N. 168 SENTENZA 12 - 23 dicembre 1963

                                 N. 168
                        SENTENZA 12 DICEMBRE 1963
               Deposito in cancelleria: 23 dicembre 1963.
   Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 336 del 28 dicembre 1963.
                      Pres. AMBROSINI - Rel.  MANCA
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Ordinanza che lo promuove - Valutazione della  rilevanza  -  Competenza
 del  giudice a quo - Motivazione sufficiente - Insindacabilita'. (Legge
 11 marzo 1953, n. 87, art. 23).
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Identificazione dell'oggetto - Questioni sollevate nel giudizio a quo e
 non comprese nell'ordinanza di rimessione - Esclusione. (Legge 11 marzo
 1953, n. 87, art. 23).
     Leggi   -   Procedimento  formativo  -  Approvazione  da  parte  di
 commissione parlamentare in sede deliberante - Costituzione,  art.  72,
 quarto   comma   -   Esclusione   dei  disegni  di  legge  "in  materia
 costituzionale" - Interpretazione.
     Consiglio superiore della Magistratura - Legge 24  marzo  1958,  n.
 195  -  Inidoneita'  a  garantire  l'indipendenza  e  l'autonomia della
 Magistratura  -   Esclusione   -   Sussistenza   di   garanzie   insite
 nell'osservanza di precetti extragiuridici da parte del giudice.
     Consiglio  superiore  della  Magistratura - Legge 24 marzo 1958, n.
 195, art. 23, primo comma - Elezione  dei  componenti  il  Consiglio  -
 Ripartizione  in  misura diversa fra le varie categorie di magistrati -
 Prevalenza numerica dei magistrati  di  Cassazione  in  confronto  alle
 altre  categorie - Violazione degli artt. 48 e 107 della Costituzione -
 Insussistenza - Esclusione di illegittimita' costituzionale.
     Elezioni - Disciplina della materia elettorale - Costituzione, art.
 48  -  Attribuzione  al  legislatore  ordinario  -   Estensione   anche
 all'elezione  di  magistrati a componenti del Consiglio superiore della
 Magistratura - Requisito di elettorato passivo richiesto dall'art. 104,
 quarto comma, della Costituzione -  Appartenenza  alla  magistratura  -
 Attribuzione  di un maggior numero di rappresentanti alla categoria dei
 magistrati di Cassazione - Sussistenza di situazioni  giustificatamente
 differenziate - Legittimita'.
     Ordinamento  giudiziario  -  Costituzione,  art. 107, terzo comma -
 Distinzione dei  magistrati  soltanto  per  diversita'  di  funzioni  -
 Inapplicabilita' delle disposizioni relative all'ordinamento gerarchico
 statale  - Sussistenza di una parificazione limitatamente all'esercizio
 delle funzioni istituzionali - Costituzione, art.  107  -  Postula  una
 diversita'  di  posizione  soggettiva  fra  magistrati nell'ordinamento
 giudiziario - Legge 24 maggio 1951, n.  392  -  Attua  puntualmente  il
 precetto costituzionale.
     Diritti  politici - Elezioni - Eguaglianza del voto - Costituzione,
 art. 48 - Interpretazione - Implica divieto di voto multiplo o  plurimo
 e  pari  efficacia  potenziale  del  medesimo.  (Costituzione, art. 48,
 secondo comma).
     Consiglio superiore della Magistratura - Legge 24  marzo  1958,  n.
 195,  art.  23,  terzo  comma  -  Elezione dei componenti il collegio -
 Votazione  per  categorie  -  Non  incide  sulla  unitarieta'  e  sulla
 omogeneita'  dell'organo  -  Ulteriori  caratteristiche  legittimate da
 precetti costituzionali.  (Costituzione, art. 104).
     Consiglio superiore della Magistratura - Legge 24  marzo  1958,  n.
 195,  art.  23,  quarto  comma  - Elezione dei componenti il collegio -
 Elettorato attivo - Uditori giudiziari  -  Esclusione  -  Fondamento  -
 Esclusione  di illegittimita' costituzionale. (R.D. 20 gennaio 1941, n.
 12, art. 136; legge 11 ottobre 1942, n. 1352, art. 6; legge 14 febbraio
 1948,  n.  113,  art. 1; legge 15 febbraio 1956, n. 59; legge 24 maggio
 1951, n. 392).
     Ordinamento  giudiziario  -  Organizzazione  e  funzionamento   dei
 servizi  relativi  alla  giustizia  -  Competenza  del  Guardasigilli -
 Costituzione, art. 110 - Interpretazione  restrittiva  -  Esclusione  -
 Legittimita'  di un rapporto di collaborazione tra Ministro e Consiglio
 superiore  della   Magistratura   in   funzione   dell'adozione   delle
 deliberazioni   collegiali   relative  allo  status  dei  magistrati  -
 Implicazioni - Responsabilita' politica  e  facolta'  del  Ministro  di
 promuovere   l'azione   disciplinare   nei   confronti  di  magistrati.
 (Costituzione, art. 107, secondo comma).
     Consiglio superiore della Magistratura - Legge 24  marzo  1958,  n.
 195,  art.  11,  primo comma - Necessita' di una richiesta del Ministro
 della  giustizia  per  promuovere   le   deliberazioni   del   collegio
 riguardanti  i  magistrati  -  Legittimita'  della  disposizione  quale
 espressione della collaborazione tra Guardasigilli e  Consiglio  -  Sua
 portata  nel  sistema  della legge - Richiesta ministeriale quale mezzo
 esclusivo  per  promuovere  l'attivita'  del  Consiglio  -  Conseguente
 lesione dell'autonomia dell'organo - Illegittimita' costituzionale.
     Consiglio  superiore  della  Magistratura - Legge 24 marzo 1958, n.
 195, art. 17, primo  comma,  prima  parte  -  Forma  dei  provvedimenti
 collegiali   riguardanti   i   magistrati  -  Decreto  presidenziale  o
 ministeriale  -  Violazione  dell'art.   105   della   Costituzione   -
 Insussistenza  -  Sottrazione dei magistrati all'ordinamento gerarchico
 dell'amministrazione  statale  -  Non  esclude   l'applicabilita'   dei
 principi  fondamentali dell'ordinamento generale dello Stato, stante la
 mancanza di una forma piena di autogoverno della Magistratura -  Natura
 sostanzialmente   amministrativa  dei  provvedimenti  del  Consiglio  -
 Esclusione di illegittimita' costituzionale.
(GU n.336 del 28-12-1963 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori: Prof. GASPAPE AMBROSINI, Presidente  -  Prof.
 GIUSEPPE  CASTELLI  AVOLIO  -  Prof.   ANTONINO PAPALDO - Prof.  NICOLA
 JAEGER - Prof.  GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO  PETROCELLI  -  Dott.
 ANTONIO  MANCA  - Prof.  ALDO SANDULLI - Prof.  GIUSEPPE BRANCA - Prof.
 MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof.  GIUSEPPE  CHIARELLI
 - Dott. GIUSEPPE VERZI' - Dott.  GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei  giudizi  riuniti di legittimita' costituzionale della legge 24
 marzo  1958,  n.  195  (istitutiva  del   Consiglio   superiore   della
 Magistratura), promossi con le seguenti ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa il 15 ottobre 1962 dal Pretore di Bologna nel
 procedimento civile vertente tra Franzoni Ettore ed altri e  il  Comune
 di  S. Giorgio di Piano, iscritta al n. 186 del Registro ordinanze 1962
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  313  del  7
 dicembre 1962;
     2)  ordinanza  emessa il 1 febbraio 1963 dal Pretore di Bologna nel
 procedimento civile vertente  tra  il  Comune  di  Minerbio  e  Tugnoli
 Angelo,  iscritta  al  n.  45  del Registro ordinanze 1963 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 2 marzo 1963;
     3)  ordinanza  emessa  il 22 luglio 1963 dal Pretore di Bologna nel
 procedimento civile vertente tra Brizzi Clementina e Strazzari  Cesare,
 iscritta  al  n.  167  del  Registro  ordinanze 1963 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 231 del 31 agosto 1963.
     Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Minerbio
 e di Strazzari Cesare;
     udita nell'udienza pubblica del 23 ottobre 1963  la  relazione  del
 Giudice Antonio Manca;
     uditi  gli avvocati Giuseppe Maranini e Gian Luigi Gualandi, per il
 Comune di Minerbio, gli  avvocati  Giuseppe  Maranini,  Lelio  Basso  e
 Leopoldo  Piccardi,  per  Strazzari  Cesare,  e  il  sostituto avvocato
 generale dello Stato Francesco Agro', per il Presidente  del  Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel  corso  di  tre  giudizi  civili,  il  Pretore  di Bologna, con
 separate ordinanze, accogliendo l'eccezione prospettata dalle parti  ha
 sollevato,   in   via   principale,   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale della legge  24  marzo  1958,  n.  195  (istitutiva  del
 Consiglio  superiore  della  Magistratura)  e,  in subordine, di alcune
 disposizioni della  legge  stessa,  avendo  ritenuto  il  carattere  di
 pregiudizialita' delle questioni anzidette, rispetto ad altre eccezioni
 che erano state dedotte nel giudizio.
     Per  quanto  attiene alla rilevanza ai fini della definizione delle
 tre controversie (circa la motivazione della quale  l'Avvocatura  dello
 Stato   esprime  qualche  dubbio),  nelle  ordinanze  e,  con  maggiore
 precisazione, in quella n. 167 del 1963, si osserva quanto segue.
     Il magistrato, davanti al quale pendono le tre cause, sarebbe stato
 destinato a Bologna, a  sua  domanda,  con  funzioni  di  Pretore,  con
 decreto   del   Presidente  della  Repubblica,  emanato  in  seguito  a
 deliberazione   del    Consiglio    superiore    della    Magistratura.
 Deliberazione  che, peraltro, sarebbe stata emanata dal predetto organo
 in base a disposizioni  legislative,  delle  quali  sarebbe  dubbia  la
 legittimita' costituzionale.
     Non  sarebbe  sufficiente,  si  osserva  nelle  ordinanze,  per  la
 legittima costituzione del giudice, la esistenza dell'atto  formale  di
 assegnazione  del  magistrato  ad  un  determinato  ufficio, occorrendo
 altresi' accertare la  validita'  ed  efficacia  dell'atto  stesso,  in
 quanto  dovrebbe  essere  emanato  in base a disposizioni conformi alla
 Costituzione.   L'eventuale illegittimita'  quindi  delle  disposizioni
 stesse   si   riflette   necessariamente  sulla  regolare  costituzione
 dell'organo giudiziario; e tale vizio, sia per l'art.  158  del  Codice
 processuale  civile,  sia per l'art. 185, n. 1, del Codice di procedura
 penale, produrrebbe la nullita', rilevabile anche di ufficio, di  tutti
 i provvedimenti emessi dal magistrato.
     Le questioni sollevate con le ordinanze, possono cosi' riassumersi:
     1) Illegittimita' dell'intera legge del 24 marzo 1958 per contrasto
 con gli artt. 72, quarto comma, e 105 della Costituzione.
     Il Pretore osserva che, l'anzidetta disposizione, avrebbe contenuto
 diverso  da  quello cui si riferisce l'art. 138 della Costituzione.  Di
 guisa che la frase "materia costituzionale" riguarderebbe ogni  disegno
 di   legge  che  abbia  riferimento  ad  un  organo  costituzionale,  o
 all'attivita' da esplicarsi dal medesimo, ovvero i disegni di legge che
 abbiano per oggetto norme attinenti alla struttura  fondamentale  dello
 Stato.  E poiche' il Consiglio superiore della Magistratura, per la sua
 struttura   e   per  le  funzioni,  sarebbe  compreso  fra  gli  organi
 costituzionali, ne deriverebbe che la  legge  del  1958  di  attuazione
 delle   norme   della   Costituzione,   avrebbe   per  oggetto  materia
 costituzionale, ai sensi del quarto  comma  dell'art.  72.    Il  quale
 sarebbe stato violato perche' la predetta legge sarebbe stata approvata
 dalla  Camera  dei  Deputati  con la procedura decentrata e cioe' dalla
 Commissione di giustizia in  sede  deliberante,  e  non  dall'Assemblea
 nelle forme ordinarie.
     2) Illegittimita' dell'art. 23, primo comma, della citata legge del
 1958,  per  contrasto  con  gli artt. 104, primo e quarto comma, e 107,
 terzo comma,  della  Costituzione.    Questa  avrebbe  riconosciuto  ai
 magistrati  una  posizione  di  eguaglianza,  stabilendo  che  essi  si
 distinguono soltanto per le funzioni  esercitate.    I  componenti  del
 Consiglio superiore quindi dovrebbero essere eletti in egual numero per
 ciascuna  categoria  di  magistrati  attribuendosi  a ciascuna, in seno
 all'organo, parita' di  rappresentanza.    La  disposizione  impugnata,
 invece,  avrebbe  violato  tale  principio,  in  quanto i magistrati di
 cassazione  eleggono  sei  componenti  del  Consiglio  superiore  nella
 categoria  alla  quale  appartengono,  ivi  compresi due magistrati con
 ufficio direttivo, mentre i magistrati di appello e di tribunale,  piu'
 numerosi,  eleggono  rispettivamente  soltanto  quattro  componenti per
 categoria.
     3) Sarebbe altresi' illegittimo il terzo comma del citato art.  23,
 perche'  i  magistrati partecipano all'elezione, votando esclusivamente
 per i componenti della propria categoria.   Donde il  contrasto  con  i
 principi contenuti negli artt. 104, quarto comma, 105 e 107 e nell'art.
 48  della  Costituzione; mentre nel Consiglio superiore la Magistratura
 dovrebbe essere rappresentata nel suo complesso e non gia' in relazione
 alle diverse categorie.
     4) Illegittimita' del quarto  comma  del  ricordato  art.  23,  per
 contrasto  con  l'art.  104, quarto comma, della Costituzione; il quale
 dispone che i componenti magistrati del Consiglio superiore sono eletti
 da tutti i  magistrati.    La  disposizione  impugnata  invece  esclude
 dall'elettorato  attivo gli uditori, nonostante che anche essi facciano
 parte dell'ordine giudiziario ed esercitino le relative funzioni.
     5) Illegittimita' dell'art. 11, primo comma, della legge citata che
 limiterebbe,  o  addirittura,  potrebbe   escludere   l'attivita'   del
 Consiglio   superiore,  ledendone  l'autonomia,  e  ne  condizionerebbe
 l'attivita' alla richiesta del Ministro per la  giustizia.    Il  quale
 quindi   continuerebbe   ad   esercitare,   sia   pure  indirettamente,
 un'ingerenza sullo stato giuridico dei magistrati.  Donde il  contrasto
 con gli artt. 104, primo comma, 105 e 110 della Costituzione.
     6)  Sarebbe  illegittima  anche la disposizione dell'art. 17 (prima
 parte del primo comma) della legge impugnata,  in  quanto  escluderebbe
 che le deliberazioni del Consiglio superiore abbiano efficacia esterna,
 e  stabilisce  che  i  provvedimenti  riguardanti  i  magistrati, siano
 adottati con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato  dal
 Ministro   della   giustizia,  ovvero,  in  alcuni  casi,  con  decreto
 ministeriale; decreti soggetti al controllo della Corte dei Conti.
