N. 196 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 dicembre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 31 dicembre 2012 (della Regione Sardegna). Bilancio e contabilita' dello Stato - Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012 - Variazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2012, approvato con legge 12 novembre 2011, n. 184 - Stanziamenti dei fondi in favore della Regione Sardegna relativi alle nuove quote di compartecipazione alle entrate erariali - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata mancata previsione dell'adeguamento della capacita' di spesa della stessa Regione in corrispondenza dell'aumentato livello di entrate - Denunciata non conformita' alla ratio del novellato art. 8 dello Statuto - Violazione del principio di ragionevolezza e del principio di uguaglianza, anche in riferimento al principio della ragionevole temporaneita' delle limitazioni all'autonomia finanziaria delle Regioni - Pregiudizio allo svolgimento delle funzioni pubbliche essenziali assegnate alla Regione - Violazione del principio di corrispondenza tra le entrate e le spese del bilancio regionale - Violazione del principio di tutela dell'affidamento e del principio di leale collaborazione. - Legge 16 ottobre 2012, n. 182. - Costituzione, artt. 2, 3, 5, 81, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 5, 7 e 8.(GU n.6 del 6-2-2013 )
Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), viale Trento, n. 69, in persona del Presidente pro tempore dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa. giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. LDDTZN52T59B354Q, fax 0706062418, posta elettronica certificata tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani (cod. fisc. LCNMSM52L23H501G; fax 0690236029; posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), elettivamente domiciliata presso lo Studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale della l. 16 ottobre 2012, n. 182, recante «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012», pubblicata in G.U. n. 251 del 26 ottobre 2012 - Suppl. Ord. n. 198, nella parte in cui, pur variando il bilancio di previsione per l'anno finanziario 2012, approvato con l. 12 novembre 2011, n. 184, disponendo stanziamenti in favore della Regione Autonoma Sardegna per ulteriori € 1.383.000.000,00, non provvede all'adeguamento della capacita' di spesa della stessa Regione Autonoma della Sardegna, in corrispondenza dell'aumentato livello delle entrate. Fatto 1. La presente controversia si inserisce in un filone ben noto a codesta Ecc.ma Corte costituzionale e insorge a valle della revisione dell'art. 8 della l. cost. n. 3 del 1948, recante «Statuto speciale per la Sardegna». In quell'articolo e' definito il regime di compartecipazione alle entrate erariali che assicura alla Regione le risorse che ne garantiscono la speciale autonomia finanziaria attribuita dal precedente art. 7 dello Statuto. L'art. 8 dello Statuto, nella sua formulazione originaria, disponeva che le entrate della Regione fossero costituite: «dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui fabbricati situati nel territorio della Regione e dell'imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai nove decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della Regione; dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di fabbricazione del gas e dell'energia elettrica, percette nel territorio della Regione; dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli del tabacchi consumati nella Regione; da una quota dell'imposta generale sull'entrata di competenza dello Stato, riscossa nella Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d'accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la Regione ha facolta' di istituire con legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da redditi patrimoniali; da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie». Il sistema di compartecipazione alle entrate erariali e' stato modificato una prima volta dall'art. 1 della l. n. 122 del 1983. In virtu' della citata novella, le risorse della Sardegna risultarono costituite «a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai sette decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui all'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, operate da imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale nella regione [...]; e) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; f) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; g) da una quota dell'imposta sul valore aggiunto riscossa nel territorio della regione [...] da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d'intesa fra lo Stato e la regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della regione; h) dai canoni per le concessioni idroelettriche; i) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; l) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; m) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria». Tale riforma ben presto si rivelava non risolutiva e insufficiente a finanziare le funzioni pubbliche assegnate alla Regione in rapporto all'evoluzione complessiva della realta' economico-finanziaria del Paese. Di questo e' testimonianza il carteggio intervenuto proprio tra il Ragioniere Generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. «nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione I.V.A. da quota variabile a quota fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione». Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che «il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-20031, pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale». Proprio in considerazione della palese insufficienza del quadro finanziario delle entrate regionali, riconosciuta espressamente dalla Ragioneria Generale dello Stato, si e' addivenuti alla seconda modifica dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' accennato, con l'art. 1, comma 834, della 1. n. 296 del 2006, con cui - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici» e - per l'appunto in coerenza con i rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v., rispettivamente, lett. m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). Nella sua attuale formulazione, dunque, l'art. 8 dello Statuto dispone che "le entrate della regione sono costituite: a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse nelle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici». 2. Nel quadro dell'autonomia finanziaria garantita dallo Statuto che e' disegnato dal regime delle compartecipazioni erariali si inserisce il c.d. patto di stabilita'. Come e' noto, il patto di stabilita' e' il meccanismo di governo della finanza regionale e degli enti territoriali disegnato dal legislatore statale al fine di coniugare la tutela dell'autonomia finanziaria della Regione e (in diverso grado) degli enti locali, con il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica della Repubblica in tutte le sue articolazioni istituzionali. 2.1) Il procedimento per il raggiungimento dell'intesa per il patto di stabilita' interno tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale e' previsto dall'art. 32, commi 11 sgg., della 1. n. 183 del 2011 (c.d. legge di stabilita' per il 2012). In particolare, il menzionato art. 32 prevede che «al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, determinato riducendo gli obiettivi programmatici del 2011 della somma degli importi indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30 novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012» (comma 11) e che «al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, determinato migliorando il saldo programmatico dell'esercizio 2011 della somma degli importi indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30 novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012» (comma 12). Come si evince anche a prima lettura, il meccanismo del patto di stabilita' si fonda sul principio dell'accordo tra eguali, mediante il quale la Regione esercita la propria autonomia finanziaria e lo Stato garantisce il conseguimento degli obiettivi generali di finanza pubblica. 2.2) In particolare, l'accordo si fonda su due diverse intese. Una e' disciplinata dal comma 12 dell'art. 32 della l. n. 183 del 2011 ed e' relativa al c.d. «saldo programmatico», ossia (in sintesi estrema) alla differenza tra entrate e uscite della Regione, calcolata sia in termini di cassa che in termini di competenza. Il saldo, poi, e' «migliorato» (per lo Stato, eppercio' «peggiorato», a ben vedere, per la Regione) con l'applicazione delle quote di partecipazione alla finanza pubblica, ossia dei maggiori risparmi che il legislatore statale puo' temporaneamente imporre alle Regioni per conseguire un particolare obiettivo economico nazionale. L'altra e' disciplinata al comma 11 dell'art. 32 della I. n. 183 del 2011. Essa ha ad oggetto il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale e dei relativi pagamenti. In tal modo gli Enti territoriali (nel caso in oggetto si tratta delle Regioni, ma il medesimo sistema vale anche per province e comuni) concordano con lo Stato di limitare la spesa complessiva anche ove sussista la relativa copertura finanziaria, nonche' di limitare la somma complessiva dei pagamenti, anche per impegni di spesa gia' assunti e liquidati, sebbene siano disponibili in cassa le relative risorse. 3. Onde dare applicazione all'art. 32 della l. n. 183 del 2011, la Regione Autonoma della Sardegna ha trasmesso una (prima) proposta di accordo con la Nota 28 marzo 2012, prot. n. 440/GAB, a firma del Vicepresidente della Regione e inviata alla Ragioneria Generale dello Stato. Tale Nota recava i seguenti rilievi, che, per comodita' dell'Ecc.mo Collegio, si riportano: «gli impegni ammissibili ai fini del patto risultano inadeguati al sostenimento degli oneri statutariamente assegnati alla Regione, dall'altro si impedisce di far fronte a quegli oneri fissando per i pagamenti un limite di 700 milioni inferiore al livello degli impegni. Tali problematiche sono rese ancora piu' drammatiche dai tagli che le recenti manovre ministeriali hanno operato sul gia' basso livello di spesa assegnato alla Regione (di fatto bloccato ai livelli del 1995) che ha determinato l'impossibilita' di porre in essere efficaci politiche regionali di sviluppo e di alleviare la forte crisi economica che attraversa il territorio regionale [...]. Gia' in passato la Regione, in virtu' delle maggiori entrate garantite dal nuovo regime finanziario regionale, ha ripetutamente richiesto l'innalzamento dei tetti di spesa (ancora irragionevolmente ancorato al previgente regime finanziario) cui codesto Ministero ha sempre contrapposto un diniego. Il mancato accoglimento delle richieste ministeriali produce effetti molto gravi: oltre che svilire la portata della revisione statutaria operata attraverso la modifica dell'art. 8 dello Statuto, obbliga la Sardegna, Regione fra le piu' colpite dalla crisi e con un PIL pro capite inferiore alla media nazionale, a dei sacrifici, in termini di risparmi, a valere sulle proprie entrate, che non hanno eguali in nessun altra Regione italiana». Cio' considerato, la Regione chiedeva «che dal corrente esercizio si stipuli un nuovo di Patto di stabilita'», basato «sul criterio del saldo finanziario programmatico calcolato in termini di competenza mista, dato dalla differenza tra accertamenti ed impegni formali per la parte corrente e dalla differenza tra incassi e pagamenti per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e dalle spese derivanti dalla concessione di crediti. Si propone che l'obiettivo di saldo programmatico 2012 sia pari a zero». 3.1) Lo Stato rimaneva silente dinanzi alla proposta cosi' formulata dalla Regione, la quale, di conseguenza, la precisava con la Nota del Presidente della Regione dell'8 giugno 2012, prot. n. 4034. Ivi, permesso che «una prima proposta di accordo» risultava «non ancora riscontrata» dal Ministero, si dava conto del mutato contesto giuridico, derivante dall'approvazione della legge della Regione Sardegna n. 6 del 2012 nonche' dalla pronuncia della Sezione regionale per la Sardegna della Corte dei conti sul giudizio di parificazione del rendiconto finanziario della Regione Sardegna per l'anno 2011 e si ribadiva che «il livello delle devoluzioni corrisposto alla Regione Sardegna negli anni 2010 e 2011 non e' risultato corrispondente alle modifiche statutarie, ne' tanto meno si e' provveduto a prevedere e a autorizzare l'innalzamento del tetto di spesa regionale rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilita', la perdurante mancata equiparazione dei tetti di spesa rilevanti per il patto di stabilita, alla nuova capacita' finanziaria dell'Amministrazione regionale e il connesso mancato adeguamento del livello delle devoluzioni alla nuova disciplina delle entrate della Regione Autonoma, hanno comportato un notevole aumento dei residui attivi e dei residui passivi che hanno oramai raggiunto limiti insostenibili». Cio' considerato, la Regione sollecitava «nuovamente l'urgente trasmissione dei «Fabbisogni Definitivi» della Regione per gli anni 2010 e 2011« (che consistono nello schema delle risorse che lo Stato, in attuazione del regime finanziario previsto dallo Statuto sardo, deve stanziare per finanziare il regime di compartecipazione alle entrate della Regione: si verseranno in atti gli schemi dei fabbisogni provvisori per gli anni 2010 e 2011, nei quali, peraltro, a quanto consta a questa difesa, le spettanze regionali risultano rilevantemente inferiori al dovuto) e chiedeva (incidentalmente) l'innalzamento delle somme corrisposte mensilmente dallo Stato a titolo di acconto sulle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali. In particolare, poi, la Regione chiedeva che, «ai fini del patto di stabilita', il limite massimo dei pagamenti venga innalzato almeno a Quello degli impegni». Evidenziava la Nota che «la richiesta di adeguamento del patto di stabilita', frutto del massimo senso di responsabilita' e di attenzione al difficile quadro della finanza pubblica e ispirate al ripristino del principio di equita', risulta rispettosa delle nuove disposizioni statutarie». Si aggiungeva che l'adeguamento del patto di stabilita' e' finalizzato ad «eliminare le evidenti anomalie e le gravi penalizzazioni sorte nel preesistente regime finanziario», sicche' «occorre che lo Stato adegui, nella misura minima sopra descritta, le devoluzioni regionali, assicurando un livello di spesa (e in particolare dei pagamenti regionali) corrispondente alle effettive esigenze del territorio, peraltro gia' implicitamente riconosciuto dal legislatore nazionale proprio con la revisione dell'articolo 8 dello Statuto». Si precisava, infine, che questa seconda Nota era «da intendersi anche come nuova proposta di accordo per il patto di stabilita' per l'esercizio 2012». 3.2) Il Ministero riscontrava infine le proposte della Regione con la Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891, avente ad oggetto «Patto di stabilita' interno per l'anno 2012. Proposta di accordo per la Regione Sardegna». In essa si prendeva atto del fatto che la «Regione ha evidenziato il mancato ampliamento della propria capacita' di spesa al mutato livello di entrate riconosciute dal nuovo ordinamento finanziario e, nel manifestare la propria disponibilita' a partecipare al risanamento dei conti pubblici ed a contribuire agli obblighi di solidarieta', ha chiesto un adeguamento del patto di stabilita'». A questo proposito la Ragioneria generale dello Stato, «pur comprendendo le esigenze di codesta Regione di trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario», riteneva che «tale richiesta necessita di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto». Pertanto, «in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di codesta Regione» lo Stato osservava che, «a livello tecnico, non sussist[o]no margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti». Il Ministero, inoltre, respingeva anche «la proposta iniziale formulata dalla Regione», volta a definire «l'accordo per il Patto di stabilita' interno con il criterio del saldo finanziario programmatico calcolato in termini di competenza mista» e intesa a fissare di porre l'obiettivo di saldo programmatico 2012 pari a zero», in quanto tale proposta, ad avviso del Ministero, non risulterebbe «coerente con l'articolo 32, comma 11, della legge n. 183/2011, che prevede espressamente il riferimento al complesso delle spese per la definizione del concorso alla manovra delle regioni a statuto speciale» perche' «il patto per saldi dovrebbe, comunque, essere definito in modo da garantire invarianza in termini di finanza pubblica e, quindi, una generica proposta di obiettivo di saldo programmatico 2012 pari a zero non puo' essere assentita senza una preventiva verifica degli effetti sui saldi di finanza pubblica». Precisava poi il Ministero che, «a legislazione vigente, l'obiettivo programmatico per l'anno 2012 [per la Regione Sardegna] dovrebbe essere definito nell'importo di 3.313 milioni in termini di competenza e nell'importo di 2.627 milioni in termini di cassa, pari all'obiettivo programmatico concordato con codesta Regione per l'esercizio 2011 in 3.788 milioni in termini di competenza e in 3.102 milioni in termini di cassa ridotto dell'importo indicato dall'articolo 32, comma 10, della legge n. 183/2011 (314,234 milioni), nonche' dell'importo derivante dalle altre disposizioni citate (160,657 milioni)». Tutto cio' considerato, il Ministero esortava «la Regione a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa che 13 evidenzi i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, in coerenza con le disposizioni sopra richiamate». 3.3) La Regione Sardegna ha impugnato la Nota ora descritta con ricorso al TAR della Sardegna, rubricato al R. Ric. n. 914/2012 e tuttora pendente (l'udienza di trattazione del merito e' fissata per il 6 febbraio 2013). In tale ricorso la Regione, fra l'altro, ha contestato la necessita' di un'ulteriore intermediazione legislativa onde poter finalmente addivenire all'adeguamento delle potenzialita' di spesa alle disponibilita' regionali, disponibilita' che - e' bene ribadirlo - sono aumentate perche' tanto era richiesto dalle oggettive (e non contestate dallo Stato) esigenze della Regione di far fronte agli impegni e di soddisfare i diritti dei cittadini sardi. 3.4) Dopo che il menzionato ricorso era stato notificato e depositato, il giorno prima della camera di consiglio alla quale era chiamato per la trattazione della domanda di sospensione (in quella sede, poi, riunita al merito), con Nota 11 dicembre 2012, prot. n. 4879/2012/Uff.X, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, «acquisito [...] il parere degli uffici di diretta collaborazione del Ministro», ha comunicato alla ricorrente «la piena disponibilita'» a fornire i «dati definitivi relativi alle quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti alla Regione Sardegna ai sensi del novellato articolo 8 dello Statuto di autonomia per gli anni 2010 e seguenti», pero' «non appena lo schema di decreto delegato, contenente le disposizioni attuative dei predetto articolo 8 risulti iscritto all'ordine del giorno del Consiglio dei Ministri per la deliberazione». Si evidenziava, dunque, nuovamente, l'intento dilatorio del Ministero, teso addirittura a negare alla Regione Sardegna la conoscenza dei dati utili alla definizione del suo bilancio. 3.5) Infine, con la legge qui censurata, il legislatore ha adottato disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2012, che era stato approvato con legge 12 novembre 2011, n. 184, introducendo «le variazioni di cui alle annesse tabelle» (cosi' l'art. 1 della legge impugnata). In particolare, nella prima tabella, relativa all'assestamento del bilancio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, e' indicata la voce contrassegnata dal codice n. 2.3., Programma «Regolazioni contabili ed altri trasferimenti alle Regioni a statuto speciale (3.5.)». Ivi si effettua una variazione sia alla previsione di competenza sia all'autorizzazione di cassa, aumentando rispettivamente gli stanziamenti di € 1.914.835.111,00 e di € 1.763.337.437,00. Le some destinate alla Regione Sardegna risultano dalla tabella allegata al d.d.l. di assestamento, voce codice 2790, punto n. 2, CP. Come si evince sia dalla relazione governativa al d.d.l. di assestamento di bilancio 2012 che dai lavori parlamentari, si tratta di versamenti per «1.383 milioni di euro alla regione Sardegna al fine di attribuire alla medesima le entrate previste dal nuovo ordinamento finanziario» (cosi', testualmente, l'allegato tecnico al d.d.l. di assestamento di bilancio 2012), disposti - appunto - «al fine di adeguare il regime di compartecipazione erariale della Regione al nuovo ordinamento finanziario e di funzioni attribuite alla Regione Sardegna, regime stabilito dalla legge finanziaria 296 del 2006» (cosi' la Relazione dell'On. Calvisi, relatore nella Commissione V della Camera dei deputati, seduta di mercoledi' 12 settembre 2012). Pur avendo stanziato le somme necessarie a dare completa esecuzione all'art. 8 dello Statuto regionale, la legge nulla ha previsto circa l'adeguamento del livello delle spese e dei pagamenti che la Regione Sardegna puo' effettuare. La legge di cui in epigrafe lede le attribuzioni costituzionali della ricorrente e deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, in parte qua, per i seguenti motivi di Diritto Premessa. Preliminarmente, per la migliore definizione del contenuto del presente gravame, si deve osservare che, in tutte le competenti sedi giurisdizionali, la Regione Autonoma della Sardegna (hinc inde: anche Regione o Sardegna) ha costantemente negato che l'esecuzione del novellato art. 8 dello Statuto di autonomia richiedesse una qualsivoglia intermediazione legislativa, sia che la fonte idonea alla bisogna fosse ritenuta un comune atto con forza di legge, sia che fosse ritenuta un decreto legislativo recante norme di attuazione dello stesso Statuto. Questa posizione appare confortata da precise statuizioni di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In particolare, con la sent. n. 99 del 2012, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, adita dallo Stato per veder dichiarata l'illegittimita' dell'art. 3 della L reg. n. 12 del 2011 (con la quale era stato previsto che la Regione possa procedere all'accertamento delle poste in attivo di bilancio ai sensi dell'art. 8 dello Statuto nella formulazione vigente), ha affermato che non vi era una «sufficiente motivazione» a sostegno della necessita' (asserita dallo Stato, come si e' detto) che il nuovo art. 8 dello Statuto, per produrre i propri effetti al fine di determinare «la quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione», debba essere attuato con la particolare procedura per l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione. Cio' significa, in primo luogo, che la Regione Sardegna, al momento di predisporre il proprio bilancio previsionale, puo' (e deve) immediatamente fare affidamento sulle entrate derivanti dal nuovo art. 8; in secondo luogo, che lo Stato, nella gestione (in via amministrativa e in via legislativa) dei rapporti finanziari con la ricorrente, deve osservare le previsioni, immediatamente applicabili, dell'art. 8 dello Statuto. Nondimeno, pur a fronte dell'evidente correttezza dell'assunto regionale, lo Stato ha, altrettanto costantemente, affermato che in carenza di un'intermediazione legislativa l'esecuzione del citato art. 8, novellato, dello Statuto non sia possibile e che, inoltre, non sia possibile nemmeno l'adeguamento della capacita' di spesa della Regione alle maggiori disponibilita' finanziarie riconosciute dall'art. 1, comma 834, della 1. n. 296 del 2006, modificativo - appunto - dell'art. 8 dello Statuto. Dagli atti menzionati in narrativa, anzi, si evince, piu' in particolare, che per lo Stato l'intermediazione legislativa e' necessaria: a) addirittura per la semplice determinazione dei dati relativi alle quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti alla Regione (cosi' la Nota 11 dicembre 2012, prot. n. 4879/2012/Uff.X); b) per il concreto conferimento delle relative somme (cosi' la Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891); c) per l'adeguamento della capacita' di spesa della Regione alle maggiori disponibilita' in entrata derivanti dall'esecuzione del novellato art. 8 dello Statuto (cosi ancora la Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891). Ora, la strumentalita' della posizione assunta dallo Stato e' evidente. Lo dimostra, a tacer d'altro, l'evidente contraddizione fra la Nota 11 dicembre 2012, prot. n. 4879/2012/Uff X e la legge qui impugnata. Nella Nota, infatti, si afferma che la determinazione dei dati relativi alle quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti alla Regione sara' possibile solo una volta che siano approvate, con l'apposito decreto legislativo, specifiche norme di attuazione dello Statuto. La legge impugnata, invece, che - si badi! - precede la Nota di circa un mese e mezzo, afferma, sia pure implicitamente, esattamente il contrario, poiche' provvede a stanziare un somma precisa (€ 1.383.000.000,00, come da tabella allegata al d.d.l. di assestamento, voce codice 2790, punto n. 2, CP) in favore della Regione proprio al fine di dare esecuzione al novellato art. 8 dello Statuto. Come si legge nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge, i «1.383 milioni di euro [sono stanziati in bilancio a favore della] regione Sardegna al fine di attribuire alla medesima le entrate previste dal nuovo ordinamento finanziario». Il tutto, dunque, senza bisogno alcuno di norme di attuazione statutaria. Ebbene: a fronte del pervicace rifiuto da parte dello Stato di collaborare con la Regione in sede di confronto tecnico, opponendo costantemente il preteso ostacolo dell'assenza di una previa norma di legge, la Regione Sardegna si vede ora costretta ad impugnare la legge in epigrafe, come quella che, potendo e dovendo, proprio nella prospettiva assunta dallo Stato, dare seguito legislativo allo Statuto novellato, ha omesso di dettare la previsione piu' importante e sostanziale, stabilendo che la capacita' di spesa della Regione e' aumentata in corrispondenza delle maggiori disponibilita' in entrata riconosciute con il menzionato stanziamento in bilancio. Che questa dovesse essere (sempre nella stessa prospettiva, assunta dallo Stato, della necessaria intermediazione legislativa) l'opportuna sede normativa per procedere in tal senso lo si desume dal fatto che, dovendo essere rispettato il principio di corrispondenza fra entrate e spese iscritte in bilancio (cosi Corte cost., sent. n. 118 del 2012), l'aumento delle disponibilita' in entrata avrebbe dovuto trovare corrispondenza - appunto - in un parallelo aumento della capacita' di spesa. Poiche' e' nella legge impugnata che le maggiori disponibilita' in entrata sono riconosciute, e' nella legge impugnata che avrebbe dovuto trovare riconoscimento anche la maggiore disponibilita' in uscita. Non varrebbe obiettare che la legge impugnata, finalizzata a provvedere all'assestamento del bilancio dello Stato, sarebbe inidonea alla bisogna, in quanto legge meramente formale. E' agevole replicare, infatti, che, anche ove si ritenesse che la legge di bilancio sia da considerare meramente formale (sul che - e' noto - v'e' divisione in dottrina), la diversa legge di assestamento e' una legge come tutte le altre, non tipizzata dall'art. 81 della Costituzione (nel testo anteriore alla novella del 2012, qui non applicabile, in forza dell'art. 6 della l. cost. n. 1 del 2012, ratione temporis) e quindi, come tutte le comuni leggi, facoltizzata a contenere le piu' diverse previsioni sostanziali. Del resto, che le cose stiano esattamente in questo senso lo dimostra proprio la stessa legge impugnata, che, all'art. 4, stabilendo che «Le risorse finanziarie iscritte nei fondi per il finanziamento di assegni una tantum in favore del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono ripartite con decreti del Ministro competente», disciplina le modalita' di assegnazione e ripartizione di alcune risorse, con cio' solo impingendo nel dominio della regolazione sostanziale, che trascende quello della mera indicazione dei «numeri» da iscrivere a bilancio. Cio' premesso, e' ora possibile allegare gli specifici motivi di ricorso. 1. Violazione del principio di ragionevolezza e del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della 1. cost. n. 3 del 1948, recante «Statuto speciale per la Sardegna», degli artt. 2, 3, 5, 117 e 119 della Costituzione, anche in riferimento al principio della ragionevole temporaneita' delle limitazioni all'autonomia finanziaria delle Regioni. Come ricordato in narrativa, l'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna, e' stato novellato dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006. Risulta dal citato carteggio del 2005 tra la Ragioneria generale dello Stato e la Regione, che l'aumento delle entrate che ne e' conseguito non intende certo soddisfare un capriccioso desiderio della Regione di avere a disposizione risorse maggiori, ma e' stato la logica conseguenza della necessita' di adeguare il quadro finanziario a tre dati. Anzitutto, al conferimento alla Regione Sardegna di una serie di attribuzioni (in materia di trasporti, sanita', continuita' territoriale) del cui costo lo Stato si e' sgravato, gravandone dunque la Regione che - evidentemente - non avrebbe potuto esercitarle in carenza di adeguate risorse economiche. In secondo luogo, alla mutata realta' sociale ed economico-finanziaria di riferimento. Nel corso degli anni, invero, come e' naturale, l'onere economico derivante dall'esercizio delle funzioni conferite alla Regione, a partire da quelle conferite in via esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e' fatto piu' consistente, anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati di qualita' dei servizi pubblici e del generale aumento dei costi. Anche la gia' ricordata Nota del 3 agosto 2005 della Ragioneria Generale dello Stato lo ha constatato, prendendo atto delle «mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione» (si badi: normali, sicche' non e' qui questione del rapporto tra funzioni «nuove» e loro copertura con risorse altrettanto «nuove»!). Da ultimo (ma non per ultimo) all'impellente necessita' di rimediare alle gravi cd evidenti anomalie applicative, riconosciute dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato, determinate dal precedente regime finanziario. Si Fa ancora riferimento al carteggio tra la ricorrente e la Ragioneria Generale dello Stato dell'estate 2005. Ivi il Ministero ha preso atto di un «anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale» nei trienni 1991-1993 e 1996-1998 e di una «progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale» relativo alla compartecipazione I.V.A. E' facile comprendere come le anomalie applicative del previgente regime finanziario abbiano indebitamente compresso le entrate regionali e come questa compressione, a sua volta. abbia determinato un indebita riduzione della capacita' di spesa, posto che (data la mancala esecuzione finte le della riforma dell'art. dello Statuto, anche in termini di innalzamento della capacita' di spesa) la capacita' di spesa ancora oggi riconosciuta alla Regione fa riferimento all'anno 2005. Quando la l. n. 296 del 2006, novellando lo Statuto, ha modificato il quadro finanziario aumentando le entrate disponibili per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto altro che adeguare il quadro delle entrate alle necessita' delle spese e correggere le gravi distorsioni applicative che avevano caratterizzato il precedente regime finanziario e che avevano di fatto contraddetto il senso stesso del sistema di compartecipazione alle entrate tributarie, secondo il quale le entrate regionali dovevano fisiologicamente crescere al crescere del gettito tributario. E' chiaro, dunque, che i fondi inseriti nel bilancio dello Stato con la legge gravata sono tutti preordinati allo svolgimento, da parte della Regione ricorrente, delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali, come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4 e 5), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi 836 gg. dell'art. 1 della 1. n. 296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). E' del tutto evidente, conseguentemente, che il mancato adeguamento della possibilita' di spesa della Regione non solo ne limita l'autonomia finanziaria (tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost.), ma ha come immediata conseguenza la lesione dei diritti dei cittadini residenti in Sardegna (garantiti dall'art. 2 Cost.) e la violazione del principio del loro eguale trattamento quale cittadini dello Stato (art. 3 Cost.). Cio' considerato, e' palese che lo stanziamento dei fondi relativi alle nuove quote di compartecipazione alle entrate erariali doveva necessariamente essere accompagnato dalla previsione dell'adeguamento del livello delle spese che possono essere impegnate e dei pagamenti che possono essere liquidati dall'Amministrazione regionale, dato che, nella (pur contestabile, si ripete) prospettiva assunta dallo Stato quanto alle modalita' di entrata a regime del nuovo sistema di compartecipazione, tale previsione legislativa era - appunto - necessaria. In mancanza di tale adeguamento, invero, la ragione stessa della novellazione dell'art. 8 dello Statuto viene tradita, perche' essa non era certo preordinata ad apprestare arbitrariamente alla Regione una maggiore disponibilita' di somme di danaro, bensi' ad assicurare una piu' compiuta capacita' di esercitare le funzioni di competenza e di soddisfare i diritti dei cittadini sardi. Non serve a nulla, dunque, alla Regione, avere la disponibilita' di maggiori somme, se queste non possono essere spese. 1.1) A questo proposito, va subito dissipato un possibile equivoco. E' cosa nota, e lo si e' anche rammentato in narrativa citando l'art. 32 della l. n. 183 del 2011, che il meccanismo del patto di stabilita' interno pone alle Regioni e agli Enti locali un limite ulteriore rispetto al semplice vincolo di bilancio, fissando un tetto massimo sia al livello massimo delle spese che possono essere impegnate, sia al livello massimo dei pagamenti che possono essere liquidati da parte dell'Amministrazione interessata. Orbene, la ricorrente non intende in alcun modo sottrarsi a questo meccanismo di governo dell'economia pubblica, che opera direttamente attraverso una limitazione della spesa. Purtuttavia si deve segnalare che per le altre Regioni (anche a statuto ordinario) l'ulteriore «strozzatura» della spesa pubblica determinata dal patto di stabilita' si innesta su un quadro fisiologico della finanza regionale, sia pel profilo dei rapporti economico-finanziari tra Stato e Regione, sia pel profilo della corrispondenza tra le risorse disponibili e le necessita' di spesa dell'Ente connesse alle funzioni novellamente conferite. Per la Regione Sardegna, invece, come si e' gia' detto, il patto di stabilita' interno incide in una situazione di finanza regionale che risulta essere patologica per esplicito riconoscimento dello stesso Stato. In altri termini: non solo le entrate sono insufficienti a far fronte al fabbisogno di spesa, ma la spesa e' ulteriormente ridotta a causa dei vincoli del patto di stabilita', con un effetto esponenziale sconosciuto alle altre Regioni. Mentre per le altre Regioni, dunque, il patto di stabilita' interno puo' rappresentare uno strumento ragionevole e coerente di coordinamento della finanza pubblica, per la Regione Sardegna la sua applicazione in difetto della piena esecuzione del nuovo art. 8 dello Statuto si rivela irragionevole e violativa dell'autonomia finanziaria regionale. 1.2) Per tutte le anzidette ragioni, non avendo previsto, al momento di inserire gli stanziamenti in oggetto nel bilancio, gli strumenti per l'aumento del livello delle spese e dei pagamenti che possono essere, effettuati dalla Regione Sardegna, il legislatore statale e' palesemente incorso nei vizi indicati nell'epigrafe del presente motivo. E' di immediato apprezzamento, anzitutto, la violazione dell'art. 8 dello Statuto. Proprio nel momento in cui lo Stato stanzia le somme necessarie a liquidare alla Regione le quote di compartecipazione fissate dalla disposizione in esame, ne preclude ulteriormente e senza alcuna ragione l'utilizzo, cosi' rendendo di fatto inutili detti stanziamenti e procrastinando ancora la completa ed esatta applicazione della novella statutaria, anche in violazione del consolidato principio che i sacrifici finanziari imposti alle Regioni in limitazione della loro autonomia possono essere ragionevoli solo se (ragionevolmente, appunto) temporanei (cfr., da ultimo, sent. n. 142 del 2012), il che, nella specie, non e', visto il pervicace e persistente rifiuto statale di eseguire quanto disposto dalle previsioni statutarie. Tanto determina anche la conseguente violazione dell'autonomia finanziaria della Regione tutelata dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost., autonomia che impone la garanzia delle capacita' sia di entrata che di spesa che derivano dal regime delle compartecipazioni erariali di cui all'art. 8 dello Statuto. Evidente, poi, e' il vizio di irragionevolezza della legge in oggetto, perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate collide con le finalita' della legge medesima, le quali sono state cosi' ben esplicitate, come si e' detto, nella relazione al d.d.l. governativo e nella discussione parlamentare. L'art. 3 Cost., peraltro, risulta violato anche pel profilo del principio di eguaglianza, poiche', come si e' visto, la Regione Sardegna risulta essere discriminata nei confronti di tutte le altre, subendo la cristallizzazione di limiti derivanti dal patto di stabilita' che non tengono conto della (patologica) peculiarita' della sua situazione finanziaria. Lampanti, infine, sono le violazioni degli altri parametri costituzionali (art. 117) e statutari (artt. 3, 4 e 5) gia' indicati, per il semplice motivo che le somme in oggetto - lo si deve ribadire - sono tutte preordinate allo svolgimento di funzioni pubbliche riconosciute come essenziali per la comunita' regionale dallo stesso Stato. 2.- Violazione dell'art. 81 della Costituzione, in relazione agli artt. artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della 1. cost. n. 3 del 1948, recante «Statuto speciale per la Sardegna», degli artt. 2, 3, 5, 117 e 119 della Costituzione. Violato e', altresi', il principio di corrispondenza fra le entrate e le spese del bilancio regionale, di cui all'art. 81, comma 4, della Costituzione (nella formulazione applicabile ratione temporis). E' cosa nota che le politiche di bilancio devono rispettare il principio di parita' di entrata e di spesa. Tale principio e' stato ribadito da codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio nello scrutinare un conflitto in tema di rapporti economico-finanziari tra le parti del presente giudizio. Ci si riferisce, in particolare, alla decisiva sent. n. 118 del 2012. In quel caso, la Regione Sardegna aveva impugnato la Nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilita' interno per l'anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna». Con quell'atto l'Amministrazione statale aveva rigettato la proposta di patto di stabilita' per il 2011 ritualmente formulata dalla Regione ai sensi della legge vigente (art. 1, comma 132, della l. n. 220 del 2010) con cui si chiedeva un innalzamento del livello delle spese e dei pagamenti assentiti in ragione delle maggiori entrate previste dal riformato art. 8 dello Statuto. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, con cristallina chiarezza, che e' «di palmare evidenza che [...] il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell'entrata». E' stato cosi stabilito, in modo inequivocabile che non solo sul piano logico (il che e' addirittura autoevidente) ma anche su quello giuridico esiste e deve essere rispettato un principio di corrispondenza fra livello delle entrate e livello delle spese. 2.1) Tale principio, e' palese, deve essere rispettato anche nel dominio del patto di stabilita'. Anche in questo caso, infatti, si deve anzitutto escludere che il principio di corrispondenza tra entrate e spese possa essere di alcun ostacolo al funzionamento del meccanismo del patto di stabilita' o al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica che la Repubblica si propone, anche nel rispetto del quadro economico tracciato in sede di Unione Europea o di piu' ristretta Unione monetaria. In primo luogo, infatti, il principio di parita' fra entrate e uscite non impedisce che la Regione Sardegna possa e debba contribuire agli obiettivi di finanza pubblica. Anche in questo caso e' cosa nota che la partecipazione a detti obiettivi avviene generalmente in virtu' di espliciti «prelievi» (pur confinati nel tempo, pena la loro illegittimita' costituzionale) direttamente fissati dal legislatore statale, che la Regione deve tenere in conto al momento dell'elaborazione del suo bilancio (tra le tante disposizioni in esame, basti richiamare ancora il comma 3 dell'art. 32 della 1. n. 183 del 2011, che impone alle Regioni a Statuto speciale un contributo di finanza pubblica pari a € 1.600.000.000,00). In secondo luogo, proprio codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha inteso precisare, ancora nella sent. n. 118 del 2012, che lo strumento del patto di stabilita', per non condurre ad esiti illegittimi e irragionevoli, deve muoversi proprio nell'ambito definito dal principio di parita' di entrate e uscite di bilancio e dall'obbligo dell'Ente territoriale autonomo di contribuire alla Finanza pubblica: «Il contenuto dell'accordo» che Ministero e Regione stipulano per fissare i reciproci obblighi di finanza pubblica «deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita', della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per effetto del meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. I, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest'ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna». 2.2) Per le ragioni anzidette, proprio movendo dalla prospettiva che e' necessaria un'intermediazione legislativa per portare a compimento il nuovo regime finanziario previsto dallo Statuto, lo Stato aveva il preciso e inequivocabile dovere di procedere all'adeguamento del livello delle spese e dei pagamenti della Regione nel momento in cui nell'assestamento del bilancio ha tenuto conto (seppure con un gravissimo ritardo) della necessaria esecuzione dell'art. 8 dello Statuto. Non avendo operato in tal senso Io Stato ha certamente violato l'indicato principio di parita' tra le entrate e le uscite regionali, di cui all'art. 81, comma 4, della Costituzione. La violazione dell'art. 81 Cost., pero', ridonda immediatamente nella violazione delle attribuzioni costituzionali e statutarie della ricorrente. In particolare, e' nuovamente violato l'art. 8 dello Statuto, perche', come si e' gia' detto, la disponibilita' in entrata delle risorse finanziarie «rideterminate» e «quantificate» in detta disposizione (per usare gli stessi, puntuali, termini impiegati da codesta Ecc.ma Corte costituzionale) a nulla vale se le maggiori somme non possono essere poi concretamente impiegate attraverso gli impegni di spesa e la liquidazione dei pagamenti necessari allo svolgimento delle funzioni assegnate alla Regione. Di conseguenza, la legge gravata lede, per un ulteriore profilo, anche l'autonomia finanziaria della Regione e, pertanto, viola l'art 7 dello Statuto e l'art. 119 Cost. Similmente, sono novellamente violati anche gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto e 117 Cost., perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate dallo Stato impedisce alla Regione di finanziare le funzioni pubbliche assegnate dallo Statuto, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato. Tanto, con la conseguenza della violazione degli artt. 2 e 3 Cost., perche' i diritti costituzionali dei cittadini residenti in Sardegna possono essere concretamente goduti, in condizioni di parita' con tutti gli altri cittadini italiani, solo se la Regione puo' svolgere le funzioni pubbliche assegnatele dalla Costituzione, dallo Statuto e dalla legge (si pensi, in primo luogo, al finanziamento del sistema sanitario regionale, che, ai sensi dell'art. 1, comma 838, della l. n. 296 del 2006, e' completamente a carico della Regione). 3. Violazione del principio di tutela dell'affidamento e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost. Infine, la ricorrente non puo' esimersi dal lamentare anche la violazione del principio di tutela dell'affidamento e del principio di leale collaborazione. Per quanto concerne il principio di tutela dell'affidamento, esso puo' certamente essere parametro del presente giudizio di costituzionalita', avendo codesta Ecc.ma Corte costituzionale a piu' riprese affermato che si tratta di un principio fondamentale dell'ordinamento (cfr., tra le piu' recenti, la sent. n. 78 del 2012, ove si e' affermato che «la tutela dell'affidamento legittimamente sorto» e' un «principio connaturato allo Stato di diritto»). In genere, tale principio presidia le situazioni soggettive individuali, ma nulla preclude la sua invocazione da parte di un Ente territoriale. Ente, che, appunto, faceva doveroso affidamento su cio' che lo Stato, movendo dal presupposto che vi fosse bisogno di attuazione legislativa, fosse conseguente e provvedesse - appunto - in tal senso, adeguando la capacita' di spesa della Regione nel momento stesso in cui riconosceva l'adeguamento delle disponibilita' in entrata. E' anche doveroso invocare il principio di leale collaborazione. La ricorrente non ignora che la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato che «l'esercizio dell'attivita' legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (cosi' le sentt. nn. 401 del 2007; 371 e n. 159, 222 del 2008) e che esso viene in rilievo solamente allorquando il legislatore disciplina lo svolgimento di funzioni amministrative rientranti in ambiti materiali di competenza (anche) della Regione. Purtuttavia (a prescindere dal rilievo che in alcune occasioni tali affermazioni non sembrano essere state confermate: cfr., ad es., sentt. nn. 437 del 2001, 278 del 2010, ove si e' ricordato che «le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimita' di atti legislativi» quando «l'osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione» - e 33 del 2011, in tema di c.d. «collaborazione irrituale»), il concreto atteggiarsi della vicenda in esame, che e' affatto peculiare, fa si' che del principio di leale collaborazione si debba tenere conto anche in sede di giudizio principale. 3.1) In primo luogo, e' del tutto evidente che lo Stato, attraverso atti posti in essere dall'amministrazione ministeriale (si fa riferimento sia alle Note della Ragioneria Generale dello Stato del 2005, in cui si constatava il quadro negativo della finanza regionale, sia alle Note del 2011 e del 2012, in cui la Ragioneria generale ammetteva di comprendere «le esigenze di codesta Regione di trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario») e attraverso concrete determinazioni del legislatore (l'ovvio riferimento e' all'art. 1, comma 834, della 1. n. 296 del 2006), ha - come si e' visto - ingenerato il legittimo affidamento che, a partire dal 2010, la ricorrente avesse la piena disponibilita' delle somme di cui al novellato art. 8 dello Statuto. Il legislatore, omettendo di predisporre gli strumenti per adeguare il livello delle spese e dei pagamenti che la Regione puo' impegnare e liquidare proprio nel momento in cui le somme corrispondenti sono stanziate nel bilancio dello Stato, non solo, si ripete, ha violato il legittimo affidamento della Regione, ma ha omesso di fare quanto (contrapponendo - si badi! - la propria prospettiva a quella della Regione) aveva dichiarato fosse necessario fare, e cioe' di adottare la legge che si riteneva richiesta dalla procedura di «attuazione» dell'art. 8 dello Statuto. In altri termini: poiche' l'intermediazione legislativa e' stata ritenuta necessaria dallo Stato in sede di negoziazione con la Regione, l'omessa adozione della conseguente disciplina legislativa ridonda fatalmente in violazione del principio di leale collaborazione, che - a questo punto - non ha alcun ostacolo ad essere invocato in un giudizio principale di legittimita' costituzionale come il presente.
P.Q.M. Chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della l. 16 ottobre 2012, n. 182, recante «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012», pubblicata in G.U. n. 251 del 26 ottobre 2012 - Suppl. Ord. n. 198, nella parte in cui, pur variando il bilancio di previsione per l'anno finanziario 2012, approvato con l. 12 novembre 2011, n. 184, disponendo maggiori stanziamenti in favore della Regione Autonoma Sardegna per € 1.383.000.000,00, non provvede all'adeguamento della capacita' di spesa della stessa Regione Autonoma della Sardegna, in corrispondenza dell'aumentato livello delle entrate. Si depositera', in allegato, al presente ricorso, copia conforme all'originale della deliberazione della Giunta regionale della Regione Autonoma della Sardegna n. 49/20 del 17 dicembre 2012, con allegato estratto del processo verbale d'approvazione. Roma - Cagliari, 20 dicembre 2012 Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani