N. 695 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2001

Ordinanza  emessa  il  6 giugno 2001 dalla Corte di appello di Genova
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Elettrosiderurgica Italiana
S.p.a. e Amministrazione delle finanze dello Stato

Imposte  e  tasse  -  Tributi  indebitamente  versati  (nella specie:
  addizionale   al   consumo   di  energia  elettrica)  -  Azione  di
  ripetizione  -  Onere probatorio della mancata traslazione su altri
  soggetti  -  Sussistenza  per  i  tributi  riscossi  in  violazione
  dell'ordinamento  italiano  ed  esclusione  per  quelli riscossi in
  violazione dell'ordinamento comunitario - Disparita' di trattamento
  di  situazioni  omogenee  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte
  costituzionale  n. 114/2000 e riferimenti alle precedenti ordinanze
  della stessa Corte costituzionale nn. 651/1988, 807/1988, 172/1989,
  e 197/1999 (recte: 197/1989).
- Decreto-legge  30  settembre  1982,  n. 688,  art. 19, primo comma,
  convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.38 del 3-10-2001 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato la seguente Ordinanza nel procedimento di appello
iscritto  al  n. 103  R.G.  1995,  promosso  dalla Elettrosiderurgica
italiana  S.p.A.,  in  persona  del  legale  rappresentante in carica
Gianfranco Farisoglio amministratore delegato, rappresentata e difesa
dall'avv.  Giuseppe  Guarino e dall'avv. Vitaliano Lorenzoni del foro
di  Roma  e  dall'avv.  Carlo  Cardillo  del  foro  di Genova, presso
quest'ultimo   elettivamente   domiciliata  in  Genova  piazza  della
Vittoria l2/28, appellante;
    Nei  confronti  dell'Amministrazione delle finanze dello Stato in
persona  del Ministro delle finanze in carica, rappresentata e difesa
per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa
legalmente domiciliata in Genova via Brigate Partigiane l2, convenuta
in  appello; avverso la sentenza del tribunale di Genova 26 aprile 29
giugno 1994 n. 2405, in materia di rimborso tributi.
                              in  fatto
    Con    citazione    notificata    il   17   dicembre   1992,   la
Elettrosiderurgica  Italiana S.p.a. ha convenuto in giudizio, davanti
al  ribunale  di Genova, l'Amministrazione delle finanze dello Stato,
per  sentir "accertare il diritto della societa' attrice a non pagare
l'imposta   addizionale   di  cui  all'art. 4  del  decreto-legge  30
settembre  1989  n. 332  e  successive  modificazioni;  e  condannare
l'Amministrazione  finanziaria  dello  Stato  a  rimborsare  le somme
indebitamente  pretese  e  percette  per  tale  titolo  dal  bimestre
settembre-ottobre  1989  al  bimestre maggio-giugno 1992, pari a lire
1.720.156.719  o  la  somma  che  risultera'  di  giustizia,  con gli
interessi  legali  e  il  maggior  danno  di cui all'art. 1224 c.c.":
quanto   sopra,  con  riferimento  all'elettricita'  impiegata  nello
stabilimento di Cairo Montenotte per la trasformazione di minerale di
manganese  in  ferroleghe  di  manganese mediante forno elettrico, da
qualificarsi  alla  stregua  di  energia di processo cioe' di fattore
insostituibile  della  produzione  incorporantesi  nel prodotto, come
tale  esclusa  dall'ambito di applicazione dell'imposta di consumo ai
sensi  del decreto legislativo 11 aprile 1947 n. 226 (art. 1 lett. a)
sottolett.  d)),  del  decreto-legge  6  ottobre 1948-n. 1199 (art. 1
terzo  comma  lett.  d)),  ed ora della legge 31 dicembre 1966 n. 940
art. 2 terzo comma), e quindi esente anche dall'addizionale istituita
con  il decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332 convertito in legge 27
novembre 1989 n. 384.
