, allora esse risulterebbero costituzionalmente illegittime, unitamente alle altre impugnate con il presente ricorso, per le seguenti ragioni di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1, 2, 3, 7 e 8. L'art. 4 e' intitolato Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di societa' pubbliche. Il comma 1 riguarda le societa' controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato. La norma dispone che nei loro confronti si proceda (a) "allo scioglimento della societa' entro il 31 dicembre 2013", o alternativamente (b) "all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014". Il secondo comma dispone che "ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le predette societa' non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari", e che "i servizi gia' prestati dalle societa', ove non vengano prodotti nell'ambito dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale". Il comma 3, primo periodo, che non forma oggetto della presente impugnazione, esonera dalle predette disposizioni alcuni tipi di societa' (tra queste le "societa' che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica", le "societa' che svolgono prevalentemente compiti di centrali di committenza" e le "societa' finanziarie partecipate dalle regioni"). Il comma 3, secondo periodo, individua una procedura volta ad accertare i casi in cui "per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato" con la conseguenza della non applicazione delle predette disposizioni. Secondo il comma 3, terzo periodo, tale procedura comprende un parere vincolante dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, che viene comunicato "alla Presidenza del Consiglio dei Ministri". Il comma 7, primo periodo, dispone che "al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori nel territorio nazionale", a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni e i soggetti aggiudicatori di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, "nel rispetto dell'art. 2, comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attivita' mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo". Il comma 8 dispone che "a decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto puo' avvenire solo a favore di societa' a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. La Regione Friuli-Venezia Giulia ha da tempo costituito la propria organizzazione amministrativa, sia diretta che indiretta. Di tale organizzazione fanno parte anche talune societa' da essa partecipate, quali - a puro titolo esemplificativo, e per dare concretezza alla vicenda normativa di cui al presente ricorso - INSIEL, istituita a capitale interamente regionale principalmente per garantisce la coerenza e l'evoluzione del Sistema Informativo Integrato Regionale, e Friuli Venezia Giulia Strade S.p.a. costituita in forza del combinato disposto di cui all'art. 4 comma 87 della legge regionale 22 del 20 agosto 2007 e dell'art. 63 della legge regionale n. 23 del 20 agosto 2007 che hanno autorizzato l'Amministrazione regionale a costituire una societa' a capitale interamente pubblico avente per oggetto sociale esclusivo la progettazione, la realizzazione, la manutenzione, la gestione e la vigilanza di opere di viabilita'. Si tratta di societa' ben funzionanti, che da tempo maggiore o minore costituiscono parte integrante dell'organizzazione regionale. Si tratta, cioe', di societa' in house. Come e' ben noto la societa' in house costituisce uno strumento organizzativo alternativo alla utilizzazione delle proprie strutture amministrative, dotato di maggiore speditezza operativa e flessibilita' organizzativa, ragione per cui viene spesso utilizzata per compiti tecnici, come mostrano gli esempi sopra citati. E' nella natura di tali societa' quella di offrire servizi alle amministrazioni di appartenenza: si tratta, in realta', esattamente degli stessi servizi che verrebbero forniti dalle stesse strutture amministrative dell'amministrazione. Ove fossero forniti dalle strutture amministrative, essi non genererebbero un rapporto giuridico con l'ente pubblico; essendo invece forniti da societa' costituenti un soggetto giuridico separato, la fornitura di tali servizi da' luogo a rapporti contrattuali. Tuttavia, l'esistenza di tali rapporti non altera affatto il gioco della concorrenza, trattandosi - al di la' della natura formalmente contrattuale - dell'azione di un alter ego della stessa amministrazione. La tutela della concorrenza torna invece in gioco quando l'alter ego societario debba a sua volta acquistare beni e servizi da terzi: poiche' le societa' in house, al di la' della natura formalmente privata, costituiscono parti della stessa amministrazione, esse sono soggette esattamente alle stesse regole di gara delle amministrazioni di cui sono in sostanza parte. Cio' significa che, dal punto di vista della tutela della concorrenza e' perfettamente indifferente che l'amministrazione operi attraverso le proprie dirette strutture amministrative o attraverso una propria societa' in house. In questi termini, la decisione della Regione di operare attraverso le proprie strutture o attraverso proprie societa' in house e' una scelta puramente organizzativa, che non puo' essere compressa in nome della tutela della concorrenza, in quanto la problematica della concorrenza inizia esattamente al punto in cui le scelte organizzative dell'ente finiscono, e l'ente, una volta organizzatosi (nell'ambito della propria autonomia) utilizzando le proprie strutture o utilizzando strutture strumentali solo formalmente distinte, ha comunque bisogno di ricorrere al mercato. La distinzione fondamentale tra problematica organizzativa e problematica della concorrenza e' pienamente supportata dal diritto dell'Unione europea. Si considerino le decisioni della Corte di giustizia nelle cause C-26/03 (Stadt Halle) e C-573/07 (Sea), che talora sono state considerate in senso opposto. Nella prima, una volta constatato (punto 48) che una autorita' pubblica "ha la possibilita' di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante i propri strumenti ... senza essere obbligata a far ricorso ad entita' esterne", la Corte europea equipara a tale situazione il caso in cui essa utilizzi una "entita' distinta", qualora essa eserciti sull'entita' distinta in questione un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e tale entita' realizzi la parte piu' importante di tale attivita' con l'autorita' o le autorita' pubbliche che la controllano" (punto 49). Nella seconda, essa ribadisce lo stesso principio con riferimento all'ipotesi in cui il controllo analogo sia esercitato da una pluralita' di amministrazioni anziche' da una singola amministrazione (v. in particolare punti 56 e 57). Dunque, dal punto di vista del diritto dell'Unione europea il concetto di "amministrazione" include sia le strutture amministrative direttamente dipendenti dai suoi organi istituzionali, sia le "entita' distinte" sulle quali essa eserciti un controllo analogo (cioe' le societa' c.d. in house), senza che sia necessaria per tale scelta organizzativa alcuna particolare condizione di mercato o alcuna particolare giustificazione diversa da quelle che guidano qualunque altra scelta organizzativa. E tale scelta organizzativa non mette in gioco il problema della concorrenza, che sorge invece non appena la stessa amministrazione (sia come strutture dirette che come entita' collegata) si rivolga all'esterno per acquistare beni o servizi. Tale e' dunque il concetto di concorrenza nel diritto dell'Unione. E poiche', come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha sancito sin dalla sentenza 14/2004 "dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non puo' non riflettere quella operante in ambito comunitario" (punto 4 in diritto), tale e' la nozione di concorrenza anche nel diritto italiano. Da questo punto di vista, non sarebbe rilevante replicare che il legislatore italiano puo' dare alla concorrenza una tutela maggiore di quella imposta dal diritto dell'Unione: perche' non e' in gioco il grado di tutela della concorrenza, ma il concetto stesso di concorrenza, che non comprende il fenomeno. Ove il fenomeno ha natura puramente organizzativa, e non rileva dal punto di vista della concorrenza - la quale, come detto, nasce dopo l'organizzazione, e riguarda l'azione all'esterno - non vi puo' essere "tutela" della concorrenza, ne' piu' ampia ne' piu' ristretta. Si noti che la basilare distinzione ora richiamata e' da tempo nota anche nella giurisprudenza del massimo giudice amministrativo italiano, che sin dal 1998 ha affermato i seguenti principi: "L'organizzazione autonoma delle pubbliche amministrazioni rappresenta un modello distinto ed alternativo rispetto all'accesso al mercato. [...]. La tutela comunitaria del mercato non interferisce sino a disconoscere ai singoli apparati istituzionali ogni margine di autonomia organizzativa nell'approntare la produzione e l'offerta dei servizi e delle prestazioni di rispettiva competenza. Pertanto non si spinge sino a giustificare un sindacato sulle scelte legislative o amministrative che consentano ai pubblici poteri, nel produrre ed offrire servizi o beni, di optare per schemi di coordinamento e formule organizzatorie, teoricamente alternative rispetto all'acquisizione delle prestazioni destinate alla collettivita' per il tramite del mercato [...]. Se la costituzione di un soggetto dedicato e' idonea a garantire economie di scala, riduzione dei costi o razionalizzazione del bacino di utenza, l'opzione dell'ente locale non potrebbe esporsi ad alcuna censura solo perche' escludente il ricorso al confronto competitivo. [...]