     Ne deriverebbe, secondo il Pretore, un contrasto con  la  posizione
 di  organo  costituzionale riconosciuto dalla Costituzione al Consiglio
 superiore  e,  in  particolare,  con  l'art.  105,  che  stabilisce  le
 competenze del Consiglio stesso.
     Le  tre ordinanze, dopo le prescritte notificazioni e comunicazioni
 sono state pubblicate rispettivamente nella Gazzetta  Ufficiale  del  7
 dicembre  1962,  n.  313, del 2 marzo 1963, n. 60, e 31 agosto 1963, n.
 231.
     Nelle tre cause e' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato, che ha
 depositato le deduzioni il 23 novembre 1962, il 20 marzo 1963 e  il  17
 agosto 1963.
     Si sono altresi' costituiti nell'interesse delle parti gli avvocati
 Giuseppe  Maranini, Gian Luigi Gualandi, Lelio Basso, Leopoldo Piccardi
 e Alberto Predieri, depositando le deduzioni il 22 marzo 1963 e  il  20
 settembre  1963,  nelle  quali si condividono i rilievi contenuti nelle
 ordinanze di rinvio.
     Per quanto attiene all'interpretazione del quarto  comma  dell'art.
 72, nelle deduzioni si assume che la frase "disegni di legge in materia
 costituzionale",  dovrebbe  essere intesa in un significato piu' ampio,
 dell'altra  "disegni  di  leggi  costituzionali".  Di  guisa   che   la
 disposizione  costituzionale esigerebbe l'approvazione con la procedura
 normale, non soltanto  per  le  leggi  formalmente  costituzionali,  ma
 altresi'  per  quelle  altre  che  sarebbero costituzionali per il loro
 contenuto,  come  sarebbe  anche  dimostrato  dall'accostamento,  nella
 disposizione   stessa,   della   materia   costituzionale   alle  leggi
 elettorali, che riguarderebbero anche esse materia di analoga natura.
     Nella specie invece la procedura decentrata, seguita  dalla  Camera
 dei  Deputati,  inammissibile per le leggi di contenuto obbiettivamente
 costituzionale, inciderebbe sulla legittimita' dell'intera legge del 24
 marzo 1958, di attuazione delle norme costituzionali, sottratta, in tal
 modo, alle garanzie di pubblicita'  da  osservarsi  per  l'approvazione
 nella forma ordinaria.
     Si  osserva  poi  che il contenuto della detta legge contrasterebbe
 con gli scopi che le norme costituzionali avrebbero inteso  conseguire;
 vale  a  dire  la  sottrazione  del giudice ordinario a ogni dipendenza
 gerarchica, sia nei  confronti  con  le  altre  giurisdizioni,  sia  in
 confronto  del  potere  politico,  dato  che i magistrati sono soggetti
 soltanto alla legge e si distinguono fra loro soltanto  per  diversita'
 di  funzioni  (artt.  101,  secondo  comma,  e  107, terzo comma, della
 Costituzione).
     La  legge  del  1958  invece,  nel  suo  complesso  e   nelle   sue
 disposizioni   essenziali,   avrebbe   avuto  di  mira  di  conservare,
 consolidandola, una struttura  gerarchica  sia  all'interno,  dando  la
 prevalenza alla Cassazione, sia nei confronti del potere esecutivo.
     Sarebbe  stata  alterata,  infatti,  l'espressione  della  volonta'
 elettorale dell'intero ordine giudiziario, conferendo ai magistrati  il
 diritto  di  votazione  soltanto per la propria categoria, attribuendo,
 alle diverse categorie, un'efficacia differenziata, escludendo dal voto
 gli uditori giudiziari, ed attribuendo altresi' al Consiglio  superiore
 la  facolta'  di  nominare  commissioni  con  prevalente intervento dei
 magistrati di cassazione (artt. 3, 11 e 13).
     Secondo  quanto  si  assume,  inoltre,  l'attivita'  del  Consiglio
 superiore  potrebbe  svolgersi solo in base alla richiesta del Ministro
 per la giustizia, o mediante la procedura del  concerto  (articolo  11,
 terzo  comma).    Si  aggiunge  inoltre che il Consiglio superiore, nel
 sistema della legge del 1958, anche dal punto di vista formale, sarebbe
 declassato da organo costituzionale ad organo amministrativo, in quanto
 i provvedimenti, privi di esterna efficacia, si concreterebbero  in  un
 decreto  di  carattere amministrativo, soggetto ad impugnazione davanti
 alla giurisdizione amministrativa; e, per la parte disciplinare, ad  un
 organo  della  Magistratura ordinaria.   Ne deriverebbe che l'attivita'
 dell'organo anzidetto risulterebbe condizionata alla volonta' di  altri
 organi  e  poteri,  e,  tra  l'altro,  alla  preminenza  della Corte di
 cassazione, con lesione dell'autonomia dello stesso Consiglio superiore
 e dell'ordine giudiziario.
     La difesa dello Stato rimettendosi peraltro, su questo punto,  alle
 decisioni  della  Corte, accenna preliminarmente a qualche dubbio circa
 la giustificazione che, della rilevanza, e' stata data nelle  ordinanze
 di rinvio.
     Il dubbio e' prospettato sotto un duplice aspetto.
     Si  osserva  che il trasferimento del magistrato ad una determinata
 sede,  anche  se  illegittimamente  disposto,   non   importerebbe   la
 irregolarita'  della  costituzione  dell'organo  giudiziario  e  quindi
 l'invalidazione dei provvedimenti da questo emanati ai sensi  dell'art.
 158  del  Codice processuale civile; essendo sufficiente che il giudice
 appartenga  all'ordine  giudiziario  e  che  sia  stato  effettivamente
 investito dell'ufficio, come si sarebbe verificato nella specie.
     Sotto   altro   aspetto,  pone  il  quesito  se  possono  ritenersi
 invalidati  gli  atti  emanati  da   un   corpo   collegiale   ritenuto
 insostituibile  nell'ordinamento,  quando il corpo stesso, o alcuno dei
 componenti, siano stati eletti in base a norme eventualmente dichiarate
 costituzionalmente illegittime.
     Per  quanto  attiene  alle  critiche  formulate  circa   la   legge
 impugnata,  l'Avvocatura  dello Stato, in sostanza, accede all'opinione
 che il termine "disegni di legge in materia costituzionale", dei  quali
 si  parla  nel quarto comma dell'art.  72, sarebbe l'esatto equivalente
 di  leggi   di   "revisione   della   Costituzione   ed   altre   leggi
 costituzionali"  in  senso  formale,  di cui all'art. 138.  Ed aggiunge
 che, dato il tipo della nostra Costituzione, che richiede una procedura
 qualificata per l'emanazione delle norme che attengono  alla  struttura
 fondamentale  dello  Stato  e  per  la  loro  revisione, al legislatore
 ordinario sarebbe riservato un  campo  limitato,  in  riferimento  alla
 composizione    e   all'attivita'   degli   organi   costituzionalmente
 qualificati; quello cioe' di  emanare  disposizioni  di  dettaglio,  le
 quali  non  potrebbero,  in  alcun  modo, modificare la struttura degli
 organi contemplati dalla Costituzione.   Con la  conseguenza,  ai  fini
 dell'attuale  controversia,  che, per queste ultime leggi, non dovrebbe
 applicarsi alcuna forma o procedura particolare.
