N. 695 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2001
Ordinanza emessa il 6 giugno 2001 dalla Corte di appello di Genova nel procedimento civile vertente tra Elettrosiderurgica Italiana S.p.a. e Amministrazione delle finanze dello Stato Imposte e tasse - Tributi indebitamente versati (nella specie: addizionale al consumo di energia elettrica) - Azione di ripetizione - Onere probatorio della mancata traslazione su altri soggetti - Sussistenza per i tributi riscossi in violazione dell'ordinamento italiano ed esclusione per quelli riscossi in violazione dell'ordinamento comunitario - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 114/2000 e riferimenti alle precedenti ordinanze della stessa Corte costituzionale nn. 651/1988, 807/1988, 172/1989, e 197/1999 (recte: 197/1989). - Decreto-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo comma, convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873. - Costituzione, art. 3.(GU n.38 del 3-10-2001 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente Ordinanza nel procedimento di appello iscritto al n. 103 R.G. 1995, promosso dalla Elettrosiderurgica italiana S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica Gianfranco Farisoglio amministratore delegato, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Guarino e dall'avv. Vitaliano Lorenzoni del foro di Roma e dall'avv. Carlo Cardillo del foro di Genova, presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Genova piazza della Vittoria l2/28, appellante; Nei confronti dell'Amministrazione delle finanze dello Stato in persona del Ministro delle finanze in carica, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa legalmente domiciliata in Genova via Brigate Partigiane l2, convenuta in appello; avverso la sentenza del tribunale di Genova 26 aprile 29 giugno 1994 n. 2405, in materia di rimborso tributi. in fatto Con citazione notificata il 17 dicembre 1992, la Elettrosiderurgica Italiana S.p.a. ha convenuto in giudizio, davanti al ribunale di Genova, l'Amministrazione delle finanze dello Stato, per sentir "accertare il diritto della societa' attrice a non pagare l'imposta addizionale di cui all'art. 4 del decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332 e successive modificazioni; e condannare l'Amministrazione finanziaria dello Stato a rimborsare le somme indebitamente pretese e percette per tale titolo dal bimestre settembre-ottobre 1989 al bimestre maggio-giugno 1992, pari a lire 1.720.156.719 o la somma che risultera' di giustizia, con gli interessi legali e il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c.": quanto sopra, con riferimento all'elettricita' impiegata nello stabilimento di Cairo Montenotte per la trasformazione di minerale di manganese in ferroleghe di manganese mediante forno elettrico, da qualificarsi alla stregua di energia di processo cioe' di fattore insostituibile della produzione incorporantesi nel prodotto, come tale esclusa dall'ambito di applicazione dell'imposta di consumo ai sensi del decreto legislativo 11 aprile 1947 n. 226 (art. 1 lett. a) sottolett. d)), del decreto-legge 6 ottobre 1948-n. 1199 (art. 1 terzo comma lett. d)), ed ora della legge 31 dicembre 1966 n. 940 art. 2 terzo comma), e quindi esente anche dall'addizionale istituita con il decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332 convertito in legge 27 novembre 1989 n. 384. L'Amministrazione convenuta ha eccepito che tutte le ipotesi di esclusione dalla tassazione sarebbero da considerare esenzioni in relazione alle quali dovrebbe trovare applicazione il disposto dell'art. 4 terzo comma della legge citata secondo cui "le esenzioni vigenti per l'imposta erariale sul consumo di energia elettrica non si estendono all'addizionale di cui al comma primo"; e, sotto diverso profilo, che tratterebbesi di imposta autonoma rispetto all'imposta erariale di consumo. Questa seconda prospettazione e' stata accolta dal tribunale di Genova, il quale, con la sentenza 28 aprile-29 giugno 1994 n. 2405, ha rigettato le domande della societa' attrice, affermando: che la disciplina positiva dell'istituto non consente che le addizionali erariali siano qualificate come tributi accessori dell'imposta erariale di consumo dell'energia elettrica, essendo innegabile che esse, pur essendo liquidate e riscosse con le stesse modalita' dell'imposta erariale, e pur colpendo come l'altra il consumo dell'energia elettrica, sono connotate da marcati caratteri di autonomia, incompatibili