PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA

CIRCOLARE 15 luglio 2004, n. 4/04 

Collaborazioni  coordinate  e continuative. Presupposti e limiti alla
stipula  dei  contratti.  Regime  fiscale  e previdenziale. Autonomia
contrattuale.
(GU n.203 del 30-8-2004)
 
 Vigente al: 30-8-2004  
 

                              Alla   Presidenza   del  Consiglio  dei
                              Ministri Segretario generale

                              Alle  amministrazioni dello Stato anche
                              ad ordinamento autonomo

                              Al  Consiglio  di  Stato  - Ufficio del
                              segretario generale

                              Alla  Corte  dei  conti  -  Ufficio del
                              segretario generale

                              All'Avvocatura  generale  dello Stato -
                              Ufficio del segretario generale

                              Alle Agenzie

                              All'ARAN

                              Alla  Scuola  superiore  della pubblica
                              amministrazione

                              Agli   enti   pubblici   non  economici
                              (tramite i Ministeri vigilanti)

                              Agli  enti  pubblici  (ex  art.  70 del
                              decreto legislativo n. 165/2001)

                              Agli   enti   di  ricerca  (tramite  il
                              Ministero              dell'istruzione,
                              dell'universita' e della ricerca)

                              Alle istituzioni universitarie (tramite
                              il      Ministero      dell'istruzione,
                              dell'universita' e della ricerca)

                                e, per conoscenza:

                              Alla  Conferenza  dei  presidenti delle
                              regioni

                              All'ANCI

                              All'UPI

1. Premessa.
  La   pubblica   amministrazione   e'   stata,  negli  ultimi  anni,
protagonista di un processo di assimilazione all'impresa privata, pur
nel  riconoscimento  della  sostanziale  differenza  delle  finalita'
perseguite,  dal  punto  di  vista  delle  logiche  organizzative. Il
mutamento   della   visione   organizzativa  dell'amministrazione  ha
comportato,  da  un  lato,  la  contrattualizzazione  del rapporto di
lavoro  dei  propri  dipendenti  e,  dall'altro,  l'attribuzione alla
dirigenza  di  un  ruolo  diverso,  con la conseguente assunzione dei
poteri  del  privato  datore  di  lavoro nella gestione delle risorse
umane,  per giungere, anche, all'esercizio di tali poteri nell'ambito
organizzativo vero e proprio.
  Da  cio'  derivano  il  potere e l'onere attribuiti ai dirigenti di
attendere  all'organizzazione  dei propri uffici e delle risorse loro
attribuite, secondo la previsione dell'art. 5 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede, al comma 2, che «Nell'ambito
delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'art. 2, comma 1, le
determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti
alla  gestione  dei  rapporti  di  lavoro  sono  assunte dagli organi
preposti  alla  gestione  con  la  capacita'  ed i poteri del privato
datore di lavoro».
  In  questo  contesto,  si  e'  sviluppato il ricorso alle tipologie
lavorative  cosiddette «flessibili» ed alle collaborazioni esterne ex
art.  2222 del codice civile, come previste dall'art. 7, comma 6, del
decreto  legislativo n. 165/2001 «Norme generali sull'ordinamento del
lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni pubbliche» e, per le
amministrazioni   locali,   dall'art.   110,  comma  6,  del  decreto
legislativo   18 agosto   2000,  n.  267  «Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali»,  anche  al fine di rispondere
agilmente  a  bisogni qualificati e temporanei senza per questo dover
aumentare il numero del personale stabilmente in servizio.
  L'attivazione  di tali contratti non sempre e' stata in linea con i
principi  dell'ordinamento  e,  in particolare, con quanto piu' volte
dichiarato  dalla  giustizia  contabile.  La  crescita del fenomeno e
l'utilizzo    improprio    delle    collaborazioni   portano   questa
amministrazione  ad  intervenire con la presente direttiva, posto che
gia' il legislatore in sede di legge finanziaria, art. 34 della legge
27 dicembre  2002,  n.  289 e art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n.
350,   e'  intervenuto  con  disposizioni  restrittive  ai  fini  del
contenimento della spesa (90% del triennio 1999-2001).
  Per  quanto  concerne  i  rapporti  di  collaborazione coordinata e
continuativa, si pongono all'attenzione delle amministrazioni diversi
problemi relativi, in primo luogo, all'individuazione dei presupposti
che  legittimano il ricorso alla collaborazione, poi alla valutazione
di eventuali tutele non previste dall'ordinamento che, pero', possono
essere  introdotte  nei  singoli  contratti  in virtu' dell'autonomia
contrattuale  attribuita  ai  contraenti  e, in ultimo, alla corretta
gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali.
  In  relazione  a quest'ultimo aspetto, e' necessario ricordare come
l'avvenuta  assimilazione dei rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa  al  lavoro  dipendente per gli aspetti fiscali, operata
dall'art.  34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che ha modificato
il  testo  unico  delle imposte sui redditi, e che si riverbera anche
sugli   aspetti   previdenziali,   non  incide  sulla  qualificazione
giuridica del rapporto.
  Infine, e' opportuno in tale sede richiamare la recente riforma del
mercato  del  lavoro,  attuata  dal  decreto legislativo 10 settembre
2003,  n.  276, che ha introdotto la figura del lavoro a progetto con
la  finalita' di arginare, nel settore privato, l'abuso delle attuali
collaborazioni  coordinate  e  continuative  che  per  questa ragione
andranno  ricondotte  alla  modalita'  «a  progetto» in ragione della
autonomia del collaboratore.
  Occorre,  pero',  chiarire  gia'  adesso che il decreto legislativo
citato,  come  gia'  disposto dalla legge delega 14 febbraio 2003, n.
30,  ha  sancito  espressamente l'inapplicabilita' delle disposizioni
ivi  contenute alle pubbliche amministrazioni ed al loro personale e,
nell'art.  86,  comma 8, ha, inoltre, previsto che il Ministro per la
funzione  pubblica  convochi le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative  dei  dipendenti  delle amministrazioni pubbliche per
esaminare  i  profili  di  armonizzazione conseguenti alla entrata in
vigore  del  decreto  legislativo,  anche  ai  fini  della  eventuale
predisposizione di provvedimenti legislativi nella materia.
  Si  rappresenta  con  l'occasione  che lo scorso 5 marzo si e' dato
corso  all'avvio  del  processo  di  armonizzazione  con  un  atto di
indirizzo   all'ARAN  per  la  stipula  di  un  contratto  collettivo
nazionale quadro.
2. Presupposti.
  La ricognizione sulla necessita' che le amministrazioni verifichino
l'esistenza dei presupposti che legittimano il ricorso ai rapporti di
collaborazione    coordinata    e   continuativa   scaturisce   dalla
considerazione  che  il  ricorso  a  tali  tipologie  contrattuali e'
sensibilmente aumentato. Da elaborazioni effettuate dall'ARAN (1) sui
dati   Si.   Co.   del   Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,
relativamente  all'utilizzo degli istituti di lavoro flessibile nelle
pubbliche  amministrazioni,  per  il  biennio  2000-2001, sono emerse
indicazioni   significative   sull'andamento  del  fenomeno,  che  e'
caratterizzato  da  una  sensibile  crescita  della  spesa  nel 2002,
rispetto  a  quella  gia'  alta registrata nel 2001. L'ampiezza della
variazione   puo'   essere   solo   parzialmente  giustificata  dalla
specificita'  del  settore  e  delle funzioni esercitate, mentre deve
sollecitare tutte le amministrazioni ad una attenta riflessione sulle
scelte organizzative finora poste in essere.
  Dalla  lettura  delle  disposizioni di cui all'art. 7, comma 6, del
decreto  legislativo n. 165/2001 e all'art. 110, comma 6, del decreto
legislativo  n. 267/2000, si evidenzia la possibilita' di ricorrere a
rapporti   di   collaborazione   solo   per  prestazioni  di  elevata
professionalita',  contraddistinte  da una elevata autonomia nel loro
svolgimento,  tale  da  caratterizzarle  quali  prestazioni di lavoro
autonomo.
  Come  ricordato in alcuni precedenti pareri (2) dell'ufficio per il
personale  delle pubbliche amministrazioni, l'elemento dell'autonomia
dovra'  risultare  prevalente,  poiche'  in  caso contrario sarebbero
aggirate    e   violate   le   norme   sull'accesso   alla   pubblica
amministrazione   tramite  concorso  pubblico,  in  contrasto  con  i
principi  costituzionali  (articoli 51  e  97 Costituzione), principi
ribaditi  dalla Corte costituzionale in diverse decisioni, nonche' il
principio,   anch'esso   costituzionale,   di   buon   andamento   ed
imparzialita' dell'azione amministrativa (art. 97 Costituzione). Tale
connotazione  del  rapporto  di collaborazione e' stata ravvisata, in
piu'  occasioni, anche dalla Corte dei conti, sezione controllo enti,
che  gia'  nella  deliberazione  n.  33  del  22 luglio  1994,  aveva
rappresentato la necessita' di evitare che l'affidamento di incarichi
a  terzi  si  traducesse  in  forme  atipiche  di  assunzione, con la
conseguente  elusione  delle  disposizioni  sul  reclutamento e delle
norme in materia di contenimento della spesa.
              (1) Si veda il sito www.aranagenzia.it «Gli istituti di
          lavoro  flessibile  nella  pubblica amministrazione e nelle
          autonomie   locali.   Indagine   quantitativa  sul  biennio
          2000-2001»  a  cura  di  D.  Di  Cocco  -  P. Mastrogi - S.
          Tomasini.
              (2) Si  veda  il sito www.funzionepubblica.it alla voce
          lavoro pubblico.
  L'affidamento   dell'incarico   a   terzi  potra'  dunque  avvenire
nell'ipotesi  in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte
ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali
presenti  in  quel  momento  al  suo  interno.  Al riguardo, soccorre
nuovamente  la  consolidata  giurisprudenza della Corte dei conti, la
quale  ha ribadito l'impossibilita' di affidare, mediante rapporti di
collaborazione,  i  medesimi  compiti  che sono svolti dai dipendenti
dell'amministrazione,  proprio  al  fine  di evitare una duplicazione
delle funzioni ed un aggravio di costi.
  I  principi guida elaborati dalla Corte e, da ultimo, espressamente
richiamati   dalla   sezione   giurisdizionale  per  il  Veneto  (3),
relativamente  alla eventualita' di un danno erariale per affidamento
di consulenze e delle correlate responsabilita', possono essere cosi'
riassunti  quali  condizioni  necessarie  per  il  conferimento degli
incarichi:
    rispondenza  dell'incarico  agli  obiettivi  dell'amministrazione
conferente;
