N. 275 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2010

Ordinanza del 22 novembre 2010 emessa dal Tribunale di Catanzaro  nel
procedimento civile promosso da Regione Calabria  e  Vartolo  Alfonso
contro Publiday Sas di Iacovo Agostino & C.. 
 
Contratto, atto e negozio giuridico - Norme della Regione Calabria  -
  Cessioni di credito - Previsione dell'efficacia nei confronti della
  Regione qualora alla stessa siano state notificate presso  la  sede
  legale ed accettate con provvedimento del dirigente della struttura
  regionale competente,  prima  della  liquidazione  della  correlata
  spesa - Denunciata violazione della sfera di competenza legislativa
  esclusiva  statale  in  materia  di  giurisdizione   e   di   norme
  processuali. 
- Legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8, art. 46. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l). 
(GU n.49 del 12-12-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    All'udienza  del  22  novembre  2010,  ha  pronunciato,   dandone
lettura, la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11  marzo  1953,  n.
87, nella causa iscritta al n. 3588 del Ruolo Generale  degli  Affari
Contenziosi del 2008, tra Publiday S.a.s. di Iacovo Agostino & C., in
persona del suo  legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente
domiciliata in Catanzaro, alla via Burza, n.  41,  presso  lo  Studio
dell'avv. Raimondo Garcea, ma rappresentata e difesa dall'avv.  Mario
Nocito, giusta procura a  margine  della  comparsa  di  costituzione,
attrice-opposta; 
    Contro: 
    Regione  Calabria,  in  persona  del  Presidente   della   Giunta
Regionale in carica, elettivamente domiciliata in Catanzaro, al viale
de Filippis, n. 280, presso  gli  Uffici  dell'Avvocatura  Regionale,
rappresentata e difesa  dall'avv.  Sandro  Boccucci,  giusta  procura
generale alle liti rilasciata con atto pubblico  rogato  in  data  16
maggio 2005 dal notaio Rocco Guglielmo (Rep. 122.525) e  decreto  del
Dirigente  dell'Avvocatura   n.   1621   del   29   settembre   2008,
convenuta-opponente. 
    Nonche' Vartolo Alfonso, elettivamente domiciliato in  Catanzaro,
alla via Purificato, n. 14, presso lo Studio  degli  avv.ti  Raffaele
Silipo e Ida Maria Bonapace, che  lo  rappresentano  e  difendono  in
giudizio giusta procura a margine  della  comparsa  di  costituzione,
terzo chiamato. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    La decisione della controversia  indicata  in  epigrafe  comporta
l'applicazione dell'art. 46 della legge regionale della Calabria  del
4 febbraio 2002, n. 8, recante  «Ordinamento  del  bilancio  e  della
contabilita'  della  Regione  Calabria»,  pubblicata  sul  Bollettino
Ufficiale della Regione  n.  2  del  1°  febbraio  2002,  supplemento
straordinario n. 6. 
    La norma di cui si dubita cosi' dispone: «Le cessioni di  credito
hanno effetto nei confronti della Regione qualora siano  alla  stessa
notificate presso la sede legale ed accettate con  provvedimento  del
dirigente  della  struttura   regionale   competente,   prima   della
liquidazione della correlata spesa». 
    Dalla norma  risulta,  di  contro,  che  non  hanno  effetto  nei
confronti della Regione Calabria le cessioni di credito che non siano
accettate,  prima  della  liquidazione  della  correlata  spesa,  dal
dirigente della struttura regionale competente. 
    Dubita questo  giudicante  che  l'art.  46  citato  si  ponga  in
contrasto con l'art. 117, comma II, lett. l) Cost., in base al  quale
«lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...)  1)
giurisdizione e  norme  processuali;  ordinamento  civile  e  penale;
giustizia   amministrativa»,   venendo   a   porre   norme   inerenti
all'ordinamento civile, la cui disciplina e' riservata allo Stato  in
via esclusiva. 
    Occorre pertanto, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953,  n.
87, sospendere il giudizio e disporre la trasmissione immediata degli
atti alla Corte costituzionale, specificando quanto segue  in  ordine
alla  rilevanza  della  questione   ed   alla   sua   non   manifesta
infondatezza. 
Sulla rilevanza della questione: 
    Con atto  pubblico  del  24  luglio  2007,  Mercatante  Francesco
Giuseppe cedeva alla Publiday S.a.s. di  Iacovo  Agostino  &  C.,  il
credito di €_69.211,92 vantato nei confronti della  Regione  Calabria
in ragione di lavori di somma urgenza  eseguiti  per  conto  di  tale
amministrazione,  ed  in  relazione  ai  quali   era   stato   emesso
certificato di regolare esecuzione. 
    L'atto  di   cessione   veniva   notificato   all'amministrazione
regionale, Dipartimento Lavori Pubblici ed Acque, in  data  8  agosto
2007. 
    In difetto di pagamento, la  societa'  cessionaria  richiedeva  a
questo Tribunale la  pronuncia  di  decreto  ingiuntivo,  che  veniva
emesso in data 10 luglio 2008 ed inscritto al n. 743. 
    La Regione  Calabria  proponeva  opposizione  eccependo,  in  via
preliminare  rispetto  alla  nullita'   dei   rapporti   contrattuali
sottostanti al credito ceduto ed all'inesistenza del credito  vantato
- pure dedotti  -,  l'inefficacia  della  cessione  di  credito,  non
accettata dall'amministrazione regionale. 
    Si costituiva la societa' creditrice opposta, perorando  l'azione
proposta  col  ricorso  monitorio.  Domandava  altresi'   di   essere
autorizzata a chiamare in causa  Vartolo  Antonio,  responsabile  dei
vari procedimenti amministrativi in ragione dei quali  era  sorto  il
credito  poi  cedutole,  nei  cui  confronti  venivano  precisate  le
seguenti conclusioni: «in via  subordinata  (al  rigetto  dell'azione
proposta verso  la  Regione  Calabria),  accertare  e  dichiarare  la
validita' del rapporto contrattuale tra  la  Ditta  Mercadante  e  il
Responsabile  del  Procedimento  Geometra  Alfonso  Vartolo,  e   per
l'effetto condannare quest'ultimo al pagamento integrale  del  debito
nascente dalle fatture di cui agli ordinativi per cui e' causa». 