     Riguardo al rilievo che la disposizione contenuta nell'articolo  72
 risulterebbe  superflua  se si attribuisse alla medesima un significato
 sostanzialmente non diverso  da  quello  contenuto  nell'art.  138,  la
 difesa  dello  Stato fa osservare che la speciale maggioranza preveduta
 da questa  norma,  riguarderebbe  la  seconda  votazione  da  parte  di
 ciascuna  Camera;  mentre  per  la  prima  votazione, l'art. 72, quarto
 comma, precluderebbe la possibilita' dell'approvazione decentrata.
     Relativamente alle questioni concernenti il contenuto  della  legge
 impugnata, l'Avvocatura dello Stato rileva quanto segue.
     La  seconda  questione  riguardante  l'art.  23,  primo  comma, non
 sarebbe in contrasto con gli artt. 104 e  107  della  Costituzione,  in
 quanto  l'art. 104 richiederebbe soltanto che, nel Consiglio superiore,
 debba essere rappresentata ciascuna categoria, nessuna  esclusa.    Ne'
 sarebbe  incompatibile  col  principio  dell'autonomia  che  un  numero
 maggiore  dei  componenti  sia  riservato  ai  magistrati  di  Corte di
 cassazione, data la loro qualificazione, come  sarebbe  confermato  dal
 fatto  che  nel  terzo  comma dell'art. 104, si stabilisce che ne fanno
 parte di diritto il primo presidente ed il procuratore  generale  della
 Corte di cassazione.
     Quanto alla terza questione riguardante il terzo comma dell'art. 23
 della  legge  del  1958,  secondo l'Avvocatura, la limitazione del voto
 alla categoria alla quale il  magistrato  appartiene,  non  sarebbe  in
 contrasto   ne'  con  l'art.  104,  ne'  con  l'art.  107  della  Carta
 costituzionale.
     La disposizione sarebbe giustificata da  considerazioni  di  ordine
 funzionale,  affinche'  il  magistrato sia posto in grado di effettuare
 una scelta piu' approfondita della persona da eleggere.   Ed  aggiunge,
 d'altra parte, che ogni magistrato, una volta eletto, dovra' curare gli
 interessi  di  tutto  l'ordine e non gia' soltanto della categoria alla
 quale appartiene.
     Non  sussisterebbe  neppure  un  contrasto  con  l'art.  48   della
 Costituzione,  il  quale  riguarderebbe  soltanto  il  divieto del voto
 plurimo e del voto multiplo.
     Circa la quarta questione relativa all'art. 23, quarto  comma,  che
 esclude   gli   uditori  dell'elettorato  attivo,  si  obietta  che  la
 Costituzione ha demandato al legislatore ordinario di dettare le  norme
 dell'ordinamento  giudiziario e quindi di stabilire, in concreto, quale
 sarebbe  la  portata  dell'art.  104,  comma  quarto.     Posto   cio',
 nell'esclusione  degli  uditori  dall'elettorato  attivo,  non  sarebbe
 ravvisabile una questione di costituzionalita', a parte il  considerare
 che  la  disposizione impugnata non ha neppure derogato all'ordinamento
 giudiziario, in quanto gli uditori per la loro particolare posizione  e
 per  le  norme che li disciplinano, sono considerati come magistrati in
 prova; mentre il citato articolo della Costituzione si  riferirebbe  ai
 magistrati che gia' fanno parte stabilmente dell'ordine giudiziario.
     Sulla questione sollevata in ordine all'art. 11, primo comma, della
 legge   del   1958,   l'Avvocatura   osserva  che  tale  richiesta  non
 costituirebbe una limitazione dei poteri attribuiti al  Consiglio,  che
 conserverebbe piena autonomia nelle deliberazioni.
     Osserva,  d'altra  parte, che il diritto d'iniziativa, riservato al
 Ministro,  in  ordine  ai  provvedimenti  relativi  allo   status   dei
 magistrati   deriverebbe   dall'art.   110   della   Costituzione,  che
 deferirebbe al Ministro la  competenza  per  tutto  cio'  che  riguarda
 l'organizzazione   ed   il  funzionamento  dei  servizi  relativi  alla
 giustizia.   E cio' logicamente, in  specie  per  quanto  attiene  alla
 destinazione dei magistrati alle varie sedi (che e' il caso che ha dato
 luogo alle attuali controversie), perche' soltanto il Ministro potrebbe
 valutare,  con  conoscenza  della  situazione,  tutti  gli elementi che
 possono  giustificare  il  provvedimento,  salvo  ovviamente  la  piena
 liberta'  del Consiglio di adottare le deliberazioni che ritenesse piu'
 opportune.   Si aggiunge,  in  proposito,  che  la  compatibilita'  del
 diritto   di   iniziativa   con  l'autonomia  del  Consiglio  superiore
 risulterebbe  comprovata,  non  soltanto  dalla  facolta'  concessa  al
 Ministro  dal  secondo,  comma  dell'art.  107  della  Costituzione  di
 promuovere l'azione disciplinare, ma  altresi'  dal  coordinamento  con
 l'art.  97,  secondo, il quale il Ministro resta sempre responsabile di
 fronte al Parlamento del funzionamento della giustizia.
     Circa  la  questione  relativa  all'art.  17 (prima parte del primo
 comma)  della  legge  impugnata,  relativa  alla  forma  concreta   dei
 provvedimenti  riguardanti  i magistrati la difesa dello Stato premette
 che la questione sarebbe irrilevante nella specie perche' il decreto di
 trasferimento del magistrato sarebbe stato registrato  alla  Corte  dei
 conti e non sarebbe stato impugnata.
     Rileva  comunque che le attribuzioni costituzionalmente deferite al
 Consiglio  superiore,  riguarderebbero  la  struttura  e  le   funzioni
 attribuite  all'ordine  giudiziario, cioe' lo status dei magistrati, ma
 lascerebbero alla legge ordinaria  tutta  l'organizzazione  finanziaria
 riguardante   l'ordine  stesso;  organizzazione  che,  del  resto,  non
 costituirebbe una caratteristica  essenziale  dell'autonomia  dei  vari
 poteri   dello   Stato,   e,  in  particolare,  dell'autogoverno  della
 Magistratura.
     Un tale  problema  sarebbe  stato  risolto  dalla  legge  impugnata
 salvaguardando  l'autonomia,  ma lasciando in vigore il controllo sulla
 gestione finanziaria, sottoposto alla Corte dei conti  ai  sensi  degli
 artt.  81  e  100  della  Costituzione.    Cio'  spiegherebbe  come  le
 deliberazioni del Consiglio superiore assumerebbero  efficacia  esterna
 attraverso  l'atto  formale  del provvedimento amministrativo, rendendo
 possibile il controllo  contabile,  senza  intaccare  la  sostanza  del
 provvedimento:  atto formale che attribuirebbe efficacia esecutiva alle
 deliberazioni, di guisa che queste  non  potrebbero  considerarsi  come
 atto  finale  e  conclusivo  di un procedimento amministrativo in senso
 tecnico, poiche' la deliberazione conserverebbe la  propria  autonomia,
 come   espressione   dell'autonomia   dell'organo   deliberante.     In
 conseguenza l'intervento giurisdizionale, da  parte  del  Consiglio  di
 Stato,  non potrebbe riguardare che il decreto per se' considerato, per
 i vizi suoi propri, essendo da escludere un qualunque  sindacato  nella
 sostanza della deliberazione.
     L'Avvocatura  dello  Stato conclude quindi perche' siano dichiarate
 inammissibili, o  comunque  infondate,  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale   sollevate  dal  Pretore  di  Bologna  nelle  ordinanze
 sopraindicate.
     A maggior chiarimento delle tesi prospettate nelle ordinanze, tanto
 l'Avvocatura dello Stato quanto le altre parti hanno depositato memoria
 rispettivamente il 10 ed il 9 ottobre del 1963.