    L'Amministrazione  convenuta  ha eccepito che tutte le ipotesi di
esclusione  dalla  tassazione  sarebbero  da considerare esenzioni in
relazione  alle  quali  dovrebbe  trovare  applicazione  il  disposto
dell'art. 4  terzo comma della legge citata secondo cui "le esenzioni
vigenti  per  l'imposta erariale sul consumo di energia elettrica non
si estendono all'addizionale di cui al comma primo"; e, sotto diverso
profilo,  che  tratterebbesi di imposta autonoma rispetto all'imposta
erariale di consumo.
    Questa  seconda  prospettazione e' stata accolta dal tribunale di
Genova,  il  quale, con la sentenza 28 aprile-29 giugno 1994 n. 2405,
ha  rigettato  le  domande della societa' attrice, affermando: che la
disciplina  positiva  dell'istituto  non  consente che le addizionali
erariali   siano  qualificate  come  tributi  accessori  dell'imposta
erariale  di  consumo  dell'energia elettrica, essendo innegabile che
esse,  pur  essendo  liquidate  e  riscosse  con  le stesse modalita'
dell'imposta  erariale,  e  pur  colpendo  come  l'altra  il  consumo
dell'energia  elettrica,  sono  connotate  da  marcati  caratteri  di
autonomia,  incompatibili  con  la  nozione  di  imposta  addizionale
ricavabile   dai   precedenti   legislativi   e   dalla  elaborazione
dottrinale;  che  l'addizionale  in  questione  non e' commisurata al
tributo   principale   ma   autonomamente  determinata  in  relazione
all'unita'   di   misura  di  energia  elettrica  consumata;  che  il
presupposto  impositivo dell'addizionale, costituito da qualsiasi uso
di  energia  elettrica  compreso  l'impiego  in  processi  produttivi
industriali,  e'  diverso  da  quello  dell'imposta  erariale  che si
applica al consumo di energia elettrica per gli usi di illuminazione,
forza  motrice  e  apparecchiature,  con  esclusione  dell'impiego in
processi produttivi industriali.
    Avverso  la suddetta sentenza del tribunale di Genova ha proposto
appello  la  Elettrosiderurgica  italiana  S.p.A. con atto notificato
all'Amministrazione delle finanze il 25 gennaio 1995.
    L'Amministrazione  delle  finanze  ha  resistito all'impugnazione
chiedendone la reiezione.
                             in  diritto
    L'art. 1  ultimo  capoverso della legge 31 ottobre 1966 n. 940 ha
sottratto all'applicazione dell'imposta erariale di consumo l'energia
elettrica  impiegata  negli  opifici  industriali  come riscaldamento
negli usi indispensabili al compimento di processi industriali veri e
propri.  Tale disposizione e' stata confermata nelle leggi successive
e,  da ultimo, dall'art. 52 del decreto-legge 26 ottobre 1995 n. 504,
il  quale ne ha anzi esteso la portata all'energia elettrica connessa
a processi elettrochimici.
    Con  decreto-legge 28 novembre 1988 n. 511 convertito in legge 27
gennaio  1989  n. 20  e'  stata  istituita l'addizionale a favore dei
comuni  e  delle  province:  con l'art. 6 comma 4 (come modificato in
sede  di conversione) e' stato disposto che "le esenzioni vigenti per
l'imposta  di  consumo  sull'energia  elettrica non si estendono alle
addizionali;   sono  tuttavia  esenti  i  consumi  per  illuminazione
pubblica e per l'esercizio delle attivita' di produzione, trasporto e
distribuzione dell'energia elettrica.
    Con   l'art. 4   del   decreto-legge  30  settembre  1989  n. 332
convertito  in  legge  27  novembre  1989  n. 384  e' stata istituita
l'addizionale  erariale,  con  previsione  (comma  3  dell'art. 4) di
esenzione  del  tutto coincidente con quella di cui al citato comma 4
dell'art. 6 del decreto-legge 28 novembre 1988 n. 511.