    La  chiamata  in  causa  veniva  autorizzata,  ed  il  terzo   si
costituiva in giudizio, rassegnando le proprie difese, tra  le  quali
anche lui faceva valere l'inefficacia della cessione di credito. 
    Autorizzato lo scambio di memorie ai sensi dell'art. 183  c.p.c.,
all'udienza  dell'8  luglio  2010  il   giudicante   sollecitava   il
contradditorio tra le parti sulla possibile  esistenza  di  dubbi  di
costituzionalita' della norma oggetto della presente ordinanza (e  di
altra, su cui e' gia' stata in altro giudizio sollevata  la  relativa
questione, ma che - re melius perpensa  -  non  appare,  allo  stato,
rilevante nel presente giudizio), autorizzando lo scambio di  memorie
difensive sul punto. 
    Alla luce  delle  osservazioni  delle  parti,  questo  giudicante
ritiene  rilevanti  e  non  manifestamente  infondati  i   dubbi   di
legittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 117, comma  II,
lett. l) Cost., dell'art. 46 della legge regionale della Calabria del
4 febbraio 2002, n. 8, di cui occorre fare applicazione  al  fine  di
risolvere la questione preliminare di merito  relativa  all'efficacia
nei confronti dell'amministrazione pubblica regionale della  cessione
dei crediti verso la  Regione  Calabria  intervenuta  tra  Mercatante
Francesco Giuseppe e Publiday S.a.s. di Iacovo Agostino & C. 
    In limine litis, deve osservarsi  che,  per  quanto  la  presente
causa di opposizione sia stata iscritta a  ruolo  al  settimo  giorno
dalla notificazione del relativo atto, questo giudicante ritiene  che
essa non sia improcedibile (secondo  quanto  invece  ritenuto  in  un
obiter dictum da Cass. Civ., Sez. Un., 9 settembre 2010,  n.  19246),
nel qual caso si porrebbe nell'oblio  dell'irrilevanza  la  questione
che quivi si solleva. Infatti, la posizione della Suprema Corte - non
vincolante  -  non  appare  condivisibile  (in   tal   senso,   nella
giurisprudenza  di  questa   Autorita'   giudiziaria,   cfr.:   Trib.
Catanzaro,  Sez.  II  Civ.,  ord.  4  novembre  2010,  pubblicata  in
http://www.ordineavvocati.catanzaro.it),  e  comunque  tale  da   non
comportare un giudizio di tardivita' della costituzione  dalla  parte
opponente che  confidava  sul  precedente,  costante  orientamento  -
giurisprudenziale per il quale il  termine  di  iscrizione  a  ruolo,
nell'ipotesi di concessione all'opposto di termini  a  comparire  non
inferiori a quelli ordinari, era di  dieci  giorni  (sull'ovverruling
della giurisprudenza di legittimita' e sulla non imputabilita'  degli
errori di diritto commessi sulla base dell'orientamento smentito cfr.
Cass. Civ., Sez. II, 17 giugno 2010 n. 14627). 
    Cio' premesso, al fine di verificare come la norma sulla quale si
addensano  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  incida   sulla
risoluzione  della  questione  di  merito  enunciata,  e'   opportuno
ricostruire,  seppure  brevemente,  la  disciplina  in   materia   di
opponibilita' della cessione dei crediti, con particolare riferimento
ai crediti vantati nei confronti dell'amministrazione pubblica. 
    La regula iuris di carattere generale  e'  contenuta  nel  codice
civile, il cui art. 1260 stabilisce che il creditore puo'  trasferire
a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza  il  consenso
del debitore, purche' il credito  non  abbia  carattere  strettamente
personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. 
    Le parti possono escludere la  cedibilita'  del  credito;  ma  il
patto non e' opponibile al cessionario, se non si prova che  egli  lo
conosceva al tempo della cessione. 
    Secondo  il  successivo  art.  1264  c.c.  (non  dissimile  nella
sostanza dall'art. 1529 del codice civile del 1865), la  cessione  ha
effetto nei confronti  del  debitore  ceduto  quando  questi  l'abbia
accettata o, in alternativa, quando gli sia stata  notificata,  fermo
restando  che  il  debitore  che  paga   al   cedente   prima   della
notificazione o dell'accettazione non e' liberato dal debito,  se  si
dia dimostrazione che era a conoscenza dell'avvenuta cessione. 
    Al momento dell'emanazione del codice civile, era pero'  presente
nell'ordinamento una specifica disciplina in ordine alla cessione dei
crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche. 
    Gia'  l'art.  9,  allegato  E,  legge  20  marzo  1865,  n.  2248
stabiliva, in materia di contratti  pubblici,  che  «sul  prezzo  dei
contratti in corso non  potra'  aver  effetto  alcun  sequestro,  ne'
convenirsi   cessione   se   non   vi   aderisca    l'amministrazione
interessata». 
    L'art. 339, allegato F, legge  20  marzo  1865  n.  2248  -  oggi
espressamente abrogato dal d.P.R. 21 dicembre 1999,  n.  554  -,  dal
canto suo,  dopo  aver  posto  il  divieto  sia  della  cessione  del
contratto  di  appalto  sia  del  subappalto  senza  l'autorizzazione
dell'amministrazione,  soggiungeva:  «E'   pure   vietata   qualunque
cessione  di  credito  e  qualunque  procura,  le  quali  non   siano
riconosciute». 
    Una piu' generale disciplina quanto  alla  cessione  dei  crediti
vantati nei confronti  delle  amministrazioni  pubbliche  era  ed  e'
tuttora contenuta nel r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, rubricato Nuove
disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilita'
generale dello Stato. 
    L'art. 69 del testo normativo stabilisce  che  «le  cessioni,  le
delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri  e
le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi  in  cui
sono    ammesse    dalle    leggi,    debbono    essere    notificate
all'amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio  o  funzionario
cui spetta ordinare il pagamento . 
    La notifica rimane priva  di  effetto  riguardo  agli  ordini  di
pagamento che risultino gia' emessi. Potra', peraltro,  il  creditore
fare tale notificazione all'ufficiale, tesoriere o agente  incaricato
di eseguire il pagamento degli ordini o  di  effettuare  la  consegna
degli assegni di cui all'art. 54, lettera a). 
    Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli  atti
di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli  devono  risultare  da
atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio». 
    In  base  al  successivo  art.  70,  «gli  atti  considerati  nel
precedente art. 69,  debbono  indicare  il  titolo  e  l'oggetto  del
credito verso lo stato, che si intende colpire, cedere o delegare. 
    Con un solo atto  non  si  possono  colpire,  cedere  o  delegare
crediti verso amministrazioni diverse. 
    Per le somme dovute dallo Stato per  somministrazioni,  forniture
ed appalti, devono essere  osservate  le  disposizioni  dell'art.  9,
allegato E, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 e degli articoli 351 e
355, allegato F, della legge medesima». 
    In questo panorama normativo, sorgeva anzitutto la  questione  se
la disposizione originaria dell'art. 9, allegato E,  legge  20  marzo
1865, n. 2248, concernente tutti i contratti, fosse stata  confermata
da quella successiva dell'art. 70 r.d. 18  novembre  1923,  n.  2440,
oppure se il legislatore avesse cosi' inteso restringere  la  portata
della    prima,     limitando     la     necessita'     dell'adesione
dell'amministrazione pubblica solo  per  determinati  crediti,  cioe'
appunto  per  quelli  derivanti  dall'esecuzione  di   contratti   di
somministrazione, di appalto o di fornitura. 
    Quest'ultima tesi e' stata ritenuta, dalla  Corte  di  Cassazione
(Cass. Civ., Sez. III, 28 gennaio 2002,  n.  981),  «preferibile,  in
forza del principio di cui all'art. 14 delle preleggi, essenzialmente
in base al rilievo che la disciplina speciale in questione  deroga  a
quella ordinaria,  secondo  la  quale  la  cessione  ha  effetto  nei
confronti del debitore ceduto in base alla  semplice  accettazione  o
notificazione. Tale soluzione e' anche conforme al principio per cui,
nei  rapporti  nei  quali  lo  Stato  agisce  jure   privatorum,   le
disposizioni che definiscono l'area di incidenza dei privilegi  della
p.a.,  comportanti  una  restrizione  dell'autonomia  negoziale   dei
privati, vanno  interpretate  in  senso  restrittivo,  in  linea  col
precetto di  cui  all'art.  41  1°  comma  della  Costituzione.  Cio'
comporta che la disciplina di cui  all'art.  9  cit.  deve  ritenersi
abrogata, ai sensi dell'art. 15 disp. sulla legge  in  generale,  per
tutti i casi nei quali non e' espressamente richiamata  dall'art.  70
del R.D. n. 2440 del 1923». 
    Nella sentenza della Corte di Cassazione appena richiamata viene,
in secondo luogo, sottolineato che, da  un  punto  di  vista  tecnico
giuridico, la «fornitura» non si distingue dalla  «somministrazione»,
non ricorrendo tra le stesse alcuna differenza sostanziale,  sicche',
come ha  messo  in  luce  un'accreditata  dottrina,  i  contratti  di
fornitura altro non sono  se  non  i  contratti  di  somministrazione
stipulati dalle  pubbliche  amministrazioni;  e,  in  definitiva,  la
«fornitura» non costituisce un'autonoma figura  contrattuale,  ma  e'
solo l'impropria denominazione del contratto di somministrazione. 
    Conseguiva da tutto quanto esposto che  il  divieto  di  cessione
senza l'«adesione» della pubblica amministrazione  si  applicava,  in
definitiva,  solo  ai  rapporti  di  durata  come  l'appalto   e   la
somministrazione (o fornitura), solo rispetto ai quali il legislatore
aveva ravvisato, in deroga al principio  generale  della  cedibilita'
dei crediti anche senza il consenso del debitore  (art.  1260  C.c.),
l'esigenza di garantire con  questo  mezzo  la  regolare  esecuzione,
evitando che, durante la medesima, potessero venir  meno  le  risorse
finanziarie al soggetto obbligato e cosi' potesse essere  compromessa
l'ulteriore, regolare prosecuzione del  rapporto  (cfr.  Cass.  Civ.,
Sez. I, 18 novembre 1994, n. 9789); e non pure a un contratto, non di
durata ma ad esecuzione istantanea. 
      
    Nella giurisprudenza della Corte di  legittimita'  si  era  anche
precisato (Cass. Civ., Sez. III, 21 settembre 2005, n. 18610) che  la
disciplina teste'  illustrata  trovava  applicazione  non  solo  alle
amministrazioni dello Stato, ma anche agli altri  enti  pubblici,  in
tal senso deponendo sia la portata  generale  di  tali  disposizioni,
confermata dal riferimento delle predette leggi anche ai beni ed alle
attivita' di enti diversi dallo Stato, nonche' dalle norme secondarie
che le estendevano ai comuni ed alle province (art. 112 deI  r.d.  19
settembre 1899, n. 394, art. 176 del r.d. 12 febbraio 1911,  n.  297,
art. 70 del r.d. 19 novembre 1923, n.  2440),  sia  il  comune  scopo
delle norme in  questione,  consistente  nel  garantire  la  regolare
esecuzione dei contratti di durata in esse considerati, impedendo che
nel corso degli  stessi  l'appaltatore  potesse  privarsi  dei  mezzi
finanziari erogatigli dalla pubblica amministrazione secondo lo stato
di avanzamento dei lavori e lo sviluppo delle forniture. 
    L'elaborazione giurisprudenziale (Cass. Civ., Sez,  I,  8  maggio
2008, n. 11475; ma si veda anche, tra le altre, Cass. Civ., Sez. III,
6 febbraio 2007, n. 2541) aveva altresi' sottolineato che  la  deroga
al principio di libera cedibilita' dei  crediti,  essendo  intesa  ad
evitare che durante l'esecuzione del  contratto  potessero  venire  a
mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla  prestazione  a
favore della pubblica amministrazione, cessava alla  conclusione  del
rapporto contrattuale, come si  desumeva  dall'inciso  «contratti  in
corso»,   con   la    conseguenza    che    restavano    inopponibili
all'amministrazione le cessioni di credito fatte valere e  realizzate
senza  la  sua  preventiva  adesione,  purche'  intervenute  dopo  la
conclusione del rapporto. 