. Il ricorso alla produzione privata, disciplinato da regole di salvaguardia della concorrenza e l'esercizio del potere di organizzazione, sottratto ai vincoli concorsuali o concorrenziali validi per il ricorso al mercato, costituiscono due schemi distinti che vanno preservati da ogni equivoca commistione" (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 477). In definitiva, l'istituto dell'in house costituisce espressione di un principio generale, quello di auto-organizzazione o di autonomia istituzionale, in virtu' del quale gli enti pubblici (soprattutto gli enti locali dotati di un'autonomia costituzionalmente garantita) possono organizzarsi nel modo ritenuto puo' opportuno per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalita' istituzionali. Cio' non significa, ovviamente, che la legge statale non possa disciplinare determinati aspetti di tali societa': quello che non puo' fare, invece, e' precluderne semplicemente l'uso, incidendo sull'autonomia organizzativa costituzionalmente riconosciuta delle Regioni, ed in particolare della Regione Friuli Venezia Giulia, superando i limiti dei poteri legislativi riconosciuti dall'art. 117, commi secondo e terzo, ed in specifica violazione dell'art. 4, n. 1 dello statuto, che affida alla Regione la potesta' primaria in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione. Si noti che l'art. 4, comma 1, colpisce l'autonomia organizzativa della Regione in relazione alle societa' controllate "che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato": e si notera' facilmente che si tratta proprio del requisito del realizzare "la parte piu' importante di tale attivita' con l'autorita' o le autorita' pubbliche che la controllano" che la giurisprudenza comunitaria sopra citata esige per le societa' in house. Risultano dunque costituzionalmente illegittime, alla stregua di quanto ora considerato: - il comma 1, in quanto obbliga allo scioglimento delle societa' in house, o alla alienazione delle relative partecipazioni; - il comma 2, in quanto in caso di mancato adeguamento al comma 1 preclude l'affidamento di servizi a tali societa', che costituiscono meri strumenti organizzativi della stessa amministrazione, oltre la soglia prevista dal comma 8; - il comma 3, secondo periodo, in quanto limita la possibilita' di avvalersi delle societa' di cui al comma 1, oltre la soglia prevista dal comma 8, ai casi in cui "per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato", ed in quanto - aggiuntivamente -condiziona la valutazione regionale di tale verifica al consenso di un organo statale, quale l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato; - il comma 7, primo periodo, in quanto all'asserito ma non pertinente "fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori nel territorio nazionale", vieta alla Regione di organizzare la propria autoproduzione di beni e servizi affidandoli a societa' in house, oltre la soglia di cui al comma 8; - il comma 8, in quanto limita la possibilita' di utilizzare lo strumento della societa' in house alla condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Si noti che le predette disposizioni, che non possono essere giustificate dal punto di vista della tutela della concorrenza, non possono esserlo neppure dal punto di vista di altre clausole di competenza legislativa statale, quale il coordinamento finanziario o l'ordinamento civile. Al coordinamento finanziario potrebbe alludere l'intitolazione dell'art. 4, ove si fa riferimento alla Riduzione di spese. Tuttavia, senza pregiudizio di altre disposizioni dell'articolo, sicuramente nessuna riduzione di spesa e' possibile ipotizzare dalla attuazione delle disposizioni impugnate, non essendo affatto certo che il parcellizzato acquisto sul mercato di tutte le prestazioni svolte in regime di coordinata e programmata autoproduzione dalle societa' in house determini alcun risparmio. In ogni modo, l'autonomia organizzativa della Regione non potrebbe essere compressa in relazione ad una specifica modalita' organizzativa in nome di un generico coordinamento finanziario, oltre tutto privo di qualunque specifico contenuto economico. Quanto all'ordinamento civile, risulta ad avviso della ricorrente Regione evidente che, diversamente da altre disposizioni del d.l. n. 95/2012, le norme qui impugnate non determinano affatto un particolare e specifico regime civilistico di tali societa', ma si limitano a precludere alla Regione l'utilizzazione di facolta' e liberta' comuni a tutti i soggetti, vincolandone le scelte organizzative. Che non si tratti di norme di diritto civile, ed in particolare di norme sulla capacita' giuridica dell'ente pubblico, risulta anche dall'articolazione della disciplina recata dall'art. 4. In primo luogo, essa riguarda specifiche societa', e cioe' quelle che nel 2011 si siano trovate in una data condizione: societa' che siano state, o saranno, nella medesima condizione in un diverso periodo non sono interessate dalla disposizione. E non puo' certo esservi una capacita' giuridica o di agire dell'ente pubblico, che appare o scompare in funzione dell'anno in cui la attivita' della societa' partecipata ha una certa caratteristica. In secondo luogo, le conseguenze del mancato rispetto dell'obbligo di liquidazione o di cessione della partecipazione non hanno effetti ne' sulla esistenza della societa', ne' sulla validita' della partecipazione dell'ente pubblico, in quanto lo stesso art. 4 presuppone la perdurante operativita' della societa': cosi' il comma 2, sul divieto (a partire dal 2014) di ricevere affidamenti diretti. Come si e' argomentato, anche questa previsione e' incostituzionale, a giudizio della Regione; ma cio' nonostante, essa dimostra la estraneita' della disciplina impugnata all'ordinamento civile, e quindi alla competenza esclusiva dello Stato. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1, 4, 5 e 6. L'art. 9 e' intitolato Razionalizzazione amministrativa, divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi. Anche l'impugnazione dell'art. 9 avviene in subordine, per l'ipotesi che esso risultasse applicabile alla Regione Friuli-Venezia Giulia, nonostante la clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis. Il comma 1 dispone che, "al fine di assicurare il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative, le regioni, le province e i comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento, enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province, e citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118, della Costituzione". Il comma 1-bis precisa peraltro che "le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali". Il comma 4 dispone, a sua volta, che "se, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni, le province e i comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma I sono soppressi", e che "sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi. Il comma 5 dispone che, "ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell'art. 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni. Il comma 6, infine, fa "divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118, della Costituzione". Tutte le disposizioni censurate hanno contenuto prettamente organizzativo. In quanto riguardano la Regione esse violano la competenza primaria regionale di cui all'art. 4, n. 1 dello statuto, in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione (oltre che la competenza residuale in materia riconosciuta a tutte le Regioni). Per quanto si riferisce agli enti locali, risulta violata sia la competenza legislativa primaria della Regione in materia di ordinamento degli enti locali (art. 4, n. 1-bis), sia la competenza regionale in materia di finanza locale prevista dall'art. 54 dello Statuto (secondo il quale "allo scopo di adeguare le finanze delle Province e dei Comuni al raggiungimento delle finalita' ed all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, il Consiglio regionale puo' assegnare ad essi annualmente una quota delle entrate della Regione") e dalle norme di attuazione di cui all'art. 9 d. lgs. 9/1997, che ha precisato che "spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l'ordinamento finanziario e contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali" (co. 1), e che "la regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3" (co. 2). In attuazione di un accordo stipulato tra Regione e Stato, poi, l'art. 1, co. 132, legge 220/2010 ha stabilito che, "per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale... concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131". Il comma 134 aggiunge che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano che esercitano in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale provvedono, per gli enti locali dei rispettivi territori, alle finalita' correlate al patto di stabilita' interno, esercitando le competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione, definendo gli obiettivi complessivi di saldo finanziario, con riferimento agli enti locali della regione o provincia autonoma, nell'ambito degli accordi di cui ai commi 132 e 133 e nel rispetto dei relativi termini". Il comma 136 dispone che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 132, 133 e 134, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria". L'art. 1, co. 154, legge 220/2010 ha statuito poi quanto segue: "la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti e organismi strumentali, le aziende sanitarie e gli altri enti e organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla regione medesima in via ordinaria e prevalente costituiscono nel loro complesso il «sistema regionale integrato». Gli obiettivi sui saldi di finanza pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la regione sono realizzati attraverso il sistema regionale integrato. La regione risponde nei confronti dello Stato del mancato rispetto degli obiettivi di cui al periodo precedente". Infine, dal comma 155 risulta che "spetta alla regione individuare, con riferimento agli enti locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi per ciascun ente e le modalita' necessarie al raggiungimento degli obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo Stato per il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio". Dunque, la legge n. 220/2010 ha individuato le modalita' con cui la Regione Friuli-Venezia Giulia concorre agli obiettivi di finanza pubblica (per cui sono illegittimi i limiti relativi agli enti pararegionali) e soprattutto ha stabilito chiaramente che lo Stato non puo' dettare norme di coordinamento finanziario in relazione agli enti locali del Friuli-Venezia Giulia (i cui costi, del resto, sono a carico della Regione). La legge n. 220/2010 si e' basata su un accordo e non puo' essere unilateralmente derogata dal legislatore statale, pena la violazione del principio dell'accordo che domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali. Risulta infine evidentemente violata anche la stessa autonomia organizzativa degli enti locali, garantita dall'art. 114, comma secondo, della Costituzione, nonche' 117, comma sesto (secondo periodo), in tema rispettivamente di autonomia statutaria e regolamentare. Le disposizioni sopra riportate si rivelano poi costituzionalmente illegittime per le seguenti specifiche ragioni. In primo luogo, e' illegittimo il vincolo posto dal comma 1 a regioni, province e comuni a sopprimere o accorpare gli "enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica", o a ridurre almeno del 20% gli oneri finanziari in misura relativi ad essi. Quanto alla soppressione, si tratta di un irragionevole vincolo alla potesta' di autonomia organizzativa della Regione e degli enti autonomi, smentito del resto dallo stesso legislatore, che lo pone in alternativa alla predetta riduzione degli oneri finanziari. Ma anche tale vincolo e' illegittimo, in quanto vincolo ad una specifica voce di spesa, che per giunta non rappresenta ne' un aggregato complessivo ne' un aggregato significativo, essendo evidente che sia le funzioni che le strutture che attualmente esercitano le funzioni debbono venire ricollocate, senza neppure la garanzia di una effettiva riduzione di spesa. Ma anche ove, in denegata ipotesi, tale principio fosse in se' e per se' legittimo come principio di coordinamento della finanza pubblica, sarebbero comunque illegittime le norme dettagliate che lo accompagnano (cfr. sentenze Corte cost. n. 159/2008 e 297/2009). Cosi' e' per la norma che direttamente esclude l'applicazione della disposizione "le aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali", anziche' lasciare tale individuazione alle singole regioni interessate, che tra l'altro sono competenti anche per le materie in questione. Cosi' e', inoltre, per il comma 4, in base al quale, trascorsi nove mesi senza che le regioni, le province e i comuni abbiano dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, "gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi", e "sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi". Si tratta di un intervento brutale nell'autonomia organizzativa della ricorrente Regione (anche in relazione alla propria potesta' primaria in materia di enti locali e dei propri compiti in materia di finanza locale) e degli stessi enti locali. E' a ricordare che la sent. 237/2009 ha dichiarato illegittima una "disciplina di dettaglio ed autoapplicativa che non puo' essere ricondotta all'alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle comunita' che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni ivi previste". Si tratta inoltre di una norma del tutto irragionevole: la "soppressione" con norma generale di strutture non precisamente individuate, e la dichiarazione di nullita' di atti pure non precisamente individuati, creerebbe una situazione di incertezza giuridica che riguarderebbe la sorte del personale, delle funzioni, ed anche la transizione delle competenze a organi e strutture non individuati, compromettendone l'esercizio. Sembra dunque evidente la violazione del principio di buon andamento, protetto dall'art. 97 Cost. La Regione e' legittimata ad invocare i principi di ragionevolezza e buon andamento, perche' le norme che li violano incidono su materie regionali (v. sentt. 