N. 275 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2010
Ordinanza del 22 novembre 2010 emessa dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento civile promosso da Regione Calabria e Vartolo Alfonso contro Publiday Sas di Iacovo Agostino & C.. Contratto, atto e negozio giuridico - Norme della Regione Calabria - Cessioni di credito - Previsione dell'efficacia nei confronti della Regione qualora alla stessa siano state notificate presso la sede legale ed accettate con provvedimento del dirigente della struttura regionale competente, prima della liquidazione della correlata spesa - Denunciata violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di giurisdizione e di norme processuali. - Legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8, art. 46. - Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l).(GU n.49 del 12-12-2012 )
IL TRIBUNALE All'udienza del 22 novembre 2010, ha pronunciato, dandone lettura, la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, nella causa iscritta al n. 3588 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi del 2008, tra Publiday S.a.s. di Iacovo Agostino & C., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Catanzaro, alla via Burza, n. 41, presso lo Studio dell'avv. Raimondo Garcea, ma rappresentata e difesa dall'avv. Mario Nocito, giusta procura a margine della comparsa di costituzione, attrice-opposta; Contro: Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, elettivamente domiciliata in Catanzaro, al viale de Filippis, n. 280, presso gli Uffici dell'Avvocatura Regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Sandro Boccucci, giusta procura generale alle liti rilasciata con atto pubblico rogato in data 16 maggio 2005 dal notaio Rocco Guglielmo (Rep. 122.525) e decreto del Dirigente dell'Avvocatura n. 1621 del 29 settembre 2008, convenuta-opponente. Nonche' Vartolo Alfonso, elettivamente domiciliato in Catanzaro, alla via Purificato, n. 14, presso lo Studio degli avv.ti Raffaele Silipo e Ida Maria Bonapace, che lo rappresentano e difendono in giudizio giusta procura a margine della comparsa di costituzione, terzo chiamato. Fatto e diritto La decisione della controversia indicata in epigrafe comporta l'applicazione dell'art. 46 della legge regionale della Calabria del 4 febbraio 2002, n. 8, recante «Ordinamento del bilancio e della contabilita' della Regione Calabria», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 2 del 1° febbraio 2002, supplemento straordinario n. 6. La norma di cui si dubita cosi' dispone: «Le cessioni di credito hanno effetto nei confronti della Regione qualora siano alla stessa notificate presso la sede legale ed accettate con provvedimento del dirigente della struttura regionale competente, prima della liquidazione della correlata spesa». Dalla norma risulta, di contro, che non hanno effetto nei confronti della Regione Calabria le cessioni di credito che non siano accettate, prima della liquidazione della correlata spesa, dal dirigente della struttura regionale competente. Dubita questo giudicante che l'art. 46 citato si ponga in contrasto con l'art. 117, comma II, lett. l) Cost., in base al quale «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) 1) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa», venendo a porre norme inerenti all'ordinamento civile, la cui disciplina e' riservata allo Stato in via esclusiva. Occorre pertanto, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, sospendere il giudizio e disporre la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale, specificando quanto segue in ordine alla rilevanza della questione ed alla sua non manifesta infondatezza. Sulla rilevanza della questione: Con atto pubblico del 24 luglio 2007, Mercatante Francesco Giuseppe cedeva alla Publiday S.a.s. di Iacovo Agostino & C., il credito di €_69.211,92 vantato nei confronti della Regione Calabria in ragione di lavori di somma urgenza eseguiti per conto di tale amministrazione, ed in relazione ai quali era stato emesso certificato di regolare esecuzione. L'atto di cessione veniva notificato all'amministrazione regionale, Dipartimento Lavori Pubblici ed Acque, in data 8 agosto 2007. In difetto di pagamento, la societa' cessionaria richiedeva a questo Tribunale la pronuncia di decreto ingiuntivo, che veniva emesso in data 10 luglio 2008 ed inscritto al n. 743. La Regione Calabria proponeva opposizione eccependo, in via preliminare rispetto alla nullita' dei rapporti contrattuali sottostanti al credito ceduto ed all'inesistenza del credito vantato - pure dedotti -, l'inefficacia della cessione di credito, non accettata dall'amministrazione regionale. Si costituiva la societa' creditrice opposta, perorando l'azione proposta col ricorso monitorio. Domandava altresi' di essere autorizzata a chiamare in causa Vartolo Antonio, responsabile dei vari procedimenti amministrativi in ragione dei quali era sorto il credito poi cedutole, nei cui confronti venivano precisate le seguenti conclusioni: «in via subordinata (al rigetto dell'azione proposta verso la Regione Calabria), accertare e dichiarare la validita' del