    Peraltro, veniva precisato che,  in  tema  di  appalto  di  opere
pubbliche, il contratto cessa di essere considerato in corso soltanto
a seguito dell'espletamento e dell'approvazione del collaudo da parte
della pubblica  amministrazione,  costituendo  tale  approvazione  lo
strumento legale con il quale le conclusioni dell'appaltatore vengono
accettate  dalla  Amministrazione  con  conseguente   obbligo   della
medesima  di  liquidare  il  corrispettivo  sulla  base  dell'importo
determinato  in  quella  sede.  Solo  in  tale  momento  puo'  quindi
ritenersi esaurito il rapporto contrattuale  e  superata  la  ragione
della deroga. 
    In questo panorama, e'  intervenuto  innovativamente  l'art.  26,
comma 5, legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in  materia  di
lavori pubblici, il quale stabiliva che «le disposizioni di cui  alla
legge 21 febbraio 1991, n. 52 (relativa alla cessione di  crediti  di
impresa), sono estese ai crediti verso le  pubbliche  amministrazioni
derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di  concessione
di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell'ambito  della
realizzazione di lavori pubblici». 
    Il d.P.R. 21  dicembre  1999,  n.  554,  recante  Regolamento  di
attuazione della legge  quadro  in  materia  di  lavori  pubblici  11
febbraio 1994, n. 109,  e  successive  modificazioni,  provvedeva  ad
attuare le disposizioni legislative con le  modalita'  seguenti:  «Ai
sensi dell'articolo 26, comma 5, della legge, le cessioni di  crediti
vantati nei confronti delle amministrazioni  pubbliche  a  titolo  di
corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli  appaltatori
a banche  o  intermediari  finanziari  disciplinati  dalle  leggi  in
materia  bancaria  e  creditizia,  il  cui  oggetto  sociale  preveda
l'esercizio dell'attivita' di acquisto di crediti di impresa. 
    La cessione  deve  essere  stipulata  mediante  atto  pubblico  o
scrittura   privata   autenticata   e    deve    essere    notificata
all'amministrazione debitrice. 
    La cessione del credito da corrispettivo di appalto  e'  efficace
ed opponibile alla pubblica amministrazione  qualora  questa  non  la
rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario
entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2. 
    L'amministrazione  pubblica,  al  momento   della   stipula   del
contratto o  contestualmente,  puo'  preventivamente  riconoscere  la
cessione da parte dell'appaltatore di tutti o di  parte  dei  crediti
che devono venire a maturazione. 
    In  ogni  caso,  l'amministrazione   ceduta   puo'   opporre   al
cessionario tutte le eccezioni  opponibili  al  cedente  in  base  al
contratto di appalto».  
    La disciplina risultante dalla legge e dal regolamento  e'  stata
sostanzialmente integrata nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163,  recante
il Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e  2004/18/CE  (in
ogni caso non  applicabile  al  caso  di  specie  perche'  successivo
all'avvenuta cessione del credito), il  quale,  all'art.  117,  cosi'
regola la materia: «Le disposizioni di cui  alla  legge  21  febbraio
1991, n. 52, sono estese ai  crediti  verso  le  stazioni  appaltanti
derivanti da contratti di servizi,  forniture  e  lavori  di  cui  al
presente codice, ivi compresi  i  concorsi  di  progettazione  e  gli
incarichi di progettazione. Le cessioni  di  crediti  possono  essere
effettuate a banche  o  intermediari  finanziari  disciplinati  dalle
leggi in materia  bancaria  e  creditizia,  il  cui  oggetto  sociale
preveda l'esercizio dell'attivita' di acquisto di crediti di impresa. 
    Ai fini dell'opponibilita'  alle  stazioni  appaltanti  che  sono
amministrazioni pubbliche,  le  cessioni  di  crediti  devono  essere
stipulate mediante atto pubblico o scrittura  privata  autenticata  e
devono essere notificate alle amministrazioni debitrici. 
    Le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto,  concessione,
concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili  alle  stazioni
appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste  non  le
rifiutino  con  comunicazione  da  notificarsi  al   cedente   e   al
cessionario  entro  quarantacinque  giorni   dalla   notifica   della
cessione. 
    Le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o  in  atto
separato contestuale, possono preventivamente accettare  la  cessione
da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei  crediti  che  devono
venire a maturazione. 
    In  ogni  caso  l'amministrazione  cui  e'  stata  notificata  la
cessione puo' opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al
cedente in base al contratto relativo a lavori,  servizi,  forniture,
progettazione, con questo stipulato». 