22/2012 e 80/2012), anzi condizionano la stessa organizzazione della Regione e degli enti locali della regione. Dopo che il comma 4 ha gia' disposto la soppressione di tutti gli organismi in questione ove le Regioni (e le province e i comuni) non adeguino entro nove mesi la propria organizzazione, il comma 5 detta una norma specifica per le Regioni, stabilendo (come se null'altro fosse stato disposto) che "ai fini del coordinamento della finanza pubblica" esse "si adeguano ai' principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell'art. 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni". A parte l'infondatezza della giustificazione della norma a titolo di coordinamento della finanza pubblica, essa dispone l'adeguamento ai principi di cui al comma 1, in relazione agli organismi che svolgono "ai sensi dell'art. 118, della Costituzione" funzioni "conferite" alle Regioni. A parte la complessiva oscurita' della norma, e' chiaro che essa contraddice quella del comma 4, rendendo il complesso normativo che ne risulta ulteriormente incerto, con nuova violazione dei parametri gia' esposti a proposito del comma 4. Il comma 6, infine, fa "divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118, della Costituzione". Poiche' gli enti locali non hanno altre funzioni che quelle fondamentali e le altre ad essi conferite, la norma si traduce in un divieto assoluto per essi di istituire "enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica". Si noti che la norma e' destinata ad applicarsi a tutti gli enti locali, eccettuato forse il Comune di Roma per il suo speciale status di capitale. Nella Regione Friuli, il divieto si applicherebbe al comune piu' piccolo come ad Udine e Trieste. Nessuno di essi sarebbe giuridicamente in grado di istituire il minimo organismo, comunque denominato e - beninteso - di "qualsiasi natura giuridica". Una simile disposizione - nella sua estensione indiscriminata - viola evidentemente il principio di ragionevolezza e di proporzionalita', non essendovi rapporto alcuno con i presunti vantaggi per la finanza pubblica, la cui portata del resto non e' neppure enunciata. Viola poi, all'evidenza, la potesta' legislativa regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, nonche' l'autonomia stessa degli enti locali interessati, come protetta dagli articoli 114 e 117 della Costituzione, sopra indicati. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 16. L'art. 14 e' dedicato alla Riduzione delle spese di personale. Di esso viene qui in questione soltanto il comma 16, il quale contiene una norma interpretativa - ma in realta' limitativa - di precedenti disposizioni, stabilendo che "ai fini dell'applicazione dei parametri previsti dall'art. 19, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dall'art. 4, comma 69, della legge 12 novembre 2011, n. 183, per aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistica si intendono quelle nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera". Tali parametri si riferiscono al dimensionamento della rete scolastica, ed il Piano di Dimensionamento Regionale, approvato con deliberazione giuntale n. 68 del 23 gennaio 2012 e adottato dall'Ufficio Scolastico regionale del FVG con proprio provvedimento prot. n. AOODRFR/764 del 25 gennaio 2012, era stato programmato sulla base dei parametri originari previsti dall'art. 19, comma 5, della legge n. 111/2011 e dall'art. 4, comma 69, della legge n. 183/2011, che prevedevano l'assegnazione del dirigente scolastico titolare e del direttore dei servizi amministrativi titolare alle autonomie scolastiche costituite da almeno 600 alunni oppure da almeno 400 alunni in presenza di aree geografiche caratterizzate da "specificita' linguistica". Prima dell'intervento della norma qui contestata, questa espressione si riferiva alle minoranze linguistiche storiche riconosciute. Come e' ben noto, infatti, nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia esistono tre minoranze linguistiche storiche riconosciute ai sensi della legge n. 482/1999, corrispondenti a 3 diverse specificita' linguistiche: friulana, tedesca e slovena. Conviene infatti ricordare che la lingua friulana e' tutelata al pari della germanica e della slovena dalla stessa normativa statale, essendo considerato lingua minoritaria dalla legge 482/1999 che all'art. 2 dispone appunto che "in attuazione dell'art. 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo". Il parametro dei "400 alunni" veniva dunque applicato alle aree di insediamento delle tre comunita' linguistiche, compresa quella friulana. A seguito della nuova disposizione e' venuta meno la possibilita' di applicare tale parametro alle aree nelle quali la specificita' linguistica non e' straniera: in pratica la nuova norma, qui impugnata, si traduce nella discriminazione della lingua e della comunita' friulana, rispetto alla lingua e comunita' tedesca e slovena: in essa, infatti, non sono presenti "minoranze di lingua madre straniera". Tale discriminazione contraddice gli articoli 6 e 3 della Costituzione, e contraddice anche l'art. 3 dello statuto speciale, in base al quale "nella Regione e' riconosciuta parita' di diritti e di trattamento a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali". La violazione dello statuto - che fonda anche la legittimazione della Regione alla impugnazione della disposizione discriminatrice - e' evidente, dato che la norma non solo non salvaguarda le caratteristiche etniche e culturali del gruppo linguistico friulano, ma direttamente nega la parita' tra gli appartenenti ai diversi gruppi, assegnando un trattamento diverso ai diversi gruppi. La ragione della discriminazione, inoltre, e' essa stessa irragionevole e contrastante con la Costituzione e con lo statuto. Il requisito - ai fini della tutela - che si tratti di minoranze di lingua madre straniera introduce nella tutela delle specificita' linguistica un collegamento con i rapporti tra ordinamenti statali, che e' del tutto estraneo alla logica e alle ragioni della tutela delle minoranze linguistiche, come concepita dall'art. 6 della Costituzione e dall'art. 3 dello statuto. Di qui la fondatezza della censura. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 13, lett. c). L'art. 15 detta Disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica. Tali disposizioni hanno il "fine di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, l'efficienza nell'uso delle risorse destinate al settore sanitario e l'appropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie" (co. 1). I commi da 2 a 11-bis riguardano la spesa farmaceutica, e non vengono qui in considerazione. I commi 12, 13 e 14 contengono misure di razionalizzazione e riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi e ulteriori misure in campo sanitario. La presente impugnazione riguarda la lett. e) del comma 13, la quale dispone quanto segue: "e) sulla base e nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera fissati, entro il 31 ottobre 2012, con regolamento approvato ai sensi dell'art. 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, previa intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonche' tenendo conto della mobilita' interregionale, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano, nel rispetto della riorganizzazione di servizi distrettuali e delle cure primarie finalizzate all'assistenza 24 ore su 24 sul territorio adeguandoli agli standard europei, entro il 31 dicembre 2012, provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni. La riduzione dei posti letto e' a carico dei presidi ospedalieri pubblici per una quota non inferiore al 50 per cento del totale dei posti letto da ridurre ed e' conseguita esclusivamente attraverso la soppressione di unita' operative complesse. Nelle singole regioni e province autonome, fino ad avvenuta realizzazione del processo di riduzione dei posti letto e delle corrispondenti unita' operative complesse, e' sospeso il conferimento o il rinnovo di incarichi ai sensi dell'art. 15-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni. Nell'ambito del processo di riduzione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano operano una verifica, sotto il profilo assistenziale e gestionale, della funzionalita' delle piccole strutture ospedaliere pubbliche, anche se funzionalmente e amministrativamente facenti parte di presidi ospedalieri articolati in piu' sedi, e promuovono l'ulteriore passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale, favorendo l'assistenza residenziale e domiciliare". In sintesi, il comma 13, lett. c), - affida ad un regolamento statale la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, concepiti - come sembra -come standard inderogabili sia nel minimo che nel massimo; - prescrive alle Regioni (anche a quelle speciali) di ridurre lo standard dei posti-letto ospedalieri, applicando i criteri dettagliati fissati dalla stessa disposizione (il primo, il secondo ed il terzo periodo della lett. c) contengono regole puntuali, comprensive di percentuali, e non certo principi fondamentali); - stabilisce anche che, "fino ad avvenuta realizzazione del processo di riduzione dei posti letto e delle corrispondenti unita' operative complesse, e' sospeso il conferimento o il rinnovo di incarichi" a tempo determinato, direttamente disciplinando l'attivita' organizzativa e amministrativa in campo assistenziale sanitario. Tali previsioni e prescrizioni, in quanto applicate alla ricorrente Regione, ne ledono le competenze costituzionali e statutarie, e sono costituzionalmente illegittime. Lo Statuto speciale del Friuli Venezia Giulia attribuisce alla Regione potesta' legislativa concorrente in materia di "igiene e sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera" (art. 5, n. 16), e la corrispondente potesta' amministrativa (art. 8 St.). A tali norme e' stata data attuazione con il dPR 869/1966 e con gli artt. 8 e 9 dPR 902/1975. La competenza della Regione in materia di sanita' si e' ampliata a seguito della riforma del Titolo V, in quanto ad essa si estende la competenza di cui all'art. 117, co. 3, Cost., che, secondo codesta Corte, e' "assai piu' ampia" di quella prevista dallo Statuto (sentt. 240/2007, 162/2007 e 181/2006). La Corte ha anche osservato che "la sanita', d'altro canto, e' ripartita fra la materia di competenza regionale concorrente della "tutela della salute" (terzo comma), la quale deve essere intesa come «assai piu' ampia rispetto alla precedente materia assistenza sanitaria e ospedaliera» (sentenze n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005), e quella dell'organizzazione sanitaria, in cui le Regioni possono adottare «una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale» (sentenza n. 510 del 2002)" (sent. 328/2006, punto 3.1 del Diritto). La speciale autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia in campo sanitario ha ormai da piu' di 15 anni il suo risvolto nel meccanismo di finanziamento del servizio sanitario regionale. Infatti, in relazione all'assetto statutario delle competenze sopra descritto e quale concorso della Regione Friuli Venezia Giulia al riequilibrio della finanza pubblica nazionale, si deve rammentare che "a decorrere dal 1997 sono soppresse le quote del Fondo sanitario nazionale a carico del bilancio dello Stato a favore della regione Friuli Venezia Giulia che provvede al finanziamento dell'assistenza sanitaria con i proventi dei contributi sanitari e con risorse del proprio bilancio" (art. 1, comma 144, legge 662/1996). Lo Stato, dunque, non puo' limitare direttamente una voce di spesa delle Asl del Friuli Venezia Giulia, dato che il finanziamento di queste e' a carico del bilancio regionale (si veda la sent. 341/09, punto 6: lo Stato non ha "ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa sanitaria che e' interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento"; v. anche sent. 133/2010, punto 3). Del resto, questa specifica disposizione in tema di finanziamento del servizio sanitario e' parte del piu' ampio sistema dell'autonomia finanziaria regionale. In attuazione di un accordo stipulato tra Regione e Stato, l'art. 1, co. 154, legge 220/2010 ha statuito quanto segue: "la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti e organismi strumentali, le aziende sanitarie e gli altri enti e organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla regione medesima in via ordinaria e prevalente costituiscono nel loro complesso il «sistema regionale integrato». Gli obiettivi sui saldi di finanza pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la regione sono realizzati attraverso il sistema regionale integrato. La regione risponde nei confronti dello Stato del mancato rispetto degli obiettivi di cui al periodo precedente". Il comma 155 ha poi aggiunto che "spetta alla regione individuare, con riferimento agli enti locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi per ciascun ente e le modalita' necessarie al raggiungimento degli obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo Stato per il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio", e che "le disposizioni statali relative al patto di stabilita' interno non trovano applicazione con riferimento agli enti locali costituenti il sistema regionale integrato". Da tali norme risulta che lo Stato - nel quadro dei vincoli finanziari che esso concorda con la Regione (v. l'art. 1, co. 132, legge n. 220/2010) - deve lasciare a questa il compito di regolare i rispettivi obblighi finanziari propri e dei propri enti strumentali. Ancor meno lo Stato puo' pretendere che la Regione Friuli-Venezia Giulia sia vincolata da prescrizioni dettagliate, quali quelle del comma 13, lett. c), primo, secondo e terzo periodo. Ne' varrebbe replicare che anche le Regioni speciali devono concorrere al risanamento della finanza pubblica. Infatti, lo Stato ha gia' definito (con l'art. 1, commi 152 ss. legge 220/2010) i modi in cui la Regione Friuli Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica, con norme che hanno recepito l'Accordo di Roma del 29 ottobre 2010. I commi 154 e 155 dell'art. 1 legge 220/2010 attribuiscono alla Regione poteri di coordinamento finanziario con riferimento agli enti dell'ordinamento regionale. Puo' essere anche utile ricordare che codesta stessa Corte costituzionale ha pronunciato sentenze recentissime nelle quali ha stabilito che altre Regioni ad autonomia speciale non sono soggette ai vincoli finanziari posti da atti legislativi statali, sulla base di norme ed argomenti che ben si adattano anche alla situazione della Regione Friuli-Venezia Giulia. Cosi' le sentenze 215/2012, 151/2012 e 173/2012, hanno stabilito che i vincoli di cui al d.l. 78/2010 non si applicano alla Regione Valle d'Aosta dopo la gia' citata legge 220/2010, dato che essa concorre all'assolvimento degli obblighi finanziari nei modi previsti dalla stessa legge 220/2010. Nella decisione ha assunto particolare rilievo l'art. 1, co. 132, legge 220/2010 (secondo cui "per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131"), che vale sia per la Valle d'Aosta sia per il Friuli-Venezia Giulia. Ed il comma 136, poi, dispone che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 132, 133 e 134, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria". Commisurate al complesso di disposizioni ora esposte, volte ad assicurare in termini del tutto peculiari l'autonomia della ricorrente Regione nella disciplina dell'organizzazione e della gestione del servizio sanitario, le disposizioni impugnate si rivelano con esse contrastanti e dunque costituzionalmente illegittime, sotto vari e distinti profili. In primo luogo, illegittimo e' il vincolo al "rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera" fissati con regolamento statale, ove con tale espressione si intenda non - come nella tradizione dei livelli essenziali, ai quali pure la norma si richiama mediante il riferimento all'art. 1, comma 169, della legge n. 311 del 2004 - il rispetto dei minimi fissati da tali standard, ma l'obbligo di non oltrepassarli. Ove la disposizione dovesse essere intesa come fissazione di standard inderogabili anche nel massimo, la sua applicazione alla ricorrente Regione non avrebbe fondamento alcuno, e sarebbe dunque costituzionalmente illegittima. Sarebbe violata, in primo luogo, l'autonomia finanziaria regionale. Da un lato, si tratta della specifica autonomia in materia di finanziamento della sanita'. Poiche', come sopra esposto, la Regione Friuli-Venezia Giulia provvede al finanziamento del Servizio sanitario nei rispettivi territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, ne deriva che "lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario" (sentenze n. 341 del 2009 e n. 133 del 2010). D'altro lato, tale limitazione sarebbe incongrua anche se commisurata alla generale autonomia finanziaria regionale, quale definita dalle disposizioni sopra illustrate e dal principio dell'accordo, che domina il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali (Corte costituzionale, sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010): da tali norme e principi risulta che lo Stato deve concordare con la Regione gli obiettivi relativi ai saldi di finanza pubblica e non puo' unilateralmente fissare standard massimi relativi all'assistenza ospedaliera. In definitiva, e' illegittima l'assimilazione alle Regioni ordinarie della Regione Friuli-Venezia Giulia, che finanza con proprie risorse il SSN ed e' dotata di uno speciale regime per quel che riguarda il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, regime che prevede espressamente, tra l'altro, il potere della Regione di raggiungere gli obiettivi concordati con lo Stato "attraverso il sistema regionale integrato" (art. 1, co. 154, legge 220/2010), cioe' anche attraverso le Asl. Sarebbe poi violato l'art. 117, co. 2, lett. m) Cost., che da' allo Stato il potere di definire i "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali", e non di fissare standard massimi dell'assistenza ospedaliera. Ugualmente illegittime, commisurate ai predetti parametri, si rivelano le disposizioni secondo le quali la Regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe adottare "provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni", ponendo la riduzione dei posti letto "a carico dei presidi ospedalieri pubblici per una quota non inferiore al 50 per cento del totale dei posti letto da ridurre" e conseguendola "esclusivamente attraverso la soppressione di unita' operative complesse". A tale vincolo si oppongono intanto, qualificandolo come illegittimo, le stesse considerazioni sopra esposte circa l'autonomia finanziaria regionale, sia quella specifica in campo sanitario che quella generale. A tali profili di illegittimita' - che tra l'altro escludono che i vincoli cosi' posti si possano giustificare a titolo di coordinamento finanziario - si aggiunge quello relativo al carattere palesemente dettagliato dei vincoli in questione. Mentre nulla vi sarebbe da eccepire se essi fossero stabiliti come livelli minimi, ne sembra invece evidente l'illegittimita' in quanto essi siano concepiti come la definizione dal centro delle caratteristiche organizzative ed operative del servizio. Si noti che la materia attiene qui all'organizzazione sanitaria, materia che la Costituzione affida alle Regioni. Le prescrizioni appena riferite hanno palesemente carattere puntuale, non temporaneo e non lasciano un margine d'azione alle Regioni, che devono solo eseguirle. Si tratta, dunque, di norme che non hanno le caratteristiche necessarie, secondo la giurisprudenza costituzionale, per assurgere al rango di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Nella sostanza, si verrebbero in questo modo a vincolare le scelte regionali circa l'organizzazione del servizio sanitario, senza fondamento ne' finanziario ne' di principio. Di qui la constatazione della illegittimita'. Ancora, e' costituzionalmente illegittima la disposizione di cui al terzo periodo del comma 13, secondo la quale "nelle singole regioni e province autonome, fino ad avvenuta realizzazione del processo di riduzione dei posti letto e delle corrispondenti unita' operative complesse, e' sospeso il conferimento o il rinnovo di incarichi ai sensi dell'art. 15-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502". Tale disposizione e' illegittima in primo luogo in quanto si connette strumentalmente alle disposizioni precedentemente contestate, rendendo ancora piu' evidente che la loro natura non e' quella di livelli minimi da rispettare, ma quella di' livelli massimi da non superare. Ma essa e' illegittima anche in quanto, per "sanzionare" le norme precedenti, reca a sua volta un limite puntuale (e non suscettibile di svolgimento da parte regionale) alla spesa sanitaria, ledendo l'autonomia legislativa regionale in materia sanitaria e l'autonomia finanziaria regionale, come sopra descritte. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 22, dal secondo al quinto periodo. Il comma 22, primo periodo, dell'art. 15 stabilisce che, "in funzione delle disposizioni recate dal presente articolo il livello del fabbisogno del servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, previsto dalla vigente legislazione, e' ridotto di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015". Cosi' definite le riduzioni di fabbisogno, il secondo periodo precisa che esse "sono ripartite fra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano secondo criteri e modalita' proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano medesime, da recepire, in sede di espressione dell'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano per la ripartizione del fabbisogno sanitario e delle disponibilita' finanziarie annue per il Servizio sanitario nazionale, entro il 30 settembre 2012, con riferimento all'anno 2012 ed entro il 30 novembre 2012 con riferimento agli anni 2013 e seguenti". Il terzo periodo considera l'ipotesi che "non intervenga la predetta proposta entro i termini predetti", e per questo caso dispone che "all'attribuzione del concorso alla manovra di correzione dei conti alle singole regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, alla ripartizione del fabbisogno e alla ripartizione delle disponibilita' finanziarie annue per il Servizio sanitario nazionale si provvede secondo i criteri previsti dalla normativa vigente". Lo stesso comma 22 contiene due ulteriori disposizioni, che riguardano specificamente le Regioni speciali. In base al quarto periodo del comma 22, "le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad esclusione della regione Siciliana, assicurano il concorso di cui al presente comma mediante le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42"; e tuttavia, in base al quinto periodo, "fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo del concorso alla manovra di cui al presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Dunque, nella disciplina cosi stabilita le norme di razionalizzazione della spesa contenute nell'art. 15 costituiscono la premessa di un minor fabbisogno e di un minore "correlato finanziamento", cioe' di una minore dimensione del Fondo sanitario nazionale: che poi si traduce, ovviamente, in un minor trasferimento di risorse dallo Stato alle Regioni che partecipano di tale fondo. Sin qui il meccanismo e' logico. Non si puo' dire ugualmente della applicazione delle disposizioni sopra descritte alle autonomie speciali nelle quali la sanita' e' a carico della Regione stessa: come accade appunto per la Regione Friuli-Venezia Giulia. In esse non esiste un separato finanziamento per il servizio sanitario, che e' invece finanziato con il bilancio generale. La Regione, che finanzia in proprio il servizio, rivendica - come esposto ai punti precedenti - di non essere soggetta alle forzose riduzioni dei livelli delle prestazioni sopra descritti. Ma ove tali riduzioni si verificassero - e con esse un minore livello di spesa - si tratterebbe pur sempre di una minore incidenza della spesa sanitaria sull'autonomo bilancio complessivo della Regione, come definito dalle entrate che lo Statuto attribuisce ad essa e dalle spese necessarie o opportune. Nel meccanismo ideato dalle norme qui contestate, invece, la violazione dell'autonomia della Regione nella organizzazione e gestione del servizio sanitario, con la forzosa riduzione dei suoi livelli, si traduce addirittura in una forzosa acquisizione allo Stato delle risorse che lo statuto di autonomia garantisce alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Tale, e non altro, e' infatti il significato del passaggio di risorse da tali autonomie speciali allo Stato. La lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia nelle funzioni si somma l'illegittima sottrazione di risorse. E' dunque costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione dell'art. 49 dello statuto e del principio di leale collaborazione - il principio stesso di tale acquisizione. Infatti l'art. 49 St. attribuisce alla Regione quote del gettito di determinate entrate tributarie dello Stato, percepite nel rispettivo territorio, affinche' queste vengano spese nell'esercizio delle funzioni e competenze costituzionali della Regione stessa, e non affinche' lo Stato ne possa disporre a suo piacimento. In pratica, il comma 22 determina unilateralmente un contributo straordinario permanente, a carico della Regione, al risanamento della finanza pubblica statale. E' opportuno ricordare che la sent. 133/2010 ha annullato, per violazione del principio di leale collaborazione, l'art. 22, co. 3, d.l. 78/2009, nella parte in cui si applicava alla Valle d'Aosta e alle Province autonome, in quanto "l'art. 22, commi 2 e 3, incide... in modo unilaterale sull'autonomia finanziaria di entrambe le ricorrenti, imponendo loro di riversare nel bilancio dello Stato le somme ricavate dalle economie sulla spesa farmaceutica. La specialita' dell'autonomia finanziaria delle stesse ricorrenti sarebbe vanificata se fosse possibile variare l'assetto dei rapporti finanziari con lo Stato con una semplice legge ordinaria, in assenza di un accordo bilaterale che la preceda". In effetti, le norme del comma 22 alterano unilateralmente l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione Friuli-Venezia Giulia, violando il principio dell'accordo che domina tali rapporti (anche su cio' v. sopra) e l'art. 63, commi 1 e 5, dello Statuto, che regolano la procedura di revisione dello Statuto e la particolare procedura di modifica delle norme finanziarie di esso. Inoltre, lo Stato ha gia' definito (con la legge 220/2010) i modi in cui la Regione Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica, con norme che hanno recepito l'Accordo di Roma del 29 ottobre 2010: si rinvia, su cio', al punto precedente. Alla illegittimita' del principio stesso che informa tale sottrazione di risorse si uniscono poi le ulteriori e specifiche illegittimita' dei meccanismi applicativi di tale principio. Il quantum del "concorso alla manovra di correzione dei conti" e' definito nei modi previsti dal secondo e terzo periodo; quest'ultimo, in particolare, fa riferimento a non meglio precisati "criteri previsti dalla normativa vigente", che forse non esistono in assoluto ma sicuramente non possono esistere in relazione alle Regioni e Province autonome che non partecipano del Fondo sanitario. Il terzo periodo del comma 22 e' dunque specificamente illegittimo per violazione dei principi di ragionevolezza e di certezza. Infatti, esso contiene un rinvio (ai "criteri previsti dalla normativa vigente") assolutamente indeterminato, tale da determinare incertezza sul quantum del concorso alla manovra di risanamento. Inoltre, il rinvio alla normativa vigente appare irragionevole con riferimento alle autonomie speciali che assumono l'onere del servizio sanitario a carico dei propri bilanci. La Regione Friuli-Venezia Giulia e' legittimata a far valere tali vizi, posto che la norma in questione attiene al coordinamento della finanza pubblica (materia di competenza anche regionale) e, determinando incertezza sulle risorse a disposizione per il Servizio sanitario regionale, pregiudica lo svolgimento dell'autonomia legislativa ed amministrativa della Regione. Il quomodo del concorso e' definito nei modi previsti dal quarto e quinto periodo: il quarto periodo effettua un rinvio alle norme di attuazione dello statuto, mentre il quinto prevede che, fino all'emanazione di esse, lo Stato trattenga ogni anno, sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali previste dallo Statuto, l'importo del concorso della Regione Friuli-Venezia Giulia alla riduzione della spesa sanitaria. Ora, il rinvio alle norme di attuazione (quarto periodo) e' comunque illegittimo, in quanto la norma in questione determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio e contrasta con l'art. 65 St. Infine, la previsione dell'accantonamento di un importo imprecisato su tali quote autonomamente viola l'art. 49 St., dato che le somme da esso garantite alla Regione vengono indebitamente ridotte. Sono dunque lesivi e costituzionalmente illegittimi sia il principio stesso del trasferimento di risorse regionali allo Stato, sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 3. L'art. 16, co. 1, dispone che, "ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, gli enti territoriali concorrono, anche mediante riduzione delle spese per consumi intermedi, alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica". Il comma 3 statuisce che, "con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1,500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015". La disposizione aggiunge che, "fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sulla base di apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 30 settembre 2012". E' ancora previsto che in caso di mancato accordo, "l'accantonamento e' effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare entro il 15 ottobre 2012, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE", e che fino all'emanazione delle norme di attuazione, "gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle predette autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi derivanti dalle predette procedure". Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelle previste dall'art. 14 d.l. 78/2010, dall'art. 20, co. 5, d.l. 98/2011, dall'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011 (come sintetizzati e ripartiti dal comma 10 dell'art. 32 della legge n. 183 del 2011) e dall'art. 28, co. 3, d.l. 201/2011. Come le precedenti, essa e' disposta su base meramente potestativa, come se le norme statutarie che definiscono la finanza della Regione Friuli-Venezia Giulia non avessero alcun valore, o fossero liberamente disponibili da parte del legislatore statale. Infatti, la sottrazione di risorse qui contestata non ha alcuna base statutaria. Al contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal fondamentale art. 49, sono rivolte ad assicurare alla Regione le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che la devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi nella regione non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa. La ricorrente Regione ha potuto far valere con successo la garanzia di cui all'art. 49, ad esempio, nella controversia definita con la sent. 74/2009. Inoltre, lo Stato ha gia' definito (con la legge 220/2010) i modi in cui la Regione Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica, con norme che hanno recepito l'Accordo di Roma del 29 ottobre 2010: si rinvia, su cio', al punto relativo all'art. 15, co. 13. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. L'"obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica" - puntualizza la Corte con la sent. 82/2007 - "deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione di affermare, la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto "patto di stabilita'" (sentenza n. 353 del 2004)". Questo principio, sul piano della legislazione ordinaria, ha trovato fino ad ora varie concretizzazioni. E' sufficiente richiamare qui, per la sua portata sistematica, l'art. 27 legge 42/2009, che rimette alle norme di attuazione statutaria la attuazione dei principi del c.d. federalismo fiscale (tra i quali vi e' il rispetto del patto di stabilita' e dei vincoli finanziari europei), tenendo "conto della dimensione della finanza delle [...] regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri...". Le stesse misure particolari dei ricordati commi 152 e 156 dell'art. 1 legge 220/2010, specificamente concernenti l'apporto della Regione Friuli-Venezia Giulia al risanamento delle finanze pubbliche, sono state oggetto di confronto e discussione tra Governo e Regione. Con il principio costituzionale di collaborazione si pongono in contrasto le disposizioni impugnate. L'art. 16, co. 3, deroga unilateralmente all'Accordo di Roma del 2010, fra l'altro penalizzando irragionevolmente quelle Regioni speciali che nel 2009 e nel 2010 avevano gia' concordato il loro contributo al risanamento finanziario, privandosi di notevoli risorse, rispetto a quelle che non hanno mai assunto simili impegni. Le risorse spettanti alla Regione non possono essere semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Regione stessa concorre al risanamento della finanza pubblica nei modi direttamente previsti dalla legge 220/2010. Si tratta di un regime speciale, che non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario. Di fronte a tale violazioni dei parametri costituzionali, non varrebbe certo obiettare che tutte le autonomie territoriali - Regioni speciali comprese - sono soggette ai principi di coordinamento della finanza pubblica, inevitabilmente fissati a livello nazionale, anche in adempimento di obblighi europei (sent. 82/2007); che la attribuzione di quote fisse di tributi erariali puo' condurre ad un incremento delle risorse regionali, in funzione di manovre tributarie statali, senza che vi sia necessita' -da parte della Regione - di nuove risorse per nuove funzioni, o per un migliore assolvimento di compiti precedenti (ma le entrate potrebbero anche diminuire, per l'andamento negativo del ciclo economico...); che lo stesso art. 49 Statuto, nel momento in cui riconosce alla Regione autonomia finanziaria, aggiunge subito che essa si svolge (si deve svolgere) "in armonia con i principi della solidarieta' nazionale". Infatti, la considerazione di tali valori deve essa stessa manifestarsi mediante strumenti costituzionalmente ammissibili nell'ordinamento. Cosi', anzitutto, le stesse norme di attuazione statutaria - radicate direttamente nel principio di solidarieta' nazionale (sent. 75/1967) - consentono di eccettuare dalla attribuzione alla Regione le nuove entrate tributarie statali il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalita' contingenti o continuative dello Stato, specificate nelle leggi medesime, a termini dell'art. 4 d.p.r. 23 gennaio 1965, n. 114. Ma la legittimita' costituzionale della riserva e' subordinata alla corretta destinazione di tali risorse in base alla citata disposizione: il che nel caso presente non avviene. Inoltre, le stesse disposizioni statutarie sulla autonomia finanziaria (art. 49 compreso) possono sempre essere modificate (come varie volte e' gia' accaduto) senza ricorrere alla revisione con legge costituzionale, purche' vi sia il coinvolgimento della Regione (art. 63, comma 5, Statuto). Non puo' ingannare, in questo come negli altri casi, il rinvio alle norme di attuazione dello Statuto. In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia' autonomamente lesivo, traducendosi in diretta violazione dell'art. 49 St. e in una sottrazione delle risorse disponibili per la Regione. La riduzione delle risorse e' operata direttamente e unilateralmente dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con il principio consensuale che domina i rapporti tra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione, l'art. 49 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 63 St. e non in sede di attuazione. Inoltre, l'art. 16, co. 3, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio. In definitiva, come detto, l'art. 16, co. 3, viola l'art. 63, co. 5, St. (che richiede il coinvolgimento della Regione per la modifica delle norme del Titolo IV dello Statuto) e l'art. 65 St., perche' una fonte primaria pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione. Ancora, l'art. 16, co. 3, viola l'art. 49 St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Regione a titolo di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria Infine, per le ragioni gia' viste, e' violato il principio di leale collaborazione. E' vero che la sent. 193/2012 ha fatto salvi l'art. 20, co. 4 e 5, d.l. 98/2011 e l'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011 (dichiarando illegittimo solo il carattere non temporaneo dei tagli) ma e' arrivata a tale conclusione semplicemente richiamando la sent. 148/2012 (che aveva respinto la questione di costituzionalita' dell'art. 14, commi 1 e 2, d.l. 78/2010 sollevata da una Regione ordinaria), senza - dunque - esaminare la peculiare situazione, sopra descritta, della Regione Friuli-Venezia Giulia. Inoltre, l'art. 16, comma 3, si traduce in concreto sia in una diminuzione della capacita' di spesa della Regione (come chiarisce del resto il comma 4 dello stesso articolo) che in una correlativa diminuzione delle entrate statutarie ad essa spettanti. Diversamente e' accaduto per l'art. 14 d.l. 78/2010 e per l'art. 20 d.l. 98/2011 e l'art. 1 d.l. 138/2011, che hanno determinato unicamente limiti alla capacita' di spesa regionale, ferma restando ogni prerogativa d'entrata. E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e lesivo l'art. 16, co. 3, la' dove prevede il criterio del riparto dell'accantonamento ("in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE"). Infatti, tale criterio non risulta in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto con il principio consensuale di cui sopra, oggi stabilito espressamente nell'art. 1, co. 132, legge 220/2010 per la determinazione del patto di stabilita' (e comunque sempre seguito nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato). Da ultimo, e ferme restando le censure fino ad ora esposte, la disposizione di cui al comma 3 e' autonomamente altresi' illegittima nella parte in cui dispone un concorso che "a decorrere dall'anno 2015" si protrae a tempo indeterminato. In effetti, anche nei casi in cui codesta Corte costituzionale ha ammesso la legittimita' di speciali contribuzioni verso lo Stato, e' pur sempre rimasto fermo che tali contribuzioni si correlano a situazioni temporalmente definite, e non possono divenire il regime permanente dei rapporti finanziari (v. in particolare sent. 193/2012). Di qui la palese illegittimita' anche in relazione a questo specifico profilo. La mancanza di base statutaria del contributo richiesto alla Regione e' base sufficiente per la richiesta di declatatoria di illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. Per tuziorismo, la ricorrente Regione fa valere in subordine anche le seguenti considerazioni. Violato e' in primo luogo l'art. 116, comma 1, Cost., il quale riconosce alle Regioni speciali forme e condizioni particolari di autonomia, che non possono non riguardare - data la formulazione della disposizione - anche la autonomia finanziaria (sent. 82/2007). L'art. 16, co. 3, lede la disposizione in quanto riserva alle Regioni speciali - e, per quanto interessa qui, alla Regione Friuli - Venezia Giulia - un trattamento deteriore rispetto a quanto vale per le Regioni ordinarie (v. l'entita' dei tagli di cui all'art. 16, co. 2, e all'art. 16, co. 3). L'irragionevolezza del trattamento deteriore si apprezza considerando che queste differenziazioni operano in un contesto normativo stabile, quanto alle funzioni, per le Regioni ordinarie, mentre e' aumentato il concorso specifico della Regione Friuli-Venezia Giulia al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'assolvimento degli obblighi derivanti dall'ordinamento europeo e dal patto di stabilita' interno. Si rammenta qui il comma 152 dell'articolo 1 della legge di stabilita' per il 2011 (legge 220/2010), secondo cui "nel rispetto dei principi indicati nella legge 5 maggio 2009, n. 42, a decorrere dall'anno 2011, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura di 370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma in favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle assegnazioni statali derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del tavolo di confronto di cui all'art. 27, comma 7, della citata legge n. 42 del 2009; c) ovvero l'attribuzione di funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo tra il Governo e la regione, con oneri a carico della regione. Con le modalita' previste dagli articoli 10 e 65 dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, lo Stato e la regione definiscono le funzioni da attribuire". Il trattamento gravoso riservato alle autonomie speciali, e tra esse alla ricorrente Regione, non puo' essere giustificato sulla base della considerazione della relativa maggiore ampiezza - rispetto alle Regioni ordinarie - delle risorse ad esse riservate. Tale maggiore ampiezza infatti e' il frutto delle valutazioni dell'ordinamento costituzionale dello Stato, e non puo' essere alterata se non seguendo le vie costituzionalmente prescritte: le quali, del resto, esistono, E' poi da evidenziare che, anche se la autonomia finanziaria intesa come disponibilita' di risorse sufficienti ad esercitare le proprie attribuzioni costituzionali, e come effettiva capacita' di spesa, va valutata nel complesso, e che "contenimenti" transitori delle spese non sono necessariamente incostituzionali (secondo quanto risulta ad esempio, in ordine ai vincoli derivanti dal patto di stabilita', dalla sent. 284/2009), tuttavia, se non si vuole privare l'art. 119 Cost. e, per il Friuli - Venezia Giulia, l'art. 48 Statuto, della capacita' di fungere da parametri di costituzionalita', occorre riconoscere che singoli provvedimenti normativi (gli unici contro i quali - ex art. 127 Cost. - la Regione puo' reagire, ed entro termini tassativi) possano essere sindacati e, se del caso, censurati, anche alla luce di altri singoli provvedimenti, l'insieme dei quali si dimostra lesivo dell'autonomia finanziaria regionale. Nel caso, la Regione si trova nella condizione di affermare che l'ulteriore "taglio" di risorse, in una con le riduzioni della legge 220/2010, determina la incostituzionalita' dell'art. 16, comma 3, anche in quanto impone riduzioni consistenti alla spesa, tali da pregiudicare l'assolvimento delle funzioni pubbliche ad essa attribuite, in violazione dell'art. 119 Cost. (v. soprattutto il principio di corrispondenza tra risorse e funzioni di cui al comma 4: "Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite") e dell'art. 48 Statuto. Le misure di stabilizzazione finanziaria che non siano quantificate in stretta relazione ai fabbisogni di spesa della Regione, anche a fronte della variabilita' del gettito ad essa attribuito, pregiudicano la possibilita' che la stessa sia in grado di finanziare il complesso delle proprie funzioni e, in particolare, riesca ad assicurare sul proprio territorio la soddisfazione dei livelli base delle prestazioni inerenti a diritti fondamentali della persona demandati alla sua cura. A parere della Regione, tale vizio rileva gia' sul piano astratto, per il solo fatto che lo Stato omette ogni tipo di valutazione nel merito del fabbisogno di spesa. Secondo la Regione, al contrario, tale indagine costituirebbe il necessario presupposto per operare contenimenti finanziari anche di natura temporanea nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, dovendo questi essere espressi sulla quota di risorse che eccedono il livello di fabbisogno di spesa considerato incomprimibile. Diversamente accade agli enti finanziati con trasferimenti statali, la' dove lo Stato compie una valutazione di adeguatezza all'atto del trasferimento delle risorse ovvero della quantificazione dell'aliquota di spettanza. La quantificazione del livello di fabbisogno strettamente necessario, in tale contesto, non costituirebbe a ben vedere parte del tema di prova richiesto alla Regione che ricorre contro il provvedimento di contenimento, bensi' un presupposto strutturale del contenimento stesso che condiziona esplicitamente la legittimita' della misura. Non sono, dunque, legittime misure di contenimento che riducono la capacita' di spesa della Regione e la sua autonomia di entrata, senza alcuna considerazione dei livelli di spesa minimi da finanziare. E' da sottolineare che dal 2011 al 2014 la contrazione della spesa imposta alla Regione e' aumentata del 422,9% e quella di entrata del 388,9%. Nel 2014 la Regione avra' circa il 17,69% in meno di risorse disponibili per impegni di spesa rispetto a quelle su cui poteva contare nel 2010. Anche letto alla luce dell'art. 3 della Costituzione, l'incremento annuo e il valore assoluto dei tagli imposti alla Regione e' del tutto irragionevole. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 5, in connessione con l'illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3 e 4. L'art. 17 e' dedicato, come espressamente ricorda il suo titolo al Riordino delle province e loro funzioni. Esso non si riferisce direttamente alle Regioni a statuto speciale, dal momento che il comma 1 precisa che "tutte le province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono oggetto di riordino sulla base dei criteri e secondo la procedura di cui ai commi 2 e 3" (enfasi aggiunta). Tuttavia, in pratica esso riguarda anche le autonomie speciali, con l'eccezione delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dunque della stessa Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Stabilisce infatti il comma 5 che "le Regioni a statuto speciale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica". Non vi e' dubbio percio' che le disposizioni in questione, in quanto pongono un obbligo di adeguamento anche alle Regione Friuli-Venezia Giulia, siano invasive della sua competenza, e che essa sia pienamente legittimata a farne valere l'illegittimita' costituzionale. Esse dovrebbero provvedere ad applicare "autonomamente" nel proprio territorio lo stesso procedimento di riordino che vale per le altre regioni, con minime possibilita' di adattamento. Ma, in primo luogo, sono proprio tale "principi" ad essere, ad avviso della ricorrente Regione, completamente illegittimi, e la loro illegittimita' si riverbera evidentemente sui vincoli posti alla ricorrente Regione dal comma 5. Prima di esporre le ragioni di tale illegittimita', tuttavia, conviene illustrare le norme previste dal decreto-legge impugnato. Prescrive il comma 2 dell'art. 17 che (fatte salve le province nel cui territorio si trova il comune capoluogo di regione e quelle confinanti solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza e con una delle province soppresse per divenire citta' metropolitane) "il Consiglio dei ministri determina, con apposita deliberazione, da adottare su proposta dei Ministri dell'interno e della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia". Il comma 3 dispone poi che "il Consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali, entro settanta giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della deliberazione di cui al comma 2, nel rispetto della continuita' territoriale della provincia, approva una ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione e la invia alla regione medesima entro il giorno successivo". Ma l'ipotesi di riordino cosi' approvata non e' realmente necessaria, dal momento che "anche in mancanza della trasmissione" di tale ipotesi "trascorsi novantadue giorni dalla citata data di pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di cui al comma 4, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio, formulata sulla base dell'ipotesi di cui al primo periodo", fermo restando che "il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi di cui al citato comma 2". Sempre il comma 3 prevede che sia le (eventuali) ipotesi che le proposte di riordino tengano conto "delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al comma 2". Si e' detto come le ipotesi di riordino elaborate dal Consiglio delle autonomie locali siano meramente eventuali: ma ugualmente deve dirsi anche delle "proposte di riordino" delle Regioni. Se infatti il primo periodo del comma 4 dispone che "entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo di iniziativa governativa le province sono riordinate sulla base delle proposte regionali di cui al comma 3", provvede poi il secondo periodo a precisare che "se alla data di cui al primo periodo una o piu' proposte di riordino delle regioni non sono pervenute al Governo, il provvedimento legislativo di cui al citato primo periodo e' assunto previo parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, che si esprime entro dieci giorni esclusivamente in ordine al riordino delle province ubicate nei territori delle regioni medesime. Dal complesso della normativa citata si deduce: - che la procedura disposta dall'art. 17 decreto-legge n. 95 del 2012 si fonda su snodi procedimentali eventuali e snodi procedimentali ineliminabili; - che una specifica iniziativa dei Comuni non e' prevista ne' come snodo eventuale ne' come snodo necessario; - che l'ipotesi di riordino del Consiglio delle autonomie locali e la proposta della Regione costituiscono snodi eventuali; - che il procedimento essenziale per la revisione delle circoscrizioni provinciali e' costituito dalla previa deliberazione dei criteri da parte del Consiglio dei ministri (nel frattempo approvati con deliberazione del 20 luglio 2012), dalla presentazione del disegno di legge di riordino da parte dello stesso Consiglio dei ministri, dal parere della Conferenza unificata e dalla approvazione della legge da parte del Parlamento. In altre parole, si tratta di un procedimento che al fondo e' totalmente diretto dal centro, e precisamente dal Governo, il quale stabilisce i criteri - in pratica precostituisce il disegno delle nuove province - e presenta il disegno di legge. Come si e' detto, la procedura sopra descritta non e' destinata ad applicarsi nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia, titolare di potesta' legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali ai sensi dell'art. 4, numero 1-bis), dello statuto speciale: e, come precisamente stabilito dall'art. 8 delle norme di attuazione dello statuto di cui al d.lgs 9/1997, in tale materia "e' ricompresa la revisione delle circoscrizioni provinciali, l'istituzione di nuove province e la loro soppressione, su iniziativa dei comuni, sentite le popolazioni interessate". Ora, poiche', come sopra esposto, in base al comma 5 dell'art. 17 le Regioni a statuto speciale dovrebbero adeguare i propri ordinamenti "ai principi di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica". Ora, pur non essendo del tutto chiaro che cosa tale disposizione consideri "principi", e' pero' evidente che alla Regione risulta imposto un dovere di adeguamento in termini sostanzialmente corrispondenti a quanto previsto dai commi 1, 2, 3 e 4, cioe' con una procedura guidata dall'alto, da svolgersi entro una cornice di criteri predefiniti, nella quale l'iniziativa comunale non potrebbe rappresentare ne' un presupposto indispensabile ne' un elemento giuridicamente condizionante. La Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che tale vincolo sia costituzionalmente illegittimo, sia per ragioni attinenti alla illegittimita' costituzionale del meccanismo previsto dai commi da 1 a 4, in relazione al parametro di cui all'art. 133 della Costituzione, sia per l'illegittimita' del vincolo posto in relazione al parametro di cui all'art. 8 delle norme di attuazione dello statuto di cui al d.lgs 9/1997, sopra citate, sia in quanto in realta' le disposizioni alle quali la Regione dovrebbe attenersi non costituiscono (al contrario di quanto affermato dal comma 5 dell'art. 17) ne' principi dell'ordinamento giuridico ne' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Di seguito si esporranno le censure relative a tali distinti profili. E' in primo luogo palese che la procedura di revisione delle circoscrizioni provinciali prevista dall'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012 non corrisponde affatto a quanto disposto dall'art. 133, primo comma, della Costituzione, secondo il quale, "il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione". Il contrasto e' talmente palese che non sembra neppure richiedere illustrazione. Per scrupolo noteremo qui che nella procedura prevista dall'art. 133, primo comma, della Costituzione, nella quale ha un ruolo essenziale e dominante l'iniziativa dei comuni, come riconosciuto dalla Corte nella sent. 347/1994, laddove scrive che l'art. 133 Cost. obbliga a seguire un procedimento legislativo costituzionalmente rinforzato, anche dal e per il formale intervento dei Comuni. Ne' questa scelta e' frutto del caso, o di una irriflessa disattenzione. Al contrario in Assemblea costituente la apposita Commissione aveva proposto che l'iniziativa fosse della Regione, ed il testo poi approvato e' il frutto di un emendamento di cui l'on Monterisi specifico' il senso in questi termini: "bisogna che l'iniziativa parta non dall'alto ma dal basso", cioe' dalle "popolazioni interessate", cioe' dai "Comuni interessati". Come si vede, e' l'opposto del procedimento tutto di vertice concepito dal legislatore. La consapevolezza del radicale contrasto tra il percorso imposto dal decreto-legge e quello previsto dalla Costituzione non poteva sfuggire allo stesso Governo, che nella relazione al disegno di legge n. 3396 per la conversione del decreto-legge n. 95/2012 (spending review) ha sentito il bisogno di avanzare una spiegazione, nei termini seguenti: "anche a voler prescindere dalla considerazione che, trattandosi di riordino complessivo, non trova applicazione l'art. 133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che detto articolo e', nella sostanza, rispettato visto che i Comuni sono pienamente coinvolti tramite il Consiglio delle autonomie locali". Ora, la tesi che l'art. 133 sia rispettato "visto che i Comuni sono pienamente coinvolti tramite il Consiglio delle autonomie locali" appare palesemente infondata. Da un lato e' evidente che il "Consiglio delle autonomie" non coincide affatto con i comuni