N. 48 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2012
Ordinanza del 3 aprile 2012 emessa dal Tribunale di Treviso nel procedimento penale a carico di B. G. ed altri . Reati e pene - Reato di interruzione colposa della gravidanza (c.d. aborto colposo) - Procedibilita' d'ufficio - Disparita' di trattamento rispetto a fattispecie delittuose di lesioni gravi o gravissime, derivanti da colpa professionale medica, procedibili a querela. - Legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 17, primo comma. - Costituzione, art. 3.(GU n.11 del 13-3-2013 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale a carico di B.G., D.N.D., P. A. e Q.S. per i reati di cui agli artt. 110,113 c.p., 17 1° comma legge n. 194/1978 Ha emesso la seguente ordinanza. Premessa. Con decreto di citazione emesso in data 13 dicembre 2010, il P.M. di Treviso rinviava a giudizio gli imputati in epigrafe indicati, tutti medici del reparto di ostetricia e ginecologia dell'Ospedale Civile di Oderzo (TV), perche': «...In concorso e comunque in cooperazione colposa fra loro, avendo avuto in cura, presso il reparto di ostetricia-ginecologia dell'ospedale civile di Oderzo, nelle rispettive qualita' di cui sopra, la sig.ra B.O. E.D. ormai prossima al parto, cagionavano colposamente l'interruzione della gravidanza e la morte intra-uterina del feto. In particolare sia all'atto del ricovero, sia successivamente, nelle varie fasi in cui ciascuno degli indagati, durante le giornate del 2 e del 3 marzo 2007, prendeva cognizione dell'andamento clinico del travaglio, omettevano di considerare ed approfondire gli esami cardiotocografici anche alla luce dal complessivo quadro anamnestico indicativi di "probabile sofferenza fetale" e di conseguentemente avviare la partoriente al parto cesareo, parto che se tempestivamente eseguito con probabilita' prossima alla certezza avrebbe garantito la nascita di un neonato vitale. In Oderzo, 2, 3 marzo 2007....». Molto tempo prima della emissione del decreto di citazione, la persona offesa, con dichiarazione dimessa alla Stazione Carabinieri di Ponte di Piave in data 15 dicembre 2008, aveva rimesso la querela presentata nei confronti dei suddetti medici, dichiarando di essere stata integralmente risarcita dei danni da lei subita, ma il processo aveva ugualmente seguito li suo corso. In sede dibattimentale, dopo l'astensione per motivi personali del Giudice del Tribunale di Treviso designato, il fascicolo veniva rassegnato a questo Giudice, che fissava la prima udienza dibattimentale avanti a se' in data 28 marzo 2012. A tale udienza, nella fasi degli atti preliminari, il difensore dell'imputato B.G. sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge n. 194/1978, che prevede e punisce il reato di aborto colposo contestato in concorso a tutti gli imputati, in relazione all'art. 3 Cost, per i motivi di seguito precisati. Evidenziava in sintesi la difesa la disparita' di trattamento dal punto di vista processuale per l'ipotesi dell'aborto colposo rispetto all'ipotesi delle lesioni gravissime regolate dal Codice Penale; sosteneva nello specifico: «...Il codice penale del 1930, nella formulazione originaria del 583 che regolava le lesioni gravissime, alla ipotesi numero 5 nell'ultimo comma prevedeva l'aborto della persona offesa e quindi la lesione personale era gravissima allorche' veniva o prodotta la malattia insanabile o prodotta la perdita di un senso o prodotta la perdita di un arto e determinata la deformazione o lo sfregio del viso e prodotto l'aborto della persona offesa in tal caso la lesione era gravissima... Poi l'art. 590, che regolava le lesioni personali colpose, si riferiva alle lesioni gravissime dell'art. 583. Quando entra in vigore la Legge sull'Aborto nel '78 viene estrapolata questa ultima ipotesi del 583 e conseguentemente viene anche ridotta per quanto riguarda il 590 la ipotesi dell'aborto colposo come lesione personale gravissima, pero' la pena non viene assolutamente modificata e quindi si estrapola questa fattispecie, la si regola con la medesima pena e ha una sua autonomia dal punto di vista della collocazione nell'ordinamento giuridico. Successivamente interviene la modifica della procedibilita' delle lesioni colpose del 590 che vengono ritenute procedibili a querela di parte. Allorche' si introduce da parte del legislatore questo differente regime di procedibilita' del 590 si omette completamente qualsiasi riferimento alla fattispecie;... purtroppo la (Legge del 1978) era stata estrapolata dal Codice Penale e era stata resa autonoma. Allora abbiamo fattispecie analoghe, trattate con la medesima pena, ma con regime processuale diverso. L'aborto colposo rimane procedibile d'ufficio, le lesioni personali gravissime diventano procedibili a querela di parte e non se ne parla piu'. Tecnica legislativa a mio modesto modo di pensare assolutamente non all'altezza del legislatore che ha emanato il Codice Penale o il Codice di Procedura Penale, tecnica legislativa assolutamente non particolarmente presente alle varie fattispecie. Ultimo argomento che vorrei usare e' il seguente, laddove nella modifica del 590 il legislatore ha ritenuto di rendere procedibili d'ufficio determinate lesioni gravissime, e lo ha fatto e lo ha detto allorche' per esempio si violano le norme antinfortunistiche l'ha espressamente previsto. Allora se legislatore ha trattato in modo particolare le lesioni gravissime allorche' c'e' stata la violazione antinfortunistica o altre violazioni di altre norme l'ha detto, ma ha omesso di occuparsi delle lesioni personali gravissime con l'aborto della persona, che purtroppo nel '78 la legge n. 194 aveva estrapolato. A sommesso avviso della Difesa signor Giudice qui c'e' una disparita' di trattamento dal punto di vista non sanzionatorio, ma procedimentale su fattispecie che strutturalmente sono analoghe, che sono sorte insieme e strutturalmente, strutturate nel 583 e a mio avviso questo viola il principio di eguaglianza dell'articolo 3 della Costituzione. La questione non e' irrilevante per la nostra fattispecie perche' abbiamo in atti la querela e quindi se fosse vera, se fosse accoglibile la mia tesi di incostituzionalita' sarebbe determinante dal punto di vista anche della soluzione della fattispecie concreta...». Alla questione sollevata si associavano i difensori degli altri imputati; la difesa dell'Imputato D.N., nello specifico, aggiungeva: «...L'Avvocato Vianelli nell'associarsi alla svolta eccezione che reputa non solo interessante da un punto di vista giuridico, ma reputa fondata o quantomeno signor Giudice per la valutazione che Ella dovra' compiere oggi non manifestamente infondata perche' qui al di la' appunto della condivisione da parte mia della svolta eccezione sotto profilo della fondatezza oggi ricordo a me stesso, come si usa dire, che suo compito sara' quello di valutare se la questione sia o meno innanzitutto manifestamente infondata, ma non lo e'. A mio sommesso modo di vedere e' fondata, potrebbe essere manifestamente fondata, certamente non e' manifestamente infondata e per cui primo requisito senz'altro come ben ha detto l'Avvocato Pignata e' soddisfatto. Sulla rilevanza gia' bene ha detto l'Avvocato Pignata. Io mi permetto soltanto di rafforzare quello che ha gia' appunto ben detto l'Avvocato Pignata sotto il profilo della incidenza e della rilevanza sotto un profilo concreto e pratico perche' vi e' stata remissione di querela, ma anche appunto sotto il profilo del diritto penale sostanziale. E' verissimo che vi sia una incidenza sotto il profilo processuale, ma ricordo sempre a me stesso che l'Istituto della querela e della remissione di querela e' contenuto innanzitutto nel Codice Penale sostanziale e questa disparita' di trattamento cosi' bene illustrata e invocata dall'Avvocato Pignata trova appunto collocazione nel Codice Penale sostanziale come a dire che vi e' quindi una violazione di casi simili e quindi violazione del principio di uguaglianza, come detto. Se posso aggiungere credo che si possa trovare violazione, ma questo ad abuntandiam perche' gia' sarebbe sufficiente la violazione del parametro costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione per rimettere appunto la questione da parte sua alla Consulta, alla Corte costituzionale, ma si puo' intravedere comunque un vulnus dell'articolo 24 sotto il profilo..., vulnus del concreto esercizio del diritto di difesa. E come ulteriore profilo che Ella potra' vedere se rispettato o viceversa se violato nella fattispecie quello dell'articolo 111 della Costituzione del Giusto Processo, che rileva soprattutto per quelli che sono i processi cosi' bene esposti e bene evidenziati in precedenza dall'Avvocato Pignata sotto il profilo marcatamente processuale che pero' va, come dire, a riverberarsi necessariamente sulla sostanza della questione. E quindi mi associo, credo infine che questa discrasia e che questa tecnica legislativa, anche di un legislatore che forse era meno, come dire, maldestro di quello attuale, possa essere, possa riflettere anche lo spirito dei tempi, ma certamente con una lettura costituzionalmente orientata e usando una parola che a me non piace, ma tant'e' che si usa del "diritto vivente' e di un diritto sempre costituzionalmente orientato, perche' questa e' la chiave di lettura, io credo che non si possa non vedere il vulnus del detto Costituzionale. i tempi sono cambiati, Ella signor Giudice deve anche sotto questo profilo secondo me riguardare la fattispecie e quindi io insisto nell'associarmi alle parole e all'istanza dell'Avvocato Pignata per raccoglimento appunto della questione in presenza, lo ribadisco e concludo, di una remissione, la piu' ampia possibile di querela, cosi' come prodotta in atti...». In merito alla sollevata eccezione, il Pubblico Ministero si rimetteva alla decisione del Giudice. La normativa oggetto del ricorso. Il codice penale, prima della riforma introdotta con la legge n. 194/78, non contemplava espressamente l'aborto colposo, che puniva in quanto lesione personale colposa gravissima, mentre puniva l'acceleramento del parto come lesione grave. La legge in oggetto prevede ora l'interruzione colposa della gravidanza nelle due forme seguenti (art. 17): a) chiunque cagiona ad una donna per colpa l'interruzione della gravidanza e' punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni; b) chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro e' punito con la pena sopra prevista, diminuita fino alla meta'. La prima ipotesi (c.d. aborto colposo) si ha quando il colpevole provoca l'interruzione della gravidanza in qualunque epoca del suo decorso, cagionando la perdita del prodotto di concepimento. Qualora risulti dimostrato il rapporto causale tra la condotta colposa e l'interruzione della gravidanza, non ha rilievo che la morte del prodotto sia avvenuta dentro l'utero, oppure sia successiva alla sua espulsione. La distinzione tra aborto interno (con ritenzione) e aborto esterno (con espulsione) e' del tutto contingente ai fini del diritto penale. La seconda ipotesi (c.d. parto prematuro colposo) ricorre nel caso in cui il colpevole provoca l'interruzione della gravidanza in fase avanzata, dopo il 6° mese, quando il feto ha raggiunto la maturita'. L'anticipazione del parto rispetto all'epoca normale va qui intesa nel significato ostetrico di parto prematuro o precoce, alla condizione che il feto sopravviva (altrimenti si avrebbe l'aborto), rappresentando la prematura espulsione un fatto che mette in pericolo la vita del feto. L'interruzione colposa della gravidanza e' la conseguenza di una condotta illecita che abbia i caratteri della colpa e da cui derivi, come evento non voluto ma prevedibile ed evitabile con un comportamento diverso, l'aborto o il parto prematuro. Per l'esistenza del reato e' indifferente che la gravidanza sia conosciuta o ignorata dal colpevole. Le cause che possono determinare l'interruzione colposa della gravidanza sono rappresentate, in particolare, da incidenti stradali, infortuni sul lavoro o malattie professionali. Ne risponde anche il medico per errori commessi nel corso di accertamenti diagnostici prenatali o per trattamenti medicamentosi incongrui somministrati alla gestante. Circostanza aggravante speciale si ha quando l'interruzione colposa della gravidanza e' commessa con violazione delle norme poste a tutela del lavoro. Deve ritenersi che l'aborto e il parto prematuro colposi, essendo ora previsti come reati autonomi, possano concorrere col delitto di lesione personale colposa, come, ad esempio, nel caso di un automobilista che provochi un incidente stradale a seguito del quale venga investita una gestante che abortisca e riporti anche la frattura del bacino o di una gamba. Il delitto di aborto o di parto prematuro colposo e' sempre procedibile d'ufficio, percio' il referto o il rapporto e' in ogni caso obbligatorio. Come evidenziato in premessa, la norma oggetto dell'eccezione di costituzionalita' sollevata in questa sede e' quella prevista dal comma 1° dell'art. 17 della legge citata (aborto colposo). Motivi della decisione. Sulla materia oggetto del ricorso alla Corte, che non risulta essere mai stata prospettato nei termini di cui in premessa, non si rinviene giurisprudenza di merito o di legittima significativa, se non una (relativamente «vecchia») pronuncia della Corte di cassazione, la quale ha statuito che: «In virtu' dell'art. 17 della legge 22 maggio 1978 n. 194, l'aborto colposo, che in precedenza era considerato una circostanza aggravante delle lesioni colpose, costituisce una distinta ed autonoma figura di reato, perseguibile d'ufficio e non a querela di parte, stante l'assoluto silenzio legislativo in materia. Ne consegue che l'aborto colposo non rientra nella previsione dell'art. 92 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale). (1) Tale pronuncia, che in ogni caso sembra gia' rimarcare l'attenzione sull'assoluto silenzio legislativo in materia, appare comunque «dare una giustificazione» del diverso trattamento procedurale dell'aborto colposo, rispetto alle generiche fattispecie di lesioni personali gravi o gravissime di cui all'art. 583 c.p., considerandolo appunto una distinta ed autonoma figura di reato, circostanza che di per se' (interpretando quindi in tale senso la volonta' del legislatore) spiegherebbe il diverso trattamento in termini di perseguibilita' d'ufficio e quindi di inefficacia di una eventuale remissione della querela da parte della persona offesa. E' evidente tuttavia che tale soluzione appare eccessivamente semplicistica, non ponendosi essa in termini diretti il problema del diverso trattamento riservato al reato di lesioni, conseguenti ad un aborto «procurato colposamente» da un comportamento negligente, imprudente od imperito del medico curante, rispetto a quello di lesioni gravi o gravissime di diverso genere, ma conseguenti sempre a colpa professionale medica. Come evidenziato dalla difesa nel caso di specie, la modifica intervenuta all'ultimo comma dell'art. 590 c.p. (successiva all'introduzione del reato di aborto colposo di cui all'art. 17 della legge n. 194/78) ed introdotta dall'art. 92 legge n. 689/81, ha previsto la perseguibilita' di ufficio delle sole fattispecie di lesioni personali gravi o gravissime conseguenti alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale, escludendo quindi volutamente da tale riforma «procedurale», sia le lesioni (gravi o gravissime) derivanti da violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale che, in genere, quelle derivanti da c.d. «colpa professionale medica», entrambe rimaste dunque perseguibili a querela di parte. C'e' da evidenziare, in questo senso, che, prima della riforma introdotta con la legge n. 194/78, l'aborto, nel codice penale vigente (art. 583 2° comma n. 5) era considerato invece alla stregua delle lesioni personali gravissime individuate nello stesso articolo (perseguibile quindi a querela di parte); con l'introduzione dell'autonoma fattispecie di reato di aborto colposo la disciplina procedurale (o procedimentale) e' mutata; peraltro, come trasparirebbe dalla massima della Suprema Corte innanzi citata, non per una precisa scelta del legislatore, ma solo perche' nell'art. 17 nulla si dice in merito al regime procedurale e dunque il reato e' automaticamente da intendersi come perseguibile d'ufficio. Tuttavia, poiche' la norma di cui all'art. 17, 1° comma appare prevedere e punire solamente le fattispecie di interruzione della gravidanza per colpa generica, ma soprattutto (proprio perche' inserita in una legge che su tale materia ha introdotto una riforma «epocale»), quando conseguente a pratiche mediche e quindi per negligenza, imprudenza ed imperizia del medico curante (tutte le altre ipotesi, infatti, sono contemplate dai successivi commi dello stesso articolo e dagli artt. 18 e 19 - nello specifico, l'aborto conseguente a violazione delle norme a tutela del lavoro, l'aborto non consenziente, l'aborto come conseguenza di altre lesioni volontarie e l'aborto procurato senza l'osservanza delle modalita' imposte per l'interruzione della gravidanza), la diversita' di trattamento rispetto agli altri tipi di lesioni conseguenti a «colpa professionale medica» non appare giustificato. L'unico elemento da cui potrebbe ricavarsi una spiegazione del diverso trattamento e' dato dal fatto che l'aborto - per definizione - non provoca solo lesioni gravi o gravissime, seppure in gran parte reversibili, alla donna, ma provoca soprattutto la morte del feto e quindi, in un'ottica relativa alla nuova dimensione della tutela accordata al feto e alla maternita'; introdotta con la legge n. 194/78, rispetto alla precedente normativa penale (che peraltro contemplava l'aborto nel titolo X del libro II sotto il titolo di «Delitti contro l'integrita' e la sanita' della stirpe»), il legislatore potrebbe aver voluto introdurre una diversita' di trattamento e di «controllo legale» dei casi di interruzione della gravidanza dovuta a comportamenti di terzi, non riservato alla sola volonta' della persona offesa, che poteva in ogni caso ed in ogni tempo rimettere la querela. Tale spiegazione, tuttavia, non convince del tutto, in quanto (senza ovviamente volere addentrarsi nell'eterna diatriba sullo status di «persona» o meno del feto anche nei primi giorni di gravidanza, che peraltro condurrebbe fatalmente alla «trasformazione» dell'aborto da lesione personale colposa ad omicidio colposo), da un lato, la legge n. 194 del 1978 ha introdotto di fatto la «legalita'» dell'aborto, dall'altro ha invece, proprio con l'art. 17 in questione, «aggravato» la posizione del medico rispetto alle conseguenze della sua condotta negligente, imperita od imprudente, oltretutto solo con riferimento all'esito infausto di una gravidanza in corso, determinato da cure errate od insufficienti prestate alla paziente, e quindi anche indipendentemente dalle pratiche mediche adottate e regolate dalla stessa legge per le interruzioni di gravidanza volontarie. In altre parole, laddove, come nel caso di specie, l'aborto e quindi la morte del feto conseguano ad errori medici commessi non in esecuzione di pratiche e modalita' indirizzate alla volontaria interruzione della gravidanza (che ovviamente, di fatto, discriminano la morte del feto), ma nel corso di normali cure prestate alla gestante (di qualsiasi tipo, giacche' la morte del feto potrebbe essere effetto di qualsiasi errore medico, non solo del ginecologo), il medico curante e' perseguibile d'ufficio (e dunque la eventuale remissione della querela da parte della persona offesa non ha alcun effetto procedurale), a differenza invece del medico curante che abbia provocato per colpa (anche di grado piu' elevato) al paziente altro tipo di lesioni anche gravissime (basta esaminare le definizioni che l'art. 583 ai numeri 1), 2), 3) e 4) riserva alle conseguenze delle lesioni stesse), per il quale e' rimasto immodificato il precedente regime procedurale. Tutto cio' nel contesto di una legge che ha introdotto e regolato, appunto, la (parziale) legalita' delle pratiche abortive. Il contrasto e' quanto meno stridente, soprattutto se confrontato con l'analoga disciplina attualmente prevista per le lesioni gravi o gravissime, in generale e nello specifico, allorche' dovute a colpa professionale medica e, proprio per questo motivo, il diverso trattamento «procedurale» delle diverse fattispecie di reato appare configgere con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., non risultando determinato da una precisa e motivata scelta del legislatore, in quanto, come evidenziato anche dalla Corte di cassazione, lo stesso legislatore, in materia, ha tenuto un «assoluto silenzio». Appare pertanto opportuno che sul punto si pronunci la Corte costituzionale, non ritenendosi manifestamente infondata la questione sollevata, in particolare dovendosi chiarire l'aspetto relativo alla attuale configurazione dell'aborto colposo (inteso come morte del feto determinato da fatti illeciti altrui, ai sensi dell'art. 17 legge n. 194/78) ancora come «lesione personale gravissima», ovvero come quid aliud e quindi giustificandosi, in quanto non solo fattispecie autonoma di reato, ma reato avente un'oggettivita' giuridica del tutto diversa e che contempla un'offesa ad un bene giuridico diverso rispetto alle lesioni personali, il diverso trattamento procedurale. Sotto quest'ultimo profilo, riguardante la diversa oggettivita' giuridica del reato di aborto colposo rispetto alle (altre) forme di lesioni gravissime, che appare l'aspetto piu' rilevante della sollevata questione di legittimita', si rinviene un'altra pronuncia della Suprema Corte, che non aveva affrontato il problema della diversita' di trattamento procedurale rispetto alla precedente normativa, ma che evidenziava appunto come, dopo la riforma, il reato di aborto colposo non fosse piu' da considerare alla stregua di un reato di lesioni e nella quale si legge che: «la disposizione di cui all'art. 583, n. 5 cod. pen., abrogata dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, configurava l'aborto quale circostanza aggravante del reato di lesioni, mentre l'art. 18 della citata legge abrogativa prevede l'interruzione della gravidanza quale reato autonomo indipendentemente dal verificarsi delle lesioni. Infatti, per il secondo comma di quest'ultima disposizione, e' sufficiente che l'interruzione della gravidanza sia realizzata con azioni dirette a provocare lesioni alla donna, anche se tali azioni, nel loro concreto svolgimento, non abbiano realizzato il reato di lesioni, nemmeno nella Forma del tentativo. (fattispecie in tema di ritenuta sussistenza del delitto di calunnia per essere stato accertato il reato di lesioni anziche' quello falsamente denunciato di aborto)...» (2) . Anche tale pronuncia, tuttavia (riguardando peraltro la diversa fattispecie di cui all'art. 18 della legge n. 194/78 - c.d. procurato aborto), non sembra fornire elementi precisi e decisivi per identificare correttamente la diversa oggettivita' giuridica del reato di aborto colposo, sia rispetto alle lesioni personali gravissime, sia rispetto all'omicidio colposo. Si e' anche piu' volte evidenziato che, con la normativa introdotta dalla legge n. 194, anche al nascituro, pur non volendogli riconoscere la qualita' di persona, viene accordata una qualche forma di tutela, essendo l'interesse ad esistere insito nella stessa esigenza di protezione dell'essere umano. Sotto tale diverso profilo, si e' sostenuto che l'aborto debba intendersi come l'interruzione intenzionale e/o violenta della gravidanza, con conseguente morte o soppressione del prodotto del concepimento, che si consuma nell'arco temporale che intercorre tra l'inizio della gravidanza e quello del parto; in tal senso, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto che: «... in tema di delitti contro la persona, l'elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del concepimento e' costituito anche dal momento in cui avviene l'azione criminosa. Le condotte che caratterizzano "delitti di aborto" si realizzano in un momento precedente il distacco del feto dall'utero materno. Di conseguenza, qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall'utero materno, il fatto potra' configurare le ipotesi di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall'art. 578 c.p., o di omicidio volontario di cui agli artt. 575 e 577 n. 1 c.p....» (3) In questo caso (che peraltro di nuovo non si occupava direttamente del reato di cui all'art. 17) si evidenziano tuttavia elementi piu' interessanti e rilevanti, volti ad identificare appunto nel c.d. «prodotto del concepimento» l'oggetto della tutela giuridica della nuova normativa penale: in tal senso, la morte del feto conseguente ad un aborto colposo non dovrebbe essere intesa ne' come lesione gravissima procurata alla madre gestante, come era nella precedente formulazione dell'art. 583 n. 5 c.p., ne' come omicidio colposo, in quanto il nascituro, fino al «distacco» dalla madre, o, meglio ancora, fino all'inizio del travaglio, non dovrebbe ritenersi «essere vivente»; si veda al proposito una piu' recente pronuncia della Cassazione, concernente un fatto analogo a quello in esame, ove si legge: «...le deduzioni con le quali si dubita della vitalita' del feto sarebbero state, semmai, giustificate nell'ambito dell'ipotesi delittuosa originariamente contestata di omicidio colposo, ma sono non conferenti in relazione a quella - ritenuta sulla base di un orientamento che individua le linea di demarcazione tra le due fattispecie con l'inizio del travaglio - dell'art. 17 legge n. 194 del 1978. Ed essa indubitabilmente presuppone la violazione di regole cautelari volte a prevenire lo specifico evento ivi considerato, a prescindere dalla vitalita' (dall'attitudine cioe' del nato al proseguimento della vita autonoma) del prodotto del concepimento». (4) Tutti questi elementi e queste pronunce forniscono dunque spunti «interessanti» circa la soluzione relativa all'eccezione formulata in questa sede, ma pur sempre «incidentali», non avendo, ne' il legislatore prima, ne' la giurisprudenza poi, fornito convincenti e decisive risposte in relazione alla legittimita' del diverso trattamento procedurale del reato contestato in questa sede agli imputati, necessariamente legata ad una pronuncia della Corte costituzionale in merito alla diversa oggettivita' giuridica del reato di aborto colposo ed in genere dei reati previsti e puniti dalla normativa introdotta con la legge n. 194/78. (1) Sez. 4, Sentenza n. 7656 del 1° luglio 1985 Ud. (dep. 20 agosto 1985) Rv.170248. (2) Sez. 6, Sentenza n. 10699 del 2 luglio 1985 Ud. (dep. 15 novembre 1985) Rv. 171080 (3) Sez. 1, Sentenza n. 46945 del 18 ottobre 2004 Ud. (dep. 2 dicembre 2004) Rv. 229255. (4) Cass. Pen. sez. 5, n. 44155/2008.
P.Q.M. Visti gli artt. 123 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, 1° comma legge n. 194/1978, in relazione all'art. 3 Cost., nei termini e per le ragioni di cui in motivazione; Sospende il procedimento in corso e dispone, a cura della Cancelleria, la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato; Dispone, altresi', l'immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale assieme agli atti del giudizio, con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Treviso, 28 marzo 2012 Il giudice: Biagetti