    impossibilita'  per  l'amministrazione  conferente  di procurarsi
all'interno  della  propria  organizzazione  le  figure professionali
idonee  allo  svolgimento delle prestazioni oggetto dell'incarico, da
verificare attraverso una reale ricognizione;
    specifica   indicazione   delle   modalita'   e  dei  criteri  di
svolgimento dell'incarico;
    temporaneita' dell'incarico;
    proporzione  fra  compensi  erogati  all'incaricato e le utilita'
conseguite dall'amministrazione.
  Inoltre, deve ritenersi che tali condizioni debbano tutte ricorrere
perche'  l'incarico  possa essere considerato conferito lecitamente e
senza  incorrere  nell'ipotesi  del  danno erariale. Tale necessita',
oltre  a rispondere alla ratio delle norme prima richiamate, e' stata
affermata esplicitamente dalla stessa Corte (4).
              (3) Si  veda  Corte  dei conti, sezione giurisdizionale
          per il Veneto, 3 novembre 2003, n. 1124/2003 su Giornale di
          diritto  amministrativo n. 1/2004. Sui medesimi principi si
          rinvia,  inoltre,  a:  Corte  dei conti, sez. I, 18 gennaio
          1994,  n.  7;  sez. I 7 marzo 1994, n. 56; sezioni riunite,
          12 giugno 1988, n. 27; sez. II 22 aprile 2002, n. 137; sez.
          controllo enti, 22 luglio 1994, n. 33.
              (4) Corte  dei conti, sezioni unite, 12 giugno 1988, n.
          27.
  Gli   elementi  individuati  dalla  Corte  dovranno  risultare  dal
contratto,  infatti, in ossequio alla regola generale in virtu' della
quale  i  contratti stipulati con la pubblica amministrazione debbono
essere  stipulati  per  iscritto,  l'attribuzione  di  un incarico di
collaborazione risultera' da atto scritto, nel quale saranno indicati
l'oggetto  della prestazione e la durata della collaborazione. Questa
dovra'  essere  commisurata  all'oggetto  della  prestazione e potra'
essere  determinata  con  precisione o per relationem. E' ammissibile
una  proroga  del  contratto  quando sia funzionale al raggiungimento
dello  scopo  per il quale il contratto era stato posto in essere. Al
riguardo,  si  ricorda  che non si tratta di una proroga ai sensi del
decreto   legislativo   6 settembre   2001,  n.  368,  in  quanto  la
fattispecie   rientra   nell'ambito   del   lavoro   autonomo  e  non
subordinato.  Al  contrario,  una  successione  indiscriminata  e non
giustificata   di   proroghe   o  di  rinnovi  sarebbe  evidentemente
illegittima.
  La  necessita'  di  ricorrere  ad  un  incarico  di  collaborazione
esterna,   e   nello   specifico   di   collaborazione  coordinata  e
continuativa, deve costituire, dunque, un rimedio eccezionale per far
fronte ad esigenze peculiari per le quali l'amministrazione necessita
dell'apporto   di   apposite   competenze   professionali.   Infatti,
diversamente,  l'ordinamento  ha  fornito  alle  amministrazioni  gli
strumenti  con  i  quali  far  fronte  ad  esigenze organizzative che
esulino   da  tale  eccezionalita'  e  costituiscano,  invece,  delle
necessita'  costanti. Infatti, queste sono obbligate ad individuare i
fabbisogni  duraturi  o  frequenti  nell'ambito  di  provvedimenti di
analisi  e  programmazione  triennale dei fabbisogni, nonche' tramite
l'aggiornamento  periodico  dei profili professionali in relazione ai
mutamenti  istituzionali  e  ai  nuovi  fabbisogni  quando vengano ad
assumere  un carattere permanente. Tale necessita' emerge anche dalle
indicazioni  della  Corte dei conti che ha avuto modo di sottolineare
come  la  proroga  del rapporto di incarico a personale esterno debba
essere considerata una fattispecie assolutamente eccezionale (5).
  Puo'  essere  utile,  infine,  nell'ambito della ricognizione delle
professionalita'    esistenti    all'interno    dell'amministrazione,
verificare  la  possibilita' e la convenienza di formare o aggiornare
personale  interno  sottoutilizzato  o da riconvertire, in attuazione
del  principio  guida che discende dalle finalita' indicate dall'art.
1,  comma  1,  del decreto legislativo n. 165/2001 e, in particolare,
per «realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane».
  Pertanto,  le  procedure  previste  dai  processi  di  progressione
economica   orizzontale  e  le  procedure  concorsuali  attinenti  le
progressioni  verticali dovranno tenere conto dei nuovi fabbisogni di
professionalita'  che  assumano le caratteristiche della permanenza e
necessita'.
              (5) Corte  dei conti, sez. contr. enti, 28 aprile 1992,
          n. 19.
3. Oggetto dell'incarico.
  Una   particolare   attenzione  debbono  porre  le  amministrazioni
nell'individuare  l'oggetto dell'incarico di collaborazione, ossia il
contenuto della prestazione.
  Pertanto,  volendo  con piu' precisione cercare di circoscrivere il
campo delle attivita' che possono essere affidate ad esterni, si deve
partire dall'art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001, il
quale  si  riferisce «ad esperti di provata competenza», per giungere
alla  considerazione  che  deve  trattarsi  di prestazioni di elevata
professionalita',  quindi  di  prestazioni  d'opera  intellettuale da
affidarsi,   ad  esempio,  ma  non  solo,  a  coloro  che  esercitano
un'attivita' per la quale e' richiesta una abilitazione all'esercizio
della   professione  e  l'iscrizione  in  appositi  albi,  oppure  di
prestazioni di altro tipo non reperibili nel settore pubblico.
  Deve,  poi,  sottolinearsi  come  il  rapporto  di  collaborazione,
caratterizzandosi  per  l'assenza di un vincolo di subordinazione fra
committente e prestatore d'opera e, quindi, nel senso dell'autonomia,
impedisce che con tale strumento siano affidati i compiti di gestione
e  di  rappresentanza,  che costituiscono le attribuzioni tipiche dei
funzionari  e  dei  dirigenti della pubblica amministrazione, i quali
sono,  invece,  in  rapporto  di  subordinazione  con  il  datore  di
lavoro-amministrazione  e,  pertanto,  agiscono secondo gli indirizzi
impartiti  e  gli  obiettivi  assegnati, rispondendo del loro operato
«secondo   le   leggi  penali,  civili  e  amministrative»  (art.  28
Costituzione),  laddove  nel  caso dell'inadempienza contrattuale del
collaboratore  la  sola  conseguenza  possibile  sara' il recesso del
committente secondo le norme generali (articoli 1453, 2227 e 2237 del
codice civile).
  Ad  esempio,  poiche'  il  collaboratore  coordinato e continuativo
difetta del requisito indispensabile dell'incardinazione, in mancanza
di  una eventuale ed espressa procura, non potra' mai agire per conto
dell'amministrazione. Infatti, l'art. 417-bis del codice di procedura
civile  conferisce  la  rappresentanza  in  giudizio  ex  lege  delle
pubbliche  amministrazioni  nelle controversie di pubblico impiego ai
soli  «dipendenti»  delle  amministrazioni  e,  cioe', a tutti coloro
legati    da    un   vincolo   di   subordinazione   ed   incardinati
nell'amministrazione  da  difendere.  Pertanto,  il  soggetto esterno
all'amministrazione  agirebbe  quale  falsus  procurator  (per quanto
riguarda  la  disciplina  civilistica,  cfr. articoli 1398 e 1399 del
codice civile).
  Occorre  ricordare,  inoltre, come l'attribuzione di un incarico di
collaborazione, al di fuori delle condizioni indicate dalla Corte dei
conti  e  delle  fattispecie  ora  ricordate,  comporti  una serie di
conseguenze  a  carico del dirigente che ne e' responsabile. Infatti,
costui   potrebbe   essere  chiamato  a  rispondere,  oltre  che  per
l'eventuale  responsabilita'  per danno erariale, anche per i profili
attinenti alla responsabilita' amministrativa, nonche' in sede civile
qualora   l'incarico   abbia   dissimulato   un  rapporto  di  lavoro
dipendente,  poiche' l'ordinamento prevede la tutela risarcitoria nei
limiti di cui all'art. 2126 del codice civile.
4. Elementi caratteristici del rapporto
  Come  noto, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa
non  trova una definizione specifica nel codice civile. La principale
fonte  normativa che soccorre in materia di collaborazioni coordinate
e  continuative  e'  l'art.  409,  comma  3,  del codice di procedura
civile,   il   quale  ha  esteso  la  disciplina  delle  controversie
individuali  di  lavoro  ai  rapporti  di  agenzia, di rappresentanza
commerciale,  nonche'  ad  altri  rapporti  di collaborazione «che si
concretino  in  una  prestazione di opera continuativa e coordinata e
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato ...».
  Da   tale   norma   ha  preso  spunto  il  dibattito  dottrinale  e
giurisprudenziale   sul  c.d.  lavoro  parasubordinato  e  sulla  sua
definizione   come   categoria   dotata   di  una  propria  autonomia
concettuale  rispetto  alla classica dicotomia lavoro autonomo/lavoro
subordinato.  La  stessa  espressione «parasubordinazione» utilizzata
dal  legislatore,  infatti, implica senza dubbio una affinita' con il
lavoro  subordinato  dal  punto di vista socio-economico (sostanziale
dipendenza dal datore di lavoro).
  Peraltro,  una lettura sistematica delle fonti normative citate non
puo'  che  ricondurre  anche i rapporti di c.d. parasubordinazione al
campo  del  lavoro  autonomo,  pur  con tutte le peculiarita' via via
espressamente  enucleate  dallo  stesso  legislatore(6).  Ed  invero,
l'art.  409,  comma 3,  del  codice  di  procedura  civile  colloca i
rapporti  di  «collaborazione»  nettamente  al  di fuori dello schema
tipico del lavoro subordinato ex art. 2094 del codice civile, tant'e'
che  la  giurisprudenza  di  legittimita'  e' orientata ad attribuire
rilevanza     meramente     processuale    alla    categoria    della
parasubordinazione,    nel    senso    della   esclusiva   automatica
applicabilita'  delle sole norme dettate per il lavoro subordinato in
materia  di  competenza  e  di rito (ivi, ovviamente, compreso l'art.
429, comma 3, del codice di procedura civile), e con esclusione delle
norme  sostanziali che disciplinano il rapporto di lavoro subordinato
(si  veda  Cass.  n.  2426/95,  n.  1459/97  e,  da  ultimo, Cass. n.
5941/2004,  in  tema  di  inapplicabilita'  dell'art. 2126 del codice
civile  alle  prestazioni svolte in situazioni di autonomia, sia pure
aventi   le  caratteristiche  della  parasubordinazione,  potendo  il
lavoratore  autonomo  avvalersi  unicamente  dell'azione per indebito
arricchimento).
              (6)   Per   i   richiami   normativi  sui  rapporti  di
          collaborazione    coordinata   e   continuativa   via   via
          susseguitisi,  si  vedano principalmente: legge n. 335/1995
          (c.d.  Riforma  Dini  del  sistema  previdenziale),  che ha
          incluso  tale  categoria di lavoratori tra quelli tenuti ad
          iscriversi  (in  mancanza di altra copertura previdenziale)
          alla  gestione  separata  di  cui  all'art.  2 (c.d. quarta
          gestione  INPS:  art.  3, comma 26), prevedendo un'aliquota
          previdenziale  inferiore a quella vigente per i rapporti di
          lavoro  subordinato  (10% iniziale poi destinata a crescere
          fino al 20%, mentre quella normale oscilla intorno al 33%);
          legge  n.  449/1997  (art.  59, comma 16), che ha esteso ai
          collaboratori  autonomi  iscritti alla gestione separata di
          cui  sopra anche le prestazioni dell'assegno per maternita'
          e  dell'assegno  per  il nucleo familiare legge n. 448/1999
          (prestazioni   anche   in  caso  di  malattia  con  degenza
          ospedaliera);  decreto  legislativo  n.  38/2000  (art.  5:
          obbligo  per  i datori di lavoro di denunciare i lavoratori
          parasubordinati  all'INAIL,  per  estendere anche a loro la
          tutela  dell'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul
          lavoro); legge n. 342/2000, che ha previsto l'assimilazione
          dal  1° gennaio 2001 dal punto di vista fiscale dei redditi
          parasubordinati  a  quelli  da  lavoro  dipendente,  con la
          possibilita'   di  beneficiare  delle  detrazioni  e  delle
          esclusioni  dalla formazione della base imponibile previste
          per  i dipendenti nonche' la valutazione omogenea anche dei
          compensi in natura.
  Venendo  all'esame  degli  elementi  caratteristici  del  rapporto,
l'art.  409,  comma 3, del codice di procedura civile individua i tre
aspetti  peculiari  che  caratterizzano il rapporto di collaborazione
coordinata   e   continuativa   che,   in   sintesi,   possono  cosi'
evidenziarsi:
    continuita',   in  contrapposizione  alla  occasionalita',  quale
prestazione  che  si  protrae  nel  tempo e la cui durata deve essere
definita in sede negoziale;
    coordinazione,  che,  secondo  la  giurisprudenza  della Corte di
cassazione,  e'  costituita  dal  vincolo  funzionale tra l'opera del
collaboratore  e  l'attivita'  del committente e comporta una stretta
connessione con le finalita' di quest'ultimo;
    prestazione  prevalentemente  personale, in virtu' della quale il
ricorso a propri collaboratori risulta decisamente limitato.
  Ai  fini della presente nota, rileva anche la definizione normativa
contenuta  nell'art.  50,  lettera  c-bis, del decreto del Presidente
della   Repubblica   22 dicembre  1986,  n.  917,  quando  indica  la
prestazione   di  collaborazione  coordinata  e  continuativa,  nella
specie:  «A  favore  di  un  determinato  soggetto,  nel quadro di un
rapporto unitario, con retribuzione periodica prestabilita».
  Il  vero  criterio  distintivo del rapporto di lavoro in esame puo'
essere individuato nella mancanza del vincolo di subordinazione, come
risulta  invece  disciplinato  negli  articoli 2094,  2086 e 2104 del
codice  civile.  In  tali  disposizioni, la dipendenza del lavoratore
subordinato  dal  proprio  datore di lavoro ed il potere direttivo di
questi   assumono   un   ruolo  primario.  Le  norme  fanno  espresso
riferimento  ad  una  subordinazione  gerarchica che, per sua natura,
rappresenta  un vincolo strettamente personale che si riflette, nella
normalita'  dei  casi,  in  una limitazione della sfera di azione del
lavoratore.   Si   tratta,  quindi,  di  una  limitazione  al  potere
decisionale,   organizzativo,   di   scelta,   etc.,  del  lavoratore
subordinato  in  ordine all'attivita' dallo stesso svolta nell'ambito
della  realta'  operativa  in  cui  e'  inserito,  che  si  manifesta
attraverso  le  imposizioni fissate nell'esercizio del proprio potere
direttivo  dal  datore di lavoro che riguardano diversi aspetti della
prestazione   lavorativa:   determinazione   dell'orario  di  lavoro,
modalita'  di  esecuzione  della  prestazione, controllo del rispetto
delle  regole impartite, comminazione di sanzioni disciplinari, etc.,
individuando   concretamente   i   compiti  e  rendendoli,  pertanto,
esigibili.
  In  assenza  di tali dirimenti criteri, si sara' in presenza di una
prestazione  lavorativa il cui titolare presta la propria opera senza
vincolo  di  subordinazione.  Cio' significa che il collaboratore non
deve  essere in alcun modo limitato nel proprio potere decisionale in
ordine  alla esecuzione del servizio prestato, sebbene il committente
non  possa  essere  totalmente  estromesso  da  qualsiasi  scelta che
riguardi  l'esecuzione  dell'opera  o  del servizio pattuito potendo,
invece,  verificare  e  controllare  le modalita' di esecuzione delle
attivita'  affidate,  al  solo  fine  di  valutare la rispondenza del
risultato  con  quanto richiesto e la sua funzionalita' rispetto agli
obiettivi prefissati.
  Tale  attivita'  non  deve  essere  trascurata perche' attiene alla
verifica   dei  risultati  che  debbono  essere  conseguiti  ed  alla
valutazione sull'utilita' della collaborazione.
  Sulla  natura  dei  rapporti,  se di lavoro autonomo o subordinato,
soccorre anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale,
partendo   dalla  considerazione  che  il  solo  nomen  iuris,  quale
esplicazione del principio dell'affidamento delle parti, non consente
di  identificare completamente la natura della prestazione, e' giunta
a  fornire  indicazioni  concrete  per  l'individuazione della natura
subordinata della prestazione.(7)
  A  cio'  occorre,  inoltre,  aggiungere  il  fatto che il potere di
coordinazione  puo'  variare  di  intensita',  non  potendo essere il
medesimo  per  prestazioni  diverse, al punto da doverne chiarire, di
volta in volta, il contenuto.
  Per  quanto  concerne,  infine,  la  distinzione fra collaborazione
coordinata e continuativa e prestazione occasionale e' opportuno dare
un'interpretazione  sistematica  dell'art.  61  del  predetto decreto
legislativo  n.  276/2003,  al  fine  di  individuare  con precisione
quest'ultima  fattispecie.  La  circolare  del Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali  (n.  1  dell'8 gennaio 2004) conferma come
l'art.  61  del  decreto  legislativo  n. 276/2003 non e' intervenuto
sulla  disciplina  dettata  dagli articoli 2222 e seguenti del codice
civile, ne' «sostituisce e/o modifica l'art. 409, n. 3, del codice di
procedura  civile, bensi' individua, per l'ambito di applicazione del
decreto, e nello specifico, della medesima disposizione, le modalita'
di  svolgimento  della  prestazione  del collaboratore, utile ai fini
della  qualificazione  della  fattispecie nel senso della autonomia o
della subordinazione».
  Pertanto,  il lavoro a progetto si caratterizza come un rapporto di
lavoro  peculiare  rispetto  allo  schema tipico del lavoro autonomo,
caratterizzato  dal  potere  di  coordinamento  del  committente, pur
rimanendo al di fuori della cornice dell'art. 2094 del codice civile.
  L'art.  61,  inoltre, limita la propria disciplina alla fattispecie
individuata  dall'art.  409,  comma 3 del codice di procedura civile,
stabilendo  che  questi  rapporti  dovranno  essere  ricondotti  alle
diverse ipotesi del lavoro subordinato o del lavoro a progetto, salvo
il  caso  in  cui non ci si trovi nella fattispecie della prestazione
meramente   occasionale   introducendo   un   dato   quantitativo  di
identificazione  relativo  al numero di giornate lavorative presso lo
stesso  committente  e  all'entita' del compenso percepito nell'anno.
Tale   disposizione   produce,   dunque,  effetti  sotto  il  profilo
probatorio,  poiche' superati tali limiti il datore di lavoro dovra',
eventualmente,  dimostrare  che la prestazione resa era riconducibile
alla  categoria  del  lavoro autonomo in quanto mancavano i requisiti
