N. 282 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 luglio 2012

Ordinanza  del  30  luglio  2012  emessa  dal  Tribunale   di   Lecce
sull'istanza proposta da Vaglio Giancarlo. 
 
Spese di giustizia - Liquidazione  dell'onorario  e  delle  spese  al
  difensore  d'ufficio  -  Legittimazione  a  proporre  istanza   nei
  confronti dello Stato -  Estensione,  da  parte  della  consolidata
  giurisprudenza di legittimita', al difensore designato dal giudice,
  ai sensi dell'art. 97, comma 4, cod. proc.  pen.,  in  sostituzione
  del difensore (di fiducia o d'ufficio) non reperito o non  comparso
  - Contrasto sotto piu' profili con il principio di ragionevolezza -
  Difetto di presupposti logici  per  l'equiparazione  tra  difensore
  d'ufficio e difensore sostituto - Irragionevolezza del  diritto  di
  quest'ultimo a pretendere il compenso  dall'assistito  (imputato  o
  indagato) e, di riflesso,  dallo  Stato  -  Irragionevolezza  delle
  conseguenze della liquidazione erariale al sostituto  -  Violazione
  dell'obbligo di copertura della spesa relativa - Riproposizione  di
  questione  dichiarata  manifestamente  inammissibile  dalla   Corte
  costituzionale con l'ordinanza n. 185 del 2012. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,
  artt. 116 e 117. 
- Costituzione, artt. 3 e 81, comma quarto. 
(GU n.50 del 19-12-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letta l'istanza depositata in  data  17  ottobre  2011  dall'avv.
Giancarlo Vaglio, che ha chiesto la liquidazione dei compensi  a  lui
spettanti, ex articoli 116-117 d.P.R. n.  115/2002,  in  qualita'  di
difensore designato ex  art.  97,  comma  4  c.p.p.  quale  sostituto
d'udienza del difensore di fiducia dell'imputato, avv. Fabio Corvino,
nel processo penale  definito  con  sentenza  pronunciata  da  questa
sezione in data 10 ottobre 2009; 
    Letti gli atti prodotti dal difensore istante; 
 
                              Premesso 
 
    Con il presente procedimento  incidentale  di  costituzionalita',
questo Giudice, senza incertezze o dubbi di sorta (e  cio'  distingue
la presente ordinanza di rimessione da analoga precedente  datata  25
novembre 2011 di questo stesso  Giudice,  gia'  respinta  in  data  4
luglio 2012 dalla Consulta, che - a quanto pare - l'ha  ritenuta  non
meritevole di risposta nel merito a causa del suo tenore  perplesso),
intende univocamente chiedere a  codesta  Corte  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale degli  articoli  di  legge  di  seguito
indicati, per le motivazioni di seguito riportate. 
    Gli articoli 116  e  117  d.P.R.  n.  115/2002  attribuiscono  al
difensore  d'ufficio  la  facolta'  di  accedere  alla   liquidazione
erariale delle proprie competenze in determinati casi: esse prevedono
espressamente determinate ipotesi di  operativita'  (impossidenza  ed
irreperibilita' dell'assistito) e  determinati  soggetti  legittimati
alla richiesta di liquidazione (difensore d' Ufficio). 
    Cio'  posto,  questo  Giudice  prende  atto  del  consolidato   e
dominante orientamento  giurisprudenziale  di  legittimita'  relativo
agli articoli 116 e  117  d.P.R.  n.  115/20021  (1)  (implicitamente
invocato dal difensore istante ed alimentato anche dalle ordinanze n.
8/2005 e n. 176/2006 di Codesta Corte), secondo  cui  anche  il  mero
difensore sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. avrebbe  diritto  alla
liquidazione erariale delle proprie competenze nei casi previsti  dai
predetti articoli 116 e 117, al pari del  vero  e  proprio  difensore
d'ufficio, nominato ai sensi e con le  specifiche  procedure  di  cui
all'art. 97, commi 1, 2, 3 c.p.p. 
    Cio' posto, dubita lo scrivente della legittimita' costituzionale
della predetta interpretazione degli articoli 116 e 117 cit.,  a  suo
avviso contrastante con  il  disposto  ed  i  principi  di  cui  agli
articoli 3 ed 81, comma 4 Cost. 
    La questione e' rilevante, nell'ambito del presente  procedimento
di liquidazione, in quanto solo in virtu' di  questa  interpretazione
estensiva  (della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita)  il
difensore istante (nella sua veste di sostituto ex art. 97,  comma  4
c.p.p.)  andrebbe  ritenuto  legittimato  ad  avanzare   la   propria
richiesta di liquidazione, dovendo  in  caso  contrario  la  predetta
richiesta dichiararsi inammissibile da questo Giudice. 