con la nozione di imposta addizionale ricavabile dai precedenti legislativi e dalla elaborazione dottrinale; che l'addizionale in questione non e' commisurata al tributo principale ma autonomamente determinata in relazione all'unita' di misura di energia elettrica consumata; che il presupposto impositivo dell'addizionale, costituito da qualsiasi uso di energia elettrica compreso l'impiego in processi produttivi industriali, e' diverso da quello dell'imposta erariale che si applica al consumo di energia elettrica per gli usi di illuminazione, forza motrice e apparecchiature, con esclusione dell'impiego in processi produttivi industriali. Avverso la suddetta sentenza del tribunale di Genova ha proposto appello la Elettrosiderurgica italiana S.p.A. con atto notificato all'Amministrazione delle finanze il 25 gennaio 1995. L'Amministrazione delle finanze ha resistito all'impugnazione chiedendone la reiezione. in diritto L'art. 1 ultimo capoverso della legge 31 ottobre 1966 n. 940 ha sottratto all'applicazione dell'imposta erariale di consumo l'energia elettrica impiegata negli opifici industriali come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento di processi industriali veri e propri. Tale disposizione e' stata confermata nelle leggi successive e, da ultimo, dall'art. 52 del decreto-legge 26 ottobre 1995 n. 504, il quale ne ha anzi esteso la portata all'energia elettrica connessa a processi elettrochimici. Con decreto-legge 28 novembre 1988 n. 511 convertito in legge 27 gennaio 1989 n. 20 e' stata istituita l'addizionale a favore dei comuni e delle province: con l'art. 6 comma 4 (come modificato in sede di conversione) e' stato disposto che "le esenzioni vigenti per l'imposta di consumo sull'energia elettrica non si estendono alle addizionali; sono tuttavia esenti i consumi per illuminazione pubblica e per l'esercizio delle attivita' di produzione, trasporto e distribuzione dell'energia elettrica. Con l'art. 4 del decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332 convertito in legge 27 novembre 1989 n. 384 e' stata istituita l'addizionale erariale, con previsione (comma 3 dell'art. 4) di esenzione del tutto coincidente con quella di cui al citato comma 4 dell'art. 6 del decreto-legge 28 novembre 1988 n. 511. Con l'art. 4 del decreto-legge 28 giugno 1995 n. 250 e' stato stabilito che non e' assoggettata alle addizionali l'energia elettrica impiegata come materia prima nei processi industriali elettrochimici ed elettrometallurgici con fornitura a tariffa ad altissima utilizzazione. Tale disposizione e' stata modificata, con la legge di conversione 8 agosto 1995 n. 349, nei termini seguenti: "Il comma 4 dell'art. 6 del decreto-legge n. 511 del 28 novembre 1988 e il comma 3 dell'art. 4 del 332 del 30 settembre 1989 si interpretano nel senso che e' assoggettata alle addizionali ivi previste anche l'energia elettrica impiegata negli opifici industriali come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento di processi industriali veri e propri. Non e' assoggettata alle addizionali l'energia elettrica utilizzata come materia prima nei processi industriali elettrochimici ed elettrometallurgici ivi comprese le lavorazioni siderurgiche e delle fonderie." Con il primo comma dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (legge finanziaria 2001) e' stato disposto che "l'addizionale erariale di cui all'art. 4 del decreto-legge 30 settembre 1989 n. 332 convertito con modificazioni dalla legge 27 novembre 1989 n. 384, come da ultimo modificato dall'art. 10 comma 5 della legge 13 maggio 1999 n. 133, e' soppressa, e il predetto art. 4 e' abrogato." Peraltro, l'abolizione - non retroattiva - del tributo non esplica incidenza sulla presente materia del contendere che attiene al rimborso di somme corrisposte nel vigore e in applicazione della normativa abrogata. La Corte di cassazione con la sentenza 26 luglio 1996 n. 6776 ha affermato: che la distinzione tra soggetti esenti e soggetti non assoggettati all'imposta non e' decisiva in quanto "per un verso infatti non si ravvisa nelle disposizioni indicate un sicuro discrimine che valga a distinguere nettamente l'ipotesi di mancato assoggettamento dell'imposta a quella di esenzione dalla stessa; per altro verso questa distinzione si manifesta disomogenea nelle ipotesi in cui i concetti di esenzione e di non assoggettabilita' sono stati usati promiscuamente o con insufficiente precisione"; che e' da escludere che l'addizionale integri un tributo