interessati, tanto che potrebbe persino decidere in contrapposizione alla loro espressa volonta'. Dall'altro, come sopra illustrato, nella procedura di cui al decreto-legge n. 95 la stessa iniziativa del Consiglio delle autonomie e' del tutto eventuale, dato che in assenza di un suo pronto adeguamento si procede ugualmente. Per non dire, comunque, che la Costituzione non prevede affatto che l'iniziativa dei Comuni sia coartata da una previa fissazione di regole e limiti da parte del Governo, che nell'art. 133 non e' neppure nominato. La realta' e' che la stessa idea di un generale riordino delle province secondo criteri diversi da quello storico e' estranea alla Costituzione: ma vi e' estranea non nel senso che la Costituzione non se ne occupi (come lascia invece intendere il Governo quando afferma che "trattandosi di riordino complessivo, non trova applicazione l'art. 133 della Costituzione"), ma nel senso che la Costituzione palesemente la esclude, prendendo a riferimento le province quali esse sono, e disciplinando le regole per trasformare tale situazione. Sarebbe paradossale che la stessa Costituzione che disciplina in quei termini la trasformazione delle province singole le lasciasse poi tutte alla merce' del legislatore ordinario - o peggio del Governo da esso investito del potere - che semplicemente stabilendo soglie dimensionali elevate potrebbe al limite sopprimere di colpo la grande maggioranza o persino la totalita' delle province, senza rispettare il procedimento di revisione costituzionale, evidentemente necessario a tale scopo. L'illegittimita' del vincolo cosi' posto alla ricorrente Regione e' altresi' evidente in relazione all'art. 8 delle norme di attuazione di cui al d.lgs 9/1997, secondo cui nella materia di cui all'art. 4, numero 1-bis), dello statuto speciale (cioe' nella materia dell'ordinamento degli enti locali "e' ricompresa la revisione delle circoscrizioni provinciali, l'istituzione di nuove province e la loro soppressione, su iniziativa dei comuni, sentite le popolazioni interessate"). Intanto, e' evidente che tale disposizione che riprende con qualche modifica l'art. 133, primo comma, Cost., ha anche valore interpretativo di questo, e conferma pienamente quanto sopra affermato: conferma, cioe', che tale disposizione vale anche per la "revisione delle circoscrizioni provinciali". Ed anch'essa prescrive che alla revisione si proceda su iniziativa dei comuni. Inoltre, essa aggiunge il vincolo a sentire le popolazioni interessate: ed il sentirle ha un senso - evidentemente - in quanto esse possano contribuire ad una decisione libera, non ad una decisione coartata da criteri rigidi prefissati al centro. E' pure da ricordare che le norme di attuazione statutaria recate dal d.lgs. 9/1997 sono state valorizzate dalla Corte nella sentenza n. 230 del 2001, proprio nel senso che esse valgono a definire e precisare la materia "ordinamento degli enti locali", che e' oggi di competenza delle Regioni speciali (salve naturalmente le peculiarita' della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige). Dunque, non potrebbe la Regione Friuli-Venezia Giulia ottemperare agli obblighi che le derivano dall'art. 17 qui impugnato, senza trasgredire le regole di base con le quali lo Stato ha affidato ad essa la competenza in materia di revisione delle circoscrizioni provinciali. Di qui l'illegittimita' costituzionale della disposizione anche sotto questo profilo. Posto dunque che il dovere di adeguamento appare costituzionalmente illegittimo, in relazione al suo specifico contenuto, sia in rapporto all'art. 133, primo comma, Cost, che in relazione all'art. 8 delle norme di attuazione di cui al d. lgs 9/1997, occorre ancora aggiungere che, se pure i contenuti fossero legittimi, l'imposizione di tale dovere sarebbe ugualmente illegittima, in relazione al fondamento costituzionale che ne viene allegato. Afferma infatti l'art. 17, comma 5, che i "principi" da esso stabiliti - ai quali la regione dovrebbe adeguarsi - costituirebbero "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica". Sia consentito di notare, in primo luogo, che le due qualificazioni sono ripugnanti tra di loro. In effetti, i principi dell'ordinamento giuridico sono principi sottostanti ad interi complessi di norme, elementi di fondo che costituiscono architravi portanti dei complessi normativi ai quali si riferiscono, laddove i principi di coordinamento della finanza pubblica sono - benche' "fondamentali" - regole contingenti e specifiche dettate dal legislatore per far fronte alla situazione finanziaria del momento: le due nature, dunque, reciprocamente si escludono. In realta', pero', le regole sopra descritte in materia di revisione delle circoscrizioni provinciali non sono ne' l'uno ne' l'altro: ne' principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica ne' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Del principio dell'ordinamento giuridico della Repubblica esse non hanno alcuna caratteristica, trattandosi invece di mere regole dimensionali e procedurali finalizzate a pervenire ad una revisione delle circoscrizioni provinciali, destinate ad esaurirsi in una unica occasione. Si deve invero evidenziare che esse coesistono con le norme - affatto diverse - dell'art. 21 d.lgs. 267/2000 (testo unico degli enti locali), le quali stabiliscono i criteri che guidano i comuni nell'esercizio "dell'iniziativa di cui all'art. 133 della Costituzione", volta alla "revisione delle circoscrizioni provinciali". Ora, sembra evidente alla Regione ricorrente che - con riferimento al medesimo oggetto - non possano esservi principi dell'ordinamento giuridico contraddittori, e che, comunque, principi dell'ordinamento giuridico non possano ricavarsi da norme che derogano rispetto ad altre piu' generali. A cio' si aggiunge che i limiti alla potesta' legislativa primaria della Regione ricorrente, previsti dall'art. 4 Statuto, possono essere concretizzati solo da leggi formali o da atti equiparati, e non certo da atti amministrativi, quale invece e' la deliberazione del Consiglio dei ministri, alla quale il comma 2 rimette la definizione dei limiti dimensionali minimi delle "nuove" province, e che dovrebbe vincolare la Regione Friuli-Venezia Giulia. Da questo deriva un ulteriore specifico profilo di violazione dell'art. 4 Statuto. Le impugnate norme dell'art. 17 nulla hanno neppure dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, non avendo in realta' alcun contenuto finanziario diverso dal presupposto di buon senso - ma in realta' approssimativo e semplicistico - che un numero inferiore di province debba costare di meno di un numero maggiore. Sembra chiaro che in questi termini non si tratta affatto di un principio di coordinamento finanziario - del quale non ha ne' l'oggetto ne' il contenuto proprio - ma della pura e semplice interferenza in una scelta organizzativa delle istituzioni locali che - sia pure all'interno di limiti finanziari complessivi eventualmente definiti secondo i criteri riconosciuti legittimi da codesta ecc.ma Corte costituzionale - spetta pienamente alla Regione ed alle sue comunita' locali. Si e' sino a qui censurato l'art. 17 in relazione al suo contenuto. Scrupolo difensivo esige tuttavia che si faccia valere anche la violazione dell'art. 77 Cost. in relazione ai requisiti di necessita' ed urgenza che soli giustificano il ricorso allo strumento eccezionale del decreto-legge. Sembra chiaro, infatti, che per la sua stessa natura la materia del riordino ordinamentale delle Province - per di piu' con una procedura diversa da quella indicata in Costituzione (il che, come sopra esposto, costituisce ragione specifica di illegittimita' costituzionale) richiede il procedimento legislativo ordinario, e che solo una urgenza estrema ed evidente potrebbe giustificare l'anticipazione di qualche singolo aspetto del procedimento con uno strumento di urgenza. D'altronde, il vizio di procedura e' collegato al vizio di contenuto. E' evidente, ad esempio, che la ragione per la quale i criteri del riordino non sono stati stabiliti con la legge (sia pure ordinaria, e non costituzionale, come il ricorso ad una procedura diversa da quella prevista dall'art. 133 richiederebbe) consiste proprio nell'uso del decreto-legge, la cui rapida elaborazione non ha consentito una loro adeguata ponderazione. Ne' basta, ad attestare l'urgenza, l'uso di termini relativamente brevi per le diverse tappe previste. Infatti, il difetto di urgenza sta nella sostanziale intraducibilita' del riordino in immediati o anche solo accertabili risparmi finanziari, essendo chiaro invece che lo stesso processo di riordino, con i suoi adempimenti, sara' invece causa di immediate spese e di immediate disfunzioni collegate alla transizione. 8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 9. L'art. 16, comma 9, rubricato Riduzione della spesa degli enti territoriali dispone che "nelle more dell'attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province e' fatto comunque divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato". La norma non e' richiamata come applicabile alle autonomie speciali dall'art. 24-bis, di modo che se ne dovrebbe escludere l'applicabilita' alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Ove invece lo fosse, essa sarebbe, ad avviso della ricorrente Regione, incostituzionale. In primo luogo, essa appare esplicitamente collegata quanto stabilito nel successivo art. 17 in relazione al riordino delle Province. Dunque, la lamentata illegittimita' costituzionale dell'art. 17 si riverbera anche sul comma 9 dell'art. 16. Se anche fosse legittimo il processo di riordino di cui all'art. 17, ugualmente il comma 9 dell'art. 16 realizzerebbe una indebita compressione dell'autonomia regionale, con riferimento ai gia' invocati parametri statutari sia in materia di ordinamento degli enti locali che in materia di finanza locale, nonche' una compressione della stessa autonomia delle Province. Esso, in particolare, non potrebbe giustificarsi (come pure asserito dal comma 1 dello stesso art. 16) come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma e 118, secondo comma, della Costituzione. Si tratta infatti di disposizione specifica e puntuale, che non potrebbe avere alcun ulteriore svolgimento da parte della Regione. Inoltre, essa e' priva di qualunque contenuto specificamente finanziario, e di qualunque correlazione con lo stato complessivo o persino settoriale con la finanza regionale e provinciale. Inoltre, la competenza primaria della Regione in materia di ordinamento degli enti locali puo' essere statutariamente limitata solo dai principi dell'ordinamento e dalle riforme economiche sociali, ai quali certo non corrisponde la predetta disposizione.
P. Q. M. Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere, in accoglimento del ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1, 2, 3, 7 e 8; dell'art. 9; dell'art. 14, comma 16; dell'art. 15, commi 13 e 22; dell'art. 16, commi 3 e 9; dell'art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, per le parti, i profili e nei modi illustrati nel ricorso. Allegati: 1) Deliberazione della Giunta regionale 27 settembre 2012, n. 1690. Padova, 12 ottobre 2012 Prof. Falcon