rapporto contrattuale tra la Ditta Mercadante e il Responsabile del Procedimento Geometra Alfonso Vartolo, e per l'effetto condannare quest'ultimo al pagamento integrale del debito nascente dalle fatture di cui agli ordinativi per cui e' causa». La chiamata in causa veniva autorizzata, ed il terzo si costituiva in giudizio, rassegnando le proprie difese, tra le quali anche lui faceva valere l'inefficacia della cessione di credito. Autorizzato lo scambio di memorie ai sensi dell'art. 183 c.p.c., all'udienza dell'8 luglio 2010 il giudicante sollecitava il contradditorio tra le parti sulla possibile esistenza di dubbi di costituzionalita' della norma oggetto della presente ordinanza (e di altra, su cui e' gia' stata in altro giudizio sollevata la relativa questione, ma che - re melius perpensa - non appare, allo stato, rilevante nel presente giudizio), autorizzando lo scambio di memorie difensive sul punto. Alla luce delle osservazioni delle parti, questo giudicante ritiene rilevanti e non manifestamente infondati i dubbi di legittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 117, comma II, lett. l) Cost., dell'art. 46 della legge regionale della Calabria del 4 febbraio 2002, n. 8, di cui occorre fare applicazione al fine di risolvere la questione preliminare di merito relativa all'efficacia nei confronti dell'amministrazione pubblica regionale della cessione dei crediti verso la Regione Calabria intervenuta tra Mercatante Francesco Giuseppe e Publiday S.a.s. di Iacovo Agostino & C. In limine litis, deve osservarsi che, per quanto la presente causa di opposizione sia stata iscritta a ruolo al settimo giorno dalla notificazione del relativo atto, questo giudicante ritiene che essa non sia improcedibile (secondo quanto invece ritenuto in un obiter dictum da Cass. Civ., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246), nel qual caso si porrebbe nell'oblio dell'irrilevanza la questione che quivi si solleva. Infatti, la posizione della Suprema Corte - non vincolante - non appare condivisibile (in tal senso, nella giurisprudenza di questa Autorita' giudiziaria, cfr.: Trib. Catanzaro, Sez. II Civ., ord. 4 novembre 2010, pubblicata in http://www.ordineavvocati.catanzaro.it), e comunque tale da non comportare un giudizio di tardivita' della costituzione dalla parte opponente che confidava sul precedente, costante orientamento - giurisprudenziale per il quale il termine di iscrizione a ruolo, nell'ipotesi di concessione all'opposto di termini a comparire non inferiori a quelli ordinari, era di dieci giorni (sull'ovverruling della giurisprudenza di legittimita' e sulla non imputabilita' degli errori di diritto commessi sulla base dell'orientamento smentito cfr. Cass. Civ., Sez. II, 17 giugno 2010 n. 14627). Cio' premesso, al fine di verificare come la norma sulla quale si addensano i dubbi di legittimita' costituzionale incida sulla risoluzione della questione di merito enunciata, e' opportuno ricostruire, seppure brevemente, la disciplina in materia di opponibilita' della cessione dei crediti, con particolare riferimento ai crediti vantati nei confronti dell'amministrazione pubblica. La regula iuris di carattere generale e' contenuta nel codice civile, il cui art. 1260 stabilisce che il creditore puo' trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purche' il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le parti possono escludere la cedibilita' del credito; ma il patto non e' opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione. Secondo il successivo art. 1264 c.c. (non dissimile nella sostanza dall'art. 1529 del codice civile del 1865), la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'abbia accettata o, in alternativa, quando gli sia stata notificata, fermo restando che il debitore che paga al cedente prima della notificazione o dell'accettazione non e' liberato dal debito, se si dia dimostrazione che era a conoscenza dell'avvenuta cessione. Al momento dell'emanazione del codice civile, era pero' presente nell'ordinamento una specifica disciplina in ordine alla cessione dei crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Gia' l'art. 9, allegato E, legge 20 marzo 1865, n. 2248 stabiliva, in materia di contratti pubblici, che «sul prezzo dei contratti in corso non potra' aver effetto alcun sequestro, ne' convenirsi cessione se non vi aderisca l'amministrazione interessata». L'art. 339, allegato F, legge 20 marzo 1865 n. 2248 - oggi espressamente abrogato dal d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 -, dal canto suo, dopo aver posto il divieto sia della cessione del contratto di appalto sia del subappalto senza l'autorizzazione dell'amministrazione, soggiungeva: «E' pure vietata qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute». Una piu' generale disciplina quanto alla cessione dei crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche era ed e' tuttora contenuta nel r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, rubricato Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilita' generale dello Stato. L'art. 69 del testo normativo stabilisce che «le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all'amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento . La notifica rimane priva di effetto riguardo agli ordini di pagamento che risultino gia' emessi. Potra', peraltro, il creditore fare tale notificazione all'ufficiale, tesoriere o agente incaricato di eseguire il pagamento degli ordini o di effettuare la consegna degli assegni di cui all'art. 54, lettera a). Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio». In base al successivo art. 70, «gli atti considerati nel precedente art. 69, debbono indicare il titolo e l'oggetto del credito verso lo stato, che si intende colpire, cedere o delegare. Con un solo atto non si possono colpire, cedere o delegare crediti verso amministrazioni diverse. Per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti, devono essere osservate le disposizioni dell'art. 9, allegato E, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 e degli articoli 351 e 355, allegato F, della legge medesima». In questo panorama normativo, sorgeva anzitutto la questione se la disposizione originaria dell'art. 9, allegato E, legge 20 marzo 1865, n. 2248, concernente tutti i contratti, fosse stata confermata da quella successiva dell'art. 70 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, oppure se il legislatore avesse cosi' inteso restringere la portata della prima, limitando la necessita' dell'adesione dell'amministrazione pubblica solo per determinati crediti, cioe' appunto per quelli derivanti dall'esecuzione di contratti di somministrazione, di appalto o di fornitura. Quest'ultima tesi e' stata ritenuta, dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. III, 28 gennaio 2002, n. 981), «preferibile, in forza del principio di cui all'art. 14 delle preleggi, essenzialmente in base al rilievo che la disciplina speciale in questione deroga a quella ordinaria, secondo la quale la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto in base alla semplice accettazione o notificazione. Tale soluzione e' anche conforme al principio per cui, nei rapporti nei quali lo Stato agisce jure privatorum, le disposizioni che definiscono l'area di incidenza dei privilegi della p.a., comportanti una restrizione dell'autonomia negoziale dei privati, vanno interpretate in senso restrittivo, in linea col precetto di cui all'art. 41 1° comma della Costituzione. Cio' comporta che la disciplina di cui all'art. 9 cit. deve ritenersi abrogata, ai sensi dell'art. 15 disp. sulla legge in generale, per tutti i casi nei quali non e' espressamente richiamata dall'art. 70 del R.D. n. 2440 del 1923». Nella sentenza della Corte di Cassazione appena richiamata viene, in secondo luogo, sottolineato che, da un punto di vista tecnico giuridico, la «fornitura» non si distingue dalla «somministrazione», non ricorrendo tra le stesse alcuna differenza sostanziale, sicche', come ha messo in luce un'accreditata dottrina, i contratti di fornitura altro non sono se non i contratti di somministrazione stipulati dalle pubbliche amministrazioni; e, in definitiva, la «fornitura» non costituisce un'autonoma figura contrattuale, ma e' solo l'impropria denominazione del contratto di somministrazione. Conseguiva da tutto quanto esposto che il divieto di cessione senza l'«adesione» della pubblica amministrazione si applicava, in definitiva, solo ai rapporti di durata come l'appalto e la somministrazione (o fornitura), solo rispetto ai quali il legislatore aveva ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilita' dei crediti anche senza il consenso del debitore (art. 1260 C.c.), l'esigenza di garantire con questo mezzo la regolare esecuzione, evitando che, durante la medesima, potessero venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbligato e cosi' potesse essere compromessa l'ulteriore, regolare prosecuzione del rapporto (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 18 novembre 1994, n. 9789); e non pure a un contratto, non di durata ma ad esecuzione istantanea. Nella giurisprudenza della Corte di legittimita' si era anche precisato (Cass. Civ., Sez. III, 21 settembre 2005, n. 18610) che la disciplina teste' illustrata trovava applicazione non solo alle amministrazioni dello Stato, ma anche agli altri enti pubblici, in tal senso deponendo sia la portata generale di tali disposizioni, confermata dal riferimento delle predette leggi anche ai beni ed alle attivita' di enti diversi dallo Stato, nonche' dalle norme secondarie che le estendevano ai comuni ed alle province (art. 112 deI r.d. 19 settembre 1899, n. 394, art. 176 del r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, art. 70 del r.d. 19 novembre 1923, n. 2440), sia il comune scopo delle norme in questione, consistente nel garantire la regolare esecuzione dei contratti di durata in esse considerati, impedendo che nel corso degli stessi l'appaltatore potesse privarsi dei mezzi finanziari erogatigli dalla pubblica amministrazione secondo lo stato di avanzamento dei lavori e lo sviluppo delle forniture. L'elaborazione giurisprudenziale (Cass. Civ., Sez, I, 8 maggio 2008, n. 11475; ma si veda anche, tra le