MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

CIRCOLARE 1 agosto 2002, n. 42/2002 

Decreto   legislativo   n.  368/2001,  recante  la  nuova  disciplina
giuridica   sul   lavoro   a  tempo  determinato.  Prime  indicazioni
applicative.
(GU n.189 del 13-8-2002)
 
 Vigente al: 13-8-2002  
 

                                  Ai direttori regionali del lavoro
                                  Ai direttori provinciali del lavoro
                                    e per conoscenza:
                                  Alla  Regione siciliana assessorato
                                  lavoro    e    previdenza   sociale
                                  ispettorato del lavoro di Palermo
                                  Alla provincia autonoma di Bolzano
                                  All'Assessorato lavoro di Salerno
                                  Alla provincia autonoma di Trento
                                  All'Assessorato lavoro di Trento

          IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

1. Premessa.
  Il  decreto  legislativo  6  settembre  2001, n. 368, che recepisce
nell'ordinamento  nazionale  la direttiva del Consiglio del 28 giugno
1999,  n.  99/70/CE  relativa  all'accordo quadro CES (Confederazione
europea  dei  sindacati),  UNICE  (Unione  delle confederazioni delle
industrie della Comunita' europea), CEEP (Centro europeo dell'impresa
a  partecipazione  pubblica)  sul  lavoro  a  tempo  determinato, non
rappresenta semplicemente un atto formale connesso all'adempimento di
obblighi  derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea,
ma  si  configura  quale manifestazione normativa di un piu' generale
processo  di  modernizzazione  dell'organizzazione del lavoro gia' da
tempo avviato.
  Ed  infatti,  la ratio sottesa alla disciplina in commento, oltre a
trovare  riscontro  nella  progressiva previsione di nuove ipotesi di
lavoro  temporaneo  (quali,  il  contratto di formazione e lavoro, la
fornitura  di  prestazioni  di  lavoro  temporaneo, la collaborazione
coordinata  e continuativa, le collaborazioni occasionali, i tirocini
formativi  e di orientamento, ecc...), trova la sua genesi - come tra
l'altro   indicato   espressamente   nel  quinto  Considerando  della
Direttiva  qui  trasposta, nelle conclusioni del Consiglio europeo di
Essen  del  1995, dove si sottolineava la necessita' di provvedimenti
per  "incrementare  l'intensita'  occupazionale  della  crescita,  in
particolare  mediante  un'organizzazione  piu' flessibile del lavoro,
che  risponda  sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della
competitivita'".
  In  questa prospettiva, la direttiva 99/70/CE cit. si richiama alla
risoluzione  del  Consiglio europeo del 9 febbraio 1999 relativa agli
orientamenti  in materia di occupazione per il 1999, dove si invitano
"le  parti  sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi
per  modernizzare  l'organizzazione  del  lavoro,  comprese  le forme
flessibili  di  lavoro,  al  fine  di rendere le imprese produttive e
competitive   e   di  realizzare  il  necessario  equilibrio  tra  la
flessibilita' e la sicurezza" (Cfr.: 6o Considerando).
  Ed  ancora,  la  predetta  direttiva  trova  ispirazione nella piu'
recente  Raccomandazione  del  Consiglio  dell'Unione  europea del 19
gennaio  2001,  riguardante  l'attuazione delle politiche degli Stati
membri  in  materia  di  occupazione  per il 2001, dove, fra l'altro,
viene  ulteriormente  ribadito  l'auspicio  del  metodo  del  dialogo
sociale  per la modernizzazione e la riorganizzazione del mercato del
lavoro  al  fine  dell'incremento  delle  opportunita' di occupazione
regolare   e  di  buona  qualita',  anche  alla  luce  dei  mutamenti
strutturali in campo economico.
    In  questo  quadro,  il decreto legislativo in commento, nel dare
attuazione  in  Italia  alla  direttiva comunitaria sopra richiamata,
riforma   integralmente   la  disciplina  del  contratto  a  termine,
superando  in  via  definitiva  il regime della tipizzazione legale e
restrittiva delle situazioni legittimanti proprio dell'abrogata legge
n. 230/1962 (e successive modifiche).
  E'  di  tutta  evidenza la diversa impostazione del legislatore del
2001  ove  si  legga  l'art.  1  del decreto che consente la generale
instaurazione   di   rapporti  di  lavoro  a  tempo  determinato  ove
sussistano "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo" che giustificano l'apposizione del termine medesimo.
  In  questo  senso, la riforma della disciplina del lavoro a termine
risulta  in  linea  con  il  3o Considerando della Direttiva 99/70/CE
nella parte in cui, facendo rinvio alla Carta comunitaria dei diritti