    Il  lavorio  giurisprudenziale   ha   provveduto   a   coordinare
l'innovativa normativa dettata a  partire  dal  1994  in  materia  di
appalti pubblici con quella gia' in vigore, concludendo nel senso che
l'estensione ai crediti verso le pubbliche amministrazioni  derivanti
da contratti di appalto di lavori  pubblici  delle  previsioni  della
legge 21 febbraio 1991, n. 52, derogatorie rispetto  alla  disciplina
comune prevista dal codice civile ed applicabili a condizione che  il
cessionario sia una banca od un  intermediario  finanziario,  non  ha
inteso  procedere  -  laddove  questa  condizione  non   sussista   -
all'abrogazione delle norme speciali che regolavano in precedenza  la
cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione  e,
quindi, rendere applicabile, ex art. 1, comma  2, legge  21  febbraio
1991, n. 52, la comune disciplina codicistica in tema di cessione  di
crediti, continuando ad essere applicabile la normativa  speciale  di
cui all'art. 9, allegato  E  della  legge  20  marzo  1865,  nonche',
trattandosi di contratto della pubblica  amministrazione,  quella  di
cui agli artt. 69 e 70 r.d. 18 novembre 1923, n.  2440  (Cass.  Civ.,
Sez. I, 24 settembre 2007, n. 19571, che, pur trovandosi ad applicare
ratione temporis la legge 11 febbraio 1993, n. 109,  e'  pervenuta  a
tali conclusioni anche sulla base  dell'art.  117  d.lgs.  12  aprile
2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici, il quale, confermando la
cedibilita' dei crediti nei confronti dell'amministrazione  derivanti
dall'esecuzione  di  appalti  per  lavori  pubblici,   ribadisce   la
necessita' che il  cessionario  sia  un'impresa  qualificata  e,  per
l'eventualita' che il cessionario non sia in possesso dei  prescritti
requisiti, non prevede  l'applicabilita'  delle  norme  generali  del
codice civile). Ricapitolando quanto sin qui  enucleato,  in  ragione
delle    norme    di    diritto    privato    speciale    applicabili
all'amministrazione pubblica, si hanno le seguenti ipotesi: 
        cessione a soggetto non qualificato ai sensi della  legge  21
febbraio 1991, n. 52, di crediti verso  la  pubblica  amministrazione
derivanti da contratti non relativi a «somministrazioni, forniture ed
appalti» ovvero, pur rientranti in tale categoria, non piu' in  corso
di esecuzione: la cessione, ai sensi dell'art. 69  r.d.  18  novembre
1923, n. 2440, ha efficacia quando,  redatta  in  forma  solenne,  e'
notificata all'amministrazione centrale ovvero  all'ente,  ufficio  o
funzionario cui spetta ordinare  il  pagamento;  la  notifica  rimane
priva di effetto riguardo agli ordini di pagamento che risultino gia'
emessi; 
        cessione a soggetto non qualificato ai sensi  della legge  21
febbraio 1991, n. 52, di crediti verso  la  pubblica  amministrazione
derivanti da contratti relativi  a  «somministrazioni,  forniture  ed
appalti» ancora  in  corso  di  esecuzione:  la  cessione,  ai  sensi
dell'art. 70 r.d. 18 novembre 1923 e 9, allegato E,  legge  20  marzo
1865, n. 2248, ha efficacia solo a seguito dell'accettazione da parte
dell'amministrazione pubblica; 
        cessione a soggetto  qualificato  ai  sensi  della  legge  21
febbraio 1991, n. 52, di crediti verso  la  pubblica  amministrazione
derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori:  la  cessione,
ai sensi dell'art. 117 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha efficacia se
e' stata preventivamente accettata dall'amministrazione nel contratto
d'appalto od  in  altro  atto  separato  e  contestuale,  ovvero  se,
stipulata in forma solenne e notificate all'amministrazione, non  sia
da questa rifiutata nel termine normativamente previsto; 
        cessione a soggetto  qualificato  ai  sensi  della  legge  21
febbraio 1991, n. 52, di crediti verso  la  pubblica  amministrazione
non derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori:  torna  ad
essere applicabile la  disciplina  di  cui  agli  artt.  69  r.d.  18
novembre 1923, n.  2440,  per  cui  la  cessione,  redatta  in  forma
solenne, deve essere semplicemente notificata all'amministrazione. 
    La legge regionale oggetto di attenzione, invece,  in  deroga  al
complesso normativo sin qui delineato, stabilisce che «le cessioni di
credito hanno effetto nei confronti della Regione qualora siano  alla
stessa  notificate  presso  la   sede   legale   ed   accettate   con
provvedimento del dirigente  della  struttura  regionale  competente,
prima della liquidazione della correlata spesa». 
    La normativa regionale (che per la collocazione topografica,  nel
cuore  della  disciplina  delle  spese  della  Regione  Calabria,  si
riferisce  ad  ogni  cessione  di   credito),   quindi,   appiattisce
l'articolata regolamentazione di diritto  privato  speciale,  facendo
si' che le cessioni dei crediti vantati nei confronti  della  Regione
Calabria,  qualunque  sia  la  loro  origine,  in   ogni   tempo   ed
indipendentemente dalla natura del cessionario, non siano  opponibili
all'amministrazione regionale se non  accettati  da  questa,  per  il
tramite del dirigente del competente settore, e sempre che  la  spesa
non sia stata gia' liquidata. 
    Esaminando la fattispecie concreta devoluta  alla  cognizione  di
questo  giudicante  alla  luce  della  sola  disciplina  statale,  la
cessione di credito a soggetto non qualificato ai sensi  della  legge
21 febbraio 1991, n. 52 sarebbe stata  senza  dubbi  opponibile  alla
Regione Calabria, in quanto pur essendo il credito relativo ad  opere
pubbliche - i sottostanti rapporti negoziali (indipendentemente dalla
loro validita') erano esauriti al momento  della  cessione,  peraltro
regolarmente notificata all'amministrazione regionale. 
    Non  cosi',  invece,  deve   ritenersi   avendo   riguardo   alla
derogatoria norma di legge regionale, senza dubbio  applicabile  alla
vicenda. 
    Ne deriva la rilevanza della questione sollevata. 
Sulla non manifesta infondatezza della questione: 
    L'art. 117, comma II, lett. 1) Cost., come  introdotto  dalla  1.
cost. 18 ottobre 2001,  n.  3,  recita:  «lo  Stato  ha  legislazione
esclusiva nelle seguenti materie:  (...)  1)  giurisdizione  e  norme
processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa». 
    La Corte costituzionale e' stata chiamata piu' volte ad  indicare
i limiti fino ai quali la legislazione regionale puo' spingersi senza
stridere col precetto costituzionale che riserva allo Stato il potere
esclusivo di disciplinare l'ordinamento civile. 
    Pur omettendo  i  casi  attinenti  alla  materia  laburistica,  e
limitandosi alle ipotesi in cui veniva in qualche modo in rilievo  il
diritto  delle  obbligazioni  e  dei  contratti,  emerge  un   quadro
giurisprudenziale sufficientemente preciso. 
    Con la sentenza n. 253  del  2006,  il  giudice  delle  leggi  ha
dichiarato  fondata  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
relativa all'art. 16, commi 1 e 4 della legge regionale della Toscana
15 novembre 2004, n. 63,  recante  Norme  contro  le  discriminazioni
determinate dall'orientamento sessuale o dall'identita' di genere. 