                         Considerato in diritto:
     Le tre cause riguardano le stesse questioni, devono essere  percio'
 riunite e decise con unica sentenza.
     1.  -  Preliminarmente non si ritiene fondato il dubbio cui accenna
 l'Avvocatura dello  Stato  (pur  rimettendosi  al  giudizio  di  questa
 Corte),  circa  la  non  adeguata  giustificazione,  nelle ordinanze di
 rinvio, della rilevanza delle questioni sollevate.
     In proposito la Corte non puo'  che  riferirsi  alla  sua  costante
 giurisprudenza,  secondo  la  quale  e'  rimesso  al giudice del merito
 accertare  se  le   questioni   sollevate   costituiscano   presupposto
 necessario  per  la  definizione  della lite: accertamento che, quando,
 come nel caso, sia sufficientemente motivato, si sottrae  al  controllo
 di questa Corte.
     2.  -  Nel merito si osserva che, nelle ordinanze e nelle difese di
 parte,  come  si  e'  accennato,  e'  dedotta,   in   via   principale,
 l'illegittimita'  della  legge  24  marzo  1958, n. 195 (istitutiva del
 Consiglio superiore della Magistratura) da un punto di  vista  formale,
 in  quanto  detta legge e' stata approvata dalla competente Commissione
 della   Camera   dei   Deputati   in   sede  deliberante,  e  non  gia'
 dall'Assemblea,  con  la  procedura  ordinaria.    Il  che  sarebbe  in
 contrasto   con  il  quarto  comma  dell'art.  72  della  Costituzione,
 trattandosi, come si sostiene, di  legge  che,  emanata  in  attuazione
 delle  norme  costituzionali  concernenti  il Consiglio superiore della
 Magistratura, riguarderebbe sostanzialmente materia costituzionale, sia
 per l'organo cui si riferisce, sia  per  le  disposizioni  che  formano
 oggetto   della   legge   stessa,   attinenti   cioe'   all'ordinamento
 giudiziario.
     La questione quindi consiste nell'esaminare se, come  si  sostiene,
 il citato quarto comma, la' dove dispone che la procedura decentrata e'
 esclusa per "i disegni di legge in materia costituzionale" si riferisca
 a un tipo di leggi che, pur avendo la forma ordinaria, tuttavia, per la
 sostanza,  siano da considerare comprese nella materia anzidetta: leggi
 percio' differenziate dalle leggi di  revisione  della  Costituzione  e
 dalle altre leggi costituzionali menzionate nell'art. 138.
     Tale  opinione,  a  favore  della  quale  non risultano elementi di
 chiarificazione dai lavori preparatori, non puo' essere accolta.
     Ad avviso della Corte, invero, la disposizione  del  citato  quarto
 comma,  deve  intendersi  riferita  al successivo art. 138 e, con esso,
 logicamente coordinata nell'armonia del sistema.
     L'argomento che si adduce in contrario,  nelle  ordinanze  e  nelle
 difese  di  parte,  oltre che sulla diversa dizione usata nei due testi
 legislativi   (rispettivamente,   "disegni   di   legge   in    materia
 costituzionale"  e  "leggi  costituzionali"), si fonda specialmente sul
 rilievo che, se ai detti due testi legislativi si attribuisse lo stesso
 contenuto, si giungerebbe alla  conseguenza  che  la  disposizione  del
 quarto  comma  dell'art.    72  resterebbe  priva  di qualsiasi portata
 pratica, costituendo un'inutile ripetizione.   Cio' per il  motivo  che
 l'esclusione  della procedura decentrata per l'approvazione delle leggi
 costituzionali, risulterebbe implicitamente dallo stesso articolo  138;
 il  quale,  prevedendo,  per  tali  leggi,  la  seconda lettura con una
 speciale  maggioranza,  presupporrebbe  la  sussistenza  di  una  prima
 lettura in Assemblea, con la maggioranza ordinaria.
     A   parte   peraltro  la  scarsa  importanza  della  diversita'  di
 formulazione, il rilievo anzidetto non appare risolutivo  del  problema
 nel senso prospettato.
     Pur  ammettendo,  infatti, che le disposizioni si riferiscano, come
 la Corte ritiene, allo stesso oggetto, cio' non  toglie  che  ad  esse,
 nell'ambito  del  sistema, debba attribuirsi una propria funzione: alla
 prima  (cioe'  quella  dell'art.  72),  perche'  compresa  nelle  norme
 dettate, in via generale, per la formazione di tutte le leggi, mediante
 l'approvazione  con  la  procedura  ordinaria, abbreviata o decentrata,
 salvo, riguardo a quest'ultima, le eccezioni  espressamente  prevedute;
 alle altre (quelle dell'art. 138), perche' concernenti, in particolare,
 le garanzie che circondano le leggi costituzionali, mediante la seconda
 lettura, con l'intervallo non minore di tre mesi, l'approvazione con la
 maggioranza   assoluta   dei   componenti   di  ciascuna  Camera  e  la
 possibilita' del referendum.
     Ne', che alla formula "disegni di legge in materia  costituzionale"
 siano  da  attribuire  significato  e  portata  diversi  da  quelli ora
 precisati puo' indurre, come si assume, il solo fatto  che,  nel  testo
 legislativo,  e'  menzionata  insieme  alla materia elettorale: materia
 disciplinata peraltro con leggi ordinarie concernenti anche le elezioni
 amministrative,   sulla   natura  della  quale,  nell'incertezza  della
 dottrina,  nessun  chiarimento,  nel  senso  sostenuto  negli   scritti
 difensivi, si puo' desumere dai lavori preparatori.
     Data   l'interpretazione   seguita   dalla   Corte,   pertanto,  la
 disposizione del  quarto  comma,  piu'  volte  ricordata,  in  base  al
 coordinamento   con   l'art.  138,  cui  si  e'  accennato,  viene,  in
 definitiva, a costituire un'espressa limitazione, che opera  nel  senso
 di  escludere  la  procedura  decentrata  riguardo a quelle norme, alle
 quali il Parlamento,  per  finalita'  di  carattere  politico,  intenda
 attribuire  efficacia di legge costituzionale.  Non opera invece per le
 leggi ordinarie, per le quali  puo'  avvalersi  anche  della  procedura
 decentrata,  ovviamente con quelle cautele rispondenti all'esigenza che
 l'atto legislativo sia,  per  quanto  possibile,  sottoposto  all'esame
 dell'Assemblea, con la pubblicita' che il regolamento stabilisce; come,
 del  resto, e' gia' preveduto dall'art. 40 del regolamento della Camera
 dei  Deputati,  che  esclude  la  procedura  decentrata  per  le  leggi
 tributarie.
     Deriva  da  quanto si e' esposto che l'anzidetta legge del 24 marzo
 1958 non puo' ritenersi illegittima perche' approvata dalla Commissione
 di giustizia in sede deliberante.
     3. - Circa le questioni concernenti alcune disposizioni della legge
 ora ricordata, e' da osservare che, negli scritti difensivi  di  parte,
 si  e'  preliminarmente  sostenuto che il sistema, adottato dalla legge
 anzidetta, non garentirebbe  la  indipendenza  della  Magistratura,  la
 quale  sarebbe  anzi,  in  conseguenza  di  quel sistema, soggetta alle
 ingerenze del potere esecutivo.
     Ora, la Corte  non  puo'  non  rilevare  che  l'indipendenza  della
 Magistratura  trova  la  prima  e  fondamentale  garanzia nel senso del
 dovere dei magistrati e nella loro obbedienza alla legge morale, che e'
 propria   dell'altissimo   ufficio   e   che   consiste   nel   rendere
 imparzialmente   giustizia:   principi,   questi,   ai   quali   si  e'
 costantemente uniformata la Magistratura italiana.   Ma, a  prescindere
 da  cio',  la  Corte  osserva che il sistema legislativo attualmente in
 vigore, considerato nel suo  complesso  e  nelle  linee  generali,  non
 appare  inidoneo  al  fine  assegnatogli  di garantire l'indipendenza e
 l'autonomia della Magistratura.
