N. 56 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 2013

Ordinanza del 25 febbraio 2013 emessa dalla Corte dei  conti  -  sez.
giurisdizionale per la regione  Lazio  sul  ricorso  proposto  da  De
Pascalis Tommaso ed altri tre contro INPDAP e INPS.. 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  stabilizzazione finanziaria - Interventi in materia previdenziale -
  Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di  forme  di
  previdenza obbligatorie (nella specie dall'INPDAP ai magistrati)  i
  cui  importi  superino  complessivamente  i  90.000  euro  lordi  -
  Assoggettamento a decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31
  dicembre 2014 ad un contributo di perequazione pari al 5 per  cento
  per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,  al
  10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per  cento
  per la parte eccedente 200.000 euro  -  Lesione  del  principio  di
  solidarieta' sociale -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza
  sotto il profilo dell'irragionevolezza e del deteriore  trattamento
  di  pensionati  del  settore  pubblico  rispetto  ai   contribuenti
  titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, tenuti
  al versamento di un contributo di  solidarieta'  del  3  per  cento
  sulla parte di reddito che eccede il predetto  importo,  quali  che
  siano le componenti del loro reddito complessivo,  ivi  compresi  i
  redditi pensionistici  -  Violazione  del  principio  di  capacita'
  contributiva. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art.  18,  comma  22-bis,  come
  successivamente  modificato  dall'art.  24,   comma   31-bis,   del
  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza
  e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1,
  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 53. 
(GU n.12 del 20-3-2013 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Visto  il  ricorso  iscritto  al  n.  71803/PC  del  registro  di
segreteria; 
    Uditi - nella pubblica udienza del  22  febbraio  2013  -  per  i
ricorrenti avv. Costantino Greco, e per  l'INPS  Gestione  ex  INPDAP
l'avv. Andrea Botta, che hanno concluso come in atti; 
    Visti gli atti di causa; 
    Ha pronunciato ordinanza nel giudizio introdotto con  il  ricorso
in premessa, proposto  da  De  Pascalis  Tommaso,  Greco  Costantino,
Saviano Giovanni  e  Verso  Filippo,  rappresentati  e  difesi  dagli
avvocati Costantino Greco e Carlo Greco, ed elettivamente domiciliati
presso il loro studio in Roma, via Baldo degli Ubaldi n.  71,  contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona  del  Presidente
del Consiglio dei Ministri pro-tempore,  rappresentato  e  difeso  ex
lege dall'Avvocatura generale dello Stato con sede in Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; la Corte  dei  conti,  in  persona  del  Presidente
pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura  generale
dello Stato con sede in Roma, via dei Portoghesi  n.  12;  l'Istituto
nazionale  di  previdenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica (INPDAP), in persona del legale rappresentante  pro-tempore,
con sede in Roma, via Santa Croce in Gerusalemme n. 55 (ora  Istituto
nazionale di previdenza  sociale  -  INPS)  Gestione  ex  INPDAP,  in
persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Roma,  via
Ciro il Grande n. 21; avverso le note dell'INPDAP,  sede  provinciale
di Roma, recanti comunicazione di accreditamento della  pensione  dal
16 agosto 2011 e dal 14 ottobre  2011,  dalle  quali  risulta  che  a
decorrere dalla rata di agosto 2011 e fino al  31  dicembre  2014  e'
applicata una trattenuta come contributo di perequazione pari  al  5%
dell'importo eccedente i 90.000 di euro e fino a 150.000  di  euro  e
del 10% per gli importi eccedenti i 150.000 euro, ai sensi  dell'art.
18, comma 22-bis della legge 15 luglio 2011, n. 111, di  conversione,
con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. 
 
                            Premesso che 
 
    Con il  ricorso  collettivo  in  epigrafe  e  successiva  memoria
pervenuta il 6 febbraio 2013  parti  attrici  hanno  rappresentato  e
dedotto quanto segue; i ricorrenti, magistrati della Corte dei  conti
in quiescenza, titolari di pensione ordinaria diretta, hanno ricevuto
comunicazione di accreditamento  della  rata  di  agosto  2011  della
propria pensione da parte dell'INPDAP, all'epoca ente  gestore  della
previdenza  competente  nei  loro  riguardi,  recante  un   prospetto
analitico dal quale risulta, in particolare, che e'  stata  applicata
una trattenuta come contributo di perequazione, pari a: per il  dott.
De Pascalis: euro 967,04 (nota INPDAP 00 1 8RS1 10053746001002 01  MI
02);  per  il  dott.  Greco:  euro  193,08   (nota   INPDAP   0020RSI
1000537460010003-01-MI I-MI 02); per il dott.  Saviano:  euro  320,96
(nota INPDAP 1 RS 1 00538A90010023 01 RMA8); per il dott. Verso: euro
174,47 (nota INPDAP 1 RSII 00537450010001 01 RMA8); nelle stesse note
dell'INPDAP viene specificato  che  la  predetta  trattenuta  decorre
dalla rata di agosto 2011 e avra' termine il  31  dicembre  2014,  ai
sensi dell'art. 18, comma 22-bis della legge 15 luglio 2011, n.  111,
di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98; con note successive l'INPDAP  ha  comunicato  che,  a  partire
dalla rata  di  ottobre,  la  trattenuta  del  contributo  era  stata
riattivata, in quanto il prelievo del mese di settembre 2011 non  era
stato effettuato a causa della temporanea abrogazione del  contributo
disposta dall'art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge n.  138/2011;  di
conseguenza, con la medesima rata e' stato  applicato  il  conguaglio
relativo al prelievo del mese di settembre 2011; inoltre,  l'Istituto
previdenziale ha comunicato che, per il computo  del  contributo,  e'
stato preso a riferimento il trattamento  pensionistico  complessivo,
ivi compresa la tredicesima mensilita'; si e'  cosi'  giunti  ad  una
pronuncia conclusiva sulle modalita' di prelievo  del  contributo  di
perequazione  da  parte  dell'INPDAP  nella  sua  qualita'  di  unico
soggetto legittimato ad effettuare le trattenute sulle  pensioni  dei
ricorrenti e versarle all'entrata del bilancio dello Stato, ai  sensi
dell'art. 18, comma 22-bis, periodi primo  e  sesto  della  legge  n.
111/2011; si nota che la condotta dell'ente  gestore  ha  natura  del
tutto vincolata, posto che occorre soltanto individuare i destinatari
della norma e prelevare il contributo all'atto  della  corresponsione
di ciascun rateo mensile, in  conformita'  alle  indicazioni  fornite
dall'art. 18, comma 22-bis, quinto periodo, della legge  n.  111/2011
per effettuare le trattenute. 