    Tale norma prevedeva il divieto  per  gli  operatori  commerciali
appartenenti  a  determinate   categorie   di   rifiutare   la   loro
prestazione, o di erogarla a condizioni deteriori rispetto  a  quelle
ordinarie, «senza un legittimo motivo e, in particolare, fra  l'altro
per motivi riconducibili all'orientamento sessuale o all'identita' di
genere». 
    La  disposizione  conteneva,  altresi',  la  previsione  di   una
sanzione amministrativa in caso di contravvenzione al detto divieto. 
    La Corte ha rilevato come venisse  imposto,  cosi',  ai  soggetti
sopra indicati l'obbligo di fornire la propria prestazione a chiunque
ne facesse richiesta, senza possibilita' di  discriminazioni  fondate
sull'orientamento sessuale. 
    Pero', «la norma regionale impugnata nel prevedere, in  sostanza,
un'ipotesi di obbligo legale a contrarre - obbligo gia'  previsto  in
via generale dal legislatore statale all'art. 187 del regio decreto 6
maggio 1940, n. 635 (Approvazione del  regolamento  per  l'esecuzione
del testo unico 18 giugno  1931,  n.  773  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza)  -  e  alla  cui  violazione  e'  altresi'   connessa   la
comminatoria di una sanzione amministrativa, introduce una disciplina
incidente sull'autonomia negoziale dei privati e, quindi, su  di  una
materia riservata, ex art. 117,  comma  secondo,  lettera  1),  della
Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato». 
    Successivamente, con la sentenza n. 401 del 2007 (vera e  propria
pietra angolare su cui si e' sviluppata la  seguente  giurisprudenza)
e' stata esaminata la questione di legittimita' posta in via  diretta
dalle Regioni Veneto e Piemonte, le quali  lamentavano  l'inclusione,
nell'ambito del codice degli appalti pubblici, di cui  al  d.lgs.  12
aprile 2006, n. 163, del riferimento alle fasi della  stipulazione  e
dell'esecuzione dei contratti, ivi comprese  quelle  della  direzione
dell'esecuzione  e  della  direzione  dei  lavori,   contabilita'   e
collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione  e  contabilita'
amministrative. 
    Secondo le regioni ricorrenti, il codice disciplinerebbe  settori
che atterrebbero ad aspetti organizzativi e  procedurali  dell'azione
amministrativa, i quali andrebbero inclusi, «a seconda  dell'oggetto,
tra le materie di competenza concorrente o residuale» (cosi'  secondo
la Regione Veneto),  ovvero  investirebbe  ambiti  in  cui  sarebbero
ravvisabili «spazi significativi che vanno ascritti all'ordinamento e
organizzazione amministrativa»,  che  appartengono  alla  Regione  ad
eccezione di quanto e' riferibile allo Stato  e  agli  enti  pubblici
nazionali (cosi' la Regione Piemonte). 
    La Corte ha disatteso le argomentazioni degli enti regionali. 
    Si legge nella densa motivazione, di cui e'  opportuno  riportare
un ampio stralcio, che «e' noto che  l'attivita'  contrattuale  della
pubblica amministrazione, essendo  funzionalizzata  al  perseguimento
dell'interesse pubblico, si caratterizza  per  la  esistenza  di  una
struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza
pubblica segue un momento negoziale. 
    Nella prima  fase  di  scelta  del  contraente  l'amministrazione
agisce, come si e'  gia'  sottolineato,  secondo  predefiniti  moduli
procedintentali di garanzia per la  tutela  dell'interesse  pubblico,
ancorche'  siano  contestualmente  presenti  momenti   di   rilevanza
negoziale, dovendo la pubblica amministrazione tenere, in ogni  caso,
comportamenti improntati al rispetto, tra l'altro, delle regole della
buona fede. 
    Nella seconda fase -  che  ha  inizio  con  la  stipulazione  del
contratto (si veda art. 11, comma 7, del Codice) -  l'amministrazione
si pone in una posizione di tendenziale parita' con la controparte ed
agisce  non   nell'esercizio   di   poteri   amministrativi,   bensi'
nell'esercizio della propria  autonomia  negoziale.  Tale  fase,  che
ricomprende  l'intera   disciplina   di   esecuzione   del   rapporto
contrattuale, incluso l'istituto del collaudo  -  il  quale  e',  tra
l'altro, anche specificamente disciplinato dal codice civile (...) si
connota, pertanto, per la normale mancanza di poteri autoritativi  in
capo al soggetto pubblico,  sostituiti  dall'esercizio  di  autonomie
negoziali. Ne consegue che la norma censurata - disciplinando aspetti
afferenti  a   rapporti   che   presentano   prevalentemente   natura
privatistica, pur essendo parte di essi una pubblica  amministrazione
- deve essere ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento  civile.
Sussiste, infatti, l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di
eguaglianza, di garantire l'uniformita' di  trattamento,  nell'intero
territorio nazionale, della disciplina della fase di  conclusione  ed
esecuzione dei  contratti  di  appalto  avente,  tra  l'altro  -  per
l'attivita' di unificazione e semplificazione  normativa  svolta  dal
legislatore valenza sistematica.  Ne'  vale  obiettare,  come  fa  la
Regione Veneto, che non. potrebbe ritenersi sussistente il titolo  di
competenza  rappresentato  dall'ordinamento  civile,  in  quanto  non
verrebbero in rilievo «la stipulazione e  l'esecuzione  regolate  dal
codice  civile».  Sul  punto,  e'  agevole  osservare  che   l'ambito
materiale in esame ricomprende tutti gli  aspetti  che  ineriscono  a
rapporti di natura privatistica, in relazione ai quali sussistono  le
esigenze sopra indicate, senza che detti rapporti  debbano  rinvenire
la loro disciplina necessariamente sul piano  codicistico.  In  altri
termini, la sussistenza di aspetti di specialita', rispetto a  quanto
previsto  dal  codice  civile,  nella  disciplina   della   fase   di
stipulazione e  esecuzione  dei  contratti  di  appalto,  non  e'  di
ostacolo  al  riconoscimento  della  legittimazione  statale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost.». 
    A distanza di poco tempo, sono stati portati  all'attenzione  del
giudice delle leggi (sentenza 431 del 2007)  gli  artt.  51-58  della
legge regionale della Campania n. 12 del 2006, i quali, disciplinando
i contratti pubblici affidati dalla Regione Campania  in  esito  alle
proprie procedure di scelta del contraente, intervenivano  a  dettare
norme in tema di garanzie del contratto (art. 51),  di  modalita'  di
stipulazione (art. 52)  e  di  durata  dello  stesso  (art.  53),  di
anticipazione e revisione dei  prezzi  (art.  54),  di  subappalto  e
cessione del contratto (art. 55),  di  aumento  o  diminuzione  della
prestazione (art. 56), di spese contrattuali (art. 57) e di  verifica
e collaudo (art. 58). 
    La Corte ha lapidariamente sottolineato che tali norme attenevano
«a quella fase inerente  all'attivita'  contrattuale  della  pubblica
amministrazione che ha inizio  con  la  stipulazione  del  contratto,
nella quale l'amministrazione  agisce  nell'esercizio  della  propria
autonomia negoziale». 
    Richiamando il proprio precedente orientamento,  la  Consulta  ha
sottolineato  che  tale  stadio  comprende  l'intera  disciplina   di
esecuzione del rapporto contrattuale e si connota  per  l'assenza  di
poteri autoritativi  in  capo  al  soggetto  pubblico:  pertanto,  la
disciplina  della  predetta  fase,  inerendo  a  rapporti  di  natura
privatistica,  in  relazione  ai  quali  sussistono   imprescindibili
esigenze  di  garanzia  di  uniformita'  di  trattamento  sull'intero
territorio nazionale, riferite alla  conclusione  ed  esecuzione  dei
contratti   di   appalto,   deve   essere    ricondotta    all'ambito
dell'ordinamento  civile,  di  spettanza  esclusiva  del  legislatore
statale. 
    Allo stesso modo, con la sentenza n.  322  del  2008  sono  stati
dichiarati illegittimi gli artt. 29 e 32 della  legge  della  Regione
Veneto n. 17 del 2007, inerenti ai subappalti (art. 29) ed al leasing
immobiliare (art.  32),  in  quanto  idonei  ad  alterare  le  regole
contrattuali che disciplinano i rapporti privati, e quindi rientranti
nella materia «ordinamento civile». 
    Con  la  sentenza  160  del  2009,  ancora,  e'  stata   ritenuta
rientrante nell'ambito dell'ordinamento civile,  e  quindi  sottratta
alla competenza legislativa regionale, la disciplina dell'avvalimento
contenuta  nel  codice  dei  contratti  pubblici,   ed   alla   quale
illegittimamente derogava l'art. 127,  comma  1,  lettera  l),  della
legge della Regione Campania n. 1 del 2008;  infatti,  l'istituto  de
quo, nella parte in cui si occupa degli obblighi assunti dall'impresa
ausiliaria «verso il concorrente e verso  la  stazione  appaltante  a
mettere a disposizione per tutta la durata  dell'appalto  le  risorse
necessarie di cui e' carente  il  concorrente»  (art.  49,  comma  2,
lettera d) e pone una regolamentazione al «contratto  in  virtu'  del
quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse  necessarie
per tutta la durata dell'appalto» (art.  49,  comma  2,  lettera  f),
rientra nella materia sopra specificata. 
    Tali norme, secondo la Corte, «sono  riconducibili  alla  materia
dell'ordinamento civile,  anch'essa  di  competenza  esclusiva  dello
Stato ex art. 117,  secondo  comma,  lettera  1),  Cost.  Si  tratta,
infatti, di profili di  disciplina  che  afferiscono,  a  prescindere
dalla loro esatta qualificazione giuridica,  a  vicende  comunque  di
natura essenzialmente privatistica». 
    Ulteriormente, con la sentenza n.  295  del  2009,  la  Corte  ha
ripercorso la giurisprudenza anteriore  alla  novella  dell'art.  117
Cost., ribadendone la validita' e sancendo che il diritto privato  e'
materia posta oltre  la  sfera  della  competenza  legislativa  della
Regione: «L'art. 117, secondo comma, lettera l),  della  Costituzione
ha codificato il limite del  «diritto  privato»  consolidatosi  nella
giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale  del  2001  (v.,
tra le molte, le sentenze n. 190 del 2001; n. 379 del 1994; n. 35 del
1992; n. 51 del 1990; n. 691 del 1988; n. 38 del  1977;  n.  108  del
1975 e n. 7 del 1956). Questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  che
«l'ordinamento  del  diritto  privato  si  pone  quale  limite   alla
legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza,  sottesa  al
principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel  territorio
nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i  rapporti  fra
privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata  alla  competenza
esclusiva  della  legislazione  statale  e  comprendente  i  rapporti
tradizionalmente oggetto  di  codificazione»  (sentenza  n.  352  del
2001). Questa Corte ha precisato che detto limite  consente  comunque
un qualche adattamento in ambito regionale, «ove  questo  risulti  in
stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda
al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto  del
richiamato principio di eguaglianza»  (sentenza  n.  352  del  2001).
Peraltro, sin dalle prime pronunce, questa Corte  ha  avuto  modo  di
decidere che  «la  disciplina  dei  rapporti  contrattuali  (...)  va
riservata alla legislazione statale» (sentenza n. 6  del  1958;  cfr.
anche le sentenze  n.  82  del  1998  e  n.  60  del  1968)». Con  la
successiva sentenza  n.  122  del  2009,  e'  stata  dichiarata,  tra
l'altro, l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della  legge
regionale del Piemonte n. 9 del 2009,  il  quale,  sotto  la  rubrica
«Diritto  allo  sviluppo  portabile»,  stabiliva  -  derogando   alla
disciplina dettata per tutti i programmi per elaboratori dagli  artt.
64-bis e seguenti della legge n. 633 del 1941, e successive modifiche
e integrazioni, peraltro in attuazione  della  normativa  europea  in
materia (direttiva CE n. 91/250) - che «chiunque  ha  il  diritto  di
sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile
con gli standard di comunicazione e  formati  di  salvataggio  di  un
altro software, anche  proprietario».  Cosi'  statuendo,  la  Regione
Piemonte  realizzava  una   palese   deroga   alla   norma   statale,
introducendo un autonomo contenuto precettivo  che  si  rivelava  non
suscettibile  di  essere  coordinato  con  la  detta  norma  statale.
Pertanto, l'art. 3 della legge della Regione Piemonte n. 9 del  2009,
e' stato ritenuto violativo la competenza esclusiva  dello  Stato  in
materia di ordinamento civile, dettata dall'art. 117, secondo  comma,
lettera 1), Cost. 
    Infine, con la sentenza 123 del 2010, la Corte costituzionale  ha
esaminato la  questione  di  legittimita'  costituzionale  avente  ad
oggetto l'art. 25, comma 2, della legge regionale della Campania n. 1
del 2009, la quale prevedeva l'impignorabilita' dei  beni  di  alcuni
enti sanitari e zooprofilattici, sottraendo al regime dell'esecuzione
forzata  detti  beni,  in  deroga  al  regime  della  responsabilita'
patrimoniale del debitore. 
    La  censura  e'  stata  dichiarata  fondata  previo  richiamo  al
consolidato,  ed  appena  ricordato,  orientamento   per   il   quale
l'ordinamento  del  diritto  privato  si  pone  quale   limite   alla
legislazione regionale in quanto fondato sull'esigenza  l'uniformita'
del diritto privato sul territorio nazionale: limite dell'ordinamento
privato,  quindi,  identifica  un'area  riservata   alla   competenza
esclusiva  della  legislazione  statale  e   comprende   i   rapporti
tradizionalmente oggetto di codificazione (ex plurimis,  sentenze  n.
295 del 2009 e n. 352 del 2001;  analogamente,  sentenza  n.  50  del
2005)». 
    La disposizione in quella sede censurata, allora, nel disporre la
suddetta   impignorabilita',   introduceva   «una   limitazione    al
soddisfacimento patrimoniale delle ragioni dei creditori non prevista
dalla normativa statale  riguardante  la  materia,  assegnando  «alle
situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali
con quegli enti  un  regime,  sostanziale  e  processuale,  peculiare
rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da  quello
di procedura civile) altrimenti  applicabile»  (sentenza  n.  25  del
2007). La norma regionale censurata opera, dunque, nell'ambito  della
materia dell'«ordinamento  civile»,  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost.». 
    L'esame delle pronunzie sopra ricordate  induce  ad  una  agevole
conclusione. 
    E' sottratta alla potesta' legislativa regionale la posizione  di
norme di diritto privato (cosi' intendendosi principalmente le  norme
oggetto di codificazione,  ma  anche  le  norme  extra  vagantes  che
regolino i rapporti tra parti che si pongano su un piano  paritario),
ed in particolare l'emanazione di regole inerenti alla disciplina dei
contratti, delle obbligazioni, della proprieta' intellettuale,  delle
garanzie patrimoniali. 
    Orbene, l'art. 46 della legge  regionale  della  Calabria  del  4
febbraio 2002, n. 8 - al contrario di quanto sostenuto  dalla  difesa
regionale nelle note autorizzate depositate in data 15 novembre  2010
- pone una regola che non si riferisce alla materia  dell'ordinamento
contabile della Regione, vale a dire alla  «gestione  finanziaria  ed
economica della Regione» (cfr. art. 1, comma 2, legge regionale della
Calabria  4  febbraio  2002,  n.  8).  Essa,   in   realta',   incide
direttamente  sull'efficacia  della  cessione   dei   crediti   verso
l'amministrazione, ed e' pertanto volta chiaramente a disciplinare  i
rapporti privatistici. 
    Ne consegue che non e' manifestamente infondato il dubbio che  la
norma in oggetto  esorbiti  i  limiti  della  competenza  legislativa
regionale, dovendo cosi' essere dichiarata dalla Corte costituzionale
illegittima. 
    Non   sembra,   d'altro   canto,   possibile   che,    attraverso
un'interpretazione   adeguatrice   e   costituzionalmente   orientata
(invocata dalla societa' opposta nelle note depositata il 15  ottobre
2010), la norma investita dai dubbi possa essere diversamente intesa,
attribuendole un significato tale che essa non vada  ad  esplicare  i
suoi effetti sull'ordinamento civile, ma su ambiti diversi. 
    E' appena il caso, infine, di segnalare come la  circostanza  che
il Governo non abbia proposto  in  via  principale  la  questione  di
legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127,  comma  I,  Cost.
non esima l'Autorita' giurisdizionale, che debba fare applicazione di
una norma regionale sospettata di esorbitare dai limiti di competenza
imposti dalla Costituzione, dal rivolgere alla Corte competente  tali
dubbi (cfr., a titolo di esempio e tra le molte,  la  sentenza  della
Corte n. 370 del 2008, con la quale e' stata  dichiarata  illegittima
per violazione dell'art. 117, comma II, lettera l) Cost. dell'art. 3,
comma 1, della legge della Regione Molise 5  maggio  2006,  n.  5,  e
dell'art. 12, comma 6, della legge della Regione Molise 27  settembre
2006, n. 28 sulla base  di  una  questione  sollevata  d'ufficio  dal
Tribunale di Campobasso, Sezione Riesame). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto ed applicato  l'art.  23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 46 della legge regionale  della
Calabria del 4 febbraio 2002, n. 8, recante «Ordinamento del bilancio
e  della  contabilita'  della  Regione  Calabria»,   pubblicata   sul
Bollettino Ufficiale  della  Regione  n.  2  del  1°  febbraio  2002,
supplemento straordinario n. 6, in relazione all'art. 117, comma  II,
lett. l) Cost. 
    Sospende il giudizio. 
    Dispone  la  trasmissione  immediata  degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata al Presidente della Giunta regionale della Calabria ed  al
Presidente del Consiglio Regionale della Calabria. 
        Catanzaro, 22 novembre 2010 
 
                         Il giudice: Tallaro