fondamentali  dei  lavoratori  (e,  segnatamente,  al  punto  7 della
medesima),  auspica che la realizzazione del mercato interno porti ad
un  miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori
nella   Comunita'   europea,  mediante  "il  ravvicinamento  di  tali
condizioni,  che  costituisca  un  progresso,  soprattutto per quanto
riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato,
come  il  lavoro  a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il
lavoro interinale e il lavoro stagionale".
  Tra  l'altro  gia'  nella  relazione illustrativa al decreto veniva
colto   ed  evidenziato  l'aspetto  innovativo  della  disciplina  in
commento   rispetto   al   regime  previgente,  risultando  l'attuale
impostazione   piu'   semplice  e,  al  tempo  stesso,  meno  esposta
all'aggiramento attraverso comportamenti fraudolenti.
  Ed  infatti,  al  regime  della  generale  negazione del ricorso al
contratto  a termine tranne in alcuni casi tipizzati, si sostituisce,
recependo  ormai  un  progressivo  mutamento della funzione economico
sociale riconosciuta a detta forma contrattuale, il principio in base
al  quale  "il  datore  di  lavoro  puo'  assumere dei dipendenti con
contratti  a  scadenza  fissa,  dovendo  fornire contestualmente e in
forma  scritta  le  (note)  ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo   o   sostitutivo"  (Cfr.:  Relazione  illustrativa  al
provvedimento) che legittimano l'apposizione del limite temporale.
  A  tal  riguardo, giova, comunque, da subito sottolineare che nella
disciplina  delineata  dal  decreto  legislativo  in  commento appare
superato   l'orientamento   volto   a   riconoscere  la  legittimita'
dell'apposizione  del  termine  soltanto in presenza di una attivita'
meramente   temporanea,  cosi'  come,  d'altronde,  sono  superati  i
caratteri     della     "eccezionalita'",    "straordinarieta'"    ed
"imprevedibilita'" propri delle precedenti ragioni giustificatrici.
  Una  corretta interpretazione del disposto di cui all'art. 1, comma
1, decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, impone in effetti di
rigettare letture riduttive della lettera della legge - e dell'avviso
comune  sulle  modalita' e sui contenuti traspositivi della normativa
comunitaria  formulato  dalle  parti  sociali  il  4  maggio 2001 - e
segnatamente  quegli orientamenti volti a riconoscere la legittimita'
della  apposizione  del termine soltanto in presenza di una occasione
meramente  temporanea di lavoro. Questa impostazione, gia' largamente
superata  dalla  legislazione  previgente  (si  pensi alle ipotesi di
assunzione a termine di tipo c.d. soggettivo introdotte con il rinvio
alla contrattazione collettiva di cui all'art. 23, legge n. 56/1987),
non solo non trova alcun appiglio normativo di carattere testuale e/o
sistematico,  ma  risulta  addirittura  smentita dal raffronto con la
disciplina  vigente  in materia di lavoro temporaneo. L'art. 1, comma
1,  della  legge 24 giugno 1997, n. 196, legittima infatti il ricorso
alla  fornitura  di prestazioni di lavoro temporaneo solo in presenza
di "esigenze di carattere temporaneo" cosi' come individuate ai sensi
del successivo comma 2.
  Se,  dunque,  appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di
un  contratto  a  termine  per  l'esecuzione  di  prestazioni che non
abbiano di per se' il carattere della "temporaneita'", non per questo
le  ragioni  giustificatrici non si dovranno palesare come oggettive,
verificabili  e, soprattutto, non elusive dell'intento perseguito dal
legislatore  volto  ad  evitare  qualsiasi volonta' discriminatoria o
fraudolenta del datore di lavoro.
  Alla  stregua della nuova disciplina legale, la temporaneita' della
prestazione  e,  semplicemente,  la  dimensione  in  cui  deve essere
misurata  la  ragionevolezza  delle esigenze tecniche, organizzative,
produttive  o  sostitutive  poste a fondamento della stipulazione del
contratto a tempo determinato. Il contratto a termine dovra' pertanto
essere  considerato  lecito  in tutte le circostanze, individuate dal
datore    di   lavoro   sulla   base   di   criteri   di   normalita'
tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non
si  puo' esigere necessariamente una assunzione a tempo indeterminato
o,  il  che  e'  lo  stesso,  l'assunzione  a  termine non assuma una
finalita'   chiaramente   fraudolenta   sulla   base  di  criteri  di
ragionevolezza  desumibili dalla combinazione tra durata del rapporto
e attivita' lavorativa dedotta in contratto.
  Premesso quanto sopra, si procedera' a svolgere alcune osservazioni
e considerazioni sui principali aspetti della normativa de qua.