    Con  l'art. 4  del  decreto-legge  28 giugno 1995 n. 250 e' stato
stabilito   che   non  e'  assoggettata  alle  addizionali  l'energia
elettrica  impiegata  come  materia  prima  nei  processi industriali
elettrochimici  ed  elettrometallurgici  con  fornitura  a tariffa ad
altissima  utilizzazione.  Tale disposizione e' stata modificata, con
la  legge  di conversione 8 agosto 1995 n. 349, nei termini seguenti:
"Il comma 4 dell'art. 6 del decreto-legge n. 511 del 28 novembre 1988
e   il  comma  3  dell'art. 4  del  332  del  30  settembre  1989  si
interpretano  nel  senso  che  e'  assoggettata  alle addizionali ivi
previste   anche   l'energia   elettrica   impiegata   negli  opifici
industriali come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento
di  processi  industriali  veri  e  propri.  Non e' assoggettata alle
addizionali  l'energia  elettrica  utilizzata  come materia prima nei
processi   industriali   elettrochimici  ed  elettrometallurgici  ivi
comprese le lavorazioni siderurgiche e delle fonderie."
    Con  il  primo  comma  dell'art. 1  della  legge 23 dicembre 2000
n. 388  (legge finanziaria 2001) e' stato disposto che "l'addizionale
erariale di cui all'art. 4 del decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332
convertito  con  modificazioni  dalla  legge 27 novembre 1989 n. 384,
come  da ultimo modificato dall'art. 10 comma 5 della legge 13 maggio
1999  n. 133,  e'  soppressa,  e  il  predetto  art.  4 e' abrogato."
Peraltro,  l'abolizione  -  non retroattiva - del tributo non esplica
incidenza  sulla  presente  materia  del  contendere  che  attiene al
rimborso  di  somme  corrisposte  nel  vigore e in applicazione della
normativa abrogata.
    La  Corte di cassazione con la sentenza 26 luglio 1996 n. 6776 ha
affermato:  che  la  distinzione  tra  soggetti esenti e soggetti non
assoggettati  all'imposta  non  e'  decisiva  in quanto "per un verso
infatti   non  si  ravvisa  nelle  disposizioni  indicate  un  sicuro
discrimine  che  valga  a distinguere nettamente l'ipotesi di mancato
assoggettamento  dell'imposta a quella di esenzione dalla stessa; per
altro verso questa distinzione si manifesta disomogenea nelle ipotesi
in  cui i concetti di esenzione e di non assoggettabilita' sono stati
usati  promiscuamente  o  con  insufficiente  precisione";  che e' da
escludere   che   l'addizionale   integri  un  tributo  completamente
autonomo,  sganciato  dall'imposta erariale; che restava, ai fini del
decidere,  da  esaminare  se  potesse accedersi alla tesi secondo cui
"l'esenzione  tanto  dall'imposta principale quanto dall'addizionale,
essendo  ricollegabile  alla  particolare  natura della materia prima
adoperata  dall'opificio  industriale (nella specie proprio l'energia
elettrica)  non  poteva  colpire  anche  quelle imprese che di questa
facessero  un  uso  indispensabilmente  finalizzato al compimento dei
processi  industriali  che  sono  loro  propri  che deve riconoscersi
l'applicabilita'  della  norma interpretativa citata alle fattispecie
verificatesi  in epoca anteriore alla stessa, dappoiche' "essendo ben
noto  che  le  norme  di  interpretazione  autentica  hanno efficacia
retroattiva,    non    sembra    accettabile    la   tesi   formulata
dall'Amministrazione finanziaria secondo la quale tale natura avrebbe
solo  la  prima  parte del suddetto art. 4, ragion per cui il secondo
periodo,  quello  che pone l'esenzione particolare, costituirebbe una
norma   nuova,   avente   quindi  efficacia  dall'entrata  in  vigore
dell'ultima  legge. Non vi e' infatti alcun motivo di scindere le due
parti  della  stessa norma che consta di un solo comma (non e' diviso
in  due  parti neppure dalla creazione di un secondo precetto). E del
resto,  che  con  l'ultima  parte  della  disposizione  si sia inteso
regolare ex professo anche la posizione di questi particolari opifici
industriali,  emerge  dal  fatto  che la questione relativa alla loro
soggezione    all'addizionale    era    stata   vivamente   dibattuta
nell'ambiente   e   consigliava   quindi  la  definitiva  parola  del
legislatore sul tema.