     4.   -   Venendo   all'esame   delle   sollevate    questioni    di
 incostituzionalita',  e'  da  premettere che, nelle ordinanze, e' stato
 prospettato il dubbio circa la incostituzionalita' dell'art. 23, primo,
 terzo e quarto comma, relativi all'elezione dei componenti il Consiglio
 superiore; dell'art.   11, primo comma, riguardante  la  richiesta  del
 Ministro  per la giustizia; e dell'art. 17, il quale, nella prima parte
 del primo comma, stabilisce che i provvedimenti del Consiglio superiore
 concernenti i magistrati sono  adottati  con  decreto  del  Capo  dello
 Stato,  o,  nei casi previsti dalla legge, con decreto del Ministro per
 la giustizia.
     Non sono state invece ritenute rilevanti dal Pretore  le  eccezioni
 di  incostituzionalita',  dedotte  dalle parti nel giudizio di merito e
 riproposte avanti a questa  Corte,  relative  alle  altre  disposizioni
 dell'art.  11,  degli  artt.  12 e 13 e del secondo comma dell'art. 17;
 questioni quindi che, in questa sede, non possono essere esaminate, non
 essendo comprese nelle ordinanze di rimessione.
     5. - L'impugnazione del primo comma dell'art. 23 si riferisce, come
 si  e'  in  precedenza  accennato, al numero maggiore dei componenti il
 Consiglio superiore (sei), da eleggere fra i  magistrati  di  Corte  di
 cassazione,  in confronto dei quattro da eleggere, rispettivamente, fra
 i magistrati delle Corti di appello e dei Tribunali.  Si violerebbe, in
 tal maniera, il principio (contenuto negli articoli 104, primo comma, e
 107  della  Costituzione),  circa  la   parita',   nella   composizione
 dell'organo, della rappresentanza di tutte le categorie dei magistrati,
 attribuendo  una  posizione  di  superiorita'  ad  una  delle categorie
 stesse.
     La questione non e' fondata.
     E' da premettere che,  nel  sistema  adottato  dalla  Costituzione,
 eccetto  alcune  disposizioni  fondamentali,  come  ad  esempio  quelle
 sancite dall'art. 48, la disciplina della materia elettorale,  date  le
 modificazioni  eventualmente  determinate  dalle mutate esigenze, resta
 deferita al legislatore ordinario (in proposito, da ultimo, la sentenza
 n.     111   del   1963,   relativamente   all'elezione   dei   giudici
 costituzionali).
     Il  principio  deve  essere  applicato  anche per quanto attiene al
 Consiglio superiore della Magistratura, per la  formazione  del  quale,
 dal  punto di vista dell'elettorato passivo, il precetto costituzionale
 esige  soltanto  che  i  componenti  siano  scelti  fra  i   magistrati
 appartenenti alle varie categorie (art.  104, quarto comma).
     Ora,  ne'  questo  precetto,  ne' l'altro contenuto nell'art.  107,
 terzo comma (secondo il quale i  magistrati  si  distinguono  fra  loro
 soltanto  per diversita' di funzioni), possono ritenersi elusi, come si
 assume, per il fatto  che  la  disposizione  impugnata  attribuisce  un
 maggior  numero  di  rappresentanti  alla  categoria  dei magistrati di
 cassazione (compresi due con  ufficio  direttivo),  in  confronto  alle
 altre due categorie.
     Se  e'  vero,  infatti,  che, secondo la Costituzione, a coloro che
 fanno parte dell'ordine giudiziario, non si applicano  le  disposizioni
 relative  all'ordinamento  gerarchico statale, cio' non significa che a
 tutti i magistrati ordinari, sia riconosciuta, sotto altro aspetto, una
 posizione di assoluta  parificazione.    Questa  sussiste,  invero,  in
 relazione  all'art.   101, secondo comma, della Costituzione (i giudici
 sono soggetti soltanto alla  legge)  per  quanto  riguarda  l'esercizio
 delle  funzioni  istituzionali e gli atti che ad esse si ricollegano, i
 quali devono essere emanati in base  alla  legge  e  sono  sottratti  a
 qualsiasi  sindacato,  che non sia quello espressamente preveduto dalle
 leggi processuali.  Non sussiste, invece, relativamente alla  posizione
 soggettiva  che,  al  di  fuori  delle  predette funzioni, i magistrati
 assumono nell'ordinamento giudiziario; poiche' anche l'art. 107,  terzo
 comma,  della Costituzione, sopra citato, postula una differenziazione,
 che  si  riconnette  ai  tre   gradi   della   giurisdizione   previsti
 dall'ordinamento  processuale.    E, in attuazione appunto del precetto
 costituzionale, la legge  del  24  maggio  1951,  n.  392,  stabilisce,
 nell'art.  1, che i componenti dell'ordine giudiziario, fatta eccezione
 per gli uditori, si distinguono in magistrati di tribunale, di corte di
 appello, e di cassazione, compresi il primo presidente, il  procuratore
 generale e i magistrati con ufficio direttivo.
     Ora,  la  disposizione  impugnata  ha  preveduto una rappresentanza
 numerica piu' elevata per la categoria dei  magistrati  di  cassazione,
 ispirandosi,  non tanto al numero dei componenti delle varie categorie,
 quanto  alla  qualificazione  di  coloro  che  compongono   l'anzidetta
 categoria  dei  magistrati  di  cassazione.    E  cio', non soltanto in
 relazione alle esigenze del funzionamento del Consiglio superiore, dato
 il numero dei componenti e i compiti che gli sono assegnati, ma  tenuto
 conto,  in  particolare,  della  maggiore  esperienza dei magistrati di
 cassazione, derivante dalle  funzioni  alle  quali  essi  pervengono  a
 seguito  delle  selezioni  prevedute  dalla  legge, e dal prestigio che
 coerentemente  spetta  ai  magistrati  stessi.     Se   quindi,   nella
 disposizione impugnata, (art. 23 della legge 24 marzo 1958, n. 195), si
 riscontra  una  disparita'  di  trattamento  fra le varie categorie dei
 magistrati, essa non puo' ritenersi in contrasto con  la  Costituzione,
 essendo  consentito  al  legislatore  ordinario,  secondo  la  costante
 giurisprudenza di questa Corte, di disciplinare diversamente situazioni
 differenziate, quando, come nel caso, per le ragioni accennate, trovino
 logica giustificazione.
     Ne', d'altra  parte,  appare  fondato  il  dubbio  che  l'accennata
 composizione  dell'organo  possa esercitare una qualche influenza sulle
 sue  deliberazioni.    Giacche'  ad  un  tale  inconveniente,  se   mai
 sussistesse,  ovvierebbe  la  funzione  equilibratrice, che, in seno al
 collegio, viene esercitata dai componenti, non magistrati,  eletti  dal
 Parlamento,  fra  i  quali  e' scelto il vice-presidente (articolo 104,
 quinto comma, della Costituzione).
     6. - Nella legge del 1958 (art. 23, terzo comma)  alla  distinzione
 fra  le  varie categorie dei magistrati si fa riferimento pure per cio'
 che  riguarda  l'elettorato  attivo.    Anche  questa  disposizione  e'
 impugnata,  perche'  lederebbe  il  precetto dell'eguaglianza del voto,
 sancito dall'art. 48 della Costituzione e i principi  che  si  desumono
 dagli  artt.  104, 105 e 107, secondo i quali, nel Consiglio superiore,
 la Magistratura dovrebbe essere rappresentata con carattere unitario ed
 omogeneo,  e  non  gia'  in  relazione  alle  singole   categorie   dei
 magistrati.
     La questione non puo' ritenersi fondata.
     Il  principio  dell'eguaglianza  del  voto (che si assume violato),
 come ha precisato questa Corte nella sentenza  n.  43  del  1962,  deve
 intendersi  nel  senso  del divieto del voto multiplo o plurimo e della
 pari efficacia potenziale del medesimo.  Questo principio peraltro  non
 appare   vulnerato   dalla  disposizione  denunziata.     Con  essa  il
 legislatore ordinario attribuisce a tutti indistintamente i  magistrati
 il  diritto  di  partecipare  alla  formazione  elettiva  del Consiglio
 superiore, ma, per quanto  attiene  alla  modalita'  dell'elezione,  ha
 adottato  il  sistema  della votazione per categorie, in corrispondenza
 con l'eleggibilita', pure per categorie, stabilita  dallo  stesso  art.
 104   della   Costituzione.      Tale  sistema,  peraltro,  dettato  da
 apprezzabili  ragioni  di  opportunita'  inerenti   alla   scelta   del
 candidato,  non  impedisce  che  i  magistrati  siano posti in grado di
 esprimere il voto in  condizioni  di  perfetta  parita'  fra  loro;  e,
 rispetto   all'eletto,  con  pari  efficacia.    Onde  la  composizione
 dell'organo resta omogenea, nel senso che i componenti, pur provenienti
 da categorie differenziate, si trovano tutti  in  posizione  giuridica,
 sotto ogni aspetto, parificata.
     D'altra   parte,   se  e'  vero  che  la  Costituzione  prevede  la
 distinzione per  categorie,  con  riferimento  soltanto  all'elettorato
 passivo,  da  cio' non puo' derivare, come si assume, la illegittimita'
 delle norme di attuazione, per il fatto che,  agli  stessi  criteri  di
 ripartizione,  si e' attenuto per la formazione dei collegi elettorali.
 Giacche' la rispondenza fra questi e  le  condizioni  di  eleggibilita'
 (come si e' del resto gia' rilevato nella ricordata sentenza n. 111 del
 1963)  non puo' ritenersi ingiustificata, anche in questo caso, dato lo
 speciale carattere dell'organo elettivo, preposto dalla Costituzione al
 governo della Magistratura e per garantirne l'indipendenza.
     Non e' infine esatto il rilievo che, con il sistema della votazione
 per categorie, si riprodurrebbe  nel  Consiglio  superiore,  anche  dal
 punto di vista formale, una rappresentanza di interessi non consentanea
 con    il    carattere   unitario   dell'organo,   perche'   una   tale
 differenziazione  deriverebbe,  se  mai  sussistesse,  non  gia'  dalla
 disposizione  impugnata,  bensi'  direttamente  dallo  stesso  precetto
 costituzionale, che, per la scelta dei magistrati, alle varie categorie
 espressamente si riferisce.
     7. - Non e' neppure fondata la questione relativa al  quarto  comma
 dell'art.  23,  che  esclude  gli  uditori  giudiziari  dall'elettorato
 attivo.  E' vero che questi, superate le prove del concorso, entrano  a
 far  parte  della  Magistratura,  ma  non  conseguono, percio' solo, la
 stabilita', ne' sono investiti per legge delle funzioni giudiziarie.
     Essi infatti sono dispensati dal servizio se,  entro  quattro  anni
 dalla nomina, non si presentano all'esame per la promozione ad aggiunto
 giudiziario, o se, nel detto periodo, non superano, per due volte, tale
 prova  (art.  136 dell'ordinamento approvato con decreto del 20 gennaio
 1941, n. 12, per  questa  parte  tuttora  in  vigore  e  che  riproduce
 disposizioni  contenute  nelle  leggi  precedenti).    Ed  inoltre,  il
 conferimento delle funzioni giurisdizionali,  in  base  all'ordinamento
 del  1941  (art.  129) e alle leggi successivamente emanate (11 ottobre
 1942, n. 1352, art. 6; 14 febbraio 1948, n. 113, art. 1, e 15  febbraio
 1956,  n.  59),  non  spetta  ad  essi  di  diritto, come per gli altri
 magistrati, ma deriva da un provvedimento facoltativo, demandato, prima
 al Ministro per la giustizia,  ed  ora  al  Consiglio  superiore  della
 Magistratura;  provvedimento  che  puo' essere revocato.  Ed e' percio'
 che la gia' ricordata legge del 24 maggio 1951, n. 392,  nella  tabella
 allegata, non comprende gli uditori nelle tre categorie dei magistrati,
 ma  li  considera  separatamente,  e  che  la disposizione impugnata li
 esclude  dal  partecipare  all'elezione  dei  componenti  il  Consiglio
 superiore.
     La disposizione stessa, quindi, non puo' ritenersi in contrasto con
 l'esigenza  costituzionale  che  tutti  i  magistrati  partecipino alle
 elezioni dei componenti il Consiglio superiore,  poiche'  gli  uditori,
 per   le   ragioni   accennate,  non  possono  considerarsi  magistrati
 compiutamente per tutti gli  effetti  preveduti  dall'ordinamento.    A
 questi  soltanto, dato il delicato compito loro affidato nell'elezione,
 deve intendersi riferito il precetto della Costituzione;  al  quale  si
 adeguano le norme di attuazione, assicurando il diritto di voto a tutti
 indistintamente  i  magistrati,  compresi  quelli  fuori  ruolo  o  con
 incarichi  speciali,  anche  non  giudiziari  (art.   5   del   decreto
 legislativo  del  16 settembre 1958, n. 916, contenente disposizioni di
 attuazione e di coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195).
     8. - Dell'art. 11 e' impugnato, come si e' accennato,  soltanto  il
 primo  comma,  circa il quale, nelle ordinanze, si pone in rilievo come
 la necessita' della richiesta, da parte del Ministro, per promuovere le
 deliberazioni riguardanti i magistrati, sarebbe  in  contrasto  con  le
 disposizioni,  fra loro coordinate, degli artt. 104, primo comma, 105 e
 110 della Costituzione.  La richiesta, infatti,  lederebbe  l'autonomia
 del   Consiglio   superiore   e   quindi   indirettamente   dell'ordine
 giudiziario,   limitando,   o   addirittura   escludendo,   l'attivita'
 dell'organo   nelle   materie  indicate  nell'art.  105,  e  mantenendo
 un'indebita ingerenza del potere esecutivo sullo  stato  giuridico  dei
 magistrati.
     Questa  opinione  si ricollega, come si accenna anche negli scritti
 difensivi,  ad  un'interpretazione  restrittiva  dell'art.  110   della
 Costituzione,   nel   senso   che  i  servizi,  l'organizzazione  e  il
 funzionamento dei quali spetta al Ministro, sarebbero  soltanto  quelli
 inerenti  al  personale  delle cancellerie e segreterie, agli ufficiali
 giudiziari, alle circoscrizioni giudiziarie, ai locali, all'arredamento
 dei medesimi, ed, in genere, a tutti i mezzi necessari per  l'esercizio
 delle funzioni giudiziarie.
     Tale interpretazione non puo' essere accolta.