della  continuita'  o  personalita'  o inserimento funzionale ecc. In
altri   termini,  qualora  un  prestatore  d'opera  superi  i  limiti
individuati  al comma 2 del citato art. 61 non necessariamente vedra'
inquadrato  il proprio rapporto di lavoro quale lavoro a progetto, o,
in  assenza  degli  elementi  essenziali di tale schema contrattuale,
quale  lavoro  subordinato,  poiche' invece potrebbe avere reso una o
piu'  prestazioni d'opera ai sensi dell'art. 2222 del codice civile e
seguenti, oppure una prestazione di lavoro occasionale, la quale, pur
rientrando  nella categoria del lavoro autonomo (art. 2222 e seguenti
del  codice civile) costituisce fattispecie diversa dalla prestazione
professionale  o  dall'esercizio  di  un'arte  o dalla collaborazione
coordinata e continuativa. Essa si caratterizza per la occasionalita'
e  saltuarieta',  tali  che il compenso che ne deriva non puo' essere
considerato  la  forma principale di reddito. Infatti, il testo unico
delle imposte sul reddito (art. 81, lettera l, decreto del Presidente
della  Repubblica  n. 917/1986) definisce i redditi occasionali quali
quelli  «derivanti  da  attivita'  di  lavoro autonomo non esercitata
abitualmente».  La  prestazione  non  viene  effettuata,  dunque,  in
maniera continuativa e l'attivita' del prestatore non si coordina con
i fini del committente. Pertanto, gli unici elementi in comune con la
collaborazione  coordinata  e continuativa possono essere considerati
l'assenza  del vincolo di subordinazione e la liberta' di organizzare
la prestazione fuori da vincoli di orario.
              (7) Si  veda  Cassazione Sez. unite civili, sent. n. 61
          del 13 febbraio 1999.
  Sempre  in  relazione  all'art. 61 ed alla fattispecie del lavoro a
progetto,   vale   la   riflessione  che  il  legislatore  ha  voluto
sottolineare  come  l'utilizzo di tali tipologie di prestazione debba
essere  agganciato al contesto organizzativo tipico delle aziende, in
quanto  la  collaborazione  deve  inserirsi  in  specifici  progetti,
coincidere   con  essi  o  svolgersi  al  loro  interno.  Deve  pero'
aggiungersi che anche le pubbliche amministrazioni sono profondamente
orientate  da  logiche programmatorie, finalizzate al controllo delle
attivita'  ed  alla  valutazione  dei  risultati, pertanto l'utilizzo
delle  collaborazioni  esterne  dovrebbe  gia' naturalmente inserirsi
nell'ambito       di       attivita'      oggetto      dell'indirizzo
politico-amministrativo  che  trovano logica attuazione attraverso la
definizione di obiettivi strategici ed obiettivi operativi. Pertanto,
anche  alla  luce  dei  principi  contenuti  nel  decreto legislativo
30 luglio  1999,  n. 286, in materia di controllo, la motivazione che
sottende  l'attivazione della collaborazione dovrebbe far riferimento
a programmi, progetti o fasi di essi.
  Infine,  anche  per  gli altri aspetti disciplinati nel citato art.
61,  va  comunque  ricordato come tali disposizioni non si applichino
alle  pubbliche  amministrazioni  ed al personale da esse dipendente,
stante l'espressa e puntuale esclusione operata dall'art. 1, comma 2,
del decreto n. 276/2003.
5. Connotazione particolare rispetto al lavoro subordinato.
  Rispetto alla distinzione fra rapporto di collaborazione coordinata
e  continuativa e rapporto di lavoro subordinato, oltre agli elementi
gia'   richiamati   dell'assenza  del  vincolo  di  subordinazione  e
dell'autonomia  nell'eseguire  la  prestazione, e opportuno ricordare
come  non sia possibile applicare automaticamente gli istituti tipici
del lavoro subordinato.
  In  primo  luogo,  non  e'  possibile  considerare  un  obbligo  di
prestazione  oraria e il relativo controllo delle presenze. Se e' pur
vero  che potrebbe essere necessario un inserimento del collaboratore
nell'organizzazione del committente, poiche' debbono essere garantiti
uno   o   piu'  risultati  continuativi  che  si  integrino  in  tale
organizzazione,  cio'  dovra'  comunque  avvenire  in presenza di una
gestione  autonoma del tempo di lavoro da parte del collaboratore. In
altri  termini, l'attivita' del collaboratore puo' anche svolgersi in
un  luogo  diverso  da quello nel quale opera l'organizzazione che fa
capo  al committente, venendo questi in contatto con l'organizzazione
solo  nei  tempi  utili allo svolgimento della sua collaborazione. Da
cio'  deriva  che  al  collaboratore non puo' essere richiesta alcuna
attestazione  della  propria  presenza nei luoghi nei quali si svolge
l'attivita'  del  committente.  Infatti, il collaboratore non entra a
far  parte  dell'organizzazione del committente e, nel caso in cui il
committente  sia  una  pubblica  amministrazione,  questi non puo' in
alcun modo essere considerato un suo dipendente.
  Dalle considerazioni appena svolte deriva, quindi, l'impossibilita'
di attribuire giorni di ferie, trattandosi di un istituto tipicizzato
nell'ambito  del  rapporto  di  lavoro  subordinato. Emerge, da cio',
anche   l'impossibilita',   per   il   committente,  di  scegliere  o
programmare  il  periodo di riposo in maniera unilaterale, sebbene, a
tal  riguardo,  nella  convenzione  di collaborazione potrebbe essere
inserita   la  possibilita'  di  sospendere  la  prestazione  per  un
determinato  periodo  di  tempo, soprattutto laddove il collaboratore
utilizzi,  per  lo svolgimento della propria attivita', le strutture,
gli  impianti e gli strumenti del committente, tanto nel rispetto del
vincolo  di  non subordinazione, quanto nell'osservanza del principio
di  coordinamento  con  l'attivita', gli obiettivi e l'organizzazione
del committente.
  Anche  per  quanto  concerne  l'attribuzione  dei  buoni  pasto, le
considerazioni  gia'  svolte  debbono  indurre  ad una esclusione dei
collaboratori  coordinati  e  continuativi  dalla titolarita' di tale
diritto.  Come  noto, l'erogazione di buoni pasto spetta al personale
contrattualizzato  dipendente della pubblica amministrazione a fronte
di  un orario di lavoro articolato sui cinque giorni lavorativi ed in
assenza  di  un servizio mensa o altro servizio sostitutivo presso la
sede  lavorativa (si veda l'art. 2, comma 11, della legge 28 dicembre
1995,  n.  550,  legge  finanziaria  1996).  Potra',  invece,  essere
previsto nel contratto un apposito rimborso spese, in quanto istituto
tipico  nei  rapporti  di  lavoro  autonomo,  qualora  ne ricorrano i
presupposti.
  Per quanto concerne le trasferte, l'assimilazione del collaboratore
coordinato  e  continuativo operata dal testo unico delle imposte sui
redditi  (sulla non estensione di tali effetti rispetto agli istituti
tipici  del  lavoro  subordinato  si  rinvia  al paragrafo n. 7 della
presente  circolare  relativo  al  trattamento fiscale) al lavoratore
dipendente determina l'applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2001,
delle  regole  sui  rimborsi  analitici valide per la generalita' dei
lavoratori   dipendenti.   La   circolare  ministeriale  n.  207  del
16 novembre  2000  del  Ministero  delle  finanze, dispone che «sara'
applicabile   anche   ai  rapporti  di  collaborazione  coordinata  e
continuativa  la  disciplina  delle trasferte contenuta nell'art. 51,
comma  5 del TUIR, in ordine ai limiti oltre i quali le indennita' di
trasferta concorrono a formare reddito imponibile ...».
  Riguardo  l'ambito  territoriale  della  trasferta,  dal 1° gennaio
2001,  si  fa  riferimento  alla  sede  di lavoro del committente, se
questa  e'  chiaramente  identificabile dal contratto, o al domicilio
fiscale  del  collaboratore,  se non e' possibile individuare in modo
chiaro la sede di lavoro.
  Tale  posizione  e'  confermata  anche dalla circolare dell'Agenzia
delle entrate n. 58/E del 18 giugno 2001, laddove si afferma che: «La
sede  di lavoro e' quella che risulta dal contratto. Di norma la sede
di  lavoro  coincide  con una delle sedi del datore di lavoro ... nei
casi  in  cui  non  e'  possibile individuare puntualmente la sede di
lavoro   ne'   identificare  tale  sede  con  quella  della  societa'
(committente) e' possibile far riferimento, ai fini dell'applicazione
del  comma  5  dell'art.  51  del  TUIR,  al  domicilio  fiscale  del
collaboratore».
  Dall'analisi  dell'art.  51, comma 5, del testo unico delle imposte
sui redditi, le principali regole per la gestione dell'istituto della
trasferta e dei rimborsi spese possono essere cosi' riassunte:
    1) trasferta fuori dal territorio del comune:
      l'indennita'  erogata in modo forfetario non concorre a formare
il   reddito  nella  misura  massima  giornaliera  di  Euro 46,48  (o
Euro 77,47  in  caso  di  trasferta  all'estero), cosiddetto rimborso
spese con il metodo forfetario;
      il  limite di esenzione di cui sopra e' ridotto di un terzo nel
caso in cui sono rimborsate: le spese di vitto o le spese di alloggio
oppure il vitto o l'alloggio siano forniti gratuitamente; se le spese
di  vitto  e  alloggio  sono rimborsate entrambe, allora il limite di
esenzione si riduce di 2/3; nessuna riduzione deve essere operata nel
caso in cui manchi il pernottamento per il fatto che la trasferta sia
inferiore  alle  24  ore. Rimane naturalmente l'obbligo di ridurre di
1/3  la  quota  di  esenzione  nel  caso  in cui il vitto sia fornito
gratuitamente o rimborsato (metodo rimborso misto);
      il  rimborso  delle  spese  documentate  per  vitto,  alloggio,
viaggio   e   trasporto,   non   concorrono   a  formare  il  reddito
indipendentemente  dall'ammontare  (metodo rimborso a pie' di lista o
analitico);
      in   alternativa,   le   altre   spese  rimborsate,  anche  non
documentabili, non concorrono alla formazione del reddito, nel limite
di Euro 15,49 al giorno (Euro 25,82 per le trasferte all'estero);
    2) trasferta nell'ambito del comune:
      le  indennita'  o  i  rimborsi per le trasferte nell'ambito del
comune  concorrono a formare il reddito (fiscale e previdenziale), ad
eccezione  dei  rimborsi  spese  di trasporto comprovabili con idonea
documentazione   proveniente  dal  vettore  (biglietti  dell'autobus,
ricevuta   fax,  ecc.).  E'  interamente  assoggettato  a  tassazione
l'eventuale  rimborso  delle spese di trasporto effettuato attraverso
la  corresponsione  di un'indennita' chilometrica, in quanto manca la
documentazione proveniente dal vettore.
6. Autonomia contrattuale.
  La  non  applicabilita' alle «co.co.co.» nel settore pubblico della
riforma  del  lavoro, di cui al decreto legislativo n. 276/2003, pone
due  interrogativi di fondo: che tipo di tutela hanno oggi i titolari
di  rapporti  di  collaborazione  coordinata  e  continuativa  con la
pubblica  amministrazione e quale sia il percorso giuridico attuabile
per  giungere  a  quella «armonizzazione» degli istituti necessaria e
conseguente  alla  riforma  del  lavoro di cui al decreto legislativo
citato (art. 86, comma 8).
  Con  riferimento  al  primo  punto, va ribadito in questa sede che,
anche  con  riferimento ai c.d. «co.co.co.», la norma generale di cui
al  secondo  comma  dell'art.  36 del decreto legislativo n. 165/2001
impedisce  a priori (indipendentemente dall'applicabilita' senz'altro
da  escludersi  del  decreto  legislativo  n.  276/2003 alla pubblica
amministrazione)   l'operativita'   di   qualsivoglia  meccanismo  di
automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato
a  tempo  indeterminato, come invece stabilito per il settore privato
dall'art.  69,  decreto  legislativo  n.  276/2003. L'art. 36 citato,
infatti,  stabilisce  che  la  violazione  di disposizioni imperative
riguardanti  l'assunzione  o  l'impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche  amministrazioni,  non  puo'  comportare la costituzione di
rapporti  di  lavoro  a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni.
  Ogni dubbio di incostituzionalita' di detta disciplina che potrebbe
sorgere sotto il profilo della violazione degli articoli 3 e 97 della
Costituzione  (diseguaglianza  tra  lavoratori  privati  e pubblici e
violazione   del   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
amministrazione)   e'  stato  definitivamente  superato  dalla  Corte
costituzionale  che,  giudicando sulla costituzionalita' dell'art. 36
cit.  con riferimento alla analoga disciplina dei contratti a termine
e  della possibilita' della loro conversione, in caso di stipulazione
al di fuori dei presupposti e limiti di legge, in contratti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, ha ritenuto infondata la questione
ritenendo  che, anche dopo l'intervenuta privatizzazione del rapporto
di  impiego  dei  pubblici  dipendenti,  permangono differenze tra il
rapporto di pubblico impiego e quello di lavoro privato; in primis in
materia  di  instaurazione  del  rapporto  di lavoro pubblico, la cui
disciplina   e'  improntata  al  principio  fondamentale,  totalmente
estraneo   al  rapporto  di  lavoro  privato,  dell'accesso  mediante
concorso,  enunciato  dall'art.  97, comma 3, Costituzione, principio
posto  a  presidio  delle  esigenze di imparzialita' e buon andamento
dell'amministrazione  (cfr.  Corte  costituzionale, sentenza 27 marzo
2003, n. 89).
  Pertanto,  anche  con  riferimento alla disciplina dei contratti di
collaborazione  coordinata  e continuativa, la scelta del legislatore
di  ricollegare  alla  violazione  di  norme  imperative  riguardanti
l'assunzione  dei lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni
(quale    sarebbe    l'automatica   conversione   del   rapporto   di
collaborazione  coordinata  e  continuativa  in  rapporto  di  lavoro
subordinato  a  tempo  indeterminato)  conseguenze diverse rispetto a
quelle  operanti  nel settore privato risulta pienamente giustificata
dalla disomogeneita' delle situazioni lavorative dedotte.
  In  conclusione, la tutela attualmente accordabile al collaboratore
delle   amministrazioni  pubbliche,  nel  caso  di  stipulazione  del
contratto  al  di  fuori  dei  presupposti  di  legge, non potra' mai
determinarsi la conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato,   ma  potra'  estrinsecarsi  esclusivamente  in  forma
risarcitoria  e  cioe'  nei  limiti  di  cui all'art. 2126 del codice
civile  (e  solo  qualora  il  contratto  di  collaborazione abbia la
sostanza  del rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto
del lavoratore a tutte le differenze retributive e alla ricostruzione
della  posizione  contributiva  e  previdenziale).  In  tal  caso, si
potrebbe  certamente  configurare  una responsabilita' amministrativa
del dirigente che ha stipulato il contratto di co.co.co. illegittimo,
con addebito del danno erariale verificatosi.
  Sulla  configurabilita' in concreto di una siffatta responsabilita'
si rileva che:
    per quanto riguarda la condotta del dirigente, e' principio ormai
consolidato  che  l'attribuzione  ad  esterni di incarichi rientranti
nell'ordinaria    attivita'   dell'ente   e   senza   la   preventiva
individuazione   delle   specifiche   (e   temporanee)  finalita'  da
perseguire  costituisca  comportamento  perseguibile  ai  fini  della
sussistenza  della responsabilita' amministrativa (cfr., ex plurimis,
Corte conti sez. Puglia n. 244 del 21 marzo 2003);
    con  riferimento  al  dolo  o  alla  colpa  grave  (art. 1, legge
14 gennaio  1994,  n.  20), la consolidata giurisprudenza della Corte
dei  conti  (come  gia' richiamata all'inizio) pone un limite netto e
preciso   alla   utilizzabilita'   di   incarichi   di  consulenza  e
collaborazione  esterna,  per  cui  non potra' certamente parlarsi di
«errore  professionale scusabile» (si veda Corte conti, sez. Terza n.
24  del  28 gennaio  2003,  che  ritiene  la  sussistenza di colpa di
rilevante  gravita' da parte degli amministratori quando si tratta di
incarichi    concernenti    l'assolvimento    di    normali   compiti
amministrativi;  si veda, inoltre, Corte conti sez. Lazio n. 2137 del
21 ottobre 2003, che limita l'ammissibilita' del ricorso ad incarichi
esterni  in  caso  di  «necessita'  straordinarie  che  esulano dalle
ordinarie  conoscenze  dell'ufficio»  e  di  «manifesta insufficienza
delle risorse interne a soddisfare la specifica esigenza»);
    maggiori problemi sorgono con riferimento alla sussistenza o meno
del  danno  erariale  ed  alla  sua quantificazione, dal momento che,
utilizzando  parametri prettamente civilistici, si potrebbe sostenere
che,  comunque,  le  somme  dovute  al collaboratore ex art. 2126 del
codice  civile  (e  cioe'  a  fronte della provata illegittimita' del
contratto  di  co.co.co.  perche'  si  sostanzia,  nei  fatti,  in un
rapporto  di lavoro subordinato vero e proprio) sono il corrispettivo
di una attivita' lavorativa prestata in favore dell'ente, il quale se
ne  e'  comunque  avvantaggiato.  L'art. 1-bis della legge 14 gennaio
1994, n. 20, infatti, stabilisce che nel giudizio di responsabilita',
oltre  al  potere  di  riduzione,  deve  tenersi  conto  dei vantaggi
comunque  conseguiti  dall'amministrazione.  Va  pero'  detto come la
Corte dei conti abbia sempre affermato che nei rapporti pubblicistici
il  parametro  di valutazione della c.d. «utilita' gestoria» non puo'
essere  automaticamente equiparato a quello meramente civilistico, ma
deve  tenere  conto  dei  parametri  fissati dalla legge a tutela dei
preminenti    interessi   pubblici (8);   conseguentemente   non   e'
configurabile   un   arricchimento   dell'ente   -   da   opporre  in
compensazione  -  in relazione a prestazioni lavorative effettuate in
posizioni  di  status contra legem (cfr. Corte conti sez. II 5 luglio
2002, nn. 225 e 226; Corte conti sez. Abruzzo 3 aprile 2003, nn. 162;
si veda anche Corte conti sez. Toscana 5 dicembre 2002 n. 929/rel, in
cui   viene   ritenuta   la  non  perseguibilita'  -  ai  fini  della
responsabilita'  amministrativa  - dell'affidamento di un incarico di
co.co.co.  di  comandante  di  corpo di polizia municipale a soggetto
sprovvisto  del titolo di studio per accedere a tale qualifica, sulla
base    della    sinallagmaticita'    delle    prestazioni    erogate
dall'amministrazione,  dal  momento  che  la  specifica  e prolungata
esperienza  del lavoratore andava a supplire la carenza del titolo di
studio).  Anche  in tale caso (in cui c'e' un apparente contrasto con
le  massime  prima  riportate), dunque, la Corte non ha valutato tout
court  il vantaggio economico dell'attivita' lavorativa svolta, ma lo
ha  fatto  solo  in  quanto  ha  «salvato»  a  monte  il contratto di
co.co.co.,  ritenendo,  come  si  e'  visto, superabile il profilo di
illegittimita' della carenza del titolo di studio.
              (8)  cfr.  Corte  conti, sez. riun. 18 dicembre 1996 n.
          80/a  su  Rivista  Corte conti 1997, fasc. 1. 67, Foro amm.
          1997, 1834
  In   conclusione,  la  posizione  dei  collaboratori  coordinati  e
continuativi  delle  amministrazioni  pubbliche  e'  senz'altro  piu'
debole  rispetto  al  settore privato, dove il decreto legislativo n.
276/2003  impone  oggi condizioni di stipulazione assai piu' rigorose
(prima fra tutte, la necessita' di un progetto connesso all'incarico)
e prevede il meccanismo (anche sanzionatorio per il datore di lavoro)
della   conversione   automatica  in  rapporto  subordinato  a  tempo
determinato sin dalla data della stipulazione del contratto.
  L'amministrazione,  tuttavia,  sia in virtu' della propria funzione
volta  alla  realizzazione  di  interessi  pubblici,  sia  in  virtu'
dell'espresso  richiamo  del  legislatore (che nell'art. 86, comma 8,
decreto  legislativo n. 276/2003, demanda al Ministro per la funzione
pubblica il compito di esaminare a livello collettivo le modalita' di
attuazione  -  «armonizzazione»  -  delle  novita'  della riforma con
riferimento  alla  pubblica  amministrazione) appare comunque tenuta,
anche  con riferimento alla disciplina dei rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, ad adottare criteri che impediscano un uso
elusivo e distorto di tale forma contrattuaIe.
  Senz'altro   utile   potra'   essere  una  specifica  ed  analitica
indicazione  dei  criteri  da  seguire  anche  in coerenza con quanto
previsto  dal decreto legislativo n. 276/2003 e delle linee guida che
emergono  dalla  copiosa  giurisprudenza  della  Corte  dei  conti in
materia  dalle  Amministrazioni  che vogliano utilizzare contratti di
collaborazione coordinata e continuativa.
  Non  potra',  invece,  l'autonomia collettiva prevedere in linea di
principio   meccanismi  di  automatica  conversione  a  sanatoria  di
situazioni  pregresse  o  comunque  verificabili,  vigendo  i  limiti
costituzionali  nell'accesso per pubblico concorso, l'imparzialita' e
il buon andamento della pubblica amministrazione sopra enunciati. Una
clausola  contrattuale  di  questo tenore sarebbe, infatti, nulla per
violazione  di  norme  imperative  di  legge  ex art. 1418 del codice
civile  nonche' per quanto previsto all'art. 36, comma 2, del decreto
legislativo n. 165/2001.
7.   Adempimenti   conseguenti   alla   stipula   di   contratti   di
collaborazione coordinata e continuativa.
  Le  pubbliche  amministrazioni che conferiscono incarichi di lavoro
autonomo da svolgersi in forma coordinata e continuativa sono tenute,
al  pari dei committenti privati, agli adempimenti di natura fiscale,
previdenziale ed assicurativi previsti dalle rispettive discipline di
settore.
  Sono  tenute,  inoltre,  in  caso  di  instaurazione di rapporti di
lavoro   autonomo   in   forma  coordinata  e  continuativa,  a  dare
comunicazione  contestuale  al centro territoriale competente nel cui
ambito   territoriale   e'   ubicata  la  sede  di  lavoro.  In  tale
comunicazione sono indicati i dati anagrafici del lavoratore, la data
di  stipula e di cessazione del contratto, la tipologia contrattuale,
nonche' il trattamento economico e normativo, secondo le disposizioni
contenute  nel  comma  2  del  decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510,
convertito  dalla  legge  28 novembre  1996,  n. 608, come sostituito
dall'art.  6,  comma  2, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n.
297.  Riguardo  alle  richiamate  modalita'  della  comunicazione, si
dovra'  fare  riferimento  alle  indicazioni  che  saranno a tal fine
fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
7.1. Trattamento fiscale.
  Come  noto,  l'art.  34  della  legge  21 novembre  2000,  n.  342,
collegato fiscale alla legge finanziaria per l'anno 2000, ha aggiunto
all'art.  47  del  testo unico delle imposte sui redditi, decreto del
Presidente  della  Repubblica  22 dicembre  1986,  n. 917, la lettera
c-bis,  operando  cosi'  la  trasformazione  dei redditi derivanti da
rapporti  di  collaborazione  coordinata e continuativa da redditi da
lavoro  autonomo  a redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente.
Attualmente,  a  seguito  del  riordino del testo operato dal decreto
legislativo  12 dicembre  2003,  n.  344,  la  disciplina dei redditi
assimilati  a  quelli da lavoro dipendente e' rinvenibile all'art. 50
del testo unico delle imposte sui redditi.
  Riguardo  al  nuovo regime, occorre, in primo luogo, ricordare come
le  modifiche riguardino il solo profilo fiscale senza incidere sulla
disciplina del rapporto contrattuale.
  La nuova qualificazione fiscale comporta, da un lato, la cessazione
della  ritenuta  fissa  del  20%  a  titolo  d'acconto  dell'IRPEF e,
dall'altro,  il  calcolo  di  una  ritenuta  operato sulla base delle
aliquote progressive per scaglioni di reddito, contenute nell'art. 11
del testo unico delle imposte sui redditi, all'atto del pagamento del
compenso.  Ne  discende,  in  sede  di determinazione dell'imponibile
fiscale,  la  non  concorrenza dei contributi previdenziali (comma 2,
art.  51 del TUIR) e l'abbandono della deduzione forfetaria del 5 o 6
per  cento;  mentre,  in  sede  di  tassazione  del reddito, si avra'
l'applicazione  degli  scaglioni  e delle aliquote IRPEF valide per i
redditi  di  lavoro  dipendente  e  l'applicazione  delle  detrazioni
previste  dagli  articoli 13  e  14 del testo unico delle imposte sui
redditi,  nonche'  delle  deduzioni previste, dalla legge finanziaria
per l'anno 2003, all'art. 10-bis (ora art. 11).
  Sempre  relativamente  all'aspetto  fiscale, occorre ricordare come
non   si  possano  considerare  rientranti  nella  fattispecie  della
collaborazione  coordinata  e  continuativa le prestazioni tipiche di
lavoro dipendente o quelle relative all'esercizio di una professione.
Infatti,   in   quest'ultimo   caso,   laddove   la  prestazione  sia
riconducibile  ad  attivita'  per  le  quali  necessitano  conoscenze
tecnico-giuridiche   che  le  facciano  rientrare  nell'esercizio  di
attivita'  di  lavoro  autonomo  esercitata  abitualmente, i compensi
cosi'  percepiti saranno soggetti alla disciplina fiscale relativa ai
redditi da lavoro autonomo.
7.2. Tutela previdenziale.
  La  legge  di  riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio e
complementare,  di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, ha disposto,
all'art.  2, comma 26, l'iscrizione in una apposita gestione separata
presso   l'I.N.P.S.   dei  titolari  di  rapporti  di  collaborazione
coordinata  e  continuativa  con  la  finalita' di estendere, fra gli
altri,   anche  a  tali  soggetti  l'assicurazione  obbligatoria  per
l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti.
  Il contributo, inizialmente dovuto nella misura stabilita dal comma
29  dell'art.  2  della  legge  n. 335/1995, e' stato successivamente
rideterminato  come  indicato  dall'art.  51  della legge 23 dicembre
1999,  n. 448, che ha modificato il comma 16 dell'art. 59 della legge
27 dicembre  1997,  n. 449. Il contributo continua, invece, ad essere
determinato  nella  misura  del  10% per coloro che siano iscritti ad
altra  gestione  pensionistica  obbligatoria  o che siano pensionati.
Attualmente,   con  la  circolare  I.N.P.S.  n.  56/2004,  l'aliquota
contributiva per l'anno 2004, appunto, e' stabilita in 17,80% sino al
limite  di  Euro 37.883,00 e al 18,80% per la quota eccedente sino al
massimale  di Euro 82.401,00. L'aliquota prevista e quella aggiuntiva
seguono sempre la ripartizione tra committente e collaboratore di 2/3
e  1/3,  cosi'  come  previsto  dall'art.  1,  comma  2,  del decreto
Ministeriale  n.  281/1996,  «Regolamento recante modalita' e termini
per  il  versamento  del  contributo  previsto dall'art. 2, comma 30,
della  legge  8 agosto  1995,  n.  335».  Il  committente e' tenuto a
versare  il  contributo  dovuto anche per la parte che resta a carico
del collaboratore, attraverso i modelli e le scadenze previste.
  Sempre  per  effetto delle disposizioni del comma 29, il contributo
si  applica  sul  reddito  delle attivita' determinato con i medesimi
criteri  utilizzati  ai  fini  dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche  e, pertanto, il contributo previdenziale viene calcolato sul
valore  lordo  del  compenso,  al  fine  di  far  coincidere  la base
imponibile previdenziale con la base imponibile IRPEF (circolare INPS
n. 32 del 7 febbraio 2001).
  L'INPS,  con la circolare n. 16 del 2001, ha inoltre disposto che i
committenti  procedano  ad  un'unica  denuncia annuale da presentarsi
entro  il  31 marzo  dell'anno  successivo  a quello di effettuazione
della  collaborazione,  anche per le collaborazioni cessate nel corso
dell'anno.
  La   denuncia,   da   effettuarsi  tramite  i  modelli  predisposti
dall'ente, dovra' contenere i dati identificativi del committente, il
riepilogo  dei  versamenti  effettuati durante l'anno, nonche' i dati
relativi  al  collaboratore  ed  ai contributi dovuti in relazione ai
mesi per i quali e' stato corrisposto il compenso.
  L'assimilazione   dei   redditi   derivanti   dalle  collaborazioni
coordinate   e  continuative  ai  redditi  da  lavoro  dipendente  si
riverbera  anche negli adempimenti previdenziali, infatti per effetto
del  mutamento di regime operato dall'art. 34 della legge 21 novembre
2000,  n.  342,  tutti  i  riferimenti  contenuti  nelle disposizioni
emanate  anteriormente dovranno riferirsi ora all'art. 50 del decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
  Il  decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del
4 aprile 2002, che ha abrogato il precedente decreto ministeriale del
27 maggio  1998,  ha  disegnato  una  nuova  disciplina che, ai sensi
dell'art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, adegua,
per i lavoratori iscritti alla gestione separata dell'INPS, la tutela
relativa  alla  maternita'  ed  agli assegni al nucleo familiare alle
forme ed alle modalita' previste per il lavoro dipendente.
  L'assegno  di  maternita'  viene  corrisposto alle lavoratrici, che
possono far valere i seguenti requisiti:
    non  essere  iscritte  a  nessuna  altra  gestione  previdenziale
obbligatoria ne' essere pensionate;
    essere  iscritte  alla  gestione  separata,  con il pagamento del
contributo  previdenziale  addizionale  dello  0,50%  previsto per il
finanziamento  delle prestazioni per la maternita' e dell'assegno per
il nucleo familiare;
    vantare  almeno  tre  mensilita'  contributive,  accreditate  nei
dodici mesi precedenti i due mesi anteriori alla data del parto.
  Inoltre, l'indennita' di maternita':
    e' comprensiva di ogni altra indennita' spettante per malattia;
    spetta  anche  in  caso di adozione o affidamento, per i tre mesi
successivi  all'ingresso  nella  famiglia del bambino che, al momento
dell'affidamento  o  dell'adozione,  non abbia superato i sei anni di
eta';
    spetta  anche  nei  casi  di  adozione  o affidamento preadottivo
internazionale,  per  i  tre  mesi successivi all'ingresso del minore
nella  famiglia, anche se, quest'ultimo, abbia superato i sei anni di
eta' e fino al compimento della maggiore eta'.
  E',  inoltre,  prevista  anche l'indennita' di paternita', sempre a
partire  dal  1° gennaio  1998,  in  favore  del  padre iscritto alla
gestione  separata  INPS,  in  possesso dei requisiti previsti di cui
sopra,  per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto o per
il  periodo residuo che sarebbe spettato alla madre, in caso di morte
o  grave  infermita'  o  di abbandono, nonche' in caso di affidamento
esclusivo del bambino al padre.
  L'indennita'  di  malattia  per  i  periodi di degenza ospedaliera,
prevista  dalla  legge  n.  488/1999  per  gli iscritti alla gestione
separata  che versano il contributo aggiuntivo dello 0,50%, a partire
dal  1° gennaio 2000, e' stata disciplinata dal decreto del Ministero
del  lavoro  del  12 gennaio  2001.  Con  tale decreto si stabilisce,
appunto,  sempre  nel rispetto delle condizioni contributive previste
per  l'assegno di parto, la misura dell'indennita' di malattia che va
commisurata alle mensilita' contributive accreditate.
  L'indennita'  spetta  per  ogni  giorno di degenza presso strutture
ospedaliere  pubbliche  e  private accreditate dal Servizio sanitario
nazionale  ovvero presso strutture estere se autorizzate dal Servizio
sanitario  nazionale stesso; essa spetta, inoltre, fino ad un massimo
di 180 giorni nell'anno solare.
  L'assegno  per  il  nucleo  familiare  e'  previsto dall'art. 4 del
decreto  ministeriale  del 28 gennaio 1998, ai soggetti iscritti alla
gestione  separata  INPS. L'assegno spetta in misura proporzionale al
numero e al reddito dei componenti il nucleo.
  Il  reddito  familiare da considerare e' costituito dalla somma dei
redditi  di  ciascun componente il nucleo, con esclusione dei redditi
prodotti dai figli maggiorenni e del coniuge legalmente separato. Non
devono,  inoltre, essere considerate le rendite INAIL, le pensioni di
guerra  e  l'indennita'  di  accompagnamento  degli  invalidi civili.
L'importo   dell'assegno  viene  erogato  in  misura  decrescente  in
rapporto  agli scaglioni crescenti di reddito che annualmente vengono
rivalutati.  Pertanto, sono state disposte delle tabelle in base alle
quali   e'  possibile  stabilire  l'importo  dell'assegno  per  varie
tipologie familiari. L'assegno viene erogato per i mesi dell'anno che
risultano coperti da contribuzione.
  Tutte  le  indennita'  previste dall'INPS sono erogate, a richiesta
del soggetto che ne ha diritto, inoltrando apposita domanda presso le
competenti sedi INPS.
7.3. Tutela assicurativa.
  Le  pubbliche  amministrazioni  che  abbiano  stipulato rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa debbono tener conto che tali
collaboratori   sono  soggetti  agli  obblighi  assicurativi  qualora
svolgano  una  delle  attivita'  previste dall'art. 1 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  30 giugno  1965,  n. 1124, testo unico
delle   disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli
infortuni  e  le  malattie  professionali,  secondo  quanto  disposto
dall'art. 5 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, pertanto
sono  tenute  a  tutti  gli  adempimenti posti a carico dei datori di
lavoro dal citato testo unico.
  In pratica, si tratta delle attivita' gia' indicate nell'art. 4 del
testo  unico,  integrate  dalle attivita' nelle quali vi sia utilizzo
non  occasionale  di  veicoli a motore per l'esercizio delle mansioni
affidate.
  Il  committente  e'  tenuto alla denuncia di esercizio nella quale,
oltre  ad  essere riportati tutti gli elementi utili alla valutazione
del  rischio, debbono essere indicati i nominativi dei collaboratori,
la  misura  dei  compensi e la durata del rapporto di collaborazione.
Inoltre,  provvedera' al pagamento periodico del premio alle scadenze
previste,   alla   eventuale   denuncia   di  infortunio  o  malattia
professionale,  nonche'  alla  denuncia di cessazione del rapporto di
lavoro.
  Il  premio  assicurativo e' ripartito fra i contraenti nella misura
di  un  terzo  a  carico  del  lavoratore e di due terzi a carico del
committente    ed    e'   calcolato   sull'ammontare   dei   compensi
effettivamente   percepiti.   Poiche',   come   gia'   richiamato  in
precedenza,  l'art.  34  della  legge n. 342/2000 ha fatto transitare
nella  sfera  dei  redditi  di  lavoro dipendente i redditi derivanti
dalle collaborazioni coordinate e continuative, la base imponibile ai
fini  assicurativi  si  e'  adeguata al nuovo inquadramento normativo
riferendosi,  attualmente,  alle  disposizioni contenute nell'art. 52
del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi  relative  ai redditi
assimilati a quelli da lavoro dipendente: «... e' costituito da tutte
le  somme  ed  i  valori  in genere, a qualunque titolo percepite nel
periodo  di  imposta,  anche  sotto  forma di erogazioni liberali, in
relazione al rapporto di lavoro».
  Ai  fini  dell'individuazione  del  tasso applicabile all'attivita'
svolta   dal   lavoratore,   si   deve  fare  riferimento  «a  quello
dell'azienda,  qualora  l'attivita'  stessa  sia  inserita  nel ciclo
produttivo; in caso contrario, a quello dell'attivita' effettivamente
svolta». In altre parole:
    qualora l'attivita' del collaboratore sia riferibile ad una delle
posizioni   assicurative   gia'   denunciate   dal   committente,  si
applichera' il tasso in vigore per detta posizione;
    in  caso contrario, si applichera' il tasso medio previsto per la
corrispondente voce tariffaria prevista dalle tabelle INAIL.
  Stante  la  formulazione  della  disposizione di cui all'art. 5 del
citato   decreto   legislativo  n.  38/2000,  deve  ritenersi  che  i
committenti  siano  tenuti  all'obbligo  di  registrazione  sui libri
matricola e paga anche per i collaboratori coordinati e continuativi.
In  tal  senso,  si e' espresso anche il Ministero del lavoro e della
previdenza  sociale,  con  nota  del  2 gennaio  2001, nella quale e'
indicata  la  possibilita' di semplificare la tenuta dei libri paga e
matricola  per  tali  lavoratori, considerata la particolarita' della
prestazione non riconducibile a quella del lavoro dipendente.
  La  presente  direttiva  e' inviata all'Ispettorato per la funzione
pubblica,  al quale e' demandata dall'ordinamento vigente l'attivita'
di  vigilanza e verifica della conformita' dell'azione amministrativa
ai    principi   di   imparzialita'   e   buon   andamento,   nonche'
dell'osservanza  delle  disposizioni vigenti sul controllo dei costi,
dei  rendimenti  e dei risultati, ai sensi dell'art. 13, comma 1, del
decreto  ministeriale  30  dicembre  2002,  recante:  «Organizzazione
interna del Dipartimento della funzione pubblica».

    Roma, 15 luglio 2004


                                                   Il Ministro
                                            per la funzione pubblica
                                                    Mazzella

Registrato alla Corte dei conti il 4 agosto 2004
Ministeri  istituzionali,  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,
registro n. 9, foglio n. 18