    La   funzione   interpretativa   della   norma,  e  la  efficacia
retroattiva  di  essa,  sono  state  ribadite  da Cass. 6 maggio 1998
n. 4565  sul  rilievo che "i due periodi in cui si articola parimenti
si  riferiscono  agli  usi indispensabili nei procedimenti produttivi
industriali,  perche'  gli  usi  nei  procedimenti  elettrochimici ed
elettrometallurgici  fanno  parte  di  detti  usi indispensabili e ne
costituiscono  un  settore;  sono  entrambi  reti  dallo stesso verbo
assoggettare; lo adottano, in positivo e in negativo, per distinguere
l'impiego   come   riscaldamento  nell'intera  indicata  categoria  e
l'impiego come materia prima in quel segmento della categoria stessa;
si  integrano quindi reciprocamente rispondendo all'unitario scopo di
definire l'area dei consumi elettrici industriali per i quali debbano
essere  corrisposte  le  addizionali."  La  Corte  di  cassazione  ha
osservato,  inoltre,  che  "il  dato  letterale  e'  in  linea con il
collegamento  logico  delle  due proposizioni fra loro e con le norme
che  le  hanno  precedute;  nel  momento  in  cui  si supera in senso
favorevole     all'amministrazione     la     problematica    insorta
sull'estensibilita' delle addizionali agli usi come riscaldamento nei
processi  industriali  (non  assoggettati  all'imposta di consumo) e'
coerente  la  contestuale  puntualizzazione  della  diversita'  e non
tassabilita'  degli  usi  come  materia  prima (non contemplati dalle
disposizioni  pregresse),  trattandosi del resto della esplicitazione
di   un   concetto  gia'  insito  nella  delimitazione  del  prelievo
aggiuntivo soltanto agli usi come riscaldamento."
    Dalle  suesposte  premesse,  deriva  la  seguente conseguenza che
dalla  Corte  di cassazione viene posta in rilievo nella stessa sede.
La  disposizione  da  ultimo  citata ha nettamente differenziato, con
contrapposte   previsioni   di   tassabilita'  e  di  intassabilita',
rispettivamente,    l'uso   come   riscaldamento   nei   procedimenti
industriali  in generale, e l'uso come materia prima nei procedimenti
elettrochimici  ed  elettrometallurgici,  e  cio'  sulla  base  della
contestuale  introduzione  di  una nozione normativa di materia prima
assente   nella  legislazione  anteriore.  Per  tal  modo,  il  thema
decidendum   si   dilata   con  la  ricomprensione  in  esso  di  una
problematica  ulteriore,  occorrendo accertare la sussistenza o meno,
quale  imprescindibile  condizione per l'esclusione dell'applicazione
dell'imposizione  addizionale, dell'imputabilita' in tutto o in parte
dei  consumi  di  cui trattasi alle esigenze intrinseche del processo
produttivo, diverse e distinte dalla funzione termica che e' - o puo'
essere  -  ugualmente  presente anche nell'attivita' elettrochimica o
elettrometallurgica  (cosi' Cass. 6 maggio 1998 n. 4565): il relativo
accertamento  - come si rileva nella citata sentenza - non eludibile,
quand'anche non agevole, di fronte a una norma di interpretazione che
proprio  a  tale  distinzione  affida la demarcazione tra le contigue
aree di tassabilita' e di intassabilita' dei consumi elettrici con il
tributo  addizionale,  appartiene al giudice del merito e puo' essere
legittimamente   compiuto   mediante   l'utilizzazione  di  qualsiasi
strumento probatorio, anche di natura presuntiva.
    A  tale  accertamento questa Corte ha acceduto mediante l'ausilio
di  consulente  tecnico  all'uopo  nominato, il quale, in esito ad un
ampio  sviluppo  del  contraddittorio  tecnico  - che ha giovato alla
precisazione  dell'oggetto dell'indagine - e' pervenuto a conclusioni
che  possono  essere  riassunte  nei  termini  seguenti.  Il processo
utilizzato   dalla   societa'   attrice  utilizza  energia  elettrica
principalmente   per   fornire  l'energia  necessaria  alle  reazioni
chimiche  di  riduzione e in misura molto minore per il riscaldamento
del  forno peraltro fondamentalmente riscaldato dalla combustione dei
gas che si formano per effetto delle reazioni chimiche che presiedono
al  processo;  la  limitata  rilevanza  dell'effetto di riscaldamento
diretto  del  forno  grazie  all'energia  elettrica dipende anche dal
fatto  che  la  zona  prevalentemente interessata dal passaggio della
corrente  (nella  quale  avvengono  le  reazioni chimiche inerenti al
processo metallurgico) e' piuttosto circoscritta e che al di fuori di
tale  zona si ha una circolazione di energia elettrica assai modesta;
il  riscaldamento  del forno e la somministrazione di energia termica
necessaria  per  sostenere  le  reazioni  chimiche  costituiscono due
aspetti  di  un unico processo, non correttamente scindibili sotto il
profilo  tecnico  (giacche',  ove  venisse a mancare uno di essi, non
sarebbe  possibile  lo  svolgimento  del  processo stesso); l'energia
somministrata   come   energia  elettrica  alla  lega  metallica  che
rappresenta  il  prodotto  finale  del  processo  va  ad incrementare
l'energia  chimica  incorporata  nel  materiale che ne forma oggetto;
l'utilizzazione   dell'energia  elettrica  nel  senso  suindicato  si
caratterizza,   per  ragioni  prettamente  tecniche,  come  esclusiva
rispetto  alla utilizzazione del carbone coke, in se stesso dotato di
caratteristiche fisiche tali da consentirne - solo in via remotamente
astratta   -   l'impiego  alternativo;  le  considerazioni  suesposte
conducono  a  qualificare,  per i fini che qui interessano, l'energia
elettrica   impiegata,   nella  sua  totalita',  come  materia  prima
essenziale   al  processo  e  in  ogni  caso  presente  nel  prodotto
risultante dal processo concluso.
    Contro   le   conclusioni  che  risulterebbero  conseguenti  alle
considerazioni   fin   qui   esposte,   e   che   si   risolverebbero
nell'accoglimento  della domanda di rimborso, l'Amministrazione delle
finanze introduce ora un ulteriore aspetto problematico rilevando che
l'art. 29 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 consente il rimborso di
vari  tributi  indebitamente  pagati  (fra  i  quali  le  imposte  di
fabbricazione  e  quelle di consumo) a meno che il relativo onere non
sia  stato  trasferito  su altri soggetti, e che il terzo comma della
norma    citata    stabilisce   l'applicabilita'   dell'art. 19   del
decreto-legge  30  settembre  1982  n. 688  convertito  in  legge  27
novembre  1982  n. 873  "quando  i  tributi riscossi non rilevano per
l'ordinamento  comunitario", e sostenendo che, poiche' le addizionali
sul  consumo  dell'energia elettrica - imposte interne - non rilevano
certamente   per   l'ordinamento  comunitario,  ai  fini  della  loro
ripetibilita'  e'  applicabile  il  menzionato art. 19, per trarne la
conclusione  che  anche nella fattispecie in esame dovrebbe ritenersi
che   la   mancata  traslazione  dell'onere  tributario  e'  elemento
costituivo del diritto al rimborso, cosicche' fa carico al solvens di
fornire  la  prova  documentale  del  mancato  trasferimento su terzi
dell'onere  discendente  dal  pagamento  non  dovuto,  trattandosi in
concreto  di  provare un fatto negativo la cui ricorrenza peraltro e'
necessaria per integrare il diritto di ripetizione dell'indebito.
    L'art. 19  del decreto-legge 30 settembre 1992 n. 688, intitolato
a  "misure  urgenti  in  materia  di entrate fiscali", convertito con
legge  30 novembre 1982 n. 873, disponeva originariamente che "chi ha
indebitamente  corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte
di  fabbricazione,  imposte  di  consumo  o  diritti  erariali, anche
anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha
diritto  al  rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente
che  l'onere  relativo  non  e' stato in qualsiasi modo trasferito su
altri soggetti, salvo il caso di errore materiale". Come e' ben noto,
alla  luce  dei  lavori preparatori, la ragione di essere della norma
consisteva   nell'esigenza   di   evitare   un  effetto  di  indebita
locupletazione  a  favore  degli  operatori  economici che "avendo di
regola  gia' trasferito sui successivi acquirenti anche gli oneri per
tributi  che poi a distanza di tempo risultino non dovuti, verrebbero
a  conseguire  un lucro se potessero ugualmente ottenere il rimborso"
(cosi' la relazione alla proposta di legge di conversione).
    Con  sentenza  21  aprile  2000 n. 114 la Corte costituzionale ha
dichiarato   la  illegittimita'  costituzionale,  per  conflitto  con
l'art. 24 della Costituzione, della suddetta disposizione nella parte
in  cui  prevedeva  che  la  prova del mancato trasferimento su altri
soggetti  dell'onere  economico  dell'imposta  potesse essere fornita
solo documentalmente, rilevando che "se da un lato puo' ribadirsi che
la  mera  inversione  dell'onere  della  prova  non  e' di per se' in
contrasto  con  l'art. 24  della  Costituzione trattandosi di materia
indubbiamente rimessa alla discrezionalita' del legislatore, deve per
altro  verso  ritenersi  che il prevedere che tale onere possa essere
assolto   solamente   per   mezzo  della  prova  documentale,  intesa
evidentemente  in  senso  tecnico,  comporti  una  sicura lesione del
diritto  di  agire  in  giudizio  del  solvens"  in  quanto "siffatta
previsione  viene  infatti a subordinare la tutela giurisdizionale ad
una  prova che, secondo criteri di normalita', si palesa impossibile,
non  potendo  in  via  generale  essere  ipotizzata l'esistenza di un
documento  concernente la diretta rappresentazione del fatto negativo
costituito   dalla   mancata   traslazione   del  peso  economico  di
un'imposta".
    Il  giudice  delle  leggi  ha  espressamente  sottolineato, nella
motivazione  della  citata  sentenza, che all'ambito del sindacato di
legittimita'  dallo stesso esercitato in quella sede restava estraneo
il  riferimento  all'art. 3  della  Costituzione, che, pur richiamato
dalle  parti  private  allora  contendenti,  esulava dai parametri di
costituzionalita' evocati dai giudici remittenti.
    E   proprio   con  riguardo  ai  valori  costituzionali  espressi
nell'art. 3 pare a questo Collegio necessario sollecitare l'ulteriore
verifica  da  parte  del  giudice delle leggi della costituzionalita'
della  norma citata - la cui applicazione viene in considerazione con
decisiva  rilevanza  nel  procedimento  di  cui  in  epigrafe - sotto
duplice profilo.
    Osservasi  anzitutto  che, a seguito degli interventi della Corte
di  giustizia  comunitaria  (Corte  di  Giust.  CEE: 24 marzo 1988 in
C-104/1986;  9  novembre 1983 in C-199/1983), il legislatore statuale
ha  acceduto  alla  emanazione  della  norma di cui all'art. 29 della
legge  20 dicembre 1990 n. 428, in virtu' della quale la disposizione
in  argomento  risulta  vigente  ormai  in  relazione ai soli tributi
aventi  rilevanza  interna  all'ordinamento italiano, e non anche per
quelli  riscossi  in  violazione del diritto comunitario, per i quali
l'onere della prova circa la traslazione del tributo, che in tal caso
viene  a  configurarsi  come fatto estintivo del diritto al rimborso,
incombe,  secondo i principi generali, sull'Amministrazione convenuta
con  l'azione  di  ripetizione. Si verifica, quindi, attualmente, una
situazione  di  disparita'  di  trattamento,  che  non sembra trovare
adeguata  giustificazione  nella  comparazione  delle  situazioni  in
esame,   alla  stregua  della  constatazione  del  possibile  effetto
gratuitamente locupletatorio del rimborso di un onere gia' recuperato
mediante  il  fenomeno  della  traslazione,  tra  i  contribuenti che
abbiano versato indebitamente tributi rilevanti solo nell'ordinamento
interno  e  contribuenti  che  abbiano  versato indebitamente tributi
rilevanti    per    l'ordinamento    comunitario,    non    potendosi
ragionevolmente  sostenere  una  diversita'  sostanziale  nel modo di
operare  del  detto  fenomeno  nei  confronti  dell'una  e dell'altra
categoria di contribuenti.
    E  sembra significativa, al riguardo, la motivazione della citata
sentenza  della  Corte  costituzionale nella parte in cui afferma che
"anche  alla  luce dei mutamenti del quadro normativo successivamente
intervenuti"  esigono  di  essere  riconsiderate le conclusioni a cui
erano  pervenute,  nel  senso  del  riconoscimento della legittimita'
costituzionale dell'art. 19, alcune precedenti decisioni dello stesso
giudice delle leggi (ordinanze n. 651/1988, n. 807/1988, n. 172/1989,
n. 197/1999).
    Non  si  puo',  poi,  fare a meno di rilevare che, se e' vero che
(come  la  Corte costituzionale ha precisato nell'ordinanza 651/1988)
"la  ratio  perseguita  dalla  norma di evitare l'arricchimento senza
causa  di  alcuni  operatori  economici a danno di una maggioranza di
altri   soggetti  consente  di  giustificare  il  diverso  regime  di
ripetizione  dell'indebito  in  relazione a quei tributi per i quali;
attesa  la  loro  peculiare  natura,  il  fenomeno  della traslazione
costituisce  una  evenienza  normale  nella  prassi  dell'economia di
mercato",   la   ritenuta   -  in  ordine  a  determinati  tributi  -
"particolare  attitudine ad essere trasferiti su altri soggetti e con
essa  lo  scarso  grado  di probabilita' che l'indebito possa restare
definitivamente  a carico del patrimonio di chi lo ha corrisposto", e
quindi  la  "non  irragionevole  presunzione  che  per taluni tipi di
imposta  l'onere fiscale viene di norma traslato dal soggetto passivo
su  altri  soggetti" (di cui parla l'ordinanza n. 807/1988), sembrano
ricevere   smentita,   in   relazione   all'imposizione  sull'energia
elettrica impiegata quale materia prima, dalla attenta considerazione
della specificita' che caratterizza il fenomeno finanziario.
    In  tale tipo di impiego produttivo, infatti, l'energia elettrica
non  viene  utilizzata come fonte accessoria e strumentale di energia
termica fornita all'impianto, ma partecipa come componente essenziale
alla    realizzazione    del   prodotto   risultante   dal   processo
elettrochimico, onde il costo della stessa viene assorbito nel prezzo
del prodotto, il quale e' determinato dalla evoluzione dinamica di un
mercato  dipendente nell'insieme da una molteplicita' di elementi non
controllabili   preventivamente   ne'   agevolmente  riconoscibili  a
posteriori  dal  soggetto  al  quale  si  pretende  di  accollare  la
allegazione  e  la  dimostrazione  di  dati  concreti attendibilmente
dimostrativi della insussistenza di una riduzione del margine del suo
profitto  -  risolventesi  nel  verificarsi  finale di una perdita di
gestione  o nella diminuzione dell'utile - conseguente, in base a una
corrispondenza della quale il giudice del merito non puo' non esigere
l'univocita',  al  mancato  trasferimento su altri soggetti del costo
economico   rappresentato  dall'imposizione  subita  in  relazione  a
ciascuna entita' del tributo, che peraltro risulta frazionato in sede
di   pagamento   in   modo   del  tutto  svincolato  dalla  specifica
destinazione  dell'energia  che  ne forma oggetto a determinati cicli
produttivi.
    In  tutto cio' non si ravvisa alcunche' di comparabi1e con quanto
si  verifica  nelle  (piu'  frequenti)  ipotesi  in  cui  le  imposte
sull'energia  elettrica  non  impiegata  come  materia  prima vengono
assolte  non  dalle  imprese  produttrici  di  beni  diversi ma dalle
imprese  produttrici  dell'energia stessa che tale energia cedono con
rivalsa  documentata  mediante fattura nei confronti del consumatore.
In cio' si ravvisa, per contro, un aspetto di irragionevolezza - tale
da  vulnerare  il  principio  per  cui  l'esigenza della razionalita'
costituisce limite (la cui garanzia e' riconducibile all'art. 3 della
Costituzione)  all'esercizio  del  sovrano  potere  del legislatore -
nella  mancata  considerazione delle leggi di mercato per cui ad ogni
aumento  del  prezzo consegue di regola una diminuzione della domanda
con  possibile contrazione del profitto, ed espone il produttore alla
concorrenza di chi puo' mantenere la propria offerta nel limite di un
prezzo  inferiore:  onde,  in  un  mercato  internazionale (nel quale
operano  non  soltanto  imprenditori  italiani  assoggettati tutti ad
identici  oneri  tributari  ma anche imprenditori stranieri) non puo'
porsi   a  razionale  fondamento  di  una  generalizzata  presunzione
l'assunto  che  il  produttore italiano acceda sistematicamente ad un
aumento del prezzo idoneo ad assorbire l'aumento degli oneri fiscali.
    E  l'esperienza  giudiziaria  rende palese che in fattispecie del
tipo  di quella qui in esame gli strumenti probatori di carattere non
documentale  ai  quali  viene  affidato lo scioglimento del dubbio si
esauriscono  in  una  consulenza  tecnica  fondata  sull'esame  delle
scritture  contabili  - considerate queste non come prove documentali
in senso proprio ma come dati indiziari - la quale e' inevitabilmente
destinata  a rivelarsi caratterizzata da una impostazione esplorativa
e da un inadeguato livello di attendibilita' dei risultati, attesa la
molteplicita'   e   la  eterogeneita'  delle  variabili  indipendenti
incidenti sul fenomeno finanziario.
    La  questione  come  sopra  prospettata,  in quanto rilevante nel
giudizio  in  corso,  che  non puo' essere definito indipendentemente
dallo scioglimento della stessa, questa Corte ritiene quindi di dover
sollevare d'ufficio.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  articoli 134  della  Costituzione e 23 della legge 11
marzo 1953 n. 87;
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita'   costituzionale   del   primo  comma  dell'art. 19  del
decreto-legge  30  settembre  1982  n. 688  convertito  in  legge  30
novembre 982 n. 873 con riferimento all'art. 3 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in causa e comunicata in copia al Presidente
della Camera dei Deputati e al Pesidente del Senato della Repubblica.
      Genova, addi' 6 giugno 2001
                    Il Presidente relatore: Ferro
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