    Il «contributo di perequazione»,  previsto  dall'art.  18,  comma
22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15
luglio 2011,  n.  111,  allo  scopo  di  fronteggiare  «l'eccezionale
situazione economica internazionale e  per  esigenze  prioritarie  di
finanza  pubblica»,  non  puo'  essere  ricondotto  al  concetto   di
«contributo» secondo la tradizionale  tripartizione  dei  tributi  in
imposte, contributi e tasse, ma e'  assimilabile  ad  un'imposta  sul
reddito, in quanto come base imponibile vengono assunti i trattamenti
pensionistici corrisposti dagli enti  gestori  della  previdenza;  le
modalita' del prelievo, inoltre, sono  contraddittorie,  poiche'  gli
importi spettanti vengono assoggettati, nel loro importo lordo, ad un
primo abbattimento in funzione delle due aliquote  stabilite  per  il
«contributo» (5 o 10%), dopo di che, sulla differenza e  senza  alcun
raccordo  con  le  trattenute  IRPEF,  viene  operato  il  successivo
prelievo strutturato nelle cinque  aliquote  in  cui  e'  distribuita
l'IRPEF stessa; sulla base di simile procedimento,  risulta  alterata
l'originaria progressivita' dell'IRPEF con  aumento  della  pressione
tributaria complessiva, in danno  di  una  particolare  categoria  di
cittadini nei confronti dei quali occorrerebbe distribuire gli  oneri
fiscali con la massima equita' possibile; si  evidenzia  altresi'  la
sproporzione  tra  i  fini  da  perseguire  (far  fronte  alla  crisi
economica internazionale e nazionale) ed  i  mezzi  individuati  allo
scopo (trattenute sulle pensioni di  importo  superiore  a  90.000  o
150.000  curo  annui  lordi),  mentre  manca  qualsiasi  elemento  di
valutazione sull'entita' delle somme recuperabili; nel frattempo sono
giunti a decisione i giudizi di legittimita' costituzionale  promossi
da vari tribunali amministrativi regionali sugli articoli 9, commi  2
e 22 e 12, commi 7 e 10 del decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito in legge 30 luglio 2010, n.  122,  nei  quali  sono  state
trattate questioni che hanno  molti  punti  di  contatto  con  quelle
sollevate con il ricorso in  esame:  le  disposizioni  sottoposte  al
vaglio  dalla  Corte  costituzionale  appartengono  ad   un   sistema
normativa emanato circa un  anno  prima  di  quello  considerato  nel
presente ricorso ed ispirato a finalita' analoghe:  il  decreto-legge
n. 78/2010 reca infatti misure urgenti in materia di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica  e  ai  fini  del  presente
giudizio, assume particolare rilievo il disposto dei  commi  2  e  22
dell'art. 9, concernenti la riduzione dei trattamenti  economici  dei
dipendenti pubblici il blocco dell'adeguamento delle retribuzioni dei
magistrati,  nonche'  la  decurtazione  dell'indennita'   giudiziaria
prevista per i magistrati stessi dall'art. 3 della legge  n.  27  del
1981;  la  Corte  e'  pervenuta  alla  conclusione  che   il   blocco
dell'adeguamento delle retribuzioni dei magistrati, in  quanto  copre
potenzialmente un arco di tempo superiore alle  individuate  esigenze
di  bilancio  e  si  aggiunge  a  pregresse   misure   di   riduzione
dell'adeguamento maturato, eccede i limiti del «raffreddamento» delle
dinamiche retributive, in danno di una  sola  categoria  di  pubblici
dipendenti ed ha pertanto dichiarato  l'illegittimita'  dell'art.  9,
comma 22, del decreto-legge n. 78/2010; di altri due casi, nonostante
la  formulazione  letterale  delle  relative  disposizioni,  che   si
riferiscono ad una «riduzione» e ad  un  «contenimento  delle  spese»
sono stati ricondotti  ad  una  problematica  di  natura  tributaria,
comportando  una   prestazione   patrimoniale   imposta,   realizzata
attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio,  destinata  a
sovvenire le  pubbliche  spese;  su  queste  premesse,  la  Corte  ha
ritenuto che nei  due  casi  su  indicati  sono  presenti  tutti  gli
elementi  della  fattispecie  tributaria;   pertanto,   la   relativa
disciplina di legge deve essere esaminata alla luce dei  principi  di
cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione e con  la  giurisprudenza
che si e' formata al riguardo, secondo la quale la  tassazione  esige
un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro
di sistema informato a criteri di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza (sentenza n. 341 del 2000), percio' il  legislatore  deve
fare un uso ragionevole dei propri poteri  discrezionali  in  materia
tributaria, dando coerenza interna alla struttura dell'imposta con il
suo  presupposto  economico,  come  pure   evitando   l'arbitrarieta'
dell'entita' dell'imposizione (sentenza n. 111 del 1997); al  termine
della sua indagine, con la sentenza n. 223  dell'8  ottobre  2012  la
Corte ha tra  le  altre  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
delle norme esaminate: la prima (art. 9, comma 2 del decreto-legge n.
78/2010), perche' il prelievo e' limitato ai soli dipendenti pubblici
la seconda (art. 9, comma 22 del decreto-legge n.  78/2010),  perche'
il tributo incide su una voce  di  reddito  di  lavoro  (l'indennita'
giudiziaria), che e' parte di un reddito lavorativo complessivo  gia'
sottoposto ad imposta in condizioni di parita' con  tutti  gli  altri
percettori di reddito di lavoro, per modo che  risulta  colpita  piu'
gravemente, a  parita'  di  capacita'  contributiva  per  redditi  di
lavoro, esclusivamente la categoria dei magistrati. 
    Quanto al contributo di perequazione posto carico delle  pensioni
dall'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge n.  98/2011  e  relativa
legge di conversione, risulta evidente che, applicando i  criteri  di
cui alla ripetuta sentenza n. 223/2011 della Corte costituzionale, la
sua struttura non e' rispettosa del  principio  dell'uguaglianza,  in
quanto  sui  trattamenti  pensionistici   vengono   applicate   delle
trattenute che alterano l'originaria progressivita' dell'IRPEF e,  di
conseguenza, il rapporto con gli altri percettori di reddito di  pari
importo,  determinando  un  ingiustificato  aumento  della  pressione
tributaria complessiva in  danno  di  una  particolare  categoria  di
cittadini; nel pervenire al giudizio di illegittimita'  dell'art.  9,
comma 2  del  decreto-legge  n.  78  del  2010  sulla  riduzione  dei
trattamenti   economici   dei   dipendenti   pubblici,    la    Corte
costituzionale  ha  preso  altresi'  in  considerazione  il  disposto
dell'art. 2, comma 2  del  decreto-legge  14  agosto  2011,  n.  138,
convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, in base  al  quale  e'
dovuto un contributo di «solidarieta'» del 3% sulla parte di  reddito
eccedente l'importo di 300.000 euro annui  lordi;  nell'affermare  la
natura indubbiamente tributaria di questo  contributo,  la  Corte  ha
evidenziato anche la finalita' del decreto-legge n. 138/2011, che  e'
ancora quella di reperire risorse per la stabilizzazione  finanziaria
e  per  lo  sviluppo;  poiche'  la  stessa  finalita'   sorregge   il
decreto-legge n. 78 del 2010, la Corte si e' indotta ad esprimere  un
giudizio  di  irragionevolezza  ed  arbitrarieta'   del   trattamento
riservato ai pubblici  dipendenti  a  causa  della  diversita'  degli
interventi «di solidarieta'» in concreto adottati, dalla quale deriva
un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu'
favorevole per lo  Stato,  se  il  legislatore  avesse  rispettato  i
principi di uguaglianza dei cittadini e  di  solidarieta'  economica,
anche modulando diversamente un «universale»  intervento  impositivo;
anche nel ricorso in esame, viene richiamato il disposto dell'art. 2,
comma 2, del  decreto-legge  n.  138/2011,  convertito  in  legge  n.
148/2011, sul contributo di solidarieta', del  quale  sono  messe  in
luce la natura tributaria, la minore durata (1° gennaio 2011-dicembre
2013) rispetto  a  quella  del  contributo  di  perequazione  (agosto
2011-dicembre 2014) e l'incongruita' dell'attribuzione al  Presidente
della Repubblica del potere di prorogare  eventualmente  il  prelievo
fino al raggiungimento del pareggio di bilancio; quanto precede rende
manifesto, ad avviso dei ricorrenti, l'uso irragionevole  dei  propri
poteri in materia tributaria da parte del legislatore, come la stessa
Corte costituzionale, nella sentenza n. 223 del 2012, ha ritenuto nel
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  2  del
decreto-legge n. 78 del 2010, in quanto limita ingiustificatamente il
prelievo ai soli  dipendenti  pubblici;  e  per  pervenire  a  questa
conclusione  la  Corte,  come  sopra  detto,  ha  messo  a  raffronto
quest'ultima disposizione proprio con il disposto dell'art. 2,  comma
2 del decreto-legge n. 138 del 2011 e relativa legge di  conversione,
che almeno non pone il contributo soltanto a carico  dei  pensionati,
pur determinando anch'esso inammissibili  disparita'  di  trattamento
(il contributo di solidarieta' ha durata minore rispetto a quella del
contributo  di  perequazione  ed  e'  deducibile,   diversamente   da
quest'ultimo,  dal  reddito  complessivo);   oltre   ad   evidenziare
l'identita'  di  «ratio»  delle  varie  leggi  aventi  finalita'   di
stabilizzazione   finanziaria,   sulla   cui   base   sarebbe   stato
«ragionevole»  evitare  l'adozione  di  differenti   interventi   «di
solidarieta'», la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 223,
ha chiaramente ribadito che non e' consentito  derogare  ai  principi
fondamentali dell'ordinamento,  fra  quali  assume  rilievo  assoluto
quello dell'uguaglianza, anche nelle attuali difficili ed eccezionali
condizioni in cui si trova la  situazione  economica  del  Paese;  in
concreto, i soggetti chiamati a far fronte alla crisi in cui versa il
Paese  sono  soltanto  i  pensionati,  mediante  il   contributo   di
perequazione posto a loro  carico  dall'art.  18,  comma  22-bis  del
decreto-legge n. 98 del 2011 e relativa legge  di  conversione  ed  i
pochi possessori di redditi superiori ai 300.000  euro  annui  lordi,
tenuti al contributo di solidarieta' di cui all'art. 2, comma  2  del
decreto-legge n. 138 del 2011 e relativa legge di conversione;  anche
prima che la Corte  costituzionale  pervenisse  infine  ad  accertare
l'ingiusta situazione su descritta, il  sistema  di  riduzione  delle
spese pubbliche previsto dal decreto-legge n. 98 del 2011 e  relativa
legge di conversione  appariva  del  tutto  squilibrato,  perche'  il
contributo di perequazione a carico  dei  pensionati  e'  stato  reso
immediatamente  operativo  (dal  1°  agosto   2011),   mentre   altre
importantissime   misure,   quali   il   livellamento    remunerativo
Italia-Europa e la riduzione del 10% del  finanziamento  dei  partiti
politici,  sarebbero  divenute  operative,   rispettivamente,   dalle
prossime elezioni, nomine, o rinnovi e dal primo rinnovo del  Senato,
della  Camera,  del  Parlamento  europeo  e  dei  consigli  regionali
successivo alla data di entrata in vigore della legge (art. 1,  commi
1, 2 e 6; art. 6, comma 3, del decreto-legge n.  98/2011,  convertito
in legge n.  111/2011),  in  palese  contraddizione  con  le  urgenti
finalita' di stabilizzazione  finanziaria  e  di  contenimento  della
spesa  pubblica  richiamate  nelle  premesse  del  decreto-legge   n.
98/2011;  ai  fini  della  concreta  operativita'  del   livellamento
remunerativo si sarebbe dovuta individuare una media  degli  analoghi
trattamenti percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche ed
incarichi negli altri sei principali Stati dell'area euro e  di  tale
indagine comparativa e' stata incaricata, ai sensi dell'art. 1, comma
3, un'apposita commissione; detta commissione, dopo  essersi  riunita
cinque volte nel corso  dell'anno  2011,  non  ha  potuto  completare
l'incarico affidatole entro il termine stabilito (31  dicembre  2011)
e, in tal modo, e' venuto a mancare il presupposto essenziale cui  e'
subordinata   l'efficacia   delle   disposizioni   sul   livellamento
remunerativo, peraltro rinviata, come detto, alle prossime  elezioni,
nomine o rinnovi; e' invece nel frattempo mutata  la  disciplina  del
finanziamento pubblico dei partiti politici e dei movimenti politici,
contenuta oggi nella legge 6 luglio 2012, n. 96, ma  anche  sotto  il
vigore delle nuove  norme,  che  pur  dispongono  una  riduzione  del
predetto  finanziamento,  la   condizione   dei   pensionati   sembra
ingiustamente deteriore rispetto ai soggetti che svolgono l'attivita'
politica; gia' nello stabilire l'entita' complessiva  dei  contributi
pubblici da  destinare  al  rimborso  delle  spese  elettorali  e  al
contributo/cofinanziamento  per  l'attivita'  politica  (all'art.  1,
comma 1: 91 milioni di euro annui) la  legge  n.  96/2012  appare  in
contrasto con il principio dell'uguaglianza di cui all'art.  3  della
Costituzione, in quanto detto  importo,  ad  avviso  dei  ricorrenti,
risulta eccessivo rispetto alle gravi privazioni richieste a tutti  i
cittadini  mediante  l'inasprimento   dell'imposizione   diretta   ed
indiretta attuato dal legislatore nel corso degli anni 2011  e  2012:
ma vi e' una circostanza che rende manifesta la violazione  dell'art.
3 della Costituzione anche da parte della legge n. 96/2012 e cioe' la
decorrenza della riduzione dei  contributi,  che  secondo  l'art.  1,
comma 5, e'  ancora  rinviata  al  primo  rinnovo  del  Senato  della
Repubblica. della Camera dei  deputati,  dei  membri  del  Parlamento
europeo spettanti all'Italia, dei consigli regionali e  dei  consigli
delle province autonome di Trento e di Bolzano successivo  alla  data
in entrata in vigore della stessa legge;  oltre  a  rappresentare  un
ingiusto privilegio rispetto alla generalita' dei cittadini  chiamati
a sopportare subito tutto  il  peso  della  sfavorevole  congiuntura,
simile disposizione, in ambito piu' ristretto,  ripropone  la  stessa
sperequazione  nei  confronti  dei   pensionati   determinata   dalle
analoghe, abrogate disposizioni di cui all'art. 6, commi 1  e  3  del
decreto-legge n. 98/2011 e relativa  legge  di  conversione,  la  cui
operativita' era  rinviata  al  primo  rinnovo  degli  organismi  ivi
considerati  successivo  alla  sua  entrata  in  vigore,  mentre   il
contributo di perequazione e' entrato  immediatamente  in  vigore  1°
agosto 2011; la sproporzione tra i sacrifici imposti, da un  lato  ai
pensionati e, dall'altro lato, ai partiti politici e' dunque  diversa
solo perche' cambiano i riferimenti normativi, in quanto la legge  n.
96/2012  si  muove,  quanto  alla  decorrenza  della  riduzione   dei
contributi ai partiti, nella stessa direzione  del  decreto-legge  n.
98/2011 e relativa legge di conversione; continua invece immutata  la
questione della disparita' di trattamento tra i pensionati stessi e i
soggetti titolari delle cariche e degli incarichi di cui all'art.  1,
commi 1 e 2 del decreto-legge n. 98/2011, non essendo stato  adottato
alcun provvedimento volto a sanare la mancata  elaborazione  affidata
alla commissione ai sensi del comma 3 di  quest'ultimo  articolo;  ne
consegue  la  richiesta  di  rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale per una pronuncia sulla  legittimita'  delle  seguenti
disposizioni, alla luce di quanto risulta dalla sentenza della stessa
Corte n.  223  dell'8  ottobre  2012  e  delle  richiamate  modifiche
legislative intervenute, per contrasto con gli articoli 3, 53,  95  e
97 della Costituzione, delle seguenti disposizioni di legge; art. 18,
comma 22-bis e art. 1, commi 1, 2, 3,  4  e  6  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n.  111  (sul
contributo di perequazione); art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge 13
luglio 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre  2011,  n.  148
(sul contributo di solidarieta'); art. 1, commi 1 e 5 della  legge  6
luglio 2012, n. 96 (sulla riduzione dei contributi pubblici in favore
dei  partiti  e  dei  movimenti  politici);  sul  presupposto   della
dichiarazione di incostituzionalita' delle norme sopra richiamate, si
chiede che venga dichiarata la illegittimita' degli atti di  prelievo
sull'ammontare delle pensioni, il cui importo complessivo quindi deve
essere determinato secondo i criteri applicati fino al  luglio  2011;
con accoglimento del ricorso. 
    Con memoria di costituzione e difesa il  resistente  INPS,  quale
successore ex lege dell'INPDAP, ai sensi dell'art. 21,  comma  l  del
decreto-legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011, ha
controdedotto come segue. 
    I. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore della
Commissione tributaria provinciale di Roma sulla domanda inerente  il
contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
98; in via pregiudiziale si eccepisce  il  difetto  di  giurisdizione
della  Corte  dei  conti  in  favore  della  Commissione   tributaria
provinciale  di  Roma  con  riferimento  alla  domanda  relativa   al
contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
98; cio' in quanto il petitum sostanziale della pretesa  avversa  non
e'  costituto  dall'an  o  dal  quantum  della  pensione   ma   dalla
contestazione della legittimita' di  una  maggiorazione  dell'imposta
sul reddito e sulla  richiesta  di  restituzione  di  quanto  versato
all'erario, pertanto, la controversia esula dalla giurisdizione della
Corte dei conti rientrando tra le materie soggette alla giurisdizione
tributaria, ai sensi dell'art. 2 del decreto legislativo n.  546  del
31  dicembre  1992,  secondo  cui  «Appartengono  alla  giurisdizione
tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto, i tributi di ogni
genere e  specie,  comunque  denominati  compresi  quelli  regionali,
provinciali e comunali e il  contributo  per  il  Servizio  sanitario
nazionale, nonche' le  sovrimposte  e  le  addizionali,  le  sanzioni
amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi
e ogni altro accessorio  ...»;  in  tal  senso  si  sono  piu'  volte
pronunciate le Sezioni unite della cassazione che hanno affermato  il
principio secondo cui: «E' devoluta alla  giurisdizione  del  giudice
tributario la controversia  promossa  dal  sostituito  d'imposta  nei
confronti del sostituto ai fini delle imposte dirette, per pretendere
il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto
abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta: si tratta,
infatti,  di  un'indagine  sulla  legittimita'  di   detta   ritenuta
integrante non una  mera  questione  pregiudiziale,  suscettibile  di
essere delibata incidentalmente, ma  comporta  una  causa  tributaria
avente carattere pregiudiziale, la quale deve  essere  definita,  con
effetti  di  giudicato  sostanziale,  dal  giudice  cui  la  relativa
cognizione  spetta  per  ragioni  di   materia,   in   litisconsorzio
necessario anche dell'amministrazione finanziaria» (Cass. [ord.] Sez.
Un. 24-10-2007 n. 22279; idem Cass. Sez. Un. 24-10-9007 n.  22266.)»;
e la natura tributaria del contributo in questione e' stata affermata
e riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
241 del 24 ottobre 2012; la giurisdizione della Corte dei  conti,  al
di fuori della contabilita' pubblica, e' strettamente  limitata  alle
sole  materie  specificate  dalla  legge;  nel  caso  della   materia
pensionistica,  l'ambito  di  competenza  del  giudice  contabile  e'
circoscritto ai ricorsi relativi alla sussistenza e alla  misura  del
diritto a pensione a carico totale o parziale dello Stato  (art.  62,
primo comma, del regio decreto 12 luglio 1934,  n.  1214),  ovvero  a
tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, attribuiti  da  leggi
speciali alla Corte dei conti (art. 62, secondo comma, regio  decreto
citato), come, ad esempio l'art. 60 del regio decreto 3  marzo  1938,
n. 680, che ha riguardo  alle  pensioni  dei  dipendenti  degli  enti
locali. 
    II. Litisconsorzio necessario e  necessita  di  integrazione  del
contraddittorio  nei  confronti  dell'Agenzia   delle   entrate;   la
riconosciuta  natura  tributaria   del   contributo   contestato,   a
prescindere dalla sollevata carenza di giurisdizione della Corte  dei
conti, impone altresi' un  approfondimento  sulla  sussistenza  della
legittimazione passiva dell'INPS nel giudizio atteso  che  l'Istituto
previdenziale resistenza agisce  nel  caso  che  de  quo  quale  mero
sostituto di imposta ex articoli  23  e  64,  comma  1,  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  29  settembre   1973,   n.   600;   la
contestazione sulla legittimita' della norma (norma su cui  si  fonda
l'atto impositivo contestato) determina la necessaria  partecipazione
dell'Agenzia delle entrate, parte necessaria del  procedimento  cosi'
come ritenuto dalla Corte di cassazione sezioni unite, nella sentenza
18 gennaio 2007, n. 1052, secondo cui «Ogni  volta  che  per  effetto
della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione
finanziaria (oggi Agenzia  delle  entrate)  l'atto  impositivo  debba
essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicita' della  fattispecie
costitutiva  dell'obbligazione  una  pluralita'  di  soggetti,  e  il
ricorso proposto da uno o piu' degli obbligati abbia ad  oggetto  non
la singola  posizione  debitoria  del  ricorrente,  ma  la  posizione
inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto  all'obbligazione
dedotta  nell'atto  autoritativo  impugnato,  ricorre  un'ipotesi  di
litisconsorzio necessario nel processo tributario». 
    III.  Infondatezza  della  domanda   nel   merito   e   manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata; in ogni caso la domanda dei ricorrenti  risulta  infondata
nel merito avendo l'INPS (ex INPDAP) agito in base a norme  di  legge
tuttora vigenti ossia l'art. 18, comma  22-bis  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98; invero i  ricorrenti,  assumono  l'illegittimita'
costituzionale della norma in questione con il proposito di  ottenere
una rimessione alla Corte costituzionale. 
    I dubbi di costituzionalita' della norma, ad avviso della  difesa
dell'INPS, sono tuttavia da ritenersi privi di fondamento. 
    Si tratta di  un  prelievo  fiscale  straordinario  temporaneo  e
straordinario  gravante  sulla  quota  eccedente  delle  pensioni  di
importo  elevato  che  e'  stato  definito  «perequativo»  in   senso
atecnico, intendendo il legislatore  per  perequazione  non  gia'  la
rivalutazione del trattamento di  pensione  ma  la  «riconduzione  ad
equita'» delle  cosiddette  pensioni  d'oro  in  rapporto  all'intera
platea dei pensionati che ha pesantemente colpito per  effetto  della
crisi finanziaria in atto; a differenza dell'analogo contributo sulle
retribuzioni dei dipendenti pubblici introdotto dall'art. 9, comma 2,
del decreto-legge n. 78 del 2010,  gia'  dichiarato  incostituzionale
con la recente sentenza n. 223/2012, il contributo di perequazione in
questione vede come  destinatari  l'intera  platea  dei  titolari  di
trattamenti, pensionistici, anche integrativi  e  pertanto  non  sono
fondati i rilievi  di  illegittimita'  della  norma  con  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal momento che le uniche  prestazioni
pensionistiche escluse dal contributo risultano essere le prestazioni
assistenziali (rispetto alle quali d'altronde, risulterebbe difficile
ipotizzare il superamento degli importi previsti  dal  comma  22-bis,
ratione mensurae), gli assegni straordinari di sostegno  al  reddito,
le  pensioni  erogate  alle  vittime  del  terrorismo  e  le  rendite
delI'INAIL; risulta altresi' infondata,  a  parere  dell'INPS,  anche
l'ulteriore obiezione riferita al presunto vulnus  del  principio  di
uguaglianza in relazione alla capacita' contributiva di cui  all'art.
53 Cost. per essere  i  titolari  di  elevate  pensioni  discriminati
rispetto alla generalita' dei consociati; considerato che, secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale, la formulazione  dell'art.
53 Cost.: «Tutti sono tenuti a concorrere  alle  spese  pubbliche  in
ragione della loro capacita' contributiva», impone che  il  principio
dell'universalita' dell'imposizione debba essere valutato in  termini
non  assoluti  ma  relativi,  in  necessario  coordinamento  con   il
principio solidaristico e di uguaglianza di cui agli articoli 2  e  3
Cost.; sicche' il legislatore, con il limite della  ragionevolezza  e
dei criteri di progressivita' e proporzionalita', puo' ben introdurre
per  singole  categorie  di  contribuenti  specifici   tributi,   non
risultando un obbligo di indistinta ed uniforme imposizione. 
    IV.   Sussistenza   di   analoga   questione   di    legittimita'
costituzionale  gia'  pendente  innanzi  alle  Corte   costituzionale
richiesta di sospensione pregiudiziale del giudizio; l'art. 18, comma
22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, e' stato sottoposto al
vaglio di costituzionalita' da parte della Corte  dei  conti  sezione
giurisdizionale per la regione Campania, la quale  con  ordinanza  di
rimessione del 20 luglio 2012 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.
45 del 14 novembre 2002 resa nell'ambito  del  giudizio  proposto  da
Staro Salvatore contro INPDAP ed altri, ha sollevato la questione  di
legittimita' costituzionale della suddetta norma con riferimento agli
articoli 2, 3, 53 e 97  della  Costituzione,  per  motivi  del  tutto
analoghi a quelli qui prospettati; pertanto,  ove  la  adita  sezione
giurisdizionale  dovesse  condividere   i   dubbi   manifestati   dai
ricorrenti, potra' ordinare la sospensione  del  giudizio  in  attesa
della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  sulla  questione   di
legittimita' costituzionale sollevata. 
    In conclusione,  si  chiede  che  questa  Corte  voglia:  in  via
pregiudiziale, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore
della Commissione tributaria  provinciale  di  Roma;  sempre  in  via
pregiudiziale e nel rito, accertare la sussistenza di una ipotesi  di
litisconsorzio  necessario  ex  art.   102   c.p.c.   nei   confronti
dell'Agenzia delle entrate, quale parte necessaria nelle controversie
inerenti la sussistenza l'ammontare  di  imposte  e  i  tributi,  con
conseguente integrazione  del  contraddittorio  nei  confronti  della
suddetta Agenzia; nel merito, respingere  in  ogni  caso  le  domande
attoree perche' infondate in fatto  e  diritto  per  i  motivi  sopra
evidenziati,  con   declaratoria   della   correttezza   dell'operato
dell'INPS nell'applicazione delle norme richiamate  in  premessa;  in
via subordinata disporre la  sospensione  del  presente  giudizio  in
attesa della pronuncia della Corte costituzionale  sull'ordinanza  di
rimessione della Corte  dei  conti  Sezione  giurisdizionale  per  la
regione  Campania  del  20  luglio  2012  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 45 del 14 novembre 2002; con il favore delle spese. 
 
                           Considerato che 
 
    I ricorrenti, magistrati  della  Corte  dei  conti  in  pensione,
chiedono il riconoscimento del diritto  a  percepire  il  trattamento
pensionistico senza le decurtazioni derivanti  dall'applicazione  del
contributo di perequazione di  cui  all'art.  18,  comma  22-bis  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n.111,  come  successivamente  modificato
dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  ribadita  dall'art.  2,  comma  1,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Quanto  sopra,  previa   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale per l'esame delle questioni di costituzionalita',  per
contrasto con gli articoli 3, 53, 95  e  97  della  Costituzione:  A)
dell'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.111,
come  successivamente  modificato  dall'art.  24,  comma  31-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; e dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4
e 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito  in  legge  15
luglio 2011, n. 111; 
    B) dell'art. 2, commi 1 e 2 del decreto-legge 13 luglio 2011,  n.
138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 (sul contributo di
solidarieta'); 
    C) dell'art. 1, commi 1 e 5 della legge  6  luglio  2012,  n.  96
(sulla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e  dei
movimenti politici). 
    Quanto alle dedotte questioni di legittimita'  costituzionale  di
cui al punto B) che precede, basti rilevare che il comma 1  dell'art.
2, del decreto-legge 13 luglio 2011, n. 138, convertito in  legge  14
settembre 2011, n. 148 ha, senza nulla  innovare,  solo  ribadito  la
vigenza (per quel che qui occupa) dell'art.  18,  comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (cfr. sentenza  costituzionale  n.
241 del 2012): circostanza che ne rende gia' in astratto ultronea  la
autonoma  rimessione  al  giudizio  di   legittimita'   della   Corte
costituzionale insieme alla  disposizione  ribadita;  quanto  poi  al
comma 2 dell'art.  2  del  decreto-legge  13  luglio  2011,  n.  138,
convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, che  ha  previsto  che
«... a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013,  sul
reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico  delle  imposte
sui redditi di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre  1986,  n.  917,  e  successive  modificazioni,  di  importo
superiore a 300.000 euro lordi annui,  e'  dovuto  un  contributo  di
solidarieta' del 3  per  cento  sulla  parte  eccedente  il  predetto
importo ...», e'  evidente  nel  caso  di  specie  il  difetto  della
condizione  della  rilevanza  posta   all'autorita'   giurisdizionale
dall'art. 23, secondo comma della legge n.  87  del  1953  per  poter
sollevare   questione   di   legittimita'   costituzionale,    ovvero
dell'impossibilita'  di  poter  definire   il   giudizio   in   esame
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimita'
costituzionale» della  normativa  coinvolta,  trattandosi  invero  di
disposizione di legge che pacificamente non ha  trovato  applicazione
con riferimento al trattamento pensionistico dei ricorrenti. 
    Quanto alle dedotte questione di legittimita' costituzionale:  di
cui al punto A) che precede, nella parte relativa all'art.  1,  commi
1, 2, 3, 4 ed all'art. 6 del decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito in legge 15 luglio 2011,  n.  111;  ed  al  punto  C)  che
precede, relativa all'art. 1, corrimi 1 e  5  della  legge  6  luglio
2012, n. 96 (sulla riduzione dei contributi pubblici  in  favore  dei
partiti e dei movimenti politici), si osserva quanto segue. 
    Le suddette disposizioni, recanti rispettivamente previsioni  per
la  riduzione  dei  costi  della  politica  e  sulla  riduzione   dei
contributi pubblici in favore dei partiti e  dei  movimenti  politici
vengono censurate sotto il  profilo  di  una  assedia  disparita'  di
trattamento rispetto al trattamento riservato ai titolari di pensioni
dal comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111;  la
quale  circostanza  postula  che,  nell'individuazione   dei   tertia
comparationis del controllo di eguaglianza da sottoporre  al  giudice
costituzionale,   si    richiamino    ipotesi    normative    vigenti
caratterizzate da omogeneita' di contenuti con la  normativa  oggetto
di  censura,  tali  pertanto  da  renderla  sindacabile  dal  giudice
costituzionale per un eventuale irrazionale regime  differenziato  di
ipotesi  che  avrebbero  invece  richiesto  una  eguale   disciplina;
potendosi invero proporre un controllo di coerenza delle  leggi  solo
allorche', stante l'essenza di giudizio di relazione che  connota  il
sindacato   della   Corte   costituzionale   secondo   il   parametro
dell'eguaglianza, le situazioni poste a confronto siano  assimilabili
e comparabili, tanto  da  postulare  -  in  esito  al  controllo  sul
corretto uso del potere normativo  da  parte  del  legislatore  -  un
armonico trattamento dei destinatari. 
    Nel caso di specie non si ravvisa ictu oculi detta  assimibilita'
e comparabilita' delle situazioni cosi' regolamentate, trattandosi di
termini  di  raffronto  attinenti  normative  di  settore  eterogenee
(riduzione dei  costi  della  politica,  riduzione  dei  rimborsi  ai
movimenti o partiti politici) rispetto al  settore  pensionistico;  a
fortiori  trattandosi  di  richiami  a   previsioni   intrinsecamente
articolate e complesse (id est prive della necessaria  precisione  ed
univocita') ai fini del  richiesto  confronto  di  costituzionalita',
com'e' dato di inferire dalla lettura delle medesime; legge 6  luglio
2012, n. 96, art. 1, comma 1; «I contributi  pubblici  per  le  spese
sostenute dai partiti e dai movimenti politici sono  ridotti  a  euro
91.000.000 annui, il 70 per cento dei quali, pari a euro  63.700.000,
e'  corrisposto  come  rimborso  delle  spese  per  le  consultazioni
elettorali e quale contributo per l'attivita' politica.  Il  restante
30 per cento, pari  a  euro  27.300.000,  e'  erogato,  a  titolo  di
cofinanziamento, ai sensi dell'art. 2. Gli importi di cui al presente
comma sono da considerare come limiti massimi.», art. 1. comma 5: «Le
disposizioni di cui ai commi da 1 a 3 si applicano  a  decorrere  dal
primo rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati,
dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, dei  consigli
regionali e dei consigli delle  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano successivo alla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge.»; art. 1, commi 1, 2, 3, 4 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111: 
    «1.  Il   trattamento   economico   omnicomprensivo   annualmente
corrisposto, in  funzione  della  carica  ricoperta  o  dell'incarico
svolto, ai titolari di cariche elettive ed  incarichi  di  vertice  o
quali  componenti,  comunque  denominati,  degli  organismi,  enti  e
istituzioni, anche  collegiali,  di  cui  all'allegato  A,  non  puo'
superare  la  media  ponderata  rispetto  al   PIL   degli   analoghi
trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di  omologhe
cariche e incarichi negli altri sei principali Stati dell'area  euro.
Fermo il principio costituzionale di autonomia, per i componenti  del
Senato della Repubblica e della Camera dei deputati il costo relativo
al trattamento economico omnicomprensivo annualmente  corrisposto  in
funzione della carica ricoperta non puo' superare la media  ponderata
rispetto al PIL del  costo  relativo  ai  componenti  dei  Parlamenti
nazionali. 
    2. La disposizione di cui al comma 1 si applica, oltre  che  alle
cariche e agli incarichi negli organismi, enti e  istituzioni,  anche
collegiali, di cui  all'allegato  A  del  medesimo  comma,  anche  ai
segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti  di  prima
fascia, ai direttori generali degli enti e ai titolari degli uffici a
questi equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato. Ai fini
del presente  comma  per  trattamento  economico  onnicomprensivo  si
intende il complesso delle retribuzioni e delle indennita'  a  carico
delle  pubbliche  finanze  percepiti  dal  titolare  delle   predette
cariche,  ivi  compresi  quelli  erogati  dalle  amministrazioni   di
appartenenza. 
    3. Con decreto del Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  e'
istituita una commissione, presieduta  dal  Presidente  dell'ISTAT  e
composta da quattro esperti di chiara fama, tra cui un rappresentante
di Eurostat, che durano in carica quattro anni, la quale entro il  1°
luglio di ogni anno e con  provvedimento  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana,  provvede  alla  ricognizione  e
all'individuazione della media dei trattamenti economici  di  cui  al
comma 1 riferiti all'anno precedente ed aggiornati all'anno in  corso
sulla base delle previsioni dell'indice  armonizzato  dei  prezzi  al
consumo  contenute  nel  Documento  di   economia   e   finanza.   La
partecipazione alla commissione e' a  titolo  gratuito.  In  sede  di
prima applicazione, il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri di cui al primo periodo  e'  adottato  entro  trenta  giorni
dalla data di entrata in vigore del presente  decreto;  tenuto  conto
dei tempi necessari  a  stabilire  la  metodologia  di  calcolo  e  a
raccogliere  le  informazioni  rilevanti,  la   ricognizione   e   la
individuazione   riferite   all'anno   2010   sono   provvisoriamente
effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente  riviste  entro
marzo 2012. 
    4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2  e  3  costituiscono,  ai
sensi dell'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione,  norme  di
principio in materia di  coordinamento  della  finanza  pubblica.  Le
regioni adeguano, entro il termine di sessanta giorni dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, la propria legislazione  alle
previsioni di cui ai medesimi commi. Le regioni a statuto speciale  e
le province autonome di  Tremo  e  di  Bolzano  adeguano  la  propria
legislazione alle disposizioni stesse, secondo i rispettivi statuti e
relative norme di attuazione.», e art. 6 del decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui,
nella parte attualmente vigente: «comma 2. All'art. 1 della  legge  3
giugno 1999, n. 157, il terzo e  quarto  periodo  del  comma  6  sono
sostituiti dai seguenti: «In  caso  di  scioglimento  anticipato  del
Senato della Repubblica o della Camera  dei  deputati  il  versamento
delle quote annuali dei relativi rimborsi e' interrotto. In tale caso
i movimenti  o  partiti  politici  hanno  diritto  esclusivamente  al
versamento delle quote dei rimborsi per un numero di anni  pari  alla
durata della legislatura dei rispettivi organi.». 
    Normative, pienamente riconducibili, per  quel  che  qui  occupa,
alla  sfera  di  autonoma  determinazione  politica  e   nel   potere
discrezionale del legislatore (cfr. art. 28 della  legge  n.  87  del
1953), dalle quali non  e'  ragionevolmente  inferibile  una  univoca
analogia (id est; omogeneita' delle situazioni) da porre a  raffronto
per il richiesto sindacato della Corte costituzionale sulla normativa
pensionistica oggetto di censure; con cio' conseguendone in parte qua
la  manifesta  infondatezza  della  questione  di  costituzionalita',
stante la rilevata inidoneita' degli evocati tertia  comparationis  a
fondale la pretesa violazione del principio di eguaglianza. 
    Quanto invece alla prima questione di legittimita' costituzionale
di cui al punto A) che precede - relativa all'art. 18, comma  22-bis,
del  decreto-legge  6   luglio   2011,   n.   98,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111  -  appare  evidente
nella specie la sussistenza della condizione  della  rilevanza  posta
all'autorita' giurisdizionale dall'art. 23, secondo comma della legge
n.  87  del  1953  per  poter  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale,  ovvero  dell'impossibilita'  di  poter  definire  il
giudizio  in  esame  «indipendentemente   dalla   risoluzione   della
questione di legittimita' costituzionale» della normativa  coinvolta,
trattandosi di disposizione di legge (comma 22-bis dell'art. 18,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come  successivamente  modificato
dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  solo  ribadita,  senza  nulla  innovare,
dall'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148),
pacificamente applicabile ed, invero, autoritativamente applicata  al
trattamento pensionistico dei ricorrenti, stante l'univoco e  cogente
tenore letterale  che  la  connota;  con  la  conseguente  necessaria
influenza (sub specie di stretta  pregiudizialita')  di  un'eventuale
pronuncia di accoglimento da parte della Corte  costituzionale  sulla
decisione del presente giudizio; impossibilita' di poter definire  il
giudizio  in  esame  «indipendentemente   dalla   risoluzione   della
questione di legittimita' costituzionale» che postula logicamente  la
giurisdizione di questa Corte dei  conti  nella  materia  oggetto  di
ricorso giurisdizionale, da ritenersi nella  specie  sussistente  sul
rilievo che il petitum sostanziale, da identificare in funzione della
intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (causa petendi)
dai ricorrenti - ovvero l'oggetto della domanda  sulla  cui  base  va
determinata,  a  norma  dell'art.  386  codice  procedura  civile  la
giurisdizione  -  attiene,  per  quel  che  qui  occupa,  al  preteso
riconoscimento  del  diritto  alla  corresponsione  del   trattamento
pensionistico senza le decurtazioni patrimoniali definitive  previste
dal comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma  31-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;  ovvero  al  mantenimento  del
trattamento pensionistico fruito anteriormente al 1° agosto 2011; con
cio' risultando evidente che il tema su cui  si  controverte  attiene
alla determinazione  dell'ammontare  del  trattamento  pensionistico,
rimesso alla giurisdizione esclusiva sulla Corte dei conti. 
    Invero, la giurisdizione della Corte  dei  conti  in  materia  di
pensioni fai sensi degli articoli 13 e 62 del regio decreto  n.  1214
del 1933) ha carattere esclusivo, in quanto affidata al  criterio  di
collegamento costituito dalla materia, onde  in  essa  sono  comprese
tutte le controversie in cui il  rapporto  pensionistico  costituisca
elemento identificativo del petitum sostanziale, ovvero sia  comunque
in questione la misura della prestazione  previdenziale  (Cass.  civ.
Sez. unite. sentenza n. 8324 del 2010). 
    La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto  da
una  norma  «certamente  di  natura   tributaria»   (sentenza   Corte
costituzionale n. 241 del 2012), non trasforma il rapporto  tra  enti
gestori  di  forme  di  previdenza  obbligatorie  e  beneficiari  dei
relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, di tipo
pubblicistico, il quale implica - diversamente dal caso di specie  un
soggetto  investito  di  potestas  impositiva  ed  un   provvedimento
espressione di tale potere (sentenza Cass. n. 15031/2009). 
    Nella fattispecie,  il  rapporto  tra  INPDAP/INPS  e  pensionati
percettori - al  quale  e'  estranea  l'amministrazione  finanziaria,
coerentemente non evocata in questo giudizio -  non  contiene,  quale
petitum  sostanziale,  una  contestazione   diretta   della   debenza
all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario  tra
contribuente ed Amministrazione (come tale  rimesso  alla  competenza
esclusiva  del  giudice  tributario:  cfr.  Cass.  civ.  Sez.  unite,
ordinanza n. 22381 del 2011, ma attiene ad un rapporto pensionistico,
atteso che - siccome affermato, mutatis mutandis, dalla sezioni unite
della Corte di cassazione nella sentenza  n.  2064  del  2011  -  «le
controversie relative all'indebito pagamento dei tributi  seguono  la
regola della devoluzione  alla  giurisdizione  speciale  del  giudice
tributario soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti
dal decreto legislativo n. 546 del 1992, art. 19 e,  di  conseguenza,
il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art.
10, decreto legislativo n. 546 dei 1992. Quando  la  controversia  si
svolga tra due soggetti privati in assenza di  un  provvedimento  che
sia impugnabile soltanto dinanzi al giudice  tributario,  il  giudice
ordinario si riappropria della giurisdizione  e  non  rileva  che  la
composizione della lite debba passare attraverso  la  interpretazione
di una norma tributaria.». 
    Si  ritiene  altresi'  che  la  questione   sollevata   non   sia
manifestamente infondata, ai sensi  dello  stesso  art.  23,  secondo
comma della legge n. 87 del 1953, per i motivi e con  riferimento  ai
parametri costituzionale che seguono. 
    Invero, come recentemente affermato  dalla  Corte  costituzionale
con sentenza n. 241 del 2012, il «contributo di perequazione» di  cui
al  comma  22-bis  dell'art.  18  del   decreto-legge   n.   98/2011,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e'  successive
modificazioni ed integrazioni» e' previsto a carico  dei  trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie  ed  ha  natura   certamente   tributaria,   in   quanto
costituisce un prelievo analogo a quello effettuato  sul  trattamento
economico  complessivo  dei  dipendenti  pubblici  ...  ,nella  parte
dichiarata illegittima da questa Corte con la ... sentenza n. 223 del
2012 e la cui natura tributaria e' stata  espressamente  riconosciuta
dalla medesima sentenza. La norma  impugnata,  infatti,  integra  una
decurtazione patrimoniale definitiva del  trattamento  pensionistico,
con acquisizione al bilancio  statale  del  relativo  ammontare,  che
presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza  di  questa
Corte per caratterizzare il prelievo come  tributario  ...»,  ovvero,
indipendentemente  dal  nomen  juris  attribuitole  dal  legislatore,
quelli  di  un  prelievo  coattivo  finalizzato  al  concorso   delle
pubbliche spese, posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno
specifico  indice  di  capacita'  contributiva  che  deve   esprimere
l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria. 
    Da quanto precede consegue che - richiamando principi riaffermati
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223  del  2012  secondo
cui «la  Costituzione  non  impone  affatto  una  tassazione  fiscale
uniforme, con criteri assolutamente identici proporzionali per  tutte
le  tipologie  di  imposizione  tributaria;  ma   esige   invece   un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (articoli 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n.
341 del 2000). Pertanto, il controllo  della  Corte  in  ordine  alla
lesione dei principi di cui all'art. 53  Cost.,  come  specificazione
del fondamentale principio di uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
consiste in  un  «giudizio  sull'uso  ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997).» - occorre verificare se il contributo di perequazione,  quale
norma di natura tributaria, si ponga in contrasto con gli articoli 2,
3 e 53 della Costituzione; mentre  inconferenti  si  appalesano  ictu
oculi i richiami attorei all'art. 95 della Costituzione, relativo  ai
poteri ed alle responsabilita'  del  Governo,  all'ordinamento  della
Presidenza del Consiglio ed alle attribuzioni ed  organizzazione  dei
Ministeri; ed all'art. 97 della Costituzione, parametro invero atto a
sindacare   la   ragionevolezza    di    leggi    che    disciplinano
l'organizzazione e, di riflesso, l'attivita' amministrativa. 
    Ritiene questo giudice che la disposizione di cui al comma 22-bis
dell'art.  18  del  decreto-legge   n.   98/2011,   convertito,   con
modificazioni, nella legge n. 111/2011 e successive modificazioni  ed
integrazioni,  recante   l'introduzione   di   un'imposta   speciale,
ancorche' transitoria («a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino  al  31
dicembre   2014»)   ed   eccezionale   («In   considerazione    della
eccezionalita' della situazione economica ...»), a  carico  dei  soli
«trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori  di  forme  di
previdenza obbligatoria», si ponga in contrasto con il  principio  di
parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente
rilevante, siccome postulato dai richiamati articoli  3  e  53  della
Costituzione. 
    Ed invero, da un lato, a parita' di reddito con la categoria  dei
lavoratori (pubblici o privati), il prelievo  e'  ingiustificatamente
posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di
forme  di  previdenza  obbligatoria,  con  conseguente  irragionevole
limitazione della platea dei soggetti passivi, tenuto conto  che,  se
l'eccezionalita'  della  situazione  economica  che  lo  Stato   deve
affrontare consente  al  legislatore  di  intervenire  con  strumenti
eccezionali, nondimeno e' compito dello Stato garantire  il  rispetto
dei principi  fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ed,  in
particolare,  del  principio  di  uguaglianza   su   cui   si   fonda
l'ordinamento  costituzionale;  principio   di   uguaglianza   (quale
specificato nell'art. 53 della Costituzione) in ossequio al quale  la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2010, ha  dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.   9,   comma   2,   del
decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  ravvisando  un'ingiustificata
limitazione ai soli dipendenti  pubblici  dell'imposta  speciale  ivi
prevista, determinativa di un irragionevole effetto  discriminatorio;
indicando viceversa, in positivo, la compatibilita' costituzionale di
misure che, in  un'ottica  di  solidarieta'  economica  correlata  ad
eccezionali finalita' di carattere finanziario, si caratterizzino per
una modulazione universale dell'intervento impositivo  a  parita'  di
presupposti  economici;  compatibilita'   costituzionale   che,   con
specifico riferimento ai parametri costituzionali di cui al combinato
disposto degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione non puo'  essere
postulata nei confronti di disposizioni che  -  come  quella  oggetto
della  presente  rimessione  -  conducono   irragionevolmente   nella
fattispecie oggetto di scrutinio ad un prelievo «di solidarieta'» nei
confronti  dei  soli  magistrati  in  pensione,  pretermettendo,  per
l'effetto indotto dal decisum costituzionale di cui alla sentenza  n.
223  del  2012,  i  magistrati  in  servizio,  pur  in   una   ottica
emergenziale complessiva caratterizzata da identicita' di ratio,  con
il risultato, peraltro gia'  sanzionato  dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 119, del 1981, sub specie  della  vulnerazione  del
principio di eguaglianza in  relazione  alla  capacita'  contributiva
sancito dagli articoli 3 e 53 della  Costituzione,  che  la  suddetta
categoria di pensionati e' stata cosi'  colpita  in  misura  maggiore
rispetto ai titolari di altri  redditi  e,  piu'  specificamente,  di
redditi da lavoro dipendente. 
    Dall'altro  lato,  ulteriore  motivo  di  censura   puo'   essere
individuato nella stessa entita' del contributo di  perequazione  che
invero, non si correla con un altro  prelievo  speciale  di  indubbia
natura tributaria (cfr. sentenza  Corte  costituzionale  n.  223  del
2012), ovvero il contributo di  solidarieta'  previsto  dall'art.  2,
comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto  2011  convertito  in
legge n. 148 del 14 settembre 2011, secondo  cui  «In  considerazione
della eccezionalita'  della  situazione  economica  internazionale  e
tenuto conto  delle  esigenze  prioritarie  di  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere
dal  1°  gennaio  2011  e  fino  al  31  dicembre  2013  sul  reddito
complessivo di cui all'art. 8  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, e successive  modificazioni,  di  importo  superiore  a
300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del
3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini  della
verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il
reddito di  lavoro  dipendente  di  cui  all'art.  9,  comma  2,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  al  lordo  della  riduzione  ivi
prevista, e i trattamenti pensionistici di  cui  all'art.  18,  comma
22-bis, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111,  al  lordo  del
contributo  di  perequazione   ivi   previsto.   Il   contributo   di
solidarieta' non si applica sui redditi di cui all'art. 9,  comma  2,
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui  all'art.
18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il  contributo
di solidarieta' e' deducibile dal reddito complessivo. ...». 
    Con la conseguenza irragionevole  ed  ingiustificata  che  -  con
riferimento a interventi «di solidarieta'  connotati  da  sostanziale
identita'  di  ratio  -  i  contribuenti  titolari  di   un   reddito
complessivo superiore a 300.000 euro, sono tenuti al versamento di un
contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito  che  eccede
il predetto importo, qualunque siano le componenti del  loro  reddito
complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici  e  fermo  restando
che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a  quelli
gia'  assoggettati  al   contributo   di   perequazione;   mentre   i
contribuenti assoggettati al contributo  di  perequazione,  ovvero  i
ricorrenti,  versano  (per  far  fronte  alla  medesima   eccezionale
situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni  indicati
dall'art. 22-bis del decreto-legge n. 98/2011, convertito in legge n.
111/2011, come successivamente modificato dall'art. 24, comma  31-bis
del  decreto-legge  6  dicembre  2011,   n.   201,   convertito   con
modificazioni, dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214,  subendo  in
particolare un  prelievo  del  15%  sui  redditi  superiori  ad  euro
200.000;  quanto  sopra  -  in  disparte  la   circostanza   comunque
sintomatica, ancorche' non rilevante ai fini del  presente  giudizio,
che oltre la soglia di reddito di 300.000 euro lordi annui, a parita'
di reddito, si avra' per l'una categoria (tendenzialmente  universale
l'imposizione del 3%, per l'altra (circoscritta  ai  soli  pensionati
titolari di trattamenti di quiescenza corrisposti da enti gestori  di
forme di previdenza obbligatoria) l'imposizione del 15% - in  patente
violazione  dei  canoni  costituzionali  dell'eguaglianza   e   della
ragionevolezza  stabiliti  dall'art.  3,  nonche'  del  canone  della
capacita' contributiva e del criterio di progressivita' delle imposte
sanciti dall'art. 53;  noto  essendo  che  i  parametri  posti  dagli
articoli 3 e 53 della Costituzione postulano, nell'insegnamento della
giurisprudenza costituzionale, quale presupposto  di  un  ragionevole
esercizio della discrezionalita' legislativa in materia, un  raccordo
dell'imposizione   tributaria   con   la    capacita'    contributiva
nell'ambito: di un sistema  informato  a  criteri  di  progressivita'
declinati quale specificazione nel contesto tributario del  principio
di uguaglianza; parametri che appaiono pretermessi nella  circostanza
dal legislatore con la disposizione in esame. 
    Disposizione che, quale corollario delle censure  che  precedono,
qualora non venisse espunta dal sistema  giuridico,  ridonderebbe  in
ulteriore profilo di irrazionalita'  complessiva  del  sistema  delle
imposte speciali cosi' delineate (tutte,  come  visto,  connotate  da
analoga ratio  e  finalita'),  con  correlato  irragionevole  effetto
discriminatorio derivato (sub specie  della  coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con  il  suo  presupposto  economico),  tenuto
conto che lo stesso contributo di solidarieta' di cui citato art.  2,
comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto  2011  convertito  in
legge n. 148 del 14 settembre 2011, non si applica sui redditi di cui
all'art. 9, comma  2,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
di cui all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111; determinando percio' - in esito alla intervenuta declaratoria di
incostituzionalita' del disposto di  cui  all'art.  9,  comma  2  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recata dalla richiamata  sentenza
costituzionale n. 223 del  2012  -  un  irragionevole  ed  arbitrario
disallineamento   normativo   derivante   dall'asimmetricita',    nel
meccanismo impositivo del contributo di solidarieta', dei presupposti
reddituali di esclusione: atteso che il contributo di solidarieta' si
applica solo per la parte di reddito complessivo, eccedente i 300.000
euro, che trova capienza in redditi di categoria diversa da quelli di
lavoro dipendente dove rientrano retribuzioni e pensioni  proprio  in
quanto  rispettivamente  gia'  assoggettati  a  riduzione  (non  piu'
attuale in esito alla sentenza costituzionale n. 113 del 2012) ovvero
al contributo di perequazione (oggetto della  presente  ordinanza  di
rimessione); meccanismo che, nel  contesto  di  bilanciamento  tra  i
valori  costituzionali  dell'interesse  fiscale  e  della   capacita'
contributiva, si  connota  per  un  intrinseco  difetto  di  coerenza
interna e di razionalita' dell'assestamento normativo cosi'  venutosi
a delineare, come tale  -  alla  luce  dei  parametri  costituzionali
ripetutamente  evocati  -  sindacabile  alla  luce  del  criterio  di
irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso  trattamento  riservato
ai ricorrenti dalla norma qui oggetto di censura. 
    Per quanto suesposto, ai sensi dell'art. 23 secondo  comma  della
legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del   comma   22-bis
dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge   15   luglio   2011,   n.   111,   come
successivamente   modificato   dall'art.   24,   comma   31-bis   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza  e'  stata  solo
ribadita,  senza  nulla  innovare,  dall'art.   2,   comma   1,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli articoli
2, 3 e 53 della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  articoli  134  della  Costituzione;  1  della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
n.  87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  per
contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale del comma  22-bis  dell'art.  18,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come  successivamente  modificato
dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  solo  ribadita,  senza  nulla  innovare,
dall'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, con gli atti e con la  prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni prescritte nell'art.  23  della  legge  11  marzo
1953,  n.  87  (ex  articoli  1  e  2  del  regolamento  della  Corte
costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del giudizio. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  pubblica  udienza  del  giorno  22
febbraio 2013. 
 
                          Il giudice: Torri