altre, Cass. Civ., Sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2541) aveva altresi' sottolineato che la deroga al principio di libera cedibilita' dei crediti, essendo intesa ad evitare che durante l'esecuzione del contratto potessero venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione a favore della pubblica amministrazione, cessava alla conclusione del rapporto contrattuale, come si desumeva dall'inciso «contratti in corso», con la conseguenza che restavano inopponibili all'amministrazione le cessioni di credito fatte valere e realizzate senza la sua preventiva adesione, purche' intervenute dopo la conclusione del rapporto. Peraltro, veniva precisato che, in tema di appalto di opere pubbliche, il contratto cessa di essere considerato in corso soltanto a seguito dell'espletamento e dell'approvazione del collaudo da parte della pubblica amministrazione, costituendo tale approvazione lo strumento legale con il quale le conclusioni dell'appaltatore vengono accettate dalla Amministrazione con conseguente obbligo della medesima di liquidare il corrispettivo sulla base dell'importo determinato in quella sede. Solo in tale momento puo' quindi ritenersi esaurito il rapporto contrattuale e superata la ragione della deroga. In questo panorama, e' intervenuto innovativamente l'art. 26, comma 5, legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in materia di lavori pubblici, il quale stabiliva che «le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 (relativa alla cessione di crediti di impresa), sono estese ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell'ambito della realizzazione di lavori pubblici». Il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, provvedeva ad attuare le disposizioni legislative con le modalita' seguenti: «Ai sensi dell'articolo 26, comma 5, della legge, le cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli appaltatori a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attivita' di acquisto di crediti di impresa. La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata all'amministrazione debitrice. La cessione del credito da corrispettivo di appalto e' efficace ed opponibile alla pubblica amministrazione qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2. L'amministrazione pubblica, al momento della stipula del contratto o contestualmente, puo' preventivamente riconoscere la cessione da parte dell'appaltatore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. In ogni caso, l'amministrazione ceduta puo' opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto di appalto». La disciplina risultante dalla legge e dal regolamento e' stata sostanzialmente integrata nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (in ogni caso non applicabile al caso di specie perche' successivo all'avvenuta cessione del credito), il quale, all'art. 117, cosi' regola la materia: «Le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui al presente codice, ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi di progettazione. Le cessioni di crediti possono essere effettuate a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attivita' di acquisto di crediti di impresa. Ai fini dell'opponibilita' alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici. Le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione. Le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. In ogni caso l'amministrazione cui e' stata notificata la cessione puo' opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato». Il lavorio giurisprudenziale ha provveduto a coordinare l'innovativa normativa dettata a partire dal 1994 in materia di appalti pubblici con quella gia' in vigore, concludendo nel senso che l'estensione ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici delle previsioni della legge 21 febbraio 1991, n. 52, derogatorie rispetto alla disciplina comune prevista dal codice civile ed applicabili a condizione che il cessionario sia una banca od un intermediario finanziario, non ha inteso procedere - laddove questa condizione non sussista - all'abrogazione delle norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione e, quindi, rendere applicabile, ex art. 1, comma 2, legge 21 febbraio 1991, n. 52, la comune disciplina codicistica in tema di cessione di crediti, continuando ad essere applicabile la normativa speciale di cui all'art. 9, allegato E della legge 20 marzo 1865, nonche', trattandosi di contratto della pubblica amministrazione, quella di cui agli artt. 69 e 70 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (Cass. Civ., Sez. I, 24 settembre 2007, n. 19571, che, pur trovandosi ad applicare ratione temporis la legge 11 febbraio 1993, n. 109, e' pervenuta a tali conclusioni anche sulla base dell'art. 117 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici, il quale, confermando la cedibilita' dei crediti nei confronti dell'amministrazione derivanti dall'esecuzione di appalti per lavori pubblici, ribadisce la necessita' che il cessionario sia un'impresa qualificata e, per l'eventualita' che il cessionario non sia in possesso dei prescritti requisiti, non prevede l'applicabilita' delle norme generali del codice civile). Ricapitolando quanto sin qui enucleato, in ragione delle norme di diritto privato speciale applicabili all'amministrazione pubblica, si hanno le seguenti ipotesi: cessione a soggetto non qualificato ai sensi della legge 21 febbraio 1991, n. 52, di crediti verso la pubblica amministrazione derivanti da contratti non relativi a «somministrazioni, forniture ed appalti» ovvero, pur rientranti in tale categoria, non piu' in corso di esecuzione: la cessione, ai sensi dell'art. 69 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, ha efficacia quando, redatta in forma solenne, e' notificata all'amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento; la notifica rimane priva di effetto riguardo agli ordini di pagamento che risultino gia' emessi; cessione a soggetto non qualificato ai sensi della legge 21 febbraio 1991, n. 52, di crediti verso la pubblica amministrazione derivanti da contratti relativi a «somministrazioni, forniture ed appalti» ancora in corso di esecuzione: la cessione, ai sensi dell'art. 70 r.d. 18 novembre 1923 e 9, allegato E, legge 20 marzo 1865, n. 2248, ha efficacia solo a seguito dell'accettazione da parte dell'amministrazione pubblica; cessione a soggetto qualificato ai sensi della legge 21 febbraio 1991, n. 52, di crediti verso la pubblica amministrazione derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori: la cessione, ai sensi dell'art. 117 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha efficacia se e' stata preventivamente accettata dall'amministrazione nel contratto d'appalto od in altro atto separato e contestuale, ovvero se, stipulata in forma solenne e notificate all'amministrazione, non sia da questa rifiutata nel termine normativamente previsto; cessione a soggetto qualificato ai sensi della legge 21 febbraio 1991, n. 52, di crediti verso la pubblica amministrazione non derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori: torna ad essere applicabile la disciplina di cui agli artt. 69 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, per cui la cessione, redatta in forma solenne, deve essere semplicemente notificata all'amministrazione. La legge regionale oggetto di attenzione, invece, in deroga al complesso normativo sin qui delineato, stabilisce che «le cessioni di credito hanno effetto nei confronti della Regione qualora siano alla stessa notificate presso la sede legale ed accettate con provvedimento del dirigente della struttura regionale competente, prima della liquidazione della correlata spesa». La normativa regionale (che per la collocazione topografica, nel cuore della disciplina delle spese della Regione Calabria, si riferisce ad ogni cessione di credito), quindi, appiattisce l'articolata regolamentazione di diritto privato speciale, facendo si' che le cessioni dei crediti vantati nei confronti della Regione Calabria, qualunque sia la loro origine, in ogni tempo ed indipendentemente dalla natura del cessionario, non siano opponibili all'amministrazione regionale se non accettati da questa, per il tramite del dirigente del competente settore, e sempre che la spesa non sia stata gia' liquidata. Esaminando la fattispecie concreta devoluta alla cognizione di questo giudicante alla luce della sola disciplina statale, la cessione di credito a soggetto non qualificato ai sensi della legge 21 febbraio 1991, n. 52 sarebbe stata senza dubbi opponibile alla Regione Calabria, in quanto pur essendo il credito relativo ad opere pubbliche - i sottostanti rapporti negoziali (indipendentemente dalla loro validita') erano esauriti al momento della cessione, peraltro regolarmente notificata all'amministrazione regionale. Non cosi', invece, deve ritenersi avendo riguardo alla derogatoria norma di legge regionale, senza dubbio applicabile alla vicenda. Ne deriva la rilevanza della questione sollevata. Sulla non manifesta infondatezza della questione: L'art. 117, comma II, lett. 1) Cost., come introdotto dalla 1. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, recita: «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) 1) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa». La Corte costituzionale e' stata chiamata piu' volte ad indicare i limiti fino ai quali la legislazione regionale puo' spingersi senza stridere col precetto costituzionale che riserva allo Stato il potere esclusivo di disciplinare l'ordinamento civile. Pur omettendo i casi attinenti alla materia laburistica, e limitandosi alle ipotesi in cui veniva in qualche modo in rilievo il diritto delle obbligazioni e dei contratti, emerge un quadro giurisprudenziale sufficientemente preciso. Con la sentenza n. 253 del 2006, il giudice delle leggi ha dichiarato fondata la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 16, commi 1 e 4 della legge regionale della Toscana 15 novembre 2004, n. 63, recante Norme contro le discriminazioni determinate dall'orientamento sessuale o dall'identita' di genere. Tale norma prevedeva il divieto per gli operatori commerciali appartenenti a determinate categorie di rifiutare la loro prestazione, o di erogarla