2.   Clausola  generale  di  legittimazione  del  contratto  a  tempo
determinato.
  Si  e'  visto in premessa come l'intervento del decreto legislativo
n.  368  sia incentrato sulla sostituzione delle tassative ipotesi di
apposizione  di  termine  con  un  modello  incentrato sulla clausola
generale   delle   "ragioni   di   carattere   tecnico,   produttivo,
organizzativo o sostitutivo".
  Trattasi  di  una norma cosiddetta aperta, individuativa per grandi
linee   dei   casi   in  cui  la  ricorrenza  di  esigenze  oggettive
dell'organizzazione  d'impresa determina l'ammissibilita' del ricorso
a  rapporti  a  tempo,  con  cio'  operando  una  minore compressione
dell'autonomia  privata,  le  cui  pattuizioni  restano  sottratte al
controllo amministrativo (autorizzazione dei Servizi ispezione lavoro
in  occasione  di  assunzioni  a  termine  per  i  cosiddetti "picchi
stagionali") e a quello sindacale (delega di potere normativo ex art.
23, legge n. 56/1987 per l'individuazione di ulteriori fattispecie di
rapporto  a  termine)  poiche'  viene  abbandonato  il criterio della
flessibilita'  contrattata  per  rafforzare  un regime di pattuizioni
individuali.
  Inoltre,  il provvedimento individua alcune ipotesi di assunzione a
termine (di seguito indicate), in cui non e' richiesta la sussistenza
di  specifiche  ragioni  ne', ovviamente, la relativa indicazione nel
contratto. Esse sono:
    l'assunzione   a  termine  nel  trasporto  aereo  e  nei  servizi
aeroportuali (sul cui merito si rinvia piu' ampiamente al 1/2 3);
    le  assunzioni  a  termine nel settore del turismo e dei pubblici
esercizi,  per  l'esecuzione  di speciali servizi non superiori a tre
giorni ai sensi dell'art. 10, terzo comma;
    le  assunzioni  di  dirigenti,  ammesse  con il limite massimo di
durata  di  cinque  anni  e  senza obbligo di forma scritta in quanto
fattispecie  contrattuali unicamente soggette alle disposizioni degli
articoli 6 e 8 (art. 10, quarto comma);
    la  prosecuzione  del  lavoro  del personale dipendente che abbia
differito  il  pensionamento  di  anzianita'  ai sensi della legge n.
388/2000, art. 75 (art. 10, sesto comma);
    le assunzioni di lavoratori in mobilita';
    le assunzioni dei disabili ex art. 11, legge n. 68/1999.

2.a. Ragioni di carattere tecnico, produttivo ed organiz   zativo.
  L'art.  1,  comma 1, del decreto in commento consente l'apposizione
di  un  termine  alla  durata  del  contratto di lavoro subordinato a
fronte   delle   note  "ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,
organizzativo o sostitutivo".
  Si  tratta,  come  detto, di una clausola generale ed aperta la cui
funzione   e'   quella   di   consentire  l'utilizzazione  flessibile
dell'istituto  in  raccordo  con  le  specifiche e variabili esigenze
concrete di ciascun datore di lavoro.
  Tale  ragioni,  specificate  in via preventiva dal datore di lavoro
nel   contratto  stipulato,  devono  rispondere  ai  requisiti  della
oggettivita'  e, pertanto, debbono essere verificabili al fine di non
dar luogo ad eventuali comportamenti fraudolenti o abusivi.
  A  tal  riguardo,  e'  da  rilevare che la ragione addotta, purche'
concretamente  riscontrabile, e' rimessa all'apprezzamento del datore
di  lavoro e deve sussistere e, quindi, essere verificata, al momento
della  stipulazione  del  contratto. La sopravvenuta stabilita' della
esigenza non puo' incidere sulla legittimita' del contratto di lavoro
e del suo termine.
  Ove, infine, la specifica causale di assunzione in concreto dedotta
dalle   parti   non  dovesse  essere  riconducibile  alla  previsione
dell'art.  1  del decreto, il contratto dovra' considerarsi ex tunc a
tempo indeterminato.

2.b. Ragioni sostitutive.
  Fra  le  causali  che  il  datore  di lavoro puo' addurre, il nuovo
provvedimento comprende anche le ragioni sostitutive.
  L'ampiezza  della  formula utilizzata legittima l'apposizione di un
termine  al  contratto  di  lavoro indipendentemente dal fatto che il
personale  da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e
non  programmabili  e  che,  d'altra  parte,  il  sostituito abbia un
diritto  legale, e non convenzionale, alla conservazione del posto di
lavoro.  In proposito, si rileva che il contratto a termine stipulato
per questa motivazione non e' assoggettato ai limiti quantitativi che
verranno  eventualmente  introdotti  dalla autonomia collettiva (art.
10, settimo comma, lettera b).
  Resta   da  segnalare,  infine,  che  nell'assunzione  per  ragioni
sostitutive, l'apposizione del termine puo' risultare direttamente ed
indirettamente, cioe', anche con un mero rinvio al momento del futuro
rientro del lavoratore da sostituire.

2.c. Limiti quantitativi ed esclusioni da tali limiti.
  Un  regime  cautelativo  dell'utilizzo  del  contratto a termine si
rinviene  nella  disposizione  che  affida  ai  contratti  collettivi
nazionali    stipulati    dai    sindacati    comparativamente   piu'
rappresentativi  il  compito  di individuare i limiti quantitativi di
utilizzazione   dell'istituto,   fatte   salve,   ovviamente,  quelle
specifiche  ipotesi  di  assunzione  espressamente  escluse  da  ogni
limitazione percentuale.
  Tali ipotesi sono quelle contemplate all'art. 10, settimo ed ottavo
comma. Si tratta, in generale, di ipotesi di assunzione ascrivibili a
fabbisogni  particolari di flessibilita' degli assetti produttivi e/o
di  servizio o, per altro verso, funzionali all'accesso al lavoro dei
giovani  o degli ultra cinquantenni. In questi ultimi casi, tuttavia,
i  particolari requisiti soggettivi contemplati dalla legge escludono
l'operativita'  dei  limiti  percentuali  ma  non  superano  anche il
principio di causalita' del contratto a termine.
  Da  segnalare,  inoltre, che ai sensi del comma ottavo dell'art. 10
del  decreto,  i limiti percentuali non trovano applicazione nel caso
di contratto a termine di durata complessiva inferiore a sette mesi a
condizione che nei sei mesi precedenti non sia venuto a scadere altro
contratto a termine di durata inferire a sette mesi e, quindi, esente
da  limitazione  percentuale,  avente  ad  oggetto  lo svolgimento di
attivita' identiche.
  Da  ultimo,  e' utile evidenziare che, fermo restando il necessario
rispetto delle ragioni giustificatrici di cui all'art. 1 del decreto,
la  fissazione di tali limitazioni non costituisce un presupposto per
l'instaurazione   di  contratti  a  termine,  ma  solo  una  facolta'
accordata alle parti sociali.

3. Assunzioni a termine nel settore del trasporto aereo e dei servizi
aeroportuali.
  L'art.  2  del  decreto  in  commento disciplina, in via aggiuntiva
rispetto  alla  generale  operativita'  dell'art.  1,  il  ricorso al
contratto a termine di breve durata nel settore del trasporto aereo e
dei servizi aeroportuali, riproducendo senza modificazioni la lettera
f),  art.  1,  legge  n.  230/1962  (aggiunta  con legge n. 84/1986),
sicche'  le imprese di quel settore possono utilizzare tale tipologia
contrattuale  nei  limiti  di  tempo prescritti dalla legge senza pur
tuttavia  essere tenute a specificarne le motivazioni. Cio' si spiega
in  ragione  del  fatto  che  il settore in esame e caratterizzato da
ciclici  e  ricorrenti incrementi di produttivita' che il legislatore
ha inteso codificare. Non e' escluso, peraltro, che le stesse imprese
si  avvalgano  della  norma  generale di cui all'art. 1 per ulteriori
necessita'  di  implementazione  temporanea  dell'organico in periodi
diversi e/o maggiori di quelli stabiliti dalla disposizione in esame,
la  quale - e' opportuno rilevarlo - non opera in via esclusiva ma e'
limitata a sopperire alle sole implementazioni stagionali del settore
che sono ritenute strutturali.
  Ai sensi dell'art. 2 del decreto, dunque, i contratti a termine:
    con   riferimento   alla  legittimazione  delle  assunzioni,  non
necessitano di causale;
    in   ordine  alla  durata,  da  intendersi  come  comprensiva  di
eventuale  proroga,  possono  prevedere periodi di lavoro di sei mesi
complessivi,  tra  aprile  e  ottobre  di  ogni anno, e di quattro in
periodi diversi;
    non  possono  superare  la misura del 15% dell'organico aziendale
addetto,  al gennaio dell'anno di riferimento, ai servizi per i quali
e'  prevista la costituzione di rapporti a termine (servizi operativi
di  terra  e  di  volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci).
Giova  sottolineare  al  riguardo  che,  fin  dal  1995, con nota del
19 dicembre,  questo  Ministero si e' espresso nel senso che, essendo
unico  e  complessivo il parametro di riferimento sul quale calcolare
la  percentualizzazione  data, non per questo le assunzioni a termine
devono  riguardare  tutti  i  servizi  indicati  dalla  disposizione,
restando  nella disponibilita' dell'azienda di valutare le necessita'
dei   settori   operativi  maggiormente  esposti  e  conseguentemente
provvedere  al loro rafforzamento, senza che il suddetto rapporto tra
dipendenti  stabili e precari a termine sia osservato in ogni singolo
servizio   operativo.   Eguale   orientamento   interpretativo,  vale
nell'ipotesi  di  superamento  del  15%  a  seguito  di provvedimento
autorizzato  della  direzione  provinciale  del lavoro, su istanza di
aziende operanti negli aeroporti minori.

4. Requisiti di forma del contratto a termine.
  Poiche'  l'indicazione  scritta  del termine e delle ragioni che lo
legittimano  e'  richiesta ad substantiam, la mancanza di detta forma
comporta  la  nullita'  della  clausola  relativa  al termine, con la
conseguenza che il contratto si considera a tempo indeterminato.
  La  legge prevede, poi, che copia del contratto, la cui pattuizione
e  stesura  puo'  essere  anteriore  o  contestuale  all'inizio della
prestazione  lavorativa,  sia  fornita  al lavoratore a termine entro
cinque  giorni  lavorativi dall'assunzione in servizio (art. l, terzo
comma).  Trattasi  di  un  adempimento  estrinseco  ai  requisiti del
contratto e, quindi, inidoneo ad incidere sulla validita'.
  L'atto  scritto  non  e' richiesto per le assunzioni con durata non
superiore  a  dodici  giorni di calendario (art. 1, quarto comma) ne'
ovviamente  per  quelle  dei  dirigenti  e  del  personale addetto ai
settori esclusi dall'ambito applicativo della legge stessa.
  In  ogni  caso,  il  termine  finale  del  contratto puo' risultare
direttamente  o  indirettamente,  con  cio' confermando il prevalente
orientamento giurisprudenziale per il quale e' possibile stabilire un
termine finale certus an sed incertus quando.

5. Divieti di stipulazione del contratto a termine.
  Dalla  previsione  contenuta  nell'art.  3 in materia di divieti si
ricava  a  contrario  la  conferma  dell'ampia  facolta'  di  ricorso
all'istituto,  tenuto  conto  che il divieto e' tassativo nei casi di
cui alle lettere a), c) e d), ma derogabile per quanto previsto nella
lettera b).
  Ed  infatti,  ai sensi dell'art. 3, lettera b), e' fatto divieto di
assumere  lavoratori con contratto a termine presso unita' produttive
nelle   quali   si   sia   proceduto,  nei  sei  mesi  precedenti,  a
licenziamenti  collettivi di personale adibito alle medesime mansioni
cui si riferirebbe il contratto a termine da stipularsi.
  Il principio qui descritto soffre, pur tuttavia, di due eccezioni.
  La prima, di carattere generale, si riferisce all'eventuale diversa
disposizione di accordi collettivi.
  La seconda, sancita espressamente dal medesimo legislatore, precisa
che,  anche  nell'ipotesi  sopra  descritta,  e'  comunque consentito
assumere lavoratori con contratto a termine ove lo stesso:
    sia volto a sostituire lavoratori assenti;
    sia  concluso  per  l'assunzione  di  lavoratori in mobilita' (ed
abbia una durata non superiore a dodici mesi);
    abbia  una  durata  iniziale  non  superiore a tre mesi, comunque
prorogabile nel rispetto delle forme e dei limiti stabiliti dall'art.
4.

6.   Contratti   esclusi   dal  campo  di  applicazione  del  decreto
  legislativo n. 368/2001.
  Il  provvedimento  in  esame  reca inoltre disposizioni concernenti
l'esclusione  dal  proprio ambito applicativo di istituti e tipologie
contrattuali,   sia   in  quanto  soggetti  ad  apposito  regolamento
giuridico  (art.  10,  comma primo, lettere a), b), c), sia in quanto
preordinati  al  conseguimento  della formazione e all'inserimento al
lavoro,  quali stages, piani di inserimento lavorativo, tirocini, che
le  relative  previsioni  legislative non riconducono all'area di cui
all'art. 2094 del codice civile.
  Sono  esclusi  inoltre  i  contratti  a  contenuto formativo, quali
apprendistato e formazione-lavoro nonche' quelli di lavoro temporaneo
o interinale.
  Quanto  ai  contratti  di formazione e lavoro, e' appena il caso di
rammentare che in essi la durata del rapporto e' determinata in primo
luogo  dall'art.  16  della  legge  n.  451/1994  e, nel rispetto del
periodo  massimo  ivi  fissato, dal singolo progetto formativo, senza
alcun  riferimento  quindi ad esigenze aziendali o motivazioni di cui
all'art. 1, decreto legislativo n. 368 cit.
  Analoghe le ragioni dell'esclusione del contratto di apprendistato,
la  cui  durata, non vertendosi di tipologia di lavoro flessibile, e'
rapportabile  non  ad  esigenze  aziendali  da  ricondurre all'art. 1
succitato  ma  al  complesso  contenutistico  della qualificazione da
conseguire.
  A  tal fine il relativo periodo, normato legislativamente quanto ai
limiti   minimi  e  massimo,  viene  stabilito  dalla  contrattazione
collettiva   di   categoria  cui  la  legge  rinvia  in  ordine  alla
determinazione  oltre che del dato retributivo anche della durata per
le  singole  qualifiche  sulla  base delle ravvicinate valutazioni ed
esperienze  delle  parti  sociali riguardo ai percorsi formativi e di
lavoro professionalizzanti.
  Ed  infatti,  sia il contratto di formazione e lavoro che quello di
apprendistato  si fondano su presupposti del tutto diversi rispetto a
quelli sottesi al rapporto a tempo determinato.
  Piu' precisamente, proprio in ragione della loro peculiare funzione
economico   sociale,   essi  non  solo  sono  esclusi  dal  campo  di
applicazione del decreto in commento ma non soggiacciono nemmeno alla
disciplina  della  successione  di  piu'  contratti  ivi disciplinata
all'art. 5.
  L'esecuzione  del  contratto  non  e',  infatti,  ripetibile per la
stessa  qualifica  e la relativa durata non e' prorogabile se non per
esigenze   connesse   al   completamento   dell'iter   formativo.  In
particolare,  il  rapporto  di apprendistato e' unicamente soggetto a
soluzioni  di  continuita' - ai sensi di legge - come da art. 8 della
disciplina  istitutiva  del  1955,  che  dispone la cumulabilita' dei
periodi  di servizio omogenei prestati alle dipendenze di piu' datori
di lavoro al fine del raggiungimento della qualifica.
  Sul  punto,  va, poi, rammentato l'art. 21, legge n. 56/1987, nella
parte in cui (comma quarto) demanda alla contrattazione collettiva di
categoria   di   prevedere   specifiche   modalita'   di  svolgimento
dell'apprendistato nelle imprese con attivita' in cicli stagionali.
  La  casistica  legislativa in tema di esclusione comprende oltre al
settore  turismo  e pubblici esercizi relativamente alle assunzioni a
giornata  della  quali  si  e'  gia'  fatto  cenno,  anche il settore
dell'agricoltura  e  del  commercio  non  al  dettaglio  di  prodotti
ortofrutticoli.
  Nella  prima delle suddette ipotesi, prevista dall'art. 10, secondo
comma,  viene  ribadito  il  principio  gia' contenuto nella legge n.
230/1962  e  incisivamente  riaffermato dalla Cassazione (Sent. Cass.
S.U.  n. 265 del 13 gennaio 1997) al cui vaglio si deve il definitivo
chiarimento  circa la non assoggettabilita' dei rapporti a termine in
agricoltura  all'area  applicativa della generale disciplina ex legge
n. 230 cit.
  In  merito  la  Corte,  interpretando evolutivamente l'art. 6 della
citata  legge  n.  230,  ha  ammesso  "in  generale  e  senza  alcuna
limitazione  il  lavoro  stagionale  agricolo"  oltre  la  previsione
dell'abrogato  regolamento  di  esecuzione  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1525/1963.
  La  nuova  legge  accoglie  detto  principio per connessione logica
estendendolo  al  settore  produttivo  nello  stesso  art. 10, quinto
comma,  nell'ottica di non comprimere le possibilita' occupazionali e
lo  sviluppo  del  settore  stesso,  collegando le une e l'altro alle
vicende produttive dell'agricoltura con le quali interagiscono.

7. Durata del contratto a tempo determinato.
  L'individuazione   della  durata  del  contratto,  come  e'  ovvio,
rappresenta  una  variabile  dipendente  dal  contesto produttivo nel
quale   il   lavoratore  deve  essere  inserito  e,  per  questo,  il
legislatore non ha stabilito a priori, tranne che per i dirigenti, un
limite di durata.
  L'unico limite di durata, dunque, e' in generale quello desumibile,
secondo  un  criterio  di ragionevolezza, in coerenza con la concreta
causale  di  assunzione  dedotta  in  contratto  all'atto  della  sua
stipulazione.
  Precisato  quanto  sopra  in  via  di principio, le disposizioni di
seguito  elencate  recano,  tuttavia,  predeterminazioni temporali di
alcuni contratti.


Art. 10, comma 3:     lavoro a giornata:
                        tre giorni.
Art. 1, comma 4:      lavoro occasionale:
                        dodici giorni non prorogabili
                      in coerenza con la condizione di
                      occasionalità.
Art. 3, lett. b:      deroga al divieto di assunzione
                       temporanea:
                       tre mesi prorogabili.
Art. 2:               settore aero portuale:
                        quattro e sei mesi.
Art. 10, comma 8:     contratti di breve durata:
                        fino a sette mesi, non prorogabili,
                      o maggior durata stabilita dalla
                      contrattazione collettiva.
Art. 3, lettera b:    deroga al divieto per assunzioni
                       di lavoratori in mobilità:
                      dodici mesi non prorogabili.
Art. 10, comma 6:     lavoratori anziani in possesso dei
                        requisiti di pensionamento:
                       due anni, ripetibili.
Art. 4, comma 2:      ipotesi di proroga:
                        tre anni complessivi.
Art. 10, comma 4:     contratti dei dirigenti:
                        cinque anni.