completamente autonomo, sganciato dall'imposta erariale; che restava, ai fini del decidere, da esaminare se potesse accedersi alla tesi secondo cui "l'esenzione tanto dall'imposta principale quanto dall'addizionale, essendo ricollegabile alla particolare natura della materia prima adoperata dall'opificio industriale (nella specie proprio l'energia elettrica) non poteva colpire anche quelle imprese che di questa facessero un uso indispensabilmente finalizzato al compimento dei processi industriali che sono loro propri che deve riconoscersi l'applicabilita' della norma interpretativa citata alle fattispecie verificatesi in epoca anteriore alla stessa, dappoiche' "essendo ben noto che le norme di interpretazione autentica hanno efficacia retroattiva, non sembra accettabile la tesi formulata dall'Amministrazione finanziaria secondo la quale tale natura avrebbe solo la prima parte del suddetto art. 4, ragion per cui il secondo periodo, quello che pone l'esenzione particolare, costituirebbe una norma nuova, avente quindi efficacia dall'entrata in vigore dell'ultima legge. Non vi e' infatti alcun motivo di scindere le due parti della stessa norma che consta di un solo comma (non e' diviso in due parti neppure dalla creazione di un secondo precetto). E del resto, che con l'ultima parte della disposizione si sia inteso regolare ex professo anche la posizione di questi particolari opifici industriali, emerge dal fatto che la questione relativa alla loro soggezione all'addizionale era stata vivamente dibattuta nell'ambiente e consigliava quindi la definitiva parola del legislatore sul tema. La funzione interpretativa della norma, e la efficacia retroattiva di essa, sono state ribadite da Cass. 6 maggio 1998 n. 4565 sul rilievo che "i due periodi in cui si articola parimenti si riferiscono agli usi indispensabili nei procedimenti produttivi industriali, perche' gli usi nei procedimenti elettrochimici ed elettrometallurgici fanno parte di detti usi indispensabili e ne costituiscono un settore; sono entrambi reti dallo stesso verbo assoggettare; lo adottano, in positivo e in negativo, per distinguere l'impiego come riscaldamento nell'intera indicata categoria e l'impiego come materia prima in quel segmento della categoria stessa; si integrano quindi reciprocamente rispondendo all'unitario scopo di definire l'area dei consumi elettrici industriali per i quali debbano essere corrisposte le addizionali." La Corte di cassazione ha osservato, inoltre, che "il dato letterale e' in linea con il collegamento logico delle due proposizioni fra loro e con le norme che le hanno precedute; nel momento in cui si supera in senso favorevole all'amministrazione la problematica insorta sull'estensibilita' delle addizionali agli usi come riscaldamento nei processi industriali (non assoggettati all'imposta di consumo) e' coerente la contestuale puntualizzazione della diversita' e non tassabilita' degli usi come materia prima (non contemplati dalle disposizioni pregresse), trattandosi del resto della esplicitazione di un concetto gia' insito nella delimitazione del prelievo aggiuntivo soltanto agli usi come riscaldamento." Dalle suesposte premesse, deriva la seguente conseguenza che dalla Corte di cassazione viene posta in rilievo nella stessa sede. La disposizione da ultimo citata ha nettamente differenziato, con contrapposte previsioni di tassabilita' e di intassabilita', rispettivamente, l'uso come riscaldamento nei procedimenti industriali in generale, e l'uso come materia prima nei procedimenti elettrochimici ed elettrometallurgici, e cio' sulla base della contestuale introduzione di una nozione normativa di materia prima assente nella legislazione anteriore. Per tal modo, il thema decidendum si dilata con la ricomprensione in esso di una problematica ulteriore, occorrendo accertare la sussistenza o meno, quale imprescindibile condizione per l'esclusione dell'applicazione dell'imposizione addizionale, dell'imputabilita' in tutto o in parte dei consumi di cui trattasi alle esigenze intrinseche del processo produttivo, diverse e distinte dalla funzione termica che e' - o puo' essere - ugualmente presente anche nell'attivita' elettrochimica o elettrometallurgica (cosi' Cass. 6 maggio 1998 n. 4565): il relativo accertamento - come si rileva nella citata sentenza - non eludibile, quand'anche non agevole, di fronte a una norma di interpretazione che proprio a tale distinzione affida la demarcazione tra le contigue aree di tassabilita' e di intassabilita' dei consumi elettrici con il tributo addizionale, appartiene al giudice del merito e puo' essere legittimamente compiuto mediante l'utilizzazione di qualsiasi strumento probatorio, anche di natura presuntiva. A tale accertamento questa Corte ha acceduto mediante l'ausilio di consulente tecnico all'uopo nominato, il quale, in esito ad un ampio sviluppo del contraddittorio tecnico - che ha giovato alla precisazione dell'oggetto dell'indagine - e' pervenuto a conclusioni che possono essere riassunte nei termini seguenti. Il processo utilizzato dalla societa' attrice utilizza energia elettrica principalmente per fornire l'energia necessaria alle reazioni chimiche di riduzione e in misura molto minore per il riscaldamento del forno peraltro fondamentalmente riscaldato dalla combustione dei gas che si formano per effetto delle reazioni chimiche che presiedono al processo; la limitata rilevanza dell'effetto di riscaldamento diretto del forno grazie all'energia elettrica dipende anche dal fatto che la zona prevalentemente interessata dal passaggio della corrente (nella quale avvengono le reazioni chimiche inerenti al processo metallurgico) e' piuttosto circoscritta e che al di fuori di tale zona si ha una circolazione di energia elettrica assai modesta; il riscaldamento del forno e la somministrazione di energia termica necessaria per sostenere le reazioni chimiche costituiscono due aspetti di un unico processo, non correttamente scindibili sotto il profilo tecnico (giacche', ove venisse a mancare uno di essi, non sarebbe possibile lo svolgimento del processo stesso); l'energia somministrata come energia elettrica alla lega metallica che rappresenta il prodotto finale del processo va ad incrementare l'energia chimica incorporata nel materiale che ne forma oggetto; l'utilizzazione dell'energia elettrica nel senso suindicato si caratterizza, per ragioni prettamente tecniche, come esclusiva rispetto alla utilizzazione del carbone coke, in se stesso dotato di caratteristiche fisiche tali da consentirne - solo in via remotamente astratta - l'impiego alternativo; le considerazioni suesposte conducono a qualificare, per i fini che qui interessano, l'energia elettrica impiegata, nella sua totalita', come materia prima essenziale al processo e in ogni caso presente nel prodotto risultante dal processo concluso. Contro le conclusioni che risulterebbero conseguenti alle considerazioni fin qui esposte, e che si risolverebbero nell'accoglimento della domanda di rimborso, l'Amministrazione delle finanze introduce ora un ulteriore aspetto problematico rilevando che l'art. 29 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 consente il rimborso di vari tributi indebitamente pagati (fra i quali le imposte di fabbricazione e quelle di consumo) a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, e che il terzo comma della norma citata stabilisce l'applicabilita' dell'art. 19 del decreto-legge 30 settembre 1982 n. 688 convertito in legge 27 novembre 1982 n. 873 "quando i tributi riscossi non rilevano per l'ordinamento comunitario", e sostenendo che, poiche' le addizionali sul consumo dell'energia elettrica - imposte interne - non rilevano certamente per l'ordinamento comunitario, ai fini della loro ripetibilita' e' applicabile il menzionato art. 19, per trarne la conclusione che anche nella fattispecie in esame dovrebbe ritenersi che la mancata traslazione dell'onere tributario e' elemento costituivo del diritto al rimborso, cosicche' fa carico al solvens di fornire la prova documentale del mancato trasferimento su terzi dell'onere discendente dal pagamento non dovuto, trattandosi in concreto di provare un fatto negativo la cui ricorrenza peraltro e' necessaria per integrare il diritto di ripetizione dell'indebito. L'art. 19 del decreto-legge 30 settembre 1992 n. 688, intitolato a "misure urgenti in materia di entrate fiscali", convertito con legge 30 novembre 1982 n. 873, disponeva originariamente che "chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere relativo non e' stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale". Come e' ben noto, alla luce dei lavori preparatori, la ragione di essere della norma consisteva nell'esigenza di evitare un effetto di indebita locupletazione a favore degli operatori economici che "avendo di regola gia' trasferito sui successivi acquirenti anche gli oneri per tributi che poi a distanza di tempo risultino non dovuti, verrebbero a conseguire un lucro se potessero ugualmente ottenere il rimborso" (cosi' la relazione alla proposta di legge di conversione). Con sentenza 21 aprile 2000 n. 114 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimita' costituzionale, per conflitto con l'art. 24 della Costituzione, della suddetta disposizione nella parte in cui prevedeva che la prova del mancato trasferimento su altri soggetti dell'onere economico dell'imposta potesse essere fornita solo documentalmente, rilevando che "se da un lato puo' ribadirsi che la mera inversione dell'onere della prova non e' di per se' in contrasto con l'art. 24 della Costituzione trattandosi di materia indubbiamente rimessa alla discrezionalita' del legislatore, deve per altro verso ritenersi che il prevedere che tale onere possa essere assolto solamente per mezzo della prova documentale, intesa evidentemente in senso tecnico, comporti una sicura lesione del diritto di agire in giudizio del solvens" in quanto "siffatta previsione viene infatti a subordinare la tutela giurisdizionale ad una prova che, secondo criteri di normalita', si palesa impossibile, non potendo in via generale essere ipotizzata l'esistenza di un documento concernente la diretta rappresentazione del fatto negativo costituito dalla mancata traslazione del peso economico di un'imposta". Il giudice delle leggi ha espressamente sottolineato, nella motivazione della citata sentenza, che all'ambito del sindacato di legittimita' dallo stesso esercitato in quella sede restava estraneo il riferimento all'art. 3 della Costituzione, che, pur richiamato dalle parti private allora contendenti, esulava dai parametri di costituzionalita' evocati dai giudici remittenti. E proprio con riguardo ai valori costituzionali espressi nell'art. 3 pare a questo Collegio necessario sollecitare l'ulteriore verifica da parte del giudice delle leggi della costituzionalita' della norma citata - la cui applicazione viene in considerazione con decisiva rilevanza nel procedimento di cui in epigrafe - sotto duplice profilo. Osservasi anzitutto che, a seguito degli interventi della Corte di giustizia comunitaria (Corte di Giust. CEE: 24 marzo 1988 in C-104/1986; 9 novembre 1983 in C-199/1983), il legislatore statuale ha acceduto alla emanazione della norma di cui all'art. 29 della legge 20 dicembre 1990 n. 428, in virtu' della quale la disposizione in argomento risulta vigente ormai in relazione ai soli tributi aventi rilevanza interna all'ordinamento italiano, e non anche per quelli riscossi in violazione del diritto comunitario, per i quali l'onere della prova circa la traslazione del tributo, che in tal caso viene a configurarsi come fatto estintivo del diritto al rimborso, incombe, secondo i principi generali, sull'Amministrazione convenuta con l'azione di ripetizione. Si verifica, quindi, attualmente, una situazione di disparita' di trattamento, che non sembra trovare adeguata giustificazione nella comparazione delle situazioni in esame, alla stregua della constatazione del possibile effetto gratuitamente locupletatorio del rimborso di un onere gia' recuperato mediante il fenomeno della traslazione, tra i contribuenti che abbiano versato indebitamente tributi rilevanti solo nell'ordinamento interno e contribuenti che abbiano versato indebitamente tributi rilevanti per l'ordinamento comunitario, non potendosi ragionevolmente sostenere una diversita' sostanziale nel modo di operare del detto fenomeno nei confronti dell'una e dell'altra categoria di contribuenti. E sembra significativa, al riguardo, la motivazione della citata sentenza della Corte costituzionale nella parte in cui afferma che "anche alla luce dei mutamenti del quadro normativo successivamente intervenuti" esigono di essere riconsiderate le conclusioni a cui erano pervenute, nel senso del riconoscimento della legittimita' costituzionale dell'art. 19, alcune precedenti decisioni dello stesso giudice delle leggi (ordinanze n. 651/1988, n. 807/1988, n. 172/1989, n. 197/1999). Non si puo', poi, fare a meno di rilevare che, se e' vero che (come la Corte costituzionale ha precisato nell'ordinanza 651/1988) "la ratio perseguita dalla norma di evitare l'arricchimento senza causa di alcuni operatori economici a danno di una maggioranza di altri soggetti consente di giustificare il diverso regime di ripetizione dell'indebito in relazione a quei tributi per i quali; attesa la loro peculiare natura, il fenomeno della traslazione costituisce una evenienza normale nella prassi dell'economia di mercato", la ritenuta - in ordine a determinati tributi - "particolare attitudine ad essere trasferiti su altri soggetti e con essa lo scarso grado di probabilita' che l'indebito possa restare definitivamente a carico del patrimonio di chi lo ha corrisposto", e quindi la "non irragionevole presunzione che per taluni tipi di imposta l'onere fiscale viene di norma traslato dal soggetto passivo su altri soggetti" (di cui parla l'ordinanza n. 807/1988), sembrano ricevere smentita, in relazione all'imposizione sull'energia elettrica impiegata quale materia prima, dalla attenta considerazione della specificita' che caratterizza il fenomeno finanziario. In tale tipo di impiego produttivo, infatti, l'energia elettrica non viene utilizzata come fonte accessoria e strumentale di energia termica fornita all'impianto, ma partecipa come componente essenziale alla realizzazione del prodotto risultante dal processo elettrochimico, onde il costo della stessa viene assorbito nel prezzo del prodotto, il quale e' determinato dalla evoluzione dinamica di un mercato dipendente nell'insieme da una molteplicita' di elementi non controllabili preventivamente ne' agevolmente riconoscibili a posteriori dal soggetto al quale si pretende di accollare la allegazione e la dimostrazione di dati concreti attendibilmente dimostrativi della insussistenza di una riduzione del margine del suo profitto - risolventesi nel verificarsi finale di una perdita di gestione o nella diminuzione dell'utile - conseguente, in base a una corrispondenza della quale il giudice del merito non puo' non esigere l'univocita', al mancato trasferimento su altri soggetti del costo economico rappresentato dall'imposizione subita in relazione a ciascuna entita' del tributo, che peraltro risulta frazionato in sede di pagamento in modo del tutto svincolato dalla specifica destinazione dell'energia che ne forma oggetto a determinati cicli produttivi. In tutto cio' non si ravvisa alcunche' di comparabi1e con quanto si verifica nelle (piu' frequenti) ipotesi in cui le imposte sull'energia elettrica non impiegata come materia prima vengono assolte non dalle imprese produttrici di beni diversi ma dalle imprese produttrici dell'energia stessa che tale energia cedono con rivalsa documentata mediante fattura nei confronti del consumatore. In cio' si ravvisa, per contro, un aspetto di irragionevolezza - tale da vulnerare il principio per cui l'esigenza della razionalita' costituisce limite (la cui garanzia e' riconducibile all'art. 3 della Costituzione) all'esercizio del sovrano potere del legislatore - nella mancata considerazione delle leggi di mercato per cui ad ogni aumento del prezzo consegue di regola una diminuzione della domanda con possibile contrazione del profitto, ed espone il produttore alla concorrenza di chi puo' mantenere la propria offerta nel limite di un prezzo inferiore: onde, in un mercato internazionale (nel quale operano non soltanto imprenditori italiani assoggettati tutti ad identici oneri tributari ma anche imprenditori stranieri) non puo' porsi a razionale fondamento di una generalizzata presunzione l'assunto che il produttore italiano acceda sistematicamente ad un aumento del prezzo idoneo ad assorbire l'aumento degli oneri fiscali. E l'esperienza giudiziaria rende palese che in fattispecie del tipo di quella qui in esame gli strumenti probatori di carattere non documentale ai quali viene affidato lo scioglimento del dubbio si esauriscono in una consulenza tecnica fondata sull'esame delle scritture contabili - considerate queste non come prove documentali in senso proprio ma come dati indiziari - la quale e' inevitabilmente destinata a rivelarsi caratterizzata da una impostazione esplorativa e da un inadeguato livello di attendibilita' dei risultati, attesa la molteplicita' e la eterogeneita' delle variabili indipendenti incidenti sul fenomeno finanziario. La questione come sopra prospettata, in quanto rilevante nel giudizio in corso, che non puo' essere definito indipendentemente dallo scioglimento della stessa, questa Corte ritiene quindi di dover sollevare d'ufficio.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 19 del decreto-legge 30 settembre 1982 n. 688 convertito in legge 30 novembre 982 n. 873 con riferimento all'art. 3 della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e comunicata in copia al Presidente della Camera dei Deputati e al Pesidente del Senato della Repubblica. Genova, addi' 6 giugno 2001 Il Presidente relatore: Ferro 01C10916