a condizioni deteriori rispetto a quelle ordinarie, «senza un legittimo motivo e, in particolare, fra l'altro per motivi riconducibili all'orientamento sessuale o all'identita' di genere». La disposizione conteneva, altresi', la previsione di una sanzione amministrativa in caso di contravvenzione al detto divieto. La Corte ha rilevato come venisse imposto, cosi', ai soggetti sopra indicati l'obbligo di fornire la propria prestazione a chiunque ne facesse richiesta, senza possibilita' di discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale. Pero', «la norma regionale impugnata nel prevedere, in sostanza, un'ipotesi di obbligo legale a contrarre - obbligo gia' previsto in via generale dal legislatore statale all'art. 187 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza) - e alla cui violazione e' altresi' connessa la comminatoria di una sanzione amministrativa, introduce una disciplina incidente sull'autonomia negoziale dei privati e, quindi, su di una materia riservata, ex art. 117, comma secondo, lettera 1), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato». Successivamente, con la sentenza n. 401 del 2007 (vera e propria pietra angolare su cui si e' sviluppata la seguente giurisprudenza) e' stata esaminata la questione di legittimita' posta in via diretta dalle Regioni Veneto e Piemonte, le quali lamentavano l'inclusione, nell'ambito del codice degli appalti pubblici, di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, del riferimento alle fasi della stipulazione e dell'esecuzione dei contratti, ivi comprese quelle della direzione dell'esecuzione e della direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilita' amministrative. Secondo le regioni ricorrenti, il codice disciplinerebbe settori che atterrebbero ad aspetti organizzativi e procedurali dell'azione amministrativa, i quali andrebbero inclusi, «a seconda dell'oggetto, tra le materie di competenza concorrente o residuale» (cosi' secondo la Regione Veneto), ovvero investirebbe ambiti in cui sarebbero ravvisabili «spazi significativi che vanno ascritti all'ordinamento e organizzazione amministrativa», che appartengono alla Regione ad eccezione di quanto e' riferibile allo Stato e agli enti pubblici nazionali (cosi' la Regione Piemonte). La Corte ha disatteso le argomentazioni degli enti regionali. Si legge nella densa motivazione, di cui e' opportuno riportare un ampio stralcio, che «e' noto che l'attivita' contrattuale della pubblica amministrazione, essendo funzionalizzata al perseguimento dell'interesse pubblico, si caratterizza per la esistenza di una struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica segue un momento negoziale. Nella prima fase di scelta del contraente l'amministrazione agisce, come si e' gia' sottolineato, secondo predefiniti moduli procedintentali di garanzia per la tutela dell'interesse pubblico, ancorche' siano contestualmente presenti momenti di rilevanza negoziale, dovendo la pubblica amministrazione tenere, in ogni caso, comportamenti improntati al rispetto, tra l'altro, delle regole della buona fede. Nella seconda fase - che ha inizio con la stipulazione del contratto (si veda art. 11, comma 7, del Codice) - l'amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parita' con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensi' nell'esercizio della propria autonomia negoziale. Tale fase, che ricomprende l'intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l'istituto del collaudo - il quale e', tra l'altro, anche specificamente disciplinato dal codice civile (...) si connota, pertanto, per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall'esercizio di autonomie negoziali. Ne consegue che la norma censurata - disciplinando aspetti afferenti a rapporti che presentano prevalentemente natura privatistica, pur essendo parte di essi una pubblica amministrazione - deve essere ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento civile. Sussiste, infatti, l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita' di trattamento, nell'intero territorio nazionale, della disciplina della fase di conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto avente, tra l'altro - per l'attivita' di unificazione e semplificazione normativa svolta dal legislatore valenza sistematica. Ne' vale obiettare, come fa la Regione Veneto, che non. potrebbe ritenersi sussistente il titolo di competenza rappresentato dall'ordinamento civile, in quanto non verrebbero in rilievo «la stipulazione e l'esecuzione regolate dal codice civile». Sul punto, e' agevole osservare che l'ambito materiale in esame ricomprende tutti gli aspetti che ineriscono a rapporti di natura privatistica, in relazione ai quali sussistono le esigenze sopra indicate, senza che detti rapporti debbano rinvenire la loro disciplina necessariamente sul piano codicistico. In altri termini, la sussistenza di aspetti di specialita', rispetto a quanto previsto dal codice civile, nella disciplina della fase di stipulazione e esecuzione dei contratti di appalto, non e' di ostacolo al riconoscimento della legittimazione statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost.». A distanza di poco tempo, sono stati portati all'attenzione del giudice delle leggi (sentenza 431 del 2007) gli artt. 51-58 della legge regionale della Campania n. 12 del 2006, i quali, disciplinando i contratti pubblici affidati dalla Regione Campania in esito alle proprie procedure di scelta del contraente, intervenivano a dettare norme in tema di garanzie del contratto (art. 51), di modalita' di stipulazione (art. 52) e di durata dello stesso (art. 53), di anticipazione e revisione dei prezzi (art. 54), di subappalto e cessione del contratto (art. 55), di aumento o diminuzione della prestazione (art. 56), di spese contrattuali (art. 57) e di verifica e collaudo (art. 58). La Corte ha lapidariamente sottolineato che tali norme attenevano «a quella fase inerente all'attivita' contrattuale della pubblica amministrazione che ha inizio con la stipulazione del contratto, nella quale l'amministrazione agisce nell'esercizio della propria autonomia negoziale». Richiamando il proprio precedente orientamento, la Consulta ha sottolineato che tale stadio comprende l'intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale e si connota per l'assenza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico: pertanto, la disciplina della predetta fase, inerendo a rapporti di natura privatistica, in relazione ai quali sussistono imprescindibili esigenze di garanzia di uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale, riferite alla conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto, deve essere ricondotta all'ambito dell'ordinamento civile, di spettanza esclusiva del legislatore statale. Allo stesso modo, con la sentenza n. 322 del 2008 sono stati dichiarati illegittimi gli artt. 29 e 32 della legge della Regione Veneto n. 17 del 2007, inerenti ai subappalti (art. 29) ed al leasing immobiliare (art. 32), in quanto idonei ad alterare le regole contrattuali che disciplinano i rapporti privati, e quindi rientranti nella materia «ordinamento civile». Con la sentenza 160 del 2009, ancora, e' stata ritenuta rientrante nell'ambito dell'ordinamento civile, e quindi sottratta alla competenza legislativa regionale, la disciplina dell'avvalimento contenuta nel codice dei contratti pubblici, ed alla quale illegittimamente derogava l'art. 127, comma 1, lettera l), della legge della Regione Campania n. 1 del 2008; infatti, l'istituto de quo, nella parte in cui si occupa degli obblighi assunti dall'impresa ausiliaria «verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui e' carente il concorrente» (art. 49, comma 2, lettera d) e pone una regolamentazione al «contratto in virtu' del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto» (art. 49, comma 2, lettera f), rientra nella materia sopra specificata. Tali norme, secondo la Corte, «sono riconducibili alla materia dell'ordinamento civile, anch'essa di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost. Si tratta, infatti, di profili di disciplina che afferiscono, a prescindere dalla loro esatta qualificazione giuridica, a vicende comunque di natura essenzialmente privatistica». Ulteriormente, con la sentenza n. 295 del 2009, la Corte ha ripercorso la giurisprudenza anteriore alla novella dell'art. 117 Cost., ribadendone la validita' e sancendo che il diritto privato e' materia posta oltre la sfera della competenza legislativa della Regione: «L'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione ha codificato il limite del «diritto privato» consolidatosi nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (v., tra le molte, le sentenze n. 190 del 2001; n. 379 del 1994; n. 35 del 1992; n. 51 del 1990; n. 691 del 1988; n. 38 del 1977; n. 108 del 1975 e n. 7 del 1956). Questa Corte ha piu' volte affermato che «l'ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i rapporti fra privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del 2001). Questa Corte ha precisato che detto limite consente comunque un qualche adattamento in ambito regionale, «ove questo risulti in stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto del richiamato principio di eguaglianza» (sentenza n. 352 del 2001). Peraltro, sin dalle prime pronunce, questa Corte ha avuto modo di decidere che «la disciplina dei rapporti contrattuali (...) va riservata alla legislazione statale» (sentenza n. 6 del 1958; cfr. anche le sentenze n. 82 del 1998 e n. 60 del 1968)». Con la successiva sentenza n. 122 del 2009, e' stata dichiarata, tra l'altro, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge regionale del Piemonte n. 9 del 2009, il quale, sotto la rubrica «Diritto allo sviluppo portabile», stabiliva - derogando alla disciplina dettata per tutti i programmi per elaboratori dagli artt. 64-bis e seguenti della legge n. 633 del 1941, e successive modifiche e integrazioni, peraltro in attuazione della normativa europea in materia (direttiva CE n. 91/250) - che «chiunque ha il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e formati di salvataggio di un altro software, anche proprietario». Cosi' statuendo, la Regione Piemonte realizzava una palese deroga alla norma statale, introducendo un autonomo contenuto precettivo che si rivelava non suscettibile di essere coordinato con la detta norma statale. Pertanto, l'art. 3 della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, e' stato ritenuto violativo la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, dettata dall'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost. Infine, con la sentenza 123 del 2010, la Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto l'art. 25, comma 2, della legge regionale della Campania n. 1 del 2009, la quale prevedeva l'impignorabilita' dei beni di alcuni enti sanitari e zooprofilattici, sottraendo al regime dell'esecuzione forzata detti beni, in deroga al regime della responsabilita' patrimoniale del debitore. La censura e' stata dichiarata fondata previo richiamo al consolidato, ed appena ricordato, orientamento per il quale l'ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale in quanto fondato sull'esigenza l'uniformita' del diritto privato sul territorio nazionale: limite dell'ordinamento privato, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprende i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione (ex plurimis, sentenze n. 295 del 2009 e n. 352 del 2001; analogamente, sentenza n. 50 del 2005)». La disposizione in quella sede censurata, allora, nel disporre la suddetta impignorabilita', introduceva «una limitazione al soddisfacimento patrimoniale delle ragioni dei creditori non prevista dalla normativa statale riguardante la materia, assegnando «alle situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali con quegli enti un regime, sostanziale e processuale, peculiare rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da quello di procedura civile) altrimenti applicabile» (sentenza n. 25 del 2007). La norma regionale censurata opera, dunque, nell'ambito della materia dell'«ordinamento civile», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.». L'esame delle pronunzie sopra ricordate induce ad una agevole conclusione. E' sottratta alla potesta' legislativa regionale la posizione di norme di diritto privato (cosi' intendendosi principalmente le norme oggetto di codificazione, ma anche le norme extra vagantes che regolino i rapporti tra parti che si pongano su un piano paritario), ed in particolare l'emanazione di regole inerenti alla disciplina dei contratti, delle obbligazioni, della proprieta' intellettuale, delle garanzie patrimoniali. Orbene, l'art. 46 della legge regionale della Calabria del 4 febbraio 2002, n. 8 - al contrario di quanto sostenuto dalla difesa regionale nelle note autorizzate depositate in data 15 novembre 2010 - pone una regola che non si riferisce alla materia dell'ordinamento contabile della Regione, vale a dire alla «gestione finanziaria ed economica della Regione» (cfr. art. 1, comma 2, legge regionale della Calabria 4 febbraio 2002, n. 8). Essa, in realta', incide direttamente sull'efficacia della cessione dei crediti verso l'amministrazione, ed e' pertanto volta chiaramente a disciplinare i rapporti privatistici. Ne consegue che non e' manifestamente infondato il dubbio che la norma in oggetto esorbiti i limiti della competenza legislativa regionale, dovendo cosi' essere dichiarata dalla Corte costituzionale illegittima. Non sembra, d'altro canto, possibile che, attraverso un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata (invocata dalla societa' opposta nelle note depositata il 15 ottobre 2010), la norma investita dai dubbi possa essere diversamente intesa, attribuendole un significato tale che essa non vada ad esplicare i suoi effetti sull'ordinamento civile, ma su ambiti diversi. E' appena il caso, infine, di segnalare come la circostanza che il Governo non abbia proposto in via principale la questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma I, Cost. non esima l'Autorita' giurisdizionale, che debba fare applicazione di una norma regionale sospettata di esorbitare dai limiti di competenza imposti dalla Costituzione, dal rivolgere alla Corte competente tali dubbi (cfr., a titolo di esempio e tra le molte, la sentenza della Corte n. 370 del 2008, con la quale e' stata dichiarata illegittima per violazione dell'art. 117, comma II, lettera l) Cost. dell'art. 3, comma 1, della legge della Regione Molise 5 maggio 2006, n. 5, e dell'art. 12, comma 6, della legge della Regione Molise 27 settembre 2006, n. 28 sulla base di una questione sollevata d'ufficio dal Tribunale di Campobasso, Sezione Riesame).
P. Q. M. Visto ed applicato l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 46 della legge regionale della Calabria del 4 febbraio 2002, n. 8, recante «Ordinamento del bilancio e della contabilita' della Regione Calabria», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 2 del 1° febbraio 2002, supplemento straordinario n. 6, in relazione all'art. 117, comma II, lett. l) Cost. Sospende il giudizio. Dispone la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente della Giunta regionale della Calabria ed al Presidente del Consiglio Regionale della Calabria. Catanzaro, 22 novembre 2010 Il giudice: Tallaro