     Dall'autonomia  riconosciuta  al Consiglio superiore, nelle materie
 indicate nell'art. 105 della Costituzione, non deriva, secondo  che  si
 sostiene,   una   netta   separazione   di   compiti  fra  il  Ministro
 guardasigilli e l'Organo preposto al governo della  Magistratura;  come
 si  verificherebbe  se,  a quest'ultimo, fosse riconosciuta (il che non
 e', come risulta chiaro dai lavori preparatori) un'autonomia integrale,
 compresa quella finanziaria,  riguardante  l'ordine  giudiziario.    Se
 quindi   tale  autonomia  esclude  (come  pure  si  desume  dai  lavori
 preparatori) ogni intervento del potere esecutivo  nelle  deliberazioni
 concernenti  lo status dei magistrati, non esclude peraltro, che, fra i
 due organi, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite,  possa
 sussistere  un  rapporto  di  collaborazione:  il  quale  importa che i
 servizi, affidati al guardasigilli dall'art.  110  della  Costituzione,
 non  sono  limitati  a  quelli  sopra  accennati, ma, vi si comprendono
 altresi', sia  l'organizzazione  degli  uffici  nella  loro  efficienza
 numerica,  con  l'assegnazione  dei  magistrati  in  base  alle  piante
 organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attivita'
 e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti.
     Che in questo senso non restrittivo debba intendersi  l'art.    110
 risulta anche dalla considerazione che al Ministro l'art.  107, secondo
 comma,   della  Costituzione  attribuisce  la  facolta'  di  promuovere
 l'azione disciplinare, ed e' confermato dal fatto che  le  attribuzioni
 anzidette e gli oneri finanziari che necessariamente vi si ricollegano,
 impegnano la responsabilita' politica del guardasigilli, come esponente
 del  Governo,  verso  il  Parlamento,  per  l'esercizio  dei poteri che
 istituzionalmente a questo competono.
     Dalle osservazioni finora esposte discende che la richiesta, cui si
 riferisce la disposizione impugnata (richiamando  espressamente  l'art.
 10,  n.  1), considerata quale espressione della collaborazione, di cui
 si e' fatto  cenno,  e  volta  a  segnalare  all'organo  competente  le
 esigenze  sopra  indicate,  per  i  necessari  provvedimenti,  non puo'
 ritenersi, di per se', lesiva dell'autonomia del  Consiglio  superiore,
 che  ovviamente  resta  libero  nelle sue determinazioni.   Onde, sotto
 questo aspetto, la  disposizione  anzidetta,  non  puo'  ravvisarsi  in
 contrasto con i richiamati precetti costituzionali.
     9.  -  Tuttavia  la  disposizione  stessa  non  sfugge  al vizio di
 illegittimita' se considerata in relazione alla portata  che  viene  ad
 assumere  nel  sistema  della  legge  del  1958,  come  mezzo esclusivo
 stabilito per promuovere l'attivita' del Consiglio superiore.
     E' da ricordare, in proposito, che, nel progetto  ministeriale,  la
 disposizione   non  era  isolata,  ma  era  seguita  da  un'altra,  che
 attribuiva al predetto Consiglio la facolta'  di  deliberare  anche  di
 ufficio,  sentito  il  Ministro,  il  quale  poteva fare osservazioni e
 proposte nel termine  stabilito  dallo  stesso  Consiglio.    E,  nella
 relazione, si chiariva che la disposizione era dettata dal concetto che
 l'autonomia   dell'organo   non  poteva  subire  limitazioni,  e  dalla
 necessita' di evitare che, un'eventuale inerzia del  Ministro,  potesse
 recar pregiudizio al funzionamento dei servizi.
     Si   trattava   quindi   di   due   disposizioni,   dal  necessario
 coordinamento delle quali risultava chiarito che,  alla  richiesta  del
 Ministro, non si poteva attribuire carattere determinante rispetto alla
 attivita'  del  Consiglio  superiore,  nelle materie di sua competenza:
 carattere che ha assunto invece, data  la  soppressione  della  seconda
 disposizione,  nell'ulteriore  elaborazione legislativa.  Di guisa che,
 il fatto che la disposizione impugnata sia rimasta  isolata  nel  testo
 definitivo,  sta  a  dimostrare  che  ad  essa  si e' inteso attribuire
 carattere tassativo, nel senso di esclusivita' del potere attribuito al
 Ministro:  condizionando,  in  tal  maniera,  come  si   rileva   nelle
 ordinanze,  l'attivita'  dell'organo collegiale.  Si verifica quindi la
 dedotta lesione dell'autonomia del medesimo, in contrasto percio' con i
 precetti della Costituzione.
     10. - L'art. 17 della legge in esame, nella prima parte  del  primo
 comma,  come  si  e' accennato, e' impugnato in quanto stabilisce che i
 provvedimenti del Consiglio superiore sono  adottati  con  decreto  del
 Capo  dello  Stato  controfirmato  dal  Ministro, ovvero con decreto di
 quest'ultimo, nei casi preveduti dalla legge, in contrasto  con  l'art.
 105 della Costituzione.
     La questione non e' fondata.
     E' vero che, in base al precetto che distingue i magistrati secondo
 le  funzioni,  essi,  come  si e' gia' accennato, non possono ritenersi
 inquadrati nell'ordinamento  gerarchico  dell'amministrazione  statale.
 Ma  da  cio' non deriva che la Magistratura sia avulsa dall'ordinamento
 generale dello Stato, dato  il  carattere  unitario  del  medesimo,  in
 relazione  al precetto dell'art. 5 della Costituzione.  Ne consegue che
 ai magistrati, salve le garanzie per l'indipendenza, sono applicabili i
 principi fondamentali dell'ordinamento medesimo.  A tali  principi  non
 ha  inteso  derogare  il  legislatore costituente, essendosi affermato,
 nella relazione al progetto, che,  con  le  norme  intese  a  garantire
 l'indipendenza della Magistratura, non si intendeva stabilire una forma
 piena di autogoverno.
     Ne  deriva,  pertanto,  che  i  provvedimenti emanati dal Consiglio
 superiore,  ai  sensi  dell'art.  105  della   Costituzione   e   della
 disposizione dell'art. 17 della legge in esame (24 marzo 1958, n. 195),
 debbono  assumere, dato il carattere sostanzialmente amministrativo dei
 provvedimenti  stessi,  anche   per   quanto   attiene   al   controllo
 finanziario,  la  forma  che,  sulla base dei principi fondamentali del
 sistema, e' prescritta per i provvedimenti del genere: la  forma  cioe'
 del  decreto del Capo dello Stato controfirmato dal Ministro; ovvero di
 questo, nei casi stabiliti dalla legge.
     La   disposizione   impugnata,  pertanto,  non  puo'  ritenersi  in
 contrasto   con   i   precetti   costituzionali    richiamati,    donde
 l'infondatezza della questione.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     riunite le tre cause indicate in epigrafe,
     dichiara  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  primo
 comma, della legge 24 marzo 1958,  n.  195,  istitutiva  del  Consiglio
 superiore  della  Magistratura,  in  riferimento  agli artt. 104, primo
 comma, 105 e 110 della Costituzione, in quanto, per le materie indicate
 nel n. 1 dell'art. 10 della  legge  stessa,  esclude  l'iniziativa  del
 Consiglio superiore della Magistratura;
     dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 della detta legge, in riferimento agli artt. 72, quarto  comma,  104  e
 105 della Costituzione;
     dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 23, primo, terzo e  quarto  comma,  della  stessa  legge,  in
 riferimento  agli  artt. 48, 104, primo, terzo e quarto comma, 105, 107
 della Costituzione;
     dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  17,  primo  comma,  parte  prima,  della legge anzidetta, in
 riferimento all'art. 105 della Costituzione.
     Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1963.
                                   GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
                                   AVOLIO  -  ANTONINO  PAPALDO - NICOLA
                                   JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO -  BIAGIO
                                   PETROCELLI  -  ANTONIO  MANCA  - ALDO
                                   SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA -  MICHELE
                                   FRAGALI   -   COSTANTINO   MORTATI  -
                                   GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE  VERZI'
                                   - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI.