N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 2013

Ordinanza del 21 marzo  2013  emessa  dal  Tribunale  di  Milano  nel
procedimento penale a carico di D. F. A.. 
 
Processo  penale   -   Incapacita'   dell'imputato   di   partecipare
  coscientemente  al  processo   -   Accertata   irreversibilita'   -
  Sospensione obbligatoria del procedimento - Sospensione  del  corso
  della prescrizione - Violazione dei  principi  di  uguaglianza,  di
  garanzia del diritto alla difesa, di rieducazione del condannato  e
  di ragionevole durata del processo. 
- Codice penale, art. 159, primo comma. 
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, 27, comma terzo,  e  111,
  comma secondo. 
(GU n.34 del 21-8-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza A. D. F. e' stato  convocato
a giudizio con decreto del 26 aprile 2001 per rispondere dei reati di
dichiarazione fraudolenta mediante  uso  di  fatture  per  operazioni
inesistenti e false comunicazioni sociali. 
    Fin dalla prima udienza dibattimentale del 20  novembre  2001  il
difensore dell'imputato ha rilevato come il proprio assistito  avesse
subito un incidente stradale e riportato serie e gravi  lesioni  tali
da evidenziare la sussistenza di un legittimo impedimento, nonche' la
necessita' di un approfondimento peritale  al  fine  di  valutare  la
capacita' di questi di partecipare coscientemente  al  processo  (nel
certificato medico prodotto in quel contesto si da' atto che D. F. e'
paziente paraplegico post traumatico, affetto  da  vescica  neurogene
con episodi ricorrenti di infezione urinaria). Il giudice stabili nel
corso della medesima udienza di espletare una perizia  medico-legale.
Tuttavia, alla prefissata udienza, poiche' si ebbe modo  di  rilevare
che  era  stato  adito  il  giudice  monocratico  a  dispetto   della
competenza funzionale del tribunale collegiale in relazione  all'art.
2621 del codice civile, venne disposta la trasmissione  del  processo
alla sede competente. Anche il tribunale in composizione  collegiale,
all'udienza del 6 giugno 2002,  valuto'  l'opportunita'  di  svolgere
l'accertamento richiesto e nomino' come perito la dottoressa F. B. La
consulenza svolta attesto' che D. F., i sotto il profilo psichico era
del tutto integro e pertanto capace di stare in giudizio,  segnalando
al contempo la gravita' del quadro clinico da ritenersi compromesso a
seguito dell'incidente subito il 12 novembre 2000 nel corso del quale
riporto'  un  grave  politrauma  con  lussazione   vertebro-midollare
D11-D12  con  immediata   paraplegia,   trauma   cranico   commotivo,
emopneumotorace  bilaterale,  rottura  di  milza  con  necessita'  di
splenectomia, lussazione al  gomito  destro,  frattura  del  malleolo
tibiale destro e rottura di  legamenti  al  ginocchio  destro,  vasta
ferita  lacero  contusa  alla  mano  destra.  La  gravita'  di   tali
condizioni  risultava  aggravata  dall'esacerbazione  della  sindrome
depressiva di cui il paziente gia' soffriva e per cui era in  terapia
farmacologica, e dalla  comparsa  di  crisi  comiziali  parziali  con
conseguente generalizzazione e  di  ulcere  da  decubito  in  regione
sacrale e trocanterica. Peraltro, all'udienza del 13  novembre  2002,
il perito evidenzio' la sussistenza di serie difficolta' di trasporto
dell'imputato a causa di profondissime ulcere, e il tribunale, tenuto
altresi' conto della certificazione  medica  prodotta  dalla  difesa,
rinvio' il processo all'udienza del 18 febbraio 2003, nel  cui  corso
venne  constatata  nuovamente  la   sussistenza   di   un   legittimo
impedimento dell'imputato a comparire  in  quanto  ricoverato  presso
l'istituto di riabilitazione Montecatone. 
    Da allora, sulla scorta dei  certificati  medici  prodotti  dalla
difesa,  attestanti  vuoi   la   difficolta'   di   trasporto,   vuoi
l'acutizzazione dello stato patologico di D. F. sono  stati  disposti
ulteriori rinvii per legittimo impedimento, fino all'udienza  dell'11
luglio 2005 quando il Tribunale decise  di  svolgere  nuovamente  una
perizia per  accertare  la  capacita'  dell'imputato  di  partecipare
coscientemente al processo.  Ancora,  la  dottoressa  B.  escluse  la
sussistenza di una  condizione  di  incapacita',  rilevando  che  gli
scompensi di tipo psichiatrico che avevano richiesto gli  accessi  al
pronto   soccorso,   quali   il   rallentamento   ideo-motorio,    il
disorientamento temporo-spaziale con allucinazioni visive, ovvero gli
episodi  di  assenza,  fossero   legati   all'abuso   della   terapia
farmacologica prescrittagli a base di  benzodiazepine  (D.  F.,  come
detto, fin dall'eta' giovanile era  affetto  da  sindrome  depressiva
aggravatasi  a  seguito  delle  lesioni  riportate  nel   corso   del
traumatico  incidente  subito).  Il  Tribunale,  all'udienza  del  18
gennaio 2006, revoco' impropriamente l'ordinanza di  sospensione  del
processo, rinviando all'udienza del 15 marzo 2006, nel  cui  contesto
il  difensore  chiese  un  rinvio  per  poter  valutare   l'eventuale
richiesta di patteggiamento. 
    Nel  corso  dell'udienza  del   27   aprile   2006,   a   seguito
dell'ennesima istanza di legittimo impedimento  dell'imputato,  venne
disposta una visita fiscale, le cui conclusioni attestanti un delirio
immaginativo su fondo  costituzionale  mitomaniaco  determinarono  il
Tribunale a disporre nuovi accertamenti, da parte  della  stessa  ASL
che confermarono tale stato patologico.  Il  difensore  dell'imputato
rilevo', inoltre, che proprio in quel periodo si stava  svolgendo  un
procedimento  volto  ad  una   pronuncia   di   interdizione   legale
dell'imputato.  Nel  corso  dell'udienza  del  9  luglio  2008  venne
acquisita la perizia effettuata nell'ambito del procedimento tutelare
attestante la presenza di una infermita' mentale abituale e  tale  da
inficiare completamente la capacita'  di  D.  F.,  di  riconoscere  e
provvedere ai propri interessi. Il Tribunale ritenne che  l'accertato
disturbo delirante cronico di tipo magalomaniaco fosse  incompatibile
con la possibilita' che D.  F.,  potesse  comprendere  e  partecipare
coscientemente al processo. 
    Ritenuta la sussistenza di una incapacita'  dell'imputato,  venne
pertanto sospeso il processo ai sensi dell'art. 70 c.p.p. 
    Da  allora,  si  sono  susseguite  nel   tempo   perizie   svolte
nell'ambito sia dell'odierno procedimento sia degli altri pendenti  a
carico dell'imputato che hanno confermato le  condizioni  patologiche
dell'imputato tali  da  inficiarne  la  cosciente  partecipazione  al
processo. 
    In  somma  sintesi,  oltre  alle  precarie   condizioni   fisiche
dell'imputato  cui  e'  stata  diagnosticata  una   paraplegia   post
traumatica agli  arti  inferiori,  e'  stato  acclarato  un  disturbo
psicotico non altrimenti specificato determinante una  perdita  della
capacita' processuale di tipo permanente (cfr.  perizia  redatta  dal
dottor M. G. del 15 febbraio 2010). 
    I medici hanno spiegato  che  D.  F.,  gia'  affetto  da  sintomi
depressivo-ansiosi, a partire dalla meta' degli anni 2000 ha iniziato
a presentare gravi alterazioni del funzionamento  psichico  correlate
all'abuso, ovvero alla improvvisa sospensione, di farmaci ansiolitici
a base di benzodiazepine, nonche' all'abuso di cocaina. Nel corso dei
ricoveri   ospedalieri   si   sono,   peraltro,   rilevati   disturbi
allucinatori, confusione mentale e incongruenze  comportamentali.  Il
complessivo  quadro  clinico  si   e'   aggravato   nel   tempo   per
l'instaurarsi nel 2006 di uno stato psicotico  e  per  il  progredire
della seria compromissione delle funzioni mentali dovute  a  fenomeni
degenerativi   atrofici   della   struttura    cortico-sottocorticale
cerebrale, rilevati con la Tac (cfr. perizia a firma del dottor F. M.
del 30 marzo 2011). Le attivita' cognitive sono  risultate  altamente
compromesse, la sfera emotiva gravemente degradata e la  facolta'  di
pensiero deteriorata, anche per la segnalazione di disturbi  di  tipo
delirante. Sono state, inoltre, segnalate alterazioni delle  funzioni
neurologiche. 
    Anche l'ultimo accertamento  peritale  svolto  ha  confermato  lo
stato psicotico cronico determinato, in misura rilevante, da processi
degenerativi cerebrali, documentati da esami  strumentali,  innescati
da protratti, ormai remoti, abusi di «sostanze» ad azione tossica. Il
quadro clinico e' stato definito di natura demenziale,  nonche'  tale
da impedire all'imputato di partecipare  coscientemente  al  processo
per  profondi  deficit  della  comprensione,  dell'elaborazione   del
pensiero,    della    congruita'     affettivo-relazionale,     della
disponibilita' del volere (cfr. perizia a firma del dottor F. M.  del
2 febbraio 2013). 
    La ricostruzione svolta consente di evidenziare  due  circostanze
meritevoli di attenzione nell'ambito dell'odierna trattazione. 
    Da un lato, va detto che la prognosi formulata  concordemente  da
differenti specialisti in ordine alla condizione patologica di D.  F.
in termini di cronicita' e irreversibilita' non risulta opinabile.  A
seguito, infatti, di un'iniziale accertata capacita' di comprendere e
relazionarsi, pur nell'ambito di un quadro psico-fisico  compromesso,
si e' potuto constatare il progressivo aggravamento delle  condizioni
psichiche dell'imputato, per  l'insorgere  di  un  quadro  psicotico,
prima assente, legato a fenomeni degenerativi cerebrali. Proprio tale
involuzione esclude la sussistenza di dubbi in ordine ad un possibile
miglioramento  delle  condizioni  cliniche  di  D.  F.  Si   ricordi,
peraltro, che i consulenti nominati negli anni  dal  Tribunale  hanno
definito come  permanente  la  perdita  della  capacita'  processuale
ovvero di carattere cronico lo stato psicotico dell'imputato. 
    D'altro lato, va evidenziato il tempo trascorso dalla commissione
dei fatti cosi' come contestati. 
    Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso  di  fatture
per  operazioni   inesistenti   contestato   al   capo   a)   secondo
l'imputazione e' stato commesso fino al giugno  1998.  Tale,  dunque,
deve ritenersi il termine indicativo della consumazione del reato, in
assenza dell'indicazione precisa della data in cui  la  dichiarazione
IVA per l'anno 1997 oggetto della contestazione venne presentata.  Il
termine massimo di prescrizione piu' favorevole pari a sette  anni  e
mezzo, come risultante a seguito delle modifiche normative introdotte
con la legge 5 dicembre 2005, n. 251, e', pertanto,  da  individuarsi
nel 30 novembre  2005.  Cio'  posto,  anche  calcolando  come  intero
periodo   di   sospensione   del   corso   della   prescrizione   per
l'accertamento di un legittimo impedimento  quello  dal  20  novembre
2001 al 9 luglio 2008. data in cui e' stata disposta  la  sospensione
del processo ai sensi dell'art.  70  cpp  per  accertata  incapacita'
dell'imputato   a   partecipare    al    procedimento,    a    fronte
dell'attestazione di un disturbo delirante cronico, si deve  rilevare
che il delitto se, a tale accertamento non fosse conseguita  altresi'
la sospensione del corso della prescrizione, risulterebbe estinto per
prescrizione in data 20 luglio 2012. 
    Quanto al reato di false comunicazioni  sociali  contestato  come
commesso fino al 31 dicembre 1997, si deve  rilevare  che  a  seguito
della normativa sopravvenuta che con il decreto-legge n.  61/2002  ha
trasformato in contravvenzione il delitto previsto dall'art. 2621 del
codice civile il termine massimo prescrizionale  e'  pari  a  quattro
anni e mezzo (dovendosi ritenere piu' favorevole in  questo  caso  la
normativa sui termini prescrizionali vigente all'epoca dei fatti). In
tal caso, anche tenuto conto  della  sospensione  nei  termini  sopra
chiariti, il reato risulterebbe estinto il 18 febbraio 2009. 
    Ebbene, le circostanze evidenziate hanno indotto  il  collegio  a
ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione  della
legittimita' costituzionale dell'art. 159, primo  comma,  del  codice
penale, nella parte in cui prevede la  sospensione  del  corso  della
prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli  articoli
71  e   72   c.p.p.,   laddove   sia   accertata   l'irreversibilita'
dell'incapacita'  dell'imputato  di  partecipare  coscientemente   al
processo, per contrasto con gli articoli 3, 24,  secondo  comma,  27,
terzo comma e 111, secondo comma della Costituzione. 
    Quanto alla rilevanza, si e' appena osservato che  se  non  fosse
intervenuta  l'ordinanza  di  sospensione   del   processo   con   la
conseguente sospensione del corso della prescrizione i reati ad  oggi
sarebbero prescritti. 
    Si deve  aggiungere,  in  proposito,  che  proprio  la  descritta
progressione della malattia dell'imputato  impone  di  escludere  che
questi all'epoca dei fatti fosse incapace di intendere. Del resto, il
dottor F. M., perito del  Tribunale  nell'ambito  degli  accertamenti
disposti ai sensi dell'art. 70 c.p.p., espressamente interpellato sul
punto con specifico quesito all'udienza  del  15  febbraio  2012,  ha
spiegato  che  sebbene  D.  F.  all'epoca  dei  fatti  fosse  in  una
condizione di disagio psichico configurante una sindrome  depressiva,
non  vi  sono  elementi  che  consentano  di  affermare   che   fosse
compromessa la sua capacita' di comprendere  la  natura  degli  atti,
valutandone le conseguenze, e di autodeterminarsi  liberamente  (cfr.
perizia a firma del dottor F. M. del 10 giugno 2012). 
    Non   appare,   pertanto,   ipotizzabile   una    pronuncia    di
proscioglimento,  ne'  dagli  atti  emerge  la  possibilita'  di  una
sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato  ovvero
che siano utilmente esperibili mezzi di prova utili ai  fini  di  una
simile pronuncia. 
    La questione appare, inoltre, non manifestamente infondata. 
    La medesima  questione,  come  e'  noto,  e'  stata,  da  ultimo,
sollevata con ordinanza del 27  febbraio  2012  dal  giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di Alessandria nell'ambito  di  un
processo per delitto di omicidio colposo (art. 589, primo  e  secondo
comma, c.p.), in relazione ad un incidente stradale  verificatosi  il
16 ottobre 2001, nel quale aveva perso la vita la persona trasportata
nel veicolo condotto dall'imputato. Nell'ambito dello stesso sinistro
l'imputato aveva riportato serie lesioni che  provocarono  un  trauma
encefalico  grave,  determinante   una   condizione   di   infermita'
permanente e totale con prognosi di irreversibilita'. 
    La Corte costituzionale, in tal  modo  adita,  nell'ambito  della
sentenza emessa l'11 febbraio 2013, pur dichiarando inammissibile  la
questione, ha dato atto della sussistenza nell'odierno ordinamento di
una reale problematica connessa alle norme concernenti la sospensione
della prescrizione dei reati (art.  159,  primo  comma,  c.p.)  e  la
sospensione del processo per incapacita' dell'imputato (articoli 71 e
72 c.p.p.), che di fatto consentono che, in caso sia stata accertata,
(con le modalita' di cui all'art. 70 c.p.p.), la natura irreversibile
dell'infermita' mentale sopravvenuta al fatto idonea a precludere  la
cosciente partecipazione al giudizio dell'interessato,  si  verifichi
una situazione di pratica imprescrittibilita' del  reato.  La  Corte,
tuttavia, ha evidenziato come  tale  problematica  non  possa  essere
risolta in  sede  di  sindacato  di  costituzionalita',  non  essendo
ravvisabile  una  conclusione   costituzionalmente   obbligata.   Nel
medesimo provvedimento, la Corte ha, peraltro, evidenziato  come  non
sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in
ordine al grave problema individuato. 
    Ebbene, poste queste  premesse,  dandosi  atto  che  non  risulta
prioritaria,  allo  stato,  nel   calendario   del   legislatore   la
risoluzione della suddetta problematica, appare necessario illustrare
le ragioni che hanno indotto anche questo  collegio  a  sollevare  la
suddetta questione. 
    L'analisi impone, dunque, di individuare la ratio della normativa
enucleata dall'art. 159 c.p. che prevede la sospensione  del  termine
di prescrizione in determinate ipotesi e verificare se l'applicazione
della  medesima  normativa  ai  casi   di   incapacita'   processuale
permanente ed irreversibile dell'imputato sia  conforme  ai  principi
costituzionali di uguaglianza, di garanzia del diritto  alla  difesa,
di rieducazione del condannato e di ragionevole durata  del  processo
sanciti dagli articoli 3,24, secondo comma, 27, terzo  comma  e  111,
secondo comma, Cost. 
    La  scelta  del  legislatore  di   sospendere   il   termine   di
prescrizione   del   reato   deriva   dal   principio   secondo   cui
l'impossibilita'  di  procedere  e   di   raggiungere   una   verita'
processuale, nei casi in cui vi e' un blocco forzato e determinato da
cause indipendenti al sistema giudiziario, non puo' avere conseguenze
in ordine ai tempi  imposti  dall'ordinamento  di  pervenire  ad  una
decisione. La prescrizione, quale causa estintiva del  reato  per  il
decorso del tempo, e' legata al principio di ragionevole  durata  del
procedimento secondo cui la pretesa punitiva dello stato puo'  essere
fatta valere solo quando  e'  ancora  vivo  l'allarme  sociale  (cfr.
sentenze Corte costituzionale n. 202 del 1971 e n. 254 del 1985) e la
pena  stessa  puo'  svolgere  una   funzione   retributiva,   nonche'
rieducativa nei confronti del condannato. Per  determinare  il  tempo
nell'ambito del quale permane il suddetto  interesse  punitivo  dello
Stato, tempo che di per se' varia a seconda della gravita' dei  fatti
da giudicare sulla base delle scelte discrezionali  del  legislatore,
non possono, dunque, essere calcolati i momenti di stasi  processuale
legati  all'interesse  delle  parti  o   comunque   indipendenti   da
problematiche strettamente connesse al sistema giudiziario. 
    Cio'  che  deve  essere  evidenziato  e'  che  tutte  le  ipotesi
enucleate dall'art. 159 c.p.  riguardano  fattispecie  transitorie  e
destinate ad avere esito in un ragionevole arco di tempo. 
    In particolare, si ricordi che la disposizione  di  cui  all'art.
159 c.p., comma 1, n. 3, cosi' come sostituito dalla legge 5 dicembre
2005, n. 251, art. 6, comma 3,  stabilisce  che  la  prescrizione  e'
sospesa, tra l'altro, in caso di sospensione dei procedimento  o  del
processo penale  «per  ragioni  di  impedimento  delle  parti  e  dei
difensori, ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore». La
norma disciplina la durata della sospensione del processo, stabilendo
che, in ipotesi di sospensione del  processo  per  impedimento  delle
parti o dei difensori (e non quindi anche nell'ipotesi di sospensione
a richiesta dell'imputato o del suo difensore,  cfr.  Cass.  Sez.  I.
sentenza n. 5956 del 4 febbraio  2009),  l'udienza  non  puo'  essere
differita oltre il sessantesimo giorno  successivo  alla  prevedibile
cessazione dell'impedimento, ovvero calcolando la  sospensione  della
prescrizione  per  il  solo  tempo  dell'impedimento,  aumentato   di
sessanta giorni. 
    Si deve premettere che tale disciplina riguarda  una  determinata
ipotesi, peraltro quella assimilabile alla sospensione  del  processo
per incapacita', ed ha la  finalita'  di  limitare  temporalmente  la
durata della sospensione, finalita' che  non  sussiste,  invece,  nei
rinvii  del  dibattimento  su  richiesta  di  parte  dove  soccorrono
esigenze diverse da quelle costituenti  legittimo  impedimento  (cfr.
Cass. Sez. 3, sentenza n. 45968 del 27 ottobre 2011, laddove e' stato
chiarito che si puo'  ritenere  logico  contemperare  l'aggravio  per
l'ufficio giudiziario derivante dal soddisfacimento  di  esigenze  di
parte, rimettendo alla sua determinazione la  durata  del  rinvio  in
modo da tener conto delle esigenze dell'ufficio medesimo). 
    Cionondimeno, la normativa  descritta  appare  sintomatica  della
funzionalita' dell'istituto della sospensione  della  prescrizione  a
regolare  situazioni  transitorie  e  comunque   destinate   ad   una
soluzione. 
    Le   considerazioni   svolte    mettono    in    luce,    dunque,
l'irragionevolezza   dell'applicazione   della    disciplina    della
sospensione  del  tempo  della  prescrizione  alle  ipotesi  in   cui
l'impedimento sia legato ad una incapacita' processuale irreversibile
dell'imputato per violazione del principio di uguaglianza, in  quanto
a  situazioni  del  tutto  difformi   viene   riservato   lo   stesso
trattamento. Ed infatti, appare  irragionevole  che  alla  condizione
dell'imputato  incapace  in  modo  irreversibile  di  partecipare  al
processo  seguano   le   stesse   conseguenze   giuridiche   previste
dall'ordinamento nei casi  di  impedimenti  transitori  (sia  che  si
tratti di una incapacita' processuale transitoria, accertata  con  le
modalita' di cui all'art. 70 c.p.p., sia che si tratti di un generico
impedimento). 
    Si  deve,  in  proposito,  ancora  osservare  che   la   predetta
condizione di incapacita' processuale appare piuttosto  assimilabile,
per  la  definitivita'   dell'accertamento   ad   esso   sottostante,
all'ipotesi di morte del reo, ipotesi in relazione  alla  quale,  per
l'impossibilita' di punire l'imputato, lo Stato rinuncia alla propria
potesta'  punitiva,  ovvero  compie  una  scelta  del  tutto  opposta
rispetto a quella che giustifica la sospensione della prescrizione. 
    Va, dunque, detto che l'equiparabilita' tra tali  fattispecie  e'
stata posta in dubbio sulla base  dei  possibili  margini  di  errore
insiti nella prognosi di irreversibilita' della patologia  impeditiva
di una cosciente partecipazione  dell'imputato  ai  processo,  tenuto
conto  anche  dell'eventualita'  di  comportamenti  simulatori  (cfr.
ordinanze Corte costituzionale n. 33 del 2003 e  n.  298  del  1991).
Tali margini di  errore,  invece,  non  sussistono  nell'accertamento
dell'evento morte, che  comporta  il  venir  meno,  sul  piano  della
realta', di uno dei soggetti di quel rapporto (cfr.  ordinanza  Corte
costituzionale n. 289 del 2011). 
    Si deve, in proposito, osservare che  se  certamente  la  scienza
medica e' connotata da margini di fallibilita', come del  resto  ogni
scienza, cionondimeno il legislatore ha previsto che  siano  poste  a
fondamento di decisioni giurisdizionali  diagnosi  mediche  anche  in
punto  di  irreversibilita'  o  permanenza  (si  pensi  alle  lesioni
gravissime di cui all'art. 583 c.p., nell'ipotesi che  sia  accertato
lo sfregio permanente del viso). 
    Del resto, l'equiparabilita' delle fattispecie in esame che preme
sottolineare non ha  il  fine  di  invocare  interventi  della  Corte
sull'art. 150 c.p. Tale soluzione renderebbe certamente piu' cruciali
le   problematiche   connesse   all'accertamento    in    punto    di
irreversibilita', problematiche che, invece, appaiono stemperate  nel
contesto della disciplina enucleata dall'art. 72 c.p.p.  che  prevede
la verifica periodica delle condizioni dell'imputato e, nei  termini,
come si auspica non sospesi, della  prescrizione,  consentirebbe  una
maggiore cristallizzazione dell'accertamento stesso. 
    Va ricordato, inoltre, che e' stato evidenziato che l'ordinamento
ha inteso fornire diverse forme  di  tutela  rispondenti  a  difformi
esigenze in ordine alle due ipotesi in esame: l'estinzione del  reato
per morte del reo si giustifica sulla base del principio di carattere
sostanziale di personalita' della responsabilita' penale,  mentre  la
previsione di una  preclusione  allo  svolgimento  del  processo  nei
confronti  del  soggetto  incapace  di  parteciparvi   ha   finalita'
processuali volte a garantire il  diritto  di  difesa,  inteso  nella
particolare   accezione   della   difesa   personale   o   autodifesa
dell'imputato (cfr. ancora ordinanza Corte costituzionale n. 289  del
2011, nonche' sentenza n. 281 del 1995). 
    Evidenziare la suddetta equiparabilita' ha, dunque, lo  scopo  di
mettere in luce l'irragionevolezza  della  disciplina  dell'art.  159
c.p. non solo con riferimento al principio di uguaglianza nei termini
esposti, ma anche avuto  riguardo  alla  violazione  del  diritto  di
difesa. Ed infatti, proprio la suddetta ratio sottesa alla disciplina
della sospensione del processo, in caso  di  incapacita'  processuale
irreversibile, rischia di essere frustrata  dalle  conseguenze  della
sospensione del corso della prescrizione  perche',  nell'eventuale  e
improbabile ipotesi in cui l'incapacita' venga  meno,  l'imputato  si
troverebbe costretto a difendersi  nell'ambito  di  un  processo  per
fatti risalenti nel tempo con le evidenti difficolta'  di  apprestare
una adeguata strategia difensiva. 
    In  sostanza,  poiche'  i  casi  di   irreversibile   incapacita'
processuale non appaiono avere sbocchi se  non  in  limitate  ipotesi
comunque determinate da un significativo decorso del tempo  idoneo  a
consentire una  modifica  delle  condizioni  dell'interessato  ovvero
delle  cognizioni  mediche  (ipotesi  questa  suggerita   nell'ambito
dell'ordinanza Corte costituzionale n. 33 del  2003),  l'imputato  si
troverebbe nella condizione  di  essere  eternamente  giudicabile  e,
qualora  l'incapacita'  dovesse  finalmente  cessare,  si  troverebbe
nell'impossibilita' concreta di difendersi adeguatamente. 
    Inoltre, la pena comminata a seguito  di  un  processo  svolto  a
distanza di tempo ed a  seguito  di  una  interruzione  dello  stesso
legata a serie problematiche cognitive  dell'imputato,  difficilmente
potrebbe svolgere la funzione rieducativa imposta dalla Costituzione. 
    Tale questione e' strettamente connessa all'ulteriore profilo  di
incostituzionalita' evidenziato, ovvero alla violazione del principio
di ragionevole  durata  del  processo,  nella  duplice  accezione  di
«garanzia    oggettiva»,    relativa    al     buon     funzionamento
dell'amministrazione della giustizia e  all'esigenza  di  evitare  la
prosecuzione di giudizi dilatati nel tempo, anche  tenuto  conto  dei
relativi oneri economici, nonche'  di  «garanzia  soggettiva»,  quale
diritto dell'imputato ad essere giudicato in  un  tempo  ragionevole,
sancito  altresi'  dall'art.  6  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848).  In
altri termini, la dilatazione temporale del processo a carico  di  un
imputato incapace a parteciparvi coscientemente non solo sacrifica il
cosiddetto diritto di  questi  all'oblio,  ma  comporta  altresi'  un
inutile dispendio di energie e risorse dello stato. 
    Si deve aggiungere che  l'analisi  del  caso  concreto  in  esame
consente di  evidenziare  tutte  le  predette  antinomie  e  superare
eventuali argomentazioni contrarie. 
    A. d. F. e' stato ritenuto legittimamente impedito a  partecipare
al processo a causa delle  problematiche  psico-fisiche  riscontrate.
Come si  e'  visto,  nella  prima  fase  processuale,  non  e'  stata
accertata una compromissione della sfera psichica  e  i  disturbi  di
ordine psichiatrico riscontrati  sono  stati  ritenuti  transitori  o
comunque non idonei  ad  inficiare  la  partecipazione  cosciente  al
processo, tanto che e' stata disposta una serie  di  rinvii,  con  la
conseguente sospensione del corso della prescrizione. Proprio  tenuto
conto  della  ritenuta  transitorieta'  delle   suddette   condizioni
impeditive alla celebrazione del dibattimento,  ed  alla  proposi  di
risoluzione delle problematiche riscontrate, la suddetta sospensione,
seppur protratta nel tempo, non puo' che risultare in armonia  con  i
principi dell'ordinamento. 
    Il  quadro  risulta  del  tutto  difforme  una  volta   acclarata
l'incapacita' di partecipazione cosciente da parte dell'imputato, per
le mutate condizioni psico-fisiche, peraltro divenute  irreversibile.
Tale incapacita', documentata  e  accertata  da  diversi  medici,  ha
creato una stasi processuale, priva di qualsivoglia  possibilita'  di
soluzione, proprio in virtu' della disposta sospensione del  processo
ai sensi dell'art. 70 c.p.p.  e  della  conseguente  sospensione  del
corso della prescrizione. 
    Ebbene, l'equiparazione  in  termini  di  conseguenze  giuridiche
delle due situazioni di fatto descritte, diverse  ontologicamente  in
merito alle  caratteristiche  di  irreversibilita'  delle  condizioni
dell'imputato, appare in contrasto con i principi di uguaglianza,  di
ragionevole durata  del  processo,  di  rieducazione  del  condannato
nonche' in violazione del diritto di difesa. Mentre,  infatti,  prima
dell'aggravamento dello stato di salute dell'imputato, la sospensione
del  processo  risultava  giustificata  dalla  transitorieta'   della
situazione e l'interesse punitivo dello stato poteva ritenersi ancora
vivo,  una  volta  definita   l'irreversibilita'   delle   condizioni
dell'uomo, e, dunque, una volta modificatasi la situazione di  fatto,
non si rinvengono le ragioni di una uguale protrazione del  processo,
con l'unica certezza dell'aumento dei costi  per  lo  stato,  nonche'
dell'affievolimento  dell'interesse  e   dell'opportunita'   di   una
perdurante  pretesa  punitiva.  E   se   la   giustificazione   della
protrazione, fino verosimilmente alla morte  dell'imputato,  potrebbe
essere spiegata con l'astratta possibilita'  di  una  modifica  della
situazione nel tempo ovvero di un diverso accertamento medico, non va
dimenticato che l'interessato si troverebbe, a quel punto, a  doversi
difendere senza averne gli effettivi strumenti a  causa  del  decorso
del  tempo  e   difficilmente   potrebbe   percepire   il   messaggio
riabilitativo insito nell'eventuale condanna. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e  la  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
159 c.p., nella parte in cui prevede la sospensione del  corso  della
prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli  articoli
71  e   72   c.p.p.,   laddove   sia   accertata   l'irreversibilita'
dell'incapacita'  dell'imputato  di  partecipare  coscientemente   al
processo, per ritenuto contrasto con gli articoli  3,  24,  27  terzo
comma e III Costituzione, sospende il presente procedimento a  carico
di A. d. F. 
    Dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche',  ove  ne  ravvisi   i   presupposti,   voglia   dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  159  c.p.,  nella  parte
indicata. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
      Milano, 21 marzo 2013 
 
                            Il Presidente