  Occorre  fornire un chiarimento relativo alle attivita' stagionali,
in  particolare  a  quelle  ricomprese  nella voce n. 48, decreto del
Presidente  della Repubblica n. 1525/1963, come integrato dal decreto
del  Presidente  della  Repubblica n. 378/1995, che vi ha inserito le
aziende  turistiche  con  periodi  minimi  di inattivita' di settanta
giorni continuativi o centoventi non continuativi.
  Ora,  quanto  alle causali di legittima apposizione del termine, il
decreto  legislativo  n.  368  soprarichiamato, nell'art. 10, settimo
comma,  lett. b), rinvia alle suddette attivita' stagionali tabellate
a  mero  titolo  esemplificativo  e  non  esclusivo  in  ordine  alla
individuazione  delle  relative fattispecie, con la conseguenza che i
presupposti applicativi di cui alla predetta voce n. 48 non sono piu'
richiesti   in   quanto   prevale   l'allegazione  della  motivazione
presentata dall'imprenditore conformemente alla nuova legge.
  Non sembra sussistere, peraltro, alcuna predeterminazione di durata
di   questi  contratti,  la  quale  rappresenta  oggi  una  variabile
dipendente  dalle  esigenze  dell'assetto  produttivo di riferimento,
sicche', per l'effetto abrogativo ex art. 11 primo comma, nel settore
turistico  - diversamente dalla prassi di applicazione della legge n.
230  -  sono  ora  ammesse  assunzioni  a  termine  anche per periodi
superiori  a  sei  mesi  all'anno  se  supportate  dalle  motivazioni
datoriali  addotte  e, comunque, indipendentemente dai presupposti di
applicabilita' di cui alla voce n. 48 cit.
8. Proroga del termine.
  Il  contratto  di  lavoro  a termine puo' essere prorogato, secondo
quanto  stabilito  dall'art.  4,  anche  per  un  periodo  largamente
superiore  a quello iniziale, ferma restando la durata complessiva di
tre  anni  ed  eccezion fatta per i contratti di breve durata ex art.
10, ottavo comma.
  Premesso  che l'istituto della proroga come quello del rinnovo gia'
risultava  normato  nell'ordinamento in vista di approntare misure di
prevenzione  degli  abusi,  si  osserva  che  l'attualizzazione della
disciplina,  mentre  conferma la possibilita' di un indefinito numero
di  rinnovi  sempreche'  separati  dagli intervalli temporali fissati
dall'art. 5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti, ribadisce il
principio dell'unica proroga senza tuttavia circoscriverne la durata,
purche' - si ribadisce - nel complesso inferiore a tre anni. Con cio'
stesso, il legislatore esprime un ulteriore segnale circa l'accezione
elastica dell'istituto in commento.
  Quanto  alla giustificazione della proroga vi e' infine da dire che
le   ragioni  oggettive  indicate  dal  legislatore  sono  prive  del
carattere    della    imprevedibilita'    e/o    eccezionalita'   e/o
straordinarieta'.
  E',  dunque,  da  ritenersi superata quella previgente disposizione
che  subordinava  la  legittimita'  della proroga alla sussistenza di
esigenze contingenti ed imprevedibili. In particolare, fermo restando
che la proroga deve riferirsi alla stessa attivita' lavorativa per la
quale  il  contratto  e'  stato  stipulato  a tempo determinato, cio'
implica la possibilita' che le ragioni giustificatrici della proroga,
oltre  che  prevedibili sin dal momento della prima assunzione, siano
anche   del   tutto  diverse  da  quelle  che  hanno  determinato  la
stipulazione  del contratto a termine purche' riconducibili a ragioni
di  carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui
all'art. 1 del decreto.
  Quanto  alle  modalita'  della  proroga, il decreto n. 368 richiede
anche  il  necessario  consenso  del  lavoratore, per la validita' ed
efficacia  del  quale  non  necessaria  la  forma  scritta  (Cass. 23
novembre 1988, n. 6305).
  Peraltro, la nuova disciplina della proroga del contratto a termine
e'  destinata  a  trovare applicazione gia' con riguardo ai contratti
stipulati nel vigore della previgente disciplina stante l'abrogazione
della legge n. 230/1962.
9. Prosecuzione del termine.
  L'art.  5 del decreto disciplina, poi, l'ipotesi della prosecuzione
del   rapporto   individuando   un   "periodo  di  tolleranza".  Piu'
precisamente,  si  stabilisce che, ove il rapporto di lavoro continui
dopo  la  scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente
prorogato,  il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, per
ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della retribuzione.
  Pur  tuttavia,  nel  caso  in  cui il rapporto prosegua per piu' di
venti  o  trenta  giorni,  rispettivamente, per i contratti di durata
inferiore  o  superiore  a  sei  mesi, il contratto si considerera' a
tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
10. Limiti alla successione dei contratti a termine.
  Quanto  alla patologia del contratto, essa e' contemplata nell'art.
5, che ne stabilisce la conversione a tempo indeterminato:
    dalla  data  di stipula del primo contratto, quindi con efficacia
retroattiva,  se  le assunzioni si siano succedute senza soluzione di
continuita' (quinto comma);
    dalla  data  di  assunzione  di  un  secondo  contratto  a  tempo
determinato,  se  la riassunzione sia intervenuta entro un periodo di
dieci   o   venti   giorni  dalla  data  di  scadenza  del  contratto
(rispettivamente  di  durata  inferiore o maggiore di sei mesi [terzo
comma]):  ritenendo  ovviamente  che il termine scadenziale comprenda
anche  il  periodo  di  eventuale  prosecuzione  del contratto e/o di
proroga dello stesso;
    (come visto) dal ventunesimo o dal trentunesimo giorno successivo
alla scadenza contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata del
rapporto (secondo comma).
  In  applicazione del disposto succitato, si conferma l'orientamento
ministeriale  di  cui  a  circ.  n.  53/97, concernente la disciplina
sanzionatoria  in  materia  di  contratto a tempo determinato, con la
puntualizzazione  che  la  novella  legislativa  a mente dell'art. 5,
terzo   comma,   chiarisce   la  regola  applicabile  ai  fini  della
conversione  di  contratti  con durata fino a sei mesi, o superiore a
sei  mesi,  per  i  quali la terminologia adottata nell'art. 12 della
legge n. 196/1997 aveva lasciato spazio a qualche dubbio.
11. Abrogazioni e regime transitorio.
  Il  decreto  legislativo  n.  368,  disponendo  la regolamentazione
giuridica  dell'intera  materia  del contratto a termine, non ammette
intersezioni applicative con le precedenti disposizioni che nel nuovo
assetto  normativo  sono,  pertanto,  direttamente  (come la legge 18
aprile  1962,  n.  230 e successive modificazioni, l'art. 8-bis della
legge  25  marzo 1983, n. 79, l'art. 23 della legge 28 febbraio 1987,
n. 56) o indirettamente abrogate.
  In  relazione  agli  effetti  derivanti dalle predette abrogazioni,
l'art. 11, comma 2, del decreto dispone tuttavia che "le clausole dei
contratti  collettivi  nazionali  di  lavoro  stipulate  ai sensi del
citato art. 23 e vigenti all'atto dell'entrata in vigore del presente
provvedimento  legislativo,  manterranno,  in via transitoria e salve
diverse  intese,  la  loro  efficacia  fino alla data di scadenza dei
contratti collettivi nazionali di lavoro stessi".
  La  previsione de qua ha, quindi, l'effetto di mantenere, pur se in
via  transitoria, l'efficacia delle clausole dei contratti collettivi
nazionali  fino  alla  loro  naturale  scadenza,  in tal modo facendo
salve,  anche  nella  vigenza  della  nuova  normativa, le ipotesi di
legittima  apposizione  del  termine ivi indicate, con la conseguenza
che  il  riferimento  alle  stesse  esonera  il  datore di lavoro dal
fornire ulteriori giustificazioni.
    Si  ricorda,  infatti,  che  l'art.  23,  comma 1, della legge n.
56/1987  aveva  affidato alla contrattazione collettiva il compito di
individuare,   accanto   alle   ipotesi  tipizzate  dal  legislatore,
ulteriori ipotesi in cui ammettere l'apposizione del termine.
  In  tal  senso,  disponeva,  altresi', che nei contratti collettivi
fosse  stabilito  il  numero  percentuale  dei lavoratori che potesse
essere  assunto  con  detta forma contrattuale rispetto ai lavoratori
impegnati a tempo indeterminato.
  Attualmente, dunque, le clausole dei contratti collettivi nazionali
in vigore (ivi comprese quelle relative all'individuazione dei limiti
percentuali)  continueranno  ad  avere  efficacia  accanto alle altre
ipotesi   che  la  disciplina  del  decreto  n.  368  ricollega  alle
richiamate  esigenze di carattere "tecnico, produttivo, organizzativo
e  sostitutivo"  che,  come  piu'  volte  detto,  legittimano ad oggi
l'apposizione del termine.
  Va  in ogni caso precisato, in proposito, come le ipotesi di lavoro
a  tempo  determinato  individuate dalla contrattazione collettiva ai
sensi dell'art. 23, legge 56/1987, siano aggiuntive e non sostitutive
di  quelle indicate dalla legge. Le clausole dei contratti collettivi
nazionali  in  vigore, in altri termini, continueranno ad affiancarsi
(e  non  a sostituirsi) alle ipotesi di legge, con la sola differenza
che  al numerus clausus di cui all'art. 1 della legge 18 aprile 1962,
n.  230  e  successive  modifiche  e  integrazioni  si  viene  ora  a
sostituire  la  clausola  generale  di  cui  all'art. 1, comma 1, del
decreto  legislativo  9 ottobre 2001, n. 368. Lo stesso dicasi per le
clausole di contingentamento disposte dai contratti collettivi di cui
all'art.  23,  legge  n.  56/1987, che, almeno in linea di principio,
stabiliscono  tetti  massimi  alle assunzioni a tempo determinato con
esclusivo   riferimento   alle   ipotesi  tipizzate  dalla  autonomia
collettiva e non anche a quelle gia' legittimate dal legislatore.
    Roma, 1 agosto 2002
                                                  Il Ministro: Maroni