 
                               Osserva 
 
    I) Il concetto fondamentale posto alla base della normativa sulla
difesa  d'ufficio  e'  che  il  difensore  d'ufficio   debba   essere
qualitativamente  selezionato  (onde  la  necessaria  iscrizione   in
apposito elenco,  previa  verifica  della  sussistenza  di  specifici
requisiti), costantemente a disposizione  dell'Autorita'  Giudiziaria
per la nomina in base a specifici turni  di  reperibilita'  (onde  la
predisposizione di  apposito  ufficio  centralizzato  presso  ciascun
consiglio dell'ordine forense di ogni distretto di  Corte  d'Appello)
e, per conseguenza  e  soprattutto,  sempre  retribuito  dal  proprio
assistito (salvi i casi di ammissione di quest' ultimo  al  beneficio
del gratuito patrocinio). 
    Coerentemente a tale  impostazione,  il  nostro  codice  di  rito
prevede che l'indagato/imputato debba essere  informato  dell'obbligo
di retribuire il difensore  d'ufficio  (ex  art.  369-bis,  comma  2,
lettera d c.p.p.) all'atto della nomina di tale difensore ex art.  97
commi 1, 2, 3 c.p.p. 
    Poi, negli eccezionali casi di assenza del difensore (di  fiducia
o d'ufficio), il medesimo codice (art. 97, comma  4  c.p.p.)  prevede
che l'Autorita' Giudiziaria possa designare per le vie brevi il primo
difensore «di passaggio», per il compimento dell'atto in corso, senza
prevedere  in  tal  caso  alcun  requisito  (non  essendo  prescritta
l'iscrizione nel citato elenco, se non  per  la  fase  del  giudizio,
peraltro neanche a pena di  nullita',  come  chiarito  dalla  Suprema
Corte), ne' alcuna comunicazione all'imputato/indagato  o  avviso  di
obbligo di retribuzione o altro (riferendosi le informazioni  di  cui
all'art. 369-bis c.p.p. alla sola nomina del difensore titolare della
difesa d'ufficio ex art. 97, commi 1, 2, 3 c.p.p.). 
    In altre parole, la rafia e  la  portata  normativa  dell'attuale
disciplina della difesa d'ufficio non e'  quella  di  addossare  allo
Stato la retribuzione di tutti gli avvocati  nominati  e/o  designati
dall'Autorita'  (il  che   potrebbe   legittimare   l'interpretazione
estensiva degli articoli 116-117 d.P.R. n. 115/2002  qui  criticata).
Al contrario, la disciplina de qua e' tutta imperniata  sul  rapporto
oneroso assistito/difensore;  sin  dall'instaurazione  officiosa  del
predetto rapporto, l'assistito e' formalmente responsabilizzato circa
le conseguenze (anche economiche)  della  nomina  del  suo  difensore
d'ufficio: riceve comunicazione della nomina predetta (art.  369-bis,
comma 1  c.p.p.),  e'  informato  dell'obbligatorieta'  della  difesa
tecnica (art. 369-bis, comma 2 letta c.p.p.), e' informato del  nome,
indirizzo e recapito telefonico del difensore (art. 369-bis, comma  2
lettera b c.p.p.) ed e' informato dell'obbligo di  retribuirlo  (art.
369-bis, comma 2 lettera d c.p.p.). 
    Poi,  prendendo  atto  della  possibile  svolta  patologica   del
rapporto    in    questione    (impossidenza    o     irreperibilita'
dell'assistito),  la  Legge  prevede  che  lo  Stato  debba  in  tale
evenienza sostituirsi eccezionalmente all'assistito nel garantire  la
giusta  mercede  al  suo  difensore  (articoli  116-117   d.P.R.   n.
115/2002), poiche', ovviamente, non sarebbe ragionevole, ne'  giusto,
regolamentare   l'iscrizione   in   apposito    elenco,    pretendere
disponibilita' e reperibilita', garantire l'effettivita' del contatto
tra difensore ed assistito, ammonire quest'ultimo circa l'obbligo  di
retribuzione del primo e, poi,  abbandonare  il  professionista  alle
sorti personali e patrimoniali dell'imputato/indagato. 
    Quindi, l'operativita' degli  articoli  116-117  cit.  nasce  dal
riconoscimento  di  un  ben  preciso,  consapevole,  disciplinato   e
pubblicizzato rapporto tra assistito e difensore d'ufficio; nasce dal
riconoscimento   di   un   ben   specificato   obbligo    retributivo
normativamente previsto a carico  dell'assistito:  solo  in  caso  di
impossibilita' d'adempimento da parte di quest'ultimo,  lo  Stato  si
surroga al debitore nell'estinguere il credito professionale maturato
dal difensore. 
    Per converso, come si vedra', il difensore sostituto ex art.  97,
comma 4 c.p.p. e' una figura  ben  diversa  dal  difensore  d'ufficio
nominato ex art. 97, commi 1, 2, 3 c.p.p. e, soprattutto, non ha  mai
nessun   rapporto   di   investitura   diretta   o   indiretta    con
l'imputato/indagato, cui non viene  mai  neanche  comunicato  il  suo
nominativo (riferendosi la comunicazione  di  cui  all'art.  369-bis,
commi 1 e 2 lettera b c.p.p. alla sola nomina del difensore  titolare
della difesa d'ufficio). 
    Ne consegue che, nel caso del  sostituto  ex  art.  97,  comma  4
c.p.p., se  nessun  rapporto  tra  assistito  e  difensore  sostituto
esiste, ne' alcun obbligo retributivo in capo all'assistito  sussiste
verso il sostituto, allora mancano in radice gli  stessi  presupposti
logici di applicabilita' degli articoli 116-117 cit.,  che  impongono
allo Stato  di  pagare  il  difensore  solo  al  ricorrere  di  certe
condizioni personali (impossidenza o irreperibilita') dell'originario
obbligato. 
    Nel dettaglio, ritiene questo Giudice  che  non  possa  dubitarsi
dell'inesistenza di qualsivoglia rapporto tra sostituto ex  art.  97,
comma 4 c.p.p. ed imputato/indagato, cosi' come non  possa  dubitarsi
dell'insussistenza di qualsivoglia obbligo  retributivo  in  capo  al
secondo nei confronti del primo, per le seguenti ragioni: 
        mentre    l'imputato/indagato    da'    consapevolmente     e
personalmente origine alla nomina del difensore d'ufficio ex art. 97,
commi 1, 2, 3 c.p.p. mediante  propria  volontaria  condotta  (omessa
nomina di difensore di fiducia, nonostante il relativo  avviso),  non
e' invece l'imputato/indagato a dare origine  alla  designazione  del
sostituto  ex  art.  97,  comma  4  c.p.p.,  chiamato  a  intervenire
esclusivamente a  causa  della  consapevole  condotta  del  difensore
titolare, assente quando necessario; 
        l'imputato/indagato non riceve mai alcuna informazione  circa
l'avvenuta designazione del sostituto ex art.  97,  comma  4  c.p.p.,
riferendosi la comunicazione di cui all'art. 369-bis,  commi  1  e  2
lettera b c.p.p. alla sola nomina del difensore titolare della difesa
d'ufficio; 
        l'imputato/indagato non riceve mai alcuna informazione  circa
l'obbligo di retribuire il sostituto ex  art.  97,  comma  4  c.p.p.,
riferendosi l'avviso di cui all'art.  369-bis,  comma  2,  lettera  d
c.p.p. al solo difensore titolare della difesa d'ufficio; 
        anche sul piano oggettivo, non puo'  considerarsi  «rapporto»
una mera temporanea chiamata del difensore ex art. 97, comma 4 c.p.p.
ad assistere a determinati atti,  tanto  piu'  che,  per  consolidata
giurisprudenza  di  legittimita',  pur   durante   tale   contingente
situazione,  cosi'  come  dopo  la  cessazione  della  stessa,  unico
difensore titolare della difesa dell'imputato/indagato rimane  sempre
quello originariamente nominato di fiducia o ex art. 97, commi 1,  2,
3 c.p.p. In proposito, rileva questo Giudice che il  tenore  testuale
delle  varie  norme  del  codice  di  rito  disciplinanti  la  difesa
d'ufficio depongono decisamente nel senso che  unico  titolare  della
difesa dell'imputato/indagato sia solo il difensore nominato ex  art.
97 commi 1, 2, 3 c.p.p., a prescindere da  sue  eventuali  temporanee
sostituzioni (legali, ex art. 97, comma 4 c.p.p.,  o  volontarie,  ex
art. 102 c.p.p.) nel  corso  del  procedimento.  Infatti,  l'art.  97
c.p.p.,  nel  disciplinare  la  difesa  d'ufficio,  attribuisce  tale
qualifica solo al difensore nominato ai sensi  dei  commi  1,  2,  3,
prescrivendo, nel caso di sua assenza (o  di  assenza  di  quello  di
fiducia), che il giudice designi - «come sostituto» - altro difensore
immediatamente reperibile. Non a caso, il medesimo  art.  97  c.p.p.,
cosi' come ogni altra disposizione codicistica,  riserva  il  termine
«nomina» al solo difensore d'ufficio  ex  art.  97,  commi  1,  2,  3
c.p.p., utilizzando il diverso termine «designazione» (implicante  un
senso di precarieta'  e  provvisorieta',  sintomatico  della  mancata
attribuzione  di  una  vera  e  propria  qualifica  o  qualita')  con
riferimento al mero sostituto ex art. 97, comma 4  c.p.p.  Nel  senso
della permanente titolarita' dell'ufficio di difesa in capo  al  solo
difensore nominato ex art. 97, commi 1, 2, 3 c.p.p., del resto, si e'
gia'  da  tempo  pronunciata  la  Suprema  Corte  a  Sezioni   Unite,
stabilendo quanto  segue:  «Il  nuovo  codice  di  procedura  penale,
radicalmente  innovando  rispetto  alla  precedente   disciplina   ed
ispirandosi, secondo il dettato della direttiva n.  105  della  legge
delega, all'esigenza di  assicurare  la  continuita'  dell'assistenza
tecnico-giuridica e di garantire la concreta ed efficace  tutela  dei
diritti dell'imputato, ha attuato la sostanziale equiparazione  della
difesa di ufficio a quella di fiducia, nel  senso  che  anch'essa  si
caratterizza per l'immutabilita'  del  difensore  fino  all'eventuale
dispensa dall'incarico o all'avvenuta  nomina  fiduciaria.  Pertanto,
qualora occorre sostituire il difensore, sia esso  di  fiducia  o  di
ufficio, in situazioni che, di per se', non comportano la revoca  del
mandato fiduciario per l'uno o la dispensa dall'incarico per  l'altro
(e che si possono individuare,  secondo  il  disposto  dell'art.  97,
quarto comma, c.p.p., nelle ipotesi in cui il difensore non e'  stato
reperito, non e' comparso o ha abbandonato  la  difesa)  il  titolare
dell'ufficio di difesa rimane sempre l'originario difensore designato
il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato  causa,
puo' riprendere immediatamente il suo ruolo e ricominciare a svolgere
le sue funzioni non richiedendo la legge, proprio per l'immutabilita'
della difesa e per l'automatismo della reintegrazione,  comunicazioni
o preavvisi di  sorta.  Ne  consegue  che  unico  destinatario  della
notifica  di  atti  destinati  alla   difesa   e   segnatamente   dei
provvedimenti soggetti ad impugnazione e' il  difensore  che  risulti
titolare dell'ufficio, con esclusione, quindi, del difensore chiamato
a sostituire il gia' nominato difensore d'ufficio o quello incaricato
della difesa dallo stesso imputato» (Cass., SS.UU., 19 dicembre 1994,
n. 22, Nicoletti). Del resto, l'art. 30 disp.  att.  c.p.p.  mantiene
ben  ferma  la  distinzione  tra  «difensore   d'ufficio»,   la   cui
individuazione gli e' comunicata a norma del comma 1, da un  lato,  e
«sostituto», la cui designazione gli e' comunicata a norma del  comma
2, dall'altro  lato.  Orbene,  alla  luce  di  tale  netta  e  chiara
classificazione, il successivo art. 31 attribuisce  poi  il  generale
diritto alla retribuzione al solo «difensore d'ufficio»; 
        a decisiva  conferma  di  cio',  si  consideri  che  oggi  il
difensore designato come sostituto ex art.  97,  comma  4  c.p.p.  e'
equiparato espressamente - ai sensi del medesimo comma - al  delegato
del  difensore  titolare  ex  art.  102  c.p.p.,  della  cui  mancata
legittimazione ad avanzare pretese economiche dirette  nei  confronti
dell'imputato (e, quindi, nei confronti dello Stato ex articoli 116 e
117 d.P.R. n. 115/2002) non puo' dubitare nessuno. 
    Ne consegue che  e'  il  titolare  della  difesa  (di  fiducia  o
d'ufficio), in virtu' della sua assenza, l'unico soggetto in capo  al
quale  puo'  e  deve  riconnettersi   la   responsabilita'   per   la
designazione del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p., in  quanto  e'
lui il soggetto la cui condotta (e,  dunque,  la  cui  volonta')  da'
consapevolmente origine a tale designazione  e,  quindi,  e'  lui  il
soggetto da individuare come controparte del sostituto nella verifica
dell'esistenza o meno di un rapporto fra il sostituto medesimo ed  un
suo eventuale dante causa. Cio' che e' sicuro e' che da tale rapporto
l'inconsapevole imputato/indagato e' assolutamente estraneo. 
    Rimane, dunque, dato fermo che al sostituto ex art. 97,  comma  4
c.p.p. non e' riconosciuta da nessuna norma di legge  alcuna  pretesa
retributiva  nei  confronti  dell'assistito,  il   quale   non   puo'
tecnicamente neanche definirsi suo «cliente». 
    Orbene, se il senso della disciplina in esame e' questo, come  lo
e', non solo non  appare  razionalmente  praticabile  un'applicazione
degli articoli 116 e 117 cit. che prescinda dalla sussistenza  di  un
rapporto debito-credito tra assistito e difensore (assente  nel  caso
del sostituto ex  art.  97,  comma  4  c.p.p.),  ma  appare  altresi'
irragionevole equiparare il mero sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p.
al   vero   e   proprio   titolare   della   difesa   d'ufficio    e,
conseguentemente,  riconoscerlo  legittimato  ad   avanzare   pretese
economiche nei confronti dell'assistito (che non  viene  mai  neanche
informato della sua stessa esistenza, ne' tantomeno  dell'obbligo  di
retribuirlo) e, di riflesso, nei confronti dello Stato nei menzionati
casi di cui agli articoli 116 e 117 cit. 
    II) La  netta  differenziazione  tra  le  due  figure  (difensore
d'ufficio, noto all'assistito, ben informato di  doverlo  remunerare,
da una  parte,  e  difensore  sostituto,  ignoto  all'assistito,  mai
informato del relativo onere economico, dall'altra parte) e,  quindi,
l'irragionevolezza di un'equiparazione delle stesse circa  i  diritti
esercitabili nei confronti dell'assistito, prima, e dello Stato, poi,
oltre  che  fondata  sulle   suesposte   ragioni   sistematiche,   e'
ulteriormente confermata dalle seguenti argomentazioni  tecniche:  a)
il sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. non  ha  mai  preventivamente
assunto alcun impegno  o  prestato  alcuna  disponibilita'  (mediante
iscrizione nel precitato elenco) ad  assumere  la  titolarita'  della
difesa; b) egli non ha neanche alcun onere di esame  e  studio  della
causa,  poiche'  la  stessa  si  svolge  contestualmente   alla   sua
designazione (non essendo previsto per il suo caso  alcun  termine  a
difesa, o sospensione, neanche ad  horas);  c)  egli  cessa  dal  suo
occasionale incarico non appena  terminato  il  contingente  impegno,
senza conservare fuori udienza alcun potere/dovere di  rappresentanza
dell'imputato  (potere/dovere  invece  pacificamente   gravante   sul
titolare della difesa); d) egli non ha alcun obbligo di  accettazione
e prosecuzione nella difesa, poiche' -  a  differenza  del  difensore
d'ufficio titolare, tenuto alla reperibilita' - la  sua  designazione
e' legata alla sola situazione di fatto integrata dalla  sua  casuale
«immediata reperibilita'», di tal che un suo qualsiasi altro impegno,
prontamente evidenziato,  prevale  senza  dubbio  sulla  designazione
proposta dall'Autorita' Giudiziaria. 
    Pertanto, appare irragionevole e  contrario  al  sistema  imporre
all'assistito (e, di riflesso, allo Stato, nei casi  di  impossidenza
ed  irreperibilita'  di  questi,  ex  articoli   116-117   cit.)   la
retribuzione del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. 
    Ed ancora piu' irragionevole  appare  retribuire  tale  difensore
(art. 97, comma 4 c.p.p.) in base alle medesime tariffe professionali
(ex  art.  82  d.P.R.  n.  115/2002)  assunte  a  parametro  per   la
liquidazione del difensore d'ufficio (art. 97, commi 1, 2, 3 c.p.p.),
attesa  la  manifesta  diversita'   dell'impegno   e   disponibilita'
richiesti e, soprattutto, dell'attivita' svolta. 
    III) Inoltre, non puo' farsi a meno di  evidenziare  la  seguente
inaccettabile   ed   irragionevole   conseguenza   cui    porta    il
riconoscimento della legittimazione del sostituto ex art. 97, comma 4
c.p.p. (sostituto di un difensore d'ufficio  o  di  un  difensore  di
fiducia) a chiedere il compenso all'imputato/indagato e,  in  seconda
battuta, a presentare istanza di liquidazione  allo  Stato  ai  sensi
degli articoli 116 e 117 d.P.R. n.  115/2002:  qualora  un  difensore
fosse designato sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. di un  difensore
nominato di fiducia, allora si dovrebbe retribuire ex articoli 116  e
117 d.P.R. n. 115/2002 tale temporaneo difensore (designato  ex  art.
97, comma 4 c.p.p.) di un imputato/indagato assistito da difensore di
fiducia, in palese contrasto con lo  stesso  dettato  degli  articoli
appena citati (che garantiscono la  retribuzione  nel  solo  caso  di
difesa d'ufficio) e, quindi in insanabile contrasto con il  principio
di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.  Ne',  in  alternativa,  si
potrebbe negare la liquidazione al sostituto (ex  art.  97,  comma  4
c.p.p.) del difensore di fiducia e riconoscerla al solo sostituto (ex
art. 97, comma 4 c.p.p.) del difensore d'ufficio, poiche' in tal modo
si  opererebbe   una   stridente   ed   ingiustificata   e,   quindi,
incostituzionale disparita' di trattamento, tra sostituto legale  (ex
art. 97,  comma  4  c.p.p.)  di  un  difensore  d'ufficio  (sostituto
beneficiario delle previsioni dei due citati  articoli)  e  sostituto
legale (ex art. 97, comma  4  c.p.p.)  di  un  difensore  di  fiducia
(sostituto escluso da tali previsioni). 
    Quindi, qualsiasi delle due opzioni si prescelga, la liquidazione
erariale del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. comporta,  in  ogni
caso, conseguenze aberranti ed irragionevoli. 
    IV)  Ancora,  appare  irragionevole  il  percorso   argomentativo
mediante il quale l'attuale giurisprudenza di legittimita'  giunge  a
riconoscere la legittimazione del  sostituto  ex  art.  97,  comma  4
c.p.p. a pretendere il proprio compenso dall'imputato/indagato e,  di
riflesso, dallo Stato ex articoli 116-117 cit. 
    Esso si fonda sulla considerazione che,  a  norma  dell'art.  97,
comma 4 c.p.p., al difensore designato in sostituzione  si  applicano
le disposizioni dell'art.102 dello stesso  codice,  secondo  cui  «il
sostituto esercita i diritti  ed  assume  i  doveri  del  difensore»:
orbene, secondo l'interpretazione della cui costituzionalita' qui  si
dubita, in virtu' di tale richiamo il sostituto trarrebbe dalla sfera
giuridica  del  proprio  sostituito  la  legittimazione  ad  avanzare
pretese  economiche  nei  confronti  dell'imputato/indagato   e,   di
riflesso, nei confronti dello Stato ex articoli 116-117 c.p.p. 
    In  proposito,  ritiene  questo  Giudice  che  tale   riferimento
all'art. 102 c.p.p. violi il principio di  ragionevolezza,  per  vari
ordini di ragioni: 
        1) innanzitutto, e soprattutto, se il diritto di liquidazione
del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. derivasse -  come  sostenuto
dalla giurisprudenza  qui  criticata  -  dall'originario  diritto  di
liquidazione del sostituito,  allora  a  maggior  ragione  lo  stesso
ragionamento  dovrebbe  imporre  di  non  ritenere  legittimato  alla
liquidazione erariale il sostituto ex art. 97,  comma  4  c.p.p.  del
difensore di fiducia, il quale (difensore di fiducia) tale originario
diritto - com'e' noto - non ha (non essendo il difensore  di  fiducia
contemplato negli articoli 116 e 117 d.P.R. n. 115/2002): ed  allora,
le conclusioni del criticato percorso  giurisprudenziale  smentiscono
le sue stesse premesse, e viceversa; 
        2)  ancora,  l'art.  102,  comma  2  c.p.p.,  attribuendo  al
sostituto i diritti ed i doveri del difensore, non fa che  confermare
l'esistenza a monte di una netta distinzione concettuale e  giuridica
tra il difensore vero e proprio (di fiducia o d'ufficio)  ed  il  suo
sostituto, figura quest'ultima completamente distinta dalla prima; 
        3) inoltre, e comunque, la medesima  norma  sembra  riferirsi
esclusivamente a «diritti» e  «doveri»  processuali  e  deontologici,
piuttosto  che  a  situazioni  di  altro  tipo,  quali   le   pretese
retributive nei confronti dell'assistito o dello Stato; 
        4) infine, e decisivamente, non puo' farsi a meno di rilevare
che, se si fonda su tale norma, ossia  l'art.  102,  comma  2  c.p.p.
(richiamato dall'art. 97, comma 4 c.p.p.), il diritto  del  sostituto
designato dal Giudice a chiedere la liquidazione del proprio compenso
allo Stato, allora deve necessariamente riconoscersi analogo  diritto
al soggetto cui tale norma si riferisce in via  primaria  e  diretta,
ossia il sostituto nominato con delega;  in  altre  parole,  seguendo
tale impostazione, se il sostituto  delegato  (ex  art.  102)  di  un
difensore  d'ufficio  assume  i  diritti  (economici)  del  difensore
d'ufficio sostituito, allora a tale delegato  dovrebbe  spettare,  in
prima persona, anche il diritto a chiedere allo Stato la liquidazione
del proprio compenso. In proposito, e' appena  il  caso  di  rilevare
come tale  corollario  del  ragionamento  de  quo  sia  assolutamente
inaccettabile, in quanto contrastante con i principi informatori  del
vigente  codice  di  rito,  dell'attuale  disciplina   sulla   difesa
d'ufficio e sulle spese di giustizia, nonche' - piu'  in  generale  -
con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico in  tema
di mandato, rappresentanza, collegamento negoziale e  trasferibilita'
delle  obbligazioni:  ed  infatti,  la  stessa   giurisprudenza   qui
criticata non ha mai inteso affermare  tale  irragionevole  principio
(legittimazione del delegato ad avanzare  pretese  retributive  verso
terzi, assistito o Stato), pur da essa stessa assunto  implicitamente
a fondamento del proprio ragionamento. 
    V)  Inoltre,   non   appare   ragionevole   (per   ingiustificata
omologazione   di   trattamento   fra   situazioni    ontologicamente
inequiparabili) legittimare il sostituto ex art. 97, comma  4  c.p.p.
ad avanzare pretese retributive nei confronti  dell'imputato/indagato
e, di riflesso, dello Stato, al pari del difensore d'ufficio, laddove
si consideri che la designazione  del  primo  e'  rimessa  alla  piu'
completa discrezionalita' (senza  garanzie  contro  lo  sconfinamento
nell'arbitrio) dell'Autorita' Giudiziaria («il giudice  designa  come
sostituto un altro difensore  immediatamente  reperibile»:  art.  97,
comma 4  c.p.p.),  mentre  la  nomina  del  secondo  e'  disciplinata
normativamente ed  affidata  a  precisi,  equilibrati,  imparziali  e
vigilati sistemi di turnazione («i consigli  dell'ordine  forense  di
ciascun distretto di corte d'appello, mediante  un  apposito  ufficio
centralizzato, al  fine  di  garantire  l'effettivita'  della  difesa
d'ufficio, predispongono gli elenchi dei difensori  che  a  richiesta
dell'autorita' giudiziaria o della polizia giudiziaria sono  indicati
ai fini della nomina. I consigli dell'ordine fissano i criteri per la
nomina dei difensori sulla base delle  competenze  specifiche,  della
prossimita' alla sede del procedimento e della  reperibilita'»:  art.
97, comma 2 c.p.p.). 
    In sostanza, quando  si  tratta  di  investiture  che  comportano
introiti  di  natura  patrimoniale  di   provenienza   potenzialmente
pubblica per i soggetti interessati (difensore d'ufficio ex art.  97,
commi 1, 2, 3 c.p.p.), il codice  si  guarda  bene  dall'affidare  la
nomina  del  professionista  alla  scelta  immotivata  dell'Autorita'
Giudiziaria, onde evitare pericolose collusioni o  incresciose  corse
all'accaparramento di incarichi; per converso, quando  si  tratta  di
investiture che non comportano tali introiti (difensore sostituto  ex
art. 97, comma 4 c.p.p.), il codice rimane coerentemente indifferente
alle modalita' di  designazione,  lasciando  l'Autorita'  Giudiziaria
libera di agire nel modo piu' libero e rapido possibile. 
    Cio' posto, equiparare invece le due investiture sotto il profilo
della remunerazione non  puo'  che  risolversi  in  un'ingiustificata
parificazione di situazioni diametralmente opposte ed  incomparabili,
come tale incostituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. 
    VI) Infine, ritiene questo Giudice che  un'interpretazione,  come
quella qui criticata, che - in  assenza  di  specifiche  disposizioni
normative sul punto  -  ritiene  meritevoli  di  compenso  statale  i
sostituti ex art. 97,  comma  4  c.p.p.,  e'  censurabile  anche  per
violazione dell'art. 81, comma 4 Cost., in quanto non  esiste  alcuna
norma di legge che indichi con quali mezzi lo Stato possa far  fronte
alla maggior spesa rappresentata dalla retribuzione di tali sostituti
ex articoli 116 e 117 d.P.R. n. 115/2002. 
    VII) Ne', concludendo,  l'interpretazione  giurisprudenziale  qui
criticata  potrebbe  ritenersi  conforme  a  Costituzione  in  quanto
fondata su principi costituzionali di carattere economico (quale,  ad
esempio quello della  necessaria  retribuzione  di  ogni  prestazione
d'opera)  che  ne  giustifichino  la  pur  sofferta   esistenza:   in
proposito,  infatti,  osserva  innanzitutto  questo  Giudice  che  la
salvaguardia di nessun principio costituzionale di tal fatta potrebbe
mai esser ritenuta talmente preminente da consentire  l'obliterazione
del fondamentale principio di ragionevolezza ed  uguaglianza  di  cui
all'art. 3. 
    In secondo luogo, e comunque, occorre rilevare che  il  sostituto
ex art. 97, comma 4 c.p.p. (cosi' come quello ex  art.  102  c.p.p.),
senza il necessario ricorso  all'interpretazione  qui  criticata,  e'
comunque ben lungi dal rimanere privo di compenso, in quanto egli  ha
il pieno diritto di ottenere il pagamento delle  proprie  prestazioni
da parte del difensore titolare sostituito, il quale rimane per legge
obbligato in  tal  senso:  infatti,  il  sostituto  (da  considerarsi
mandatario ex lege, in virtu' del richiamo -  operato  dall'art.  97,
comma 4 c.p.p. - alla «nomina» di cui all'art. 102 c.p.p.) ha diritto
ad essere retribuito, per l'attivita' concretamente prestata  in  sua
vece, direttamente dal sostituito, che e' l'unico  soggetto  ad  aver
dato consapevolmente origine, con la propria condotta (assenza), alla
designazione del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p.;  ed  ove  pure
non volesse accedersi a tale impostazione fondata sul  riconoscimento
dell'esistenza di un mandato ex lege,  potrebbe  nondimeno  giungersi
alla  medesima  conclusione  facendo  ricorso  all'istituto  di   cui
all'art. 2041 c.c. 
    Cosi' esaurita ogni  argomentazione  tecnica,  sia  consentita  a
questo Giudice la seguente considerazione conclusiva:  il  codice  di
rito disegna la figura del sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p.  come
extrema ratio, cui ricorrere solo  nelle  ipotesi  -  che  in  teoria
dovrebbero essere sporadiche e rare - di attivita'  da  svolgersi  in
presenza di un difensore che, per qualche ignota ragione (diversa dai
casi di legittimo impedimento, in presenza del quale  l'attivita'  de
qua andra' rinviata, nonche' diversa dai casi di rinuncia, revoca  ed
incompatibilita', in presenza dei quali spettera' comunque un termine
a  difesa)  non  si  presentasse,  come  suo  dovere,  ad   assistere
l'interessato. Soprattutto oggi, con la regolamentazione della difesa
d'ufficio obbligatoria e l'introduzione  di  un  preciso  sistema  di
turnazioni,  reperibilita'  e   remunerazione,   non   si   ravvisano
giustificabili ragioni per  cui  l'imputato/indagato  possa  rimanere
temporaneamente privo di  difensore:  se  cio'  accade,  e'  solo  ed
esclusivamente in virtu'  di  una  condotta  del  professionista  (il
titolare  della  difesa)  violativa  di  un   suo   preciso   obbligo
d'assistenza e, come tale, deontologicamente illecita e sanzionabile.
Trattasi, nell'organico e razionale sistema tracciato  dal  codice  e
dalle leggi speciali sul punto, di ipotesi patologica ed eccezionale,
cui si e' deciso di porre rimedio  -  onde  non  consentire  indebiti
intralci  alla  Giustizia  ad  opera   di   condotte   illecite   del
professionista - mediante la partecipazione emergenziale (ex art. 97,
comma 4  c.p.p.)  del  difensore  che  sia  occasionalmente  presente
all'attivita' in corso: cio' posto, e' evidente la differenza con  il
ruolo di vero e proprio difensore d'ufficio. 
    Pertanto, quella della retribuzione del  sostituto  ex  art.  97,
comma 4 c.p.p. non e' certamente un  questione  che  puo'  riguardare
l'assistito o lo Stato, bensi' riguarda il  solo  sostituito  assente
ingiustificato, unico responsabile  della  situazione  determinatasi.
Anzi, a ben vedere - in un sistema che potesse contare,  come  ci  si
aspetterebbe,  sulla  correttezza  dei  propri  appartenenti  -  tale
questione non sarebbe neanche una vera e propria  questione,  poiche'
pressoche' inesistenti, come dovuto,  sarebbero  i  casi  di  assenza
ingiustificata  del  difensore,  da  cui  scaturisce  l'esigenza   di
designazione  autoritativa  di  sostituti  che  poco  o  nulla  sanno
dell'attivita' che va svolgendosi innanzi a loro. 
    In sostanza, tanto piu' gli avvocati di un Foro rispetteranno  il
proprio obbligo legale di  assistenza  dell'imputato/indagato,  tanto
meno l'Autorita' Giudiziaria di  quel  Foro  dovra'  fare  ricorso  a
sostituti ex art. 97, comma 4 c.p.p., con conseguente superamento  di
ogni problema sul punto. Per converso, tanto meno gli avvocati di  un
Foro  rispetteranno  il  proprio   obbligo   legale   di   assistenza
dell'imputato/indagato, tanto piu' l'Autorita'  Giudiziaria  di  quel
Foro dovra' fare ricorso a sostituti ex art. 97, comma 4 c.p.p., ma -
a quel punto - certamente non potra' addossarsi all'assistito o  allo
Stato  l'onere  economico   di   tale   scorrettezza   professionale,
retribuendo sostituti vari che  non  hanno  mai  prestato  preventiva
disponibilita' e reperibilita', non hanno mai studiato la causa,  non
hanno alcun onere post-udienza connesso  al  conferito  e  temporaneo
incarico  e,  soprattutto,   della   cui   esistenza   ed   identita'
l'imputato/indagato non ha mai alcuna contezza. 
    Pertanto, alla luce di tutte le suesposte considerazioni,  questo
Giudice  chiede  che  l'adita  Corte  rilevi  il  contrasto  con   la
Costituzione degli articoli 116 e 117 d.P.R. n. 115/2002  cosi'  come
interpretati nell'attuale diritto vivente (da  ritenersi  ormai  tale
per quanto esposto a pagg. 1 e 2), ossia ricomprensivi del  difensore
sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. quale  legittimato  attivo  alla
liquidazione erariale, e, per conseguenza, dichiari  l'illegittimita'
costituzionale dei predetti articoli in parte qua. 
    Null'altro si osserva circa possibili altri esiti della  presente
procedura   incidentale,   per   timore   che   eventuali   ulteriori
osservazioni possano nuovamente apparire a codesta Corte perplessita'
inficianti l'ammissibilita' della  questione  prospettata,  cosi'  di
fatto impedendo la richiesta pronuncia sul punto. 

(1) Originato da Cass, Sez.IV, c.c. 10 aprile  2008  (dep.  5  maggio
    2008) n. 17721,  secondo  cui  «il  sostituto  del  difensore  di
    fiducia nominato d'ufficio dal giudice  ai  sensi  dell'art.  97,
    comma 4 c.p.p. ha diritto  alla  liquidazione  del  compenso  per
    l'attivita' svolta ai sensi degli articoli 116, 117 d.P.R.  n.115
    del 2002» 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 1 legge cost. n. 1/1948,  23  legge
n. 87/1953 e 1 delibera Corte cost. 16 marzo 1956; 
    Solleva  la  questione  di   legittimita'   costituzionale,   per
contrasto con gli articoli 3 e  81,  comma  4  Cost.,  relativa  agli
articoli 116 e 117 d.P.R. n. 115/2002, nella loro comune e  dominante
interpretazione  giurisprudenziale  (diritto  vivente)  secondo   cui
legittimato ad avanzare istanza di liquidazione nei  confronti  dello
Stato sia anche il sostituto designato ex art. 97,  comma  4  c.p.p.,
oltre al difensore d'ufficio nominato ex  art.  97,  commi  1,  2,  3
c.p.p. e, pertanto, 
    Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale  affinche'
assuma le determinazioni di propria competenza; 
    Ordina la sospensione del presente procedimento fino a quando  la
Corte adita  dara'  comunicazione  a  questo  Giudice  della  propria
decisione sulla prospettata questione; 
    Manda alla Cancelleria per tutti gli adempimenti di rito, nonche'
per la notifica della presente ordinanza al Presidente del  Consiglio
dei Ministri, ai Presidenti  delle  due  Camere  del  Parlamento,  al
difensore interessato; 
    Dispone  altresi'  che  gli  atti  siano  trasmessi  alla   Corte
costituzionale unitamente alla presente ordinanza ed alla prova delle
notificazioni e delle comunicazioni  prescritte  nell'art.  23  della
legge n. 87 dell'11 marzo 1953. 
        Lecce, addi' 26 luglio 2012 
 
                        Il giudice: Malagnino