N. 52 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 2013
Ordinanza del 23 gennaio 2013 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di C.T.. Mafia - Misure di prevenzione di carattere patrimoniale - Condannati per associazione di stampo mafioso o sottoposti a misure di prevenzione indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso - Omissione dell'obbligo di comunicazione di variazione patrimoniale - Trattamento sanzionatorio - Previsione di un minimo edittale della reclusione di anni due e della multa di euro 10.329, nonche' della confisca obbligatoria del bene acquistato o del corrispettivo per l'alienazione - Violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, a fronte della configurabilita' del delitto, secondo il diritto vivente, anche quando l'omissione riguardi operazioni immobiliari effettuate mediante atti pubblici e della previsione della medesima pena detentiva nel minimo (e nel massimo) del reato di fraudolenta intestazione o trasferimento di valori - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione del diritto di proprieta'. - Legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 31, recepito, in parte, dall'art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. - Costituzione, artt. 3, 27 e 42.(GU n.12 del 20-3-2013 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, nel procedimento penale n. 2662/12 R. G.I.P., pendente nella fase del giudizio abbreviato nei confronti di C.T., imputato del reato previsto dagli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82. Il Giudice, rilevato che in data 5 ottobre 2012 il Procuratore della Repubblica di Trapani esercitava l'azione penale nei confronti di C.T., contestando allo stesso il reato di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82 e che all'udienza preliminare del giorno 21 dicembre scorso il difensore procuratore speciale chiedeva la celebrazione del rito abbreviato; che il processo e' stato rinviato all'udienza odierna per la discussione; che risulta dagli atti, e non e' posto in discussione dalla difesa, quanto segue. In data 20 aprile 2006 il Tribunale di Trapani emetteva il decreto n. 26/06 MP, con il quale sottoponeva il predetto C., su cui gravavano indizi di appartenenza alla consorteria mafiosa, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni quattro, ai sensi della legge n. 575/65. Il suddetto decreto diveniva definitivo il successivo 13 marzo del 2007. Da accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza emergeva che in data 28 dicembre 2012, e dunque in epoca successiva alla definitivita' del decreto di sottoposizione alla sorveglianza speciale, il C., a mezzo del proprio procuratore Fiordilino Onofrio, nominato con regolare atto notarile al fine di amministrare l'impresa individuale dell'odierno imputato, sottoposto a custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 416-bis CP, aveva venduto ad un privato un fabbricato (di legittima provenienza) per un controvalore di € 480.000,00. Il suddetto negozio giuridico veniva regolarmente stipulato a mezzo di atto pubblico, rogato da un notaio, e ne' il C. (detenuto), ne' l'institore davano comunicazione nei trenta giorni successivi e comunque entro il 31 gennaio dell'anno successivo, della intervenuta variazione dell'entita' patrimoniale, determinata dall'atto di compravendita; che per tali fatti e per la ritenuta violazione degli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82, il PM ha esercitato l'azione penale nei termini sopra esposti; Osserva Come e' noto, gli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82, vennero introdotti come strumenti normativi di presidio avanzato nei confronti di soggetti che, per la loro accertata partecipazione a consorterie criminali sanzionate dall'art. 416-bis del codice penale, o per la sottoposizione ad una misura di prevenzione ai sensi della legge n. 575/65, in quanto indiziate di appartenenza ad una delle associazioni previste dall'art. 1 del medesimo complesso normativo, sono da ritenere pericolosi per la collettivita' e sui quali e' opportuno esercitare un'attivita' di monitoraggio, anche in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza o alla definitivita' del decreto, con riferimento sia alle eventuali variazioni patrimoniali, che alla composizione del patrimonio stesso. L'art. 30, norma essenzialmente precettiva, impone ai soggetti che si trovino nelle descritte condizioni, di comunicare, nel termine di dieci anni dalla definitivita' dei citati provvedimenti giurisdizionali (sentenza e/o decreto), tutte le vicende che comportino dette variazioni di importo non inferiore a 10.329,14 euro, individuando sia un termine con riferimento al singolo atto dispositivo - trenta giorni -, sia un termine riferito al complesso degli atti dispositivi compiti nell'anno solare, fissato nel 31 gennaio dell'anno successivo. L'art. 31 prevede la pena detentiva della reclusione da due a sei anni e pecuniaria della multa da € 10.329 a € 20.658, alla quale segue la confisca obbligatoria dei beni a qualunque titolo acquistati o del corrispettivo proveniente dall'atto di disposizione. Il quadro normativa di riferimento, anche in relazione alla questione di costituzionalita' che in questa sede si solleva, risulta essere stato frammentato dalla entrata in vigore del decreto legislativo n. 159/11 che, pur caratterizzato da una funzione generalmente ricognitiva e di coordinamento delle diverse disposizioni di legge contro la mafia e la criminalita' organizzata, ha tuttavia scisso la fattispecie originaria prevista dalle due norme indicate in oggetto, recependo agli artt. 76 comma 7° e 80 le disposizioni sanzionatorie e precettive rispettivamente contenute negli artt. 31 e 30 della legge n. 646/82, seppur limitatamente ai soggetti sottoposti a misure di prevenzione, lasciando in vita, dunque, come espressamente disposto dall'art. 80 del citato decreto legislativo, l'art. 30 (e di conseguenza la relativa norma sanzionatoria contenuta nell'art. 31), con riguardo agli obblighi imposti ai soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati ivi indicati. A tal proposito, va detto dell'ulteriore modifica introdotta nel complesso normativo di riferimento dalla legge delega n. 136/10 del suddetto decreto legislativo, il cui art. 7, comma 6° lett. B) aveva sostituito il primo comma dell'art. 30 della legge n. 646/82, ed inserito tra i soggetti gravati dall'obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali, anche i condannati in via definitiva per uno dei delitti previsti dall'art. 51 comma 3-bis del codice di procedura penale e per il reato di cui all'art. 12-quinquies del d.l. n. 306/92; ed inoltre, novellando l'art. 31, previsto la confisca (obbligatoria) per equivalente, nel caso di impossibile ricorso alla confisca del bene acquistato o del corrispettivo di quello venduto. Fatta per chiarezza espositiva tale debita premessa, deve subito rilevarsi che i dubbi di costituzionalita' che questo Giudice intende rimettere al vaglio del Giudice delle Leggi riguardano il contenuto dell'art. 31 della legge n. 646/82, applicabile al caso di specie in quanto i fatti si verificarono prima sia della novella introdotta dalla legge delega del 2010, sia dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159/11; e che tali dubbi si trasferiscono automaticamente sugli artt. 76 comma 7° del decreto legislativo n. 159/11, che, come si e' detto, ha integralmente recepito, limitatamente ai sorvegliati speciali, il contenuto dell'art. 31. Ritiene questo giudice non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 31 della legge n. 646/82 (oggi 76 comma 7° del d.lgs. n. 159/11), per violazione degli artt. 3, 42, e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il minimo edittale della reclusione di anni due e della multa di € 10.329 ed in quella in cui prevede la confisca obbligatoria del bene acquistato o del corrispettivo per l'alienazione. Deve preliminarmente osservarsi che il decidente non ignora il fatto che codesta Corte e' stata piu' volte chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalita' degli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82, in alcuni casi proprio su richiesta di giudici di merito appartenenti al medesimo ufficio giudiziario dello scrivente giudice, e che in tali occasioni fu sempre ritenuta la manifesta infondatezza delle questioni sollevate (cfr. ordinanze della Corte costituzionale nn. 442/01, 143 e 362/02). In quelle circostanze il sospetto di incostituzionalita' rappresentato dai giudici a quo, riguardante sia l'intera esistenza del precetto che, ovviamente, quella della sanzione, venne sostanzialmente ricusato dai Giudice delle Leggi con diverse decisioni, aventi tuttavia due comuni denominatori: per un verso venne in quelle ordinanze evidenziato il fatto che la dedotta irragionevolezza del sistema, appariva frutto di una soggettiva valutazione dei remittenti e non ancorata a cogenti parametri costituzionali; e che, pertanto, cosi concepita, non era individuabile alcuna violazione di principi contenuti nella Carta fondamentale, essendo rimessa alla discrezionalita' del legislatore la configurabilita' degli illeciti penali e le relative sanzioni. Per altro verso la rilevata iniquita' della sanzione (pena e confisca) riferita a violazioni meramente formali, di per se' non necessariamente indicative di intenti dissimulatori, avrebbe potuto in concreto essere evitata, secondo la Corte costituzionale, dalla giurisprudenza che, secondo una lettura delle norme costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato nei casi in cui la pubblicita' dell'atto fosse comunque assicurata e, conseguentemente, apparisse impossibile l'occultamento degli atti soggetti a comunicazione. Senonche', quanto al secondo punto, proprio negli anni successivi alle decisioni della Corte costituzionale si e' definitivamente imposto l'indirizzo della Suprema Corte di cassazione, secondo il quale il delitto di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82 e' configurabile anche quando l'omissione riguardi operazioni immobiliari (o altri negozi giuridici di natura patrimoniale) effettuate mediante atti pubblici, trattandosi di una fattispecie di pericolo presunto, avente non solo la finalita' specifica di consentire all'amministrazione finanziaria di conoscere con immediatezza il dato sensibile, ma anche quella di rendere obbligatoria per l'amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale (in tal senso da ultimo Sez. 1° 23213/010, 10432/010, 12433/09 e numerose altre). Dunque, l'interpretazione della norma suggerita dal Giudice delle Leggi, cui per la verita' aveva aderito qualche decisione della Suprema Corte dell'epoca, non e' stata successivamente fatta propria da quello di Legittimita', che ormai con giurisprudenza costante ritiene la punibilita' di chi, trovandosi nelle condizioni soggettive previste da tale norma, non abbia effettuato le comunicazioni previste dall'art. 30 della legge n. 646/82, pur avendo venduto o acquistato un bene, o stipulato un mutuo per atto pubblico, rogato da un notaio, comunicato per legge all'agenzia delle Entrate, articolazione, questa, collegata con la Guardia di Finanza attraverso il sistema informatico SERPICO, grazie al quale in qualsiasi momento la polizia tributaria, digitando un nome, e' in grado di conoscere tutti i movimenti finanziari di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione, anche in attuazione del disposto dell'art. 25 della legge 646/82, come modificato dall'art. 7 commi 1/6 della legge n. 136/2010. Alcune recenti statuizioni del Giudice di Legittimita' giungono persino a negare che l'ignoranza dell'obbligo di comunicazione possa avere l'effetto di escludera' il dolo, posto che l'art. 30 della legge n. 646/82, che impone tale obbligo, integra il precetto penale, essendo irrilevante la sua mancata conoscenza (Sez. 6° n. 33590/12). Accertato, quindi, che secondo il diritto vivente, la fattispecie penale prevista dagli artt. 30 e 31 della legge n. 646/82 viene applicata, e dunque ha efficacia nell'ordinamento giuridico, in termini molto piu' restrittivi di quelli suggeriti dai pregressi interventi interpretativi della Corte costituzionale, va detto della irragionevolezza della pena principale e della confisca obbligatoria, che a parere di questo remittente non e' frutto di valutazioni interpretative soggettive, ma, al contrario, nel caso di specie, si pone in contrasto a precisi parametri costituzionali, e precisamente a quelli previsti dagli artt. 3, 42, e 27 della Costituzione. Il possibile contrasto con l'art. 3 della Carta costituzionale, e dunque del principio di eguaglianza e di quello di ragionevolezza inteso come canone di coerenza dell'ordinamento giuridico, va a parere di questo giudice individuato nella sproporzione con la quale l'illecito viene sanzionato ed in particolar modo nella eccessiva pena minima - detentiva e pecuniaria - fissata dall'art. 31 della legge n. 646/82 (e dall'art. 76 comma 7° del d.lgs. n. 159/11); ed inoltre nella obbligatorieta' della confisca dei beni acquistati o del corrispettivo di quelli alienati. Non puo' in questa sede omettersi di rilevare che la norma impugnata non sanziona in alcun modo la sospetta provenienza del bene (in molti casi si tratta di beni o denaro di cui e' stata accertata la legittima provenienza e, dunque, sfuggiti alla misura di prevenzione patrimoniale), ma punisce una mera omissione formale - la mancata comunicazione dell'operazione nel termine previsto -, prescindendo, alla luce della giurisprudenza oggi costante, dall'intento dissimulatorio, in quanto la pesante sanzione si abbatte anche nei confronti di chi ha concluso l'operazione per atto pubblico, comunicato immediatamente alla medesima amministrazione della quale fa parte la Guardia di Finanza (con la quale, come detto, l'Agenzia delle Entrate e' in costante contatto attraverso il sistema informatico SERPICO, non esistente al momento dell'introduzione della disposizione in argomento). Non e' ovviamente il caso di porre in discussione la facolta' e la conseguente potesta' del legislatore di imporre normativamente, per questioni di carattere socialpreventivo e di tutela dell'ordine pubblico, la comunicazione ad un Nucleo specializzato di investigatori delle operazioni sopra soglia poste in essere da soggetti dei quali sia stata accertata la pericolosita'; tuttavia, pare difficilmente compatibile con il principio di eguaglianza la creazione di un sistema irragionevole, nel quale la violazione di un obbligo meramente formale viene sanzionata con una pena detentiva e pecuniaria fissata nel minimo in due anni di reclusione ed € 10.329,00 di multa, e soprattutto con la confisca obbligatoria di beni o valori di provenienza legittima, e, dunque, con un provvedimento ablatorio pesantemente, anzi massimamente incisivo sul diritto di proprieta' costituzionalmente garantito. E non pare proprio che la dedotta irragionevolezza sia il frutto di una mera convinzione soggettiva del giudice remittente, posto che la norma impugnata sanziona un comportamento, che spesso come detto non ha alcuna portata dissimulatone, essendo l'operazione conclusa per atto pubblico, con la medesima pena detentiva nel minimo (e nel massimo), prevista per il reato di fraudolenta intestazione o trasferimento di valori al fine di eludere la legge in materia di misure di prevenzione o di commettere uno dei reati di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter CP (art. 12-quinquies del decreto-legge n. 306/92); ed anzi in modo piu' grave, in quanto l'art. 31 prevede una pena pecuniaria, non prevista dall'art. 12-quinquies. Quindi, in definitiva, un soggetto che puo' avere gia' espiato la pena o scontato interamente il periodo di sottoposizione ad una misura di prevenzione e che vende o acquista un bene per atto pubblico e, dunque, automaticamente comunica all'amministrazione finanziaria l'esistenza dell'operazione omettendo di darne notizia anche alla Guardia di Finanza, e' sanzionato con una pena fissata nel minimo in misura pari a colui il quale per sfuggire all'applicazione di una misura di prevenzione o per agevolare la commissione di alcuni gravi reati, trasferisce o intesta fittiziamente a terzi beni o altre utilita'. Ed e' inoltre soggetto alla confisca obbligatoria, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla gravita' del suo comportamento, soprattutto alla luce dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene ininfluente ai fini dell'elemento soggettivo il compimento dell'operazione per atto pubblico ed irrilevante anche la mancata conoscenza dell'obbligo di comunicazione al Nucleo di Polizia Tributaria. D'altra parte, la Corte costituzionale ha piu' volte rivendicato il compito di verificare che il legislatore, nell'esercizio dei suoi ampi margini di discrezionalita', rispetti il limite della ragionevolezza. Lo ha fatto con la sentenza n. 409/89, laddove ha chiarito che «... il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (v. pure nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Lo ha fatto, soprattutto, con la sentenza n. 341/94, con la quale ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'allora vigente reato di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 C.P.), nella parte in cui prevedeva il minimo edittale della pena detentiva in mesi sei di reclusione. Con detta decisione la Corte, richiamata nuovamente la propria potesta' di vagliare la ragionevolezza e la coerenza della discrezionalita' del legislatore nel processo di formazione della disciplina penale, ritenne che l'art. 341 del codice penale prevedesse un minimo di pena (sei mesi di reclusione) eccessivamente alto, sia con riferimento alla coscienza sociale maturata nella collettivita', sia con riferimento al trattamento sanzionatorio estremamente piu' mite previsto per l'affine reato di ingiuria. E specifico' che la dichiarazione di incostituzionalita' della norma allora oggetto di sindacato, nella parte in cui prevedeva il minimo edittale di mesi sei di reclusione, non avrebbe creato alcun vulnus alla integrita' dell'ordinamento penale, posto che il giudice avrebbe a quel punto dovuto individuare il minimo edittale nell'art. 23 del codice penale, norma generale che fissa in giorni quindici il minimo della pena della reclusione . Anche nel caso che qui ci riguarda, dunque, qualora la Corte adita dovesse accogliere la questione di costituzionalita' dell'art. 31 della legge n. 646/92, si potrebbe fare ricorso per l'individuazione del minimo edittale di pena agli artt. 23 e 24 del codice penale. Analogo discorso va fatto per la previsione della confisca obbligatoria, che si ritiene possa violare, oltre l'art. 3 per i motivi suddetti, anche l'art. 42 della Costituzione. L'imporre ai giudice il provvedimento ablatorio, anche nei casi in cui (e sono di gran lunga i piu' frequenti) l'operazione patrimoniale su un bene di provenienza lecita sia stata effettuata per atto pubblico e dunque comunicata all'Agenzia delle Entrate, cio' che consente come detto alla Guardia di Finanza di verificare immediatamente l'esistenza della relativa operazione, impedisce una adeguata graduazione della risposta statuale all'effettivo disvalore della condotta, ancorando ad una mera violazione formale una eccessiva compressione del diritto di proprieta', anche questo costituzionalmente garantito dall'art. 42 della Costituzione, in assenza di qualsiasi rilievo di pericolosita' intrinseca del bene. Come gia' evidenziato questo Giudice ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' della norma impugnata anche con riferimento all'art. 27 comma 3° della Costituzione. La norma richiamata precisa che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e tale principio, implicando una necessaria proporzione tra disvalore del fatto e sanzione, impone al legislatore di evitare la previsione di sanzioni che possano incidere negativamente sulla finalita' rieducativa della pena. Quanto, viceversa, la pena e la confisca obbligatoria previste dall'art. 31 della legge n. 646/42 possano essere contrarie al principio di emenda e' dato agevolmente ricavabile dalla constatazione che non raramente tali pesanti sanzioni incidono su soggetti che hanno finito di scontare la loro pena, e talvolta anche il periodo di sottoposizione alla misura di prevenzione, e che a distanza di parecchi anni, magari intenti a costruirsi una nuova vita, vengono pesantemente colpiti nella liberta' personale e nel patrimonio (lecito) per un comportamento di mera disobbedienza, quando non per una dimenticanza o per mera ignoranza del precetto (si pensi che di solito tale obbligo non e' riportato tra quelli posti in calce al provvedimento di prevenzione), allontanando ulteriormente tali soggetti da un gia' difficile percorso di recupero sociale. E cio', come detto, a prescindere dal rilievo di una effettiva pericolosita' della condotta tenuta. Per concludere va rilevato come non debba apparire strano il fatto che le richieste di vaglio costituzionale di' tale norma siano a piu' riprese provenute da uffici giudiziari siciliani, ma, al contrario, come tale fenomeno debba essere ritenuto collegato al fatto che sovente proprio i giudici di merito chiamati piu' frequentemente a giudicare su tali condotte, anche alla luce dei rigidi criteri interpretativi fissati dalla consolidata giurisprudenza di legittimita', si trovino a dovere irrogare sanzioni detentive, pecuniarie ed ablatorie che confliggono con il principio di equita' e di emenda, in presenza di comportamenti di fatto privi di reale danno o pericolosita' sociale. Cio' posto, le questioni dedotte appaiono di assoluta rilevanza nel processo in argomento, in quanto, come detto in premessa, il C., soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni quattro, con provvedimento divenuto definitivo il 13 marzo del 2007, ha ceduto un fabbricato di lecita provenienza per atto pubblico, regolarmente registrato e dunque agevolmente conoscibile dalla Guardia di Finanza, che effettua controlli periodici sui sorvegliati speciali ai sensi dell'art. 25 della legge n. 646/82, disposizione parzialmente recepita dall'art. 79 del d.lgs. n. 159/11, e, non avendo dato comunicazione nel termine previsto di tale operazione al Nucleo di Polizia Tributaria, si trova esposto, in assenza di elementi che possano far ritenere l'assenza dell'elemento soggettivo, anche in considerazione dell'orientamento costante assunto a tal proposito dal Giudice di Legittimita', ad una sanzione detentiva e pecuniaria eccessiva nel minimo edittale ed alla confisca obbligatoria del tantundem; e cio' nulla avendo fatto per dissimulare il negozio giuridico patrimoniale di cui sopra.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/53; Dichiara non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 31 della legge n. 646/82, oggi recepito in parte nell'art. 76 comma 7° del decreto legislativo n. 159/11, per violazione degli artt. 3, 42 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il minimo edittale della reclusione di anni due e della multa di € 10.329 ed in quella in cui prevede la confisca obbligatoria dei bene acquistato o del corrispettivo per l'alienazione. Dispone la sospensione del procedimento n. 2262/12 GIP, attualmente nella fase del giudizio abbreviato, ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ordinando, altresi', che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Ordinanza letta all'udienza del 23 gennaio 2013 che vale come notifica al PM ed al difensore dell'imputato. Trapani, 23 gennaio 2013 Il G.U.P.: Corleo