N. 641 SENTENZA 17 - 30 dicembre 1987

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale
 
 Ambiente (tutela) - Danno ambientale - Responsabilita' Giurisdizione
 del giudice ordinario - Giurisdizione della Corte dei conti - Deroga
 - Non fondatezza.
 
 (Artt. 5, 25, primo comma, e 103, secondo comma, Cost.).
 
 (Art. 18, secondo comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349)
(GU n.2 del 13-1-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA,
 prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 18, secondo
 comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione  del  Ministero
 dell'Ambiente  e  norme in materia di danno ambientale), promossi con
 ordinanze emesse il 1› ottobre 1986 ed il 9 gennaio 1987 dalla  Corte
 dei Conti - Sezioni Riunite - sui ricorsi proposti da Tavanti Tommasi
 Luigi ed altri e Notaro Nicola ed  altro,  iscritte  al  n.  830  del
 registro  ordinanze  1986  e  al n. 221 del registro ordinanze 1987 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7 e 25 prima
 seri speciale dell'anno 1987;
    Visti gli atti di costituzione di Tavanti Tommasi Luigi, di Salari
 Giuseppe, di Notaro Nicola e di Ciccarone Silvio;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13  ottobre  1987  il  Giudice
 relatore Francesco Greco;
    Uditi  gli avv.ti Carlo Selvaggi per Tavanti Tommasi Luigi, Walter
 Prosperetti per  Salari  Giuseppe,  Sebastiano  Petrucci  per  Notaro
 Nicola e Emilio Sivieri per Ciccarone Silvio.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Fra  il  1961  e  il  1964  nell'ambito del Parco Nazionale
 d'Abruzzo, si costruivano  trenta  villette,  una  rete  stradale  di
 collegamento   per   la  creazione  di  un  centro  residenziale  nel
 territorio del Comune di Lecce dei  Marsi.  Ritenendosi  prodotto  un
 danno  ambientale  di  natura erariale, il Procuratore Generale della
 Corte dei Conti iniziava giudizio per responsabilita'  amministrativa
 a  carico  di coloro che erano risultati autori del danno e cioe' gli
 amministratori  del  Comune,  il  Presidente   dell'Ente   Parco,   i
 componenti  della  Giunta  Provinciale amministrativa di L'Aquila, un
 Vice-prefetto e un sottosegretario al  Ministero  dell'Agricoltura  e
 Foreste.  Essi  venivano  condannati  al  risarcimento  dei danni per
 importi di varia entita'.
    Costoro proponevano appello.
    Essendo  nelle  more  intervenuta  la  legge 8 luglio 1986 n. 349,
 istitutiva del Ministero per l'Ambiente,  la  quale  all'art.  18  ha
 demandato  i  giudizi  per il risarcimento dei danni alla compe tenza
 del giudice ordinario, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti,  con
 ordinanza  del  1›  ottobre 1986 (R.O. n. 830/86) hanno sollevato, in
 riferimento agli artt. 103, secondo comma, e 25 Cost.,  questione  di
 legittimita'  costituzionale del detto articolo 18 nella parte in cui
 ha devoluto al giudice ordinario la materia relativa al  risarcimento
 per danno ambientale, salva la giurisdizione della Corte dei Conti in
 limitate ipotesi di responsabilita' amministrativo-contabile.
    2.  -  Sul primo profilo le Sezioni remittenti hanno rilevato che,
 mentre la norma primaria  individua  una  competenza  tendenzialmente
 generale   della  Corte  dei  Conti  nelle  materie  di  contabilita'
 pubblica, la disposizione impugnata sembra limitare il suo ambito  in
 quanto    difettano   ragionevoli   tratti   differenziali   tra   la
 responsabilita' per danni ambientali e la responsabilita'  per  danni
 arrecati ad altri beni pubblici.
    A  parere  delle Sezioni Riunite, il nucleo storico e fondamentale
 della giurisdizione della Corte dei Conti, presente  al  Costituente,
 in sede di redazione dell'art. 103, secondo comma, sarebbe costituito
 oltre che dal giudizio sui conti (cioe' nei confronti dei  contabili)
 anche  da  quello  nei  confronti  dell'impiegato  che, per azione od
 omissione, anche solo colposa,  nell'esercizio  delle  sue  funzioni,
 cagioni  danno  allo  Stato, come precipuamente emerge dal T.U. delle
 norme sulla contabilita' dello Stato approvato con R.D.  18  novembre
 1923  n.  2440,  nonche' dal coevo R.D. n. 2441, recante modifiche di
 alcune norme della legge istitutiva della Corte dei Conti.
    Il  precetto  costituzionale  rimarrebbe,  in pratica, svuotato di
 contenuto ove lo si ritenesse idoneo a garantire  l'estensione  della
 giurisdizione   amministrativa   contabile,   almeno   alle   materie
 riconducibili a tale nucleo fondamentale perche' si riconoscerebbe al
 legislatore ordinario il potere di ridurre tale estensione secondo le
 sue scelte discrezionali pur in presenza di tutti gli  elementi  che,
 tradizionalmente,   giustificherebbero   l'assoggettamento   di  tale
 materia a quella giurisdizione.
    D'altra parte per il danno ambientale imputabile a responsabilita'
 di  pubblici  dipendenti  sussisterebbero  tutti  i  presupposti   di
 siffatto  assoggettamento  sia  sotto il profilo soggettivo che sotto
 quello oggettivo.
    In  contrario  non  potrebbe  invocarsi una presunta necessita' di
 unitaria cognizione dell'unico fatto causativo del  danno  nel  quale
 concorressero  pubblici funzionari e soggetti privati o delle diverse
 azioni dannose concorrenti di costoro poiche' nel vigente ordinamento
 sussiste  la  regola della ripartizione della cognizione del medesimo
 danno unitariamente prodotto dal pubblico funzionario,  il  quale  ne
 risponde  davanti  alla  Corte  dei Conti, e dal privato, il quale ne
 risponde davanti al  giudice  ordinario.  Inoltre  la  materia  della
 responsabilita'    patrimoniale    dei   pubblici   funzionari,   che
 nell'esercizio delle loro attribuzioni abbiano recato danno  ai  beni
 ambientali,  inteso  come  danno  allo Stato, quale ente esponenziale
 della   collettivita'   generale,   e'   stata   individuata    dalla
 giurisprudenza  della Corte dei Conti, che ha ricostruito il relativo
 modello giuridico in termini corrispondenti a quelli fatti propri dal
 legislatore con la legge n. 349 del 1986.
    2.1  -  Per l'altro profilo (violazione dell'art. 25, primo comma,
 Cost.), il giudice a quo ha rilevato che, ove si affermi  l'esistenza
 di  una riserva costituzionale di giurisdizione della Corte dei Conti
 ex art.  103  Cost.,  non  potrebbero  essere  sottratti  al  giudice
 naturale,   individuabile  alla  stregua  di  tale  ultima  norma,  i
 funzionari pubblici responsabili di danno allo Stato. Tanto  piu'  se
 si  considerino  le  peculiarita'  strutturali di detta giurisdizione
 rispetto a quella ordinaria: cioe' l'affidamento del potere di azione
 ad  un  organo pubblico neutrale posto a difesa degli interessi dello
 Stato-ordinamento; i poteri ufficiosi di  acquisizione  delle  prove,
 non  limitati  dall'iniziativa  delle parti; il potere del giudice di
 porre a carico del  responsabile  anche  solo  una  parte  del  danno
 accertato.
    La necessita' dell'attribuzione alla giurisdizione della Corte dei
 Conti della materia della responsabilita' verso lo Stato dei pubblici
 funzionari,  giustificata  dalle peculiarita', appare particolarmente
 evidente dalla individuazione  della  responsabilita'  di  organi  di
 vertice  dell'Amministrazione: ad esempio, la disposizione impugnata,
 non contenendo alcuna previsione circa  la  proposizione  dell'azione
 risarcitoria  allorche' autore del danno ambientale sia un Ministro o
 altro organo di vertice che abbia agito  per  delega  di  questo,  si
 risolve in una causa di insufficiente tutela della collettivita', che
 non puo' giovarsi  del  potere  di  azione  proprio  del  Procuratore
 Generale  presso  la  Corte  dei  Conti  (artt.  82  della  legge  di
 contabilita' di Stato e 52 del  T.U.  delle  leggi  sulla  Corte  dei
 Conti).
    3.  - Il medesimo giudice ha denunciato la stessa disposizione con
 ordinanza emessa il 9 gennaio 1987 (Reg. Ord.
 n.  221  del  1987)  nel procedimento di appello avverso la decisione
 parziale  del  30  aprile  1985,  con  la   quale   la   1a   sezione
 giurisdizionale  della  Corte dei Conti aveva, fra l'altro, affermato
 la sussistenza della propria  giurisdizione  in  un  caso  di  azione
 promossa   dal  Procuratore  Generale  presso  la  Corte  stessa  nei
 confronti di taluni amministratori del Comune di  Vasto  e  di  altri
 pubblici   funzionari   per  il  risarcimento  del  danno  ambientale
 provocato  dalla  realizzazione  abusiva  di  determinate  opere   in
 localita'  Punta  Penne (zona vincolata dal piano regolatore generale
 di detto Comune), con riferimento  alle  quali  i  convenuti  avevano
 omesso  di  provvedere  all'applicazione delle sanzioni pecuniarie di
 legge.
    La  censura  e'  stata proposta in riferimento all'art. 5 e, sotto
 diverso profilo, ancora all'art. 103, secondo comma, Cost.
    A  sostegno della dedotta violazione della prima di dette norme si
 assume che nel caso in cui la giurisdizione in subiecta materia fosse
 conservata alla Corte dei Conti, la tutela dell'interesse dello Stato
 sarebbe pienamente realizzata  dalla  imparzialita'  del  Procuratore
 Generale  della  Corte  dei  Conti,  costituente  indiretta  garanzia
 dell'esercizio dell'azione di danno; per converso, la  facoltativita'
 dell'azione  innanzi  all'Autorita'  giudiziaria  ordinaria  in  sede
 civile, rimessa all'apprezzamento dell'Avvocatura dello Stato o degli
 organi  degli enti locali, si risolverebbe in un difettoso meccanismo
 che non garantirebbe  l'inderogabile  tutela  degli  interessi  delle
 singole    collettivita'   locali   e,   di   riflesso,   dell'intera
 collettivita', perche' le stesse persone  fisiche  potrebbero  essere
 nel contempo legittimate a deliberare la proposizione del giudizio di
 responsabilita' e poi esserne le convenute con tutte  le  conseguenti
 possibili  e  notevoli ripercussioni sull'autonomia degli enti locali
 che tali amministratori esprimono.
    Il   contrasto   con  l'art.  103,  secondo  comma,  Cost.,  viene
 prospettato sotto il profilo che le deroghe alla giurisdizione  della
 Corte  dei  Conti  in tema di responsabilita' per danni arrecati allo
 Stato sono state  "storicamente"  apportate  solo  in  ragione  delle
 funzioni di particolari categorie di soggetti (es., amministratori di
 enti pubblici economici) e non anche per motivi oggettivi concernenti
 la specie del danno.
    4.  - In entrambe le ordinanze per la rilevanza della questione si
 osserva che la norma impugnata, per la sua natura processuale, e'  di
 immediata  applicazione  nei  giudizi pendenti, talche' l'esame della
 sua  legittimita'  costituzionale  riveste  carattere  di  necessaria
 pregiudizialita'.  Le  ordinanze sono state regolarmente notificate e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
    5.  -  Si  sono  costituiti  taluni degli appellanti nei giudizi a
 quibus ed hanno sollecitato la  declaratoria  di  infondatezza  della
 questione.  A  tal  fine,  le  rispettive  difese hanno concordemente
 rilevato che l'art. 103, secondo comma, Cost. distingue  due  settori
 della  giurisdizione  della  Corte dei Conti, uno solo dei quali puo'
 ritenersi  ad  essa  costituzionalmente  riservato  e  cioe'   quello
 attinente  alle "materie di contabilita' pubblica"; mentre ogni altra
 competenza e' "attribuita dalla  legge"  e,  quindi,  fuori  di  tale
 riserva.  Fra  le  competenze  non  riservate si colloca anche quella
 attinente all'adempimento dei doveri di tutti gli agenti i quali, pur
 non  avendo maneggio di pubblico denaro o specifica custodia dei beni
 pubblici, tuttavia, col  loro  comportamento,  nell'espletamento  del
 rapporto  di  servizio,  in  senso  lato,  che  li lega alla pubblica
 amministrazione, possono cagionare danni  destinati  a  ripercuotersi
 direttamente o indirettamente sulle pubbliche finanze. In questi casi
 l'attribuzione della giurisdizione alla Corte dei  Conti  non  deriva
 dall'appartenenza delle controversie alla materia della "contabilita'
 pubblica", ma  da  una  valutazione  discrezionale  del  legislatore,
 fondata su considerazioni di opportunita' politica, circa la maggiore
 idoneita'  di  detto  giudice,  rispetto  a  quello  ordinario,  alla
 decisione delle controversie medesime.
    La   non  riconducibilita'  della  materia  della  responsabilita'
 amministrativa a quella della "contabilita' pubblica" si apprezza poi
 in   modo  particolare  quando,  come  nella  specie,  si  tratti  di
 responsabilita' per danno all'ambiente, per la natura di esso di bene
 immateriale  non  configurabile  tecnicamente  come  patrimonio dello
 Stato, ma come utilita' della collettivita' generale, verso la  quale
 l'amministrazione   ha   doveri   piu'  che  diritti.  E  proprio  la
 peculiarita'  di  tale  bene  puo'  individuarsi   come   ragionevole
 fondamento delle valutazioni di opportunita' che hanno determinato la
 norma censurata.
    Negata   l'esistenza,   in   subiecta   materia,  di  una  riserva
 costituzionale della giurisdizione della Corte dei Conti, ne discende
 anche  l'infondatezza  del  profilo  di illegittimita' costituzionale
 afferente alla pretesa violazione del principio del giudice naturale.
    Inoltre     la    pretesa    garanzia    di    tutela    ravvisata
 nell'inderogabilita' ed  imparzialita'  dell'azione  del  Procuratore
 Generale della Corte dei Conti non puo' configurarsi come requisito e
 condizione inseparabile dalla funzione giurisdizionale e la  mancanza
 di  tale  garanzia  nell'ambito  della  giurisdizione  ordinaria puo'
 essere fonte tutt'al piu' di inconvenienti pratici  non  suscettibili
 di  ascendere  al  livello di vizi di incostituzionalita' della norma
 censurata, neanche sotto il profilo di una presunta minorazione della
 tutela  delle  autonomie  locali.  Invero l'art. 5 Cost., invocato al
 riguardo come parametro dal giudice a quo, imponendo  allo  Stato  di
 adeguare  i  principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze
 dell'autonomia locale, appare la norma meno idonea a giustificare  la
 persistenza  di  uno  strumento  certamente limitativo dell'autonomia
 medesima, quale nella  ricostruzione  fattane  da  detto  giudice  si
 configura il potere di azione del Procuratore Generale.
    Nell'imminenza  dell'udienza hanno presentato memorie talune delle
 parti costituite.
    La  difesa  di  Giuseppe  Salari ha insistito sulle deduzioni gia'
 formulate.
    La  difesa di Luigi Tavanti Tommasi ha pregiudizialmente sollevato
 dubbi sulla rilevanza della questione, venendo  censurata  una  norma
 che, per essere di immediata attuazione, ha gia' privato il giudice a
 quo della potestas judicandi.
    Nel   merito   ha   sottolineato   che   il   complessivo  disegno
 costituzionale in materia di giurisdizione  si  ispira  al  principio
 dell'unita'  di  questa,  alla  luce  del  quale  va  intesa anche la
 posizione  riservata  alla  Corte  dei  Conti:  la  sola   competenza
 costituzionalmente inderogabile di tale giudice attiene ai giudizi di
 conto, mentre altre materie possono essergli attribuite  se  cio'  e'
 giustificato  da una chiara connessione delle stesse con quella della
 contabilita'. Siffatto collegamento e' assente per quanto riguarda la
 materia  della  responsabilita' per danno all'ambiente perche', anche
 ove esso sia prodotto dal pubblico dipendente,  attiene  ad  un  bene
 protetto che non e' parte del patrimonio dello Stato e tanto meno del
 demanio.
    Si  tratta,  invece,  di  un  bene  immateriale  che  ha rilevanza
 giuridica soltanto per il riconoscimento contenuto nella stessa legge
 n.  349 del 1986 e che rientra fra le res communia omnium: le lesioni
 di esso,  da  chiunque  prodotte,  non  si  sottraggono  allo  schema
 ordinario  della responsabilita' civile extracontrattuale, talche' si
 giustifica la competenza giurisdizionale dell'A.G.O..
    La  difesa  del  Ciccarone  ha svolto rilievi non dissimili, nella
 sostanza, sottolineando che quand'anche si condividesse l'assunto del
 giudice   a   quo   secondo  il  quale  dal  "nucleo  storico"  della
 giurisdizione della Corte dei Conti, gia' normativamente definito, si
 sarebbe andato sviluppando, nella materia di "contabilita' pubblica",
 un processo evolutivo  verso  una  nozione  tendenzialmente  generale
 della  giurisdizione  stessa,  dovrebbe  nondimeno  riconoscersi  che
 questo orientamento non puo' che arrestarsi di fronte alla  tassativa
 specificazione  della  norma  censurata che, muovendosi in uno spazio
 assegnato al legislatore  ordinario  dallo  stesso  art.  103,  comma
 secondo, Cost., attribuisce in modo non equivoco al giudice ordinario
 la materia relativa alla responsabilita'  dei  soggetti,  pubblici  o
 privati agenti, che arrecano danno all'ambiente.
    Ha  rilevato  poi  che, nella legge n. 349 del 1986, la nozione di
 ambiente e' assunta in  senso  globale,  tale  da  prescindere  dalla
 specifica  considerazione  dei  singoli beni, isolatamente presi, che
 formano il demanio o il  patrimonio  dello  Stato  e  di  altri  enti
 pubblici:  tale  nozione  e' indicativa di un bene nuovo e diverso da
 questi, di natura  immateriale  e  riferibile  alla  generalita'  dei
 cittadini  e,  per essi, allo Stato-comunita', sicche' agevolmente si
 comprende come anche la tutela giudiziaria di detto  bene  non  possa
 atteggiarsi  nelle medesime forme riservate alla tutela del demanio o
 del patrimonio.
    La  memoria  difensiva  di Notaro Nicola e' stata depositata fuori
 termine.
                         Considerato in diritto
    1.  -  I  due ricorsi possono essere riuniti e decisi con un'unica
 sentenza in quanto prospettano questioni in  parte  identiche  ed  in
 parte connesse.
    2.  -  Le  Sezioni  Riunite  della  Corte  dei  Conti,  con le due
 ordinanze di rimessione, sospettano  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 18, secondo comma, della legge 3 luglio 1986 n. 349, che ha
 attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario l'intera  materia
 del risarcimento del danno ambientale, facendo salva la giurisdizione
 della  Corte  dei  Conti  solo  in   alcune   limitate   ipotesi   di
 responsabilita'   amministrativa   in   quanto,   a   loro  giudizio,
 risulterebbero violati:
       a)  l'art.  103,  secondo  comma,  Cost.  perche'  toglie  alla
 giurisdizione  della  Corte  dei   Conti   una   materia   che,   per
 caratteristiche   soggettive   ed   oggettive,   rientra  tra  quelle
 costituzionalmente ad essa riservate;
       b)  l'art.  25,  primo  comma  Cost. perche' sottrae i pubblici
 funzionari responsabili del  danno  ambientale  al  giudice  naturale
 individuabile in base al suddetto precetto costituzionale;
       c)  l'art.  5 Cost. perche' la carenza di un organo cui spetti,
 in  subjecta  materia,  un  potere  imparziale  ed  inderogabile   di
 esercizio  dell'azione  risarcitoria  si  risolve in una compressione
 della  tutela  delle  autonomie  locali,   particolarmente   evidente
 allorche'   il   pubblico   funzionario,   competente   a  deliberare
 l'esercizio  dell'azione,  sia  anche  il  legittimato  passivo   nel
 relativo   giudizio,   siccome   autore   e  responsabile  del  danno
 ambientale.
    2.1 - Le remittenti sostengono:
       a)   che   la   norma   primaria   individua   una   competenza
 tendenzialmente generale della  Corte  dei  Conti  nelle  materie  di
 contabilita'  pubblica  qualificata  dalla  concorrenza del carattere
 pubblico dell'ente  dalla  natura  pubblica  del  bene  e  della  sua
 gestione;
       b)  che  l'art.  103 Cost. attribuisce alla giurisdizione della
 Corte dei Conti, oltre  al  giudizio  sui  conti,  anche  quello  nei
 confronti  dell'impiegato  che, per azione od omissione anche colposa
 nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato;
       c)  che  nella materia di danno ambientale si e' in presenza di
 tutti    gli    elementi    che     tradizionalmente     giustificano
 l'assoggettamento  di tale materia alla giurisdizione della Corte dei
 Conti;
       d)   che   nel   caso   di   danno   ambientale   imputabile  a
 responsabilita'  del  pubblico  dipendente,  sussistono   tutti   gli
 elementi  soggettivi  ed oggettivi i quali determinano l'attribuzione
 della giurisdizione alla Corte dei Conti;
       e)  che  la  riserva costituzionale di giurisdizione alla Corte
 qualifica, in subjecta  materia,  la  stessa  Corte  dei  Conti  come
 giudice   naturale   nei   relativi   giudizi;  si  aggiunge  poi  la
 considerazione che la presenza attiva nel  giudizio  del  Procuratore
 Generale della Corte, il quale e' detentore del potere di azione e di
 tutti gli altri connessi, specie di quello in ordine all'acquisizione
 diretta delle prove, garantirebbe la piena tutela della collettivita'
 e delle stesse autonomie locali.
    2.2 - Le censure non sono fondate.
    Il   secondo  comma  dell'art.  103  Cost.  e'  stato  piu'  volte
 interpretato da questa  Corte  (sentt.  nn.  17/85;  189/84;  241/84;
 102/77),  nel  senso  che  alla  Corte  dei  Conti  e'  riservata  la
 giurisdizione sulle materie di contabilita'  pubblica,  la  quale  va
 intesa  nel  senso  tradizionalmente  accolto  dalla giurisprudenza e
 dalla legislazione, cioe' come comprensiva sia dei giudizi  di  conto
 che  di  responsabilita'  a  carico  degli  impiegati  e degli agenti
 contabili dello Stato e degli enti pubblici non economici  che  hanno
 il  maneggio  del  pubblico  denaro;  che  la materia di contabilita'
 pubblica non  e'  definibile  oggettivamente  ma  occorrono  apposite
 qualificazioni   legislative   e  puntuali  specificazioni  non  solo
 rispetto all'oggetto ma anche rispetto ai  soggetti;  che,  comunque,
 essa appare sufficientemente individuata nell'elemento soggettivo che
 attiene alla natura pubblica dell'ente (Stato,  Regioni,  altri  enti
 locali   e   amministrazione  pubblica  in  genere)  e  nell'elemento
 oggettivo che riguarda la qualificazione pubblica del  denaro  e  del
 bene oggetto della gestione.
    Si  e' anche affermato che la giurisdizione della Corte dei Conti,
 nelle dette materie, e'  solo  tendenzialmente  generale  (tanto  che
 nell'ordinamento  precostituzionale  la  si qualificava giurisdizione
 speciale) e che sono  possibili  deroghe  con  apposite  disposizioni
 legislative,    specie    nella    materia    della   responsabilita'
 amministrativa non di  gestione  e  che  la  cognizione  delle  cause
 attinenti  alla responsabilita' patrimoniale per danni cagionati agli
 enti pubblici  da  pubblici  funzionari,  nell'esercizio  delle  loro
 funzioni,  siccome  involge  questioni relative a diritti soggettivi,
 sarebbe spettata al giudice  ordinario  se  non  vi  fosse  stata  la
 previsione  legislativa  derogatoria  la  quale  sancisce una diversa
 ripartizione giurisdizionale.
    La  richiamata  giurisprudenza  non e' in contrasto con l'altra di
 questa stessa  Corte  (sentt.  nn.  110/70;  68/71;  211/72;  102/77;
 241/84;  53/85)  che  ha  affermato  la  espansione tendenziale della
 giurisdizione della  Corte  dei  Conti,  ove  sussista  identita'  di
 materia  e  di  interesse  tutelato,  in  carenza di regolamentazione
 specifica da parte del legislatore che potrebbe  anche  prevedere  la
 giurisdizione  ed  attribuirla ad un giudice diverso (per es. in tema
 di  responsabilita'  amministrativa  dei  funzionari   regionali   in
 fattispecie di gestione di interessi patrimoniali pubblici).
    A  parte  la  rilevata  necessita'  della  carenza  di una diversa
 disciplina legislativa si rimane sempre nel campo della giurisdizione
 contabile, come sopra specificata.
    Trattasi  sempre  di  un  limite funzionale alla giurisdizione del
 giudice ordinario che nell'ordinamento  e'  il  giudice  dei  diritti
 soggettivi, tranne le eccezioni legislativamente stabilite.
    Proprio in applicazione dell'art. 103, secondo comma, Cost., e nei
 limiti ad esso imposti, spetta al legislatore la determinazione della
 sfera   di  giurisdizione  dei  giudici  (ordinario,  amministrativo,
 contabile, militare ecc...). E  nella  interpositio  del  legislatore
 deve  individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti
 della Corte dei Conti.
    La  scelta  a favore del giudice ordinario operata dal legislatore
 con il secondo comma dell'art.  18  della  legge  n.  349  del  1986,
 oggetto  della  impugnazione,  risulta,  quindi, conforme al precetto
 costituzionale (art. 103, secondo comma, Cost.).
    Si osserva, anche, che il legislatore puo' scegliere sanzioni piu'
 idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi nelle  varie  materie
 ed    effettuare   altresi'   la   conformazione   tipologica   delle
 responsabilita'. Il che e' avvenuto nella materia di cui trattasi.
    Inoltre,   la   infondatezza   della   questione  di  legittimita'
 costituzionale di cui trattasi si evince anche dall'esame delle altre
 norme  non  impugnate  dell'art.  18  (nn. dal 3 all'8) e di tutta la
 legge in generale.
    Anzitutto,  con essa si e' creato un Ministero per l'ambiente che,
 per le funzioni attribuite, assurge a  centro  di  riferimento  dello
 interesse  pubblico ambientale e di fatto realizza il coordinamento e
 la  riconduzione  ad  unita'  delle  azioni   politico-amministrative
 finalizzate alla sua tutela.
    L'ambiente  e'  stato  considerato  un  bene  immateriale unitario
 sebbene  a  varie  componenti,  ciascuna  delle  quali   puo'   anche
 costituire,  isolatamente  e  separatamente,  oggetto  di  cura  e di
 tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unita'.
    Il  fatto  che  l'ambiente  possa essere fruibile in varie forme e
 differenti modi, cosi' come possa essere oggetto di varie  norme  che
 assicurano  la  tutela  dei vari profili in cui si estrinseca, non fa
 venir meno e non intacca la sua natura e  la  sua  sostanza  di  bene
 unitario che l'ordinamento prende in considerazione.
    L'ambiente  e' protetto come elemento determinativo della qualita'
 della  vita.  La  sua  protezione  non  persegue  astratte  finalita'
 naturalistiche  o  estetizzanti,  ma esprime l'esigenza di un habitat
 naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e  che  e'  necessario  alla
 collettivita'  e,  per  essa, ai cittadini, secondo valori largamente
 sentiti; e' imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt.  9  e
 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto.
    Vi  sono,  poi,  le  norme  ordinarie  che, in attuazione di detti
 precetti, disciplinano  ed  assicurano  il  godimento  collettivo  ed
 individuale del bene ai consociati; ne assicurano la tutela imponendo
 a coloro che lo hanno in cura, specifici obblighi di vigilanza  e  di
 interventi.  Sanzioni  penali,  civili  ed  amministrative rendono la
 tutela concreta ed efficiente.
    L'ambiente  e', quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e
 tutelato da norme.
    Non  e'  certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva
 di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d.  beni
 liberi, e' fruibile dalla collettivita' e dai singoli.
    Alle  varie forme di godimento e' accordata una tutela civilistica
 la  quale,  peraltro,   trova   ulteriore   supporto   nel   precetto
 costituzionale  che  circoscrive l'iniziativa economica privata (art.
 41 Cost.) ed in quello che riconosce il diritto di proprieta', ma con
 i limiti della utilita' e della funzione sociale (art. 42 Cost.).
    E',  inoltre,  specificamente  previsto  il danno che il bene puo'
 subire (art. 18  n.  1).  Esso  e'  individuato  come  compromissione
 (dell'ambiente)  e, cioe', alterazione, deterioramento o distruzione,
 cagionata da fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori
 delle leggi di protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in
 base ad esse.
    Le dette violazioni si traducono, in sostanza, nelle vanificazioni
 delle finalita' protettive e per se stesse costituiscono danno.
    La  responsabilita'  che  si  contrae  e'  correttamente  inserita
 nell'ambito e nello schema della tutela  aquiliana  (art.  2043  cod.
 civ.).
    Questa  Corte  (sentt.  n.  247/74  e  n. 184/86) ha gia' ritenuto
 possibile il ricorso all'art. 2043 cod. civ. in tema di lesione della
 salute  umana,  dell'integrita'  dell'ambiente  naturale  e  di danno
 biologico.
    Si  e'  cosi'  in grado di provvedere non solo alla reintegrazione
 del patrimonio del danneggiato ma anche a prevenire ed  a  sanzionare
 l'illecito.  Il tipo di responsabilita' civile ben puo' assumere, nel
 contempo, compiti preventivi e sanzionatori.
    Questa  Corte ha messo in rilievo la nuova valenza del citato art.
 2043 cod. civ., a seguito e per effetto dell'entrata in vigore  della
 Costituzione,  come  strumento  per la protezione dei valori che essa
 prevede ed assicura, tra cui ha rilievo precipuo il  principio  della
 solidarieta', nonche' la stretta relazione che ne deriva tra la detta
 norma e i  precetti  costituzionali,  al  fine  della  determinazione
 dell'illecito  e  della  riparazione che consegue alla violazione del
 precetto.
    Lo stesso principio del neminem laedere, che era il supporto della
 responsabilita' aquiliana, assume una nuova  e  diversa  rilevanza  e
 sopratutto  un  contenuto  diverso,  siccome  comprensivo anche della
 riparazione alle menomazioni di beni di valore assoluto e primario.
    L'art. 2043 cod. civ. va posto in correlazione con la disposizione
 che prevede il bene giuridico tutelato attraverso  la  posizione  del
 divieto primario.
    La  sanzione  risarcitoria  e'  conseguenza  della  lesione  della
 situazione giuridica tutelata. E l'illecito e' fatto consistere nella
 violazione  della norma e dei provvedimenti adottati in base ad essa.
    In  tal  modo  si  tiene esattamente conto della realta' e si pone
 rimedio a tutta la gamma delle conseguenze dannose che derivano dalla
 violazione effettuata.
    Risultano  rimedi  a  tutta la indefinita e sterminata serie degli
 eventi lesivi  che  l'uomo  quotidianamente  si  inventa  utilizzando
 anche,  in  maniera  distorta  e  a  proprio  esclusivo vantaggio, il
 progresso tecnologico. In tal modo il giudice poggia la sua decisione
 su dati certi e applica regole di sicura conoscibilita'.
    Il danno e' certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una
 concezione  aritmetico-contabile  e  si  concreti   piuttosto   nella
 rilevanza   economica  che  la  distruzione  o  il  deterioramento  o
 l'alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in se'
 e  per  se'  e  che si riflette sulla collettivita' la quale viene ad
 essere gravata da oneri economici.
    La  tendenziale scarsita' delle risorse ambientali naturali impone
 una disciplina che eviti gli sprechi e i danni sicche'  si  determina
 una economicita' e un valore di scambio del bene. Pur non trattandosi
 di un bene appropriabile, esso si presta a essere valutato in termini
 economici e puo' ad esso attribuirsi un prezzo.
    Consentono  di  misurare l'ambiente in termini economici una serie
 di funzioni con i relativi costi,  tra  cui  quella  di  polizia  che
 regolarizza   l'attivita'   dei  soggetti  e  crea  una  sorveglianza
 sull'osservanza dei vincoli; la gestione del bene in senso  economico
 con  fine  di  rendere  massimo  il  godimento e la fruibilita' della
 collettivita' e dei singoli e di sviluppare le risorse ambientali. Si
 possono confrontare i benefici con le alterazioni; si puo' effettuare
 la stima e la pianificazione degli interventi  di  preservazione,  di
 miglioramento  e  di  recupero;  si  possono  valutare  i  costi  del
 danneggiamento. E per tutto questo l'impatto ambientale  puo'  essere
 ricondotto   in   termini   monetari.   Il  tutto  consente  di  dare
 all'ambiente e quindi al danno ambientale un valore economico.
    Lo   schema   seguito,   pero',  porta  a  identificare  il  danno
 risarcibile come perdita  subita,  indipendentemente  sia  dal  costo
 della  rimessione  in  pristino,  peraltro  non sempre possibile, sia
 dalla diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato e degli  enti
 minori.
    Risulta  superata  la  considerazione  secondo  cui  il diritto al
 risarcimento del danno sorge solo a seguito della perdita finanziaria
 contabile  nel  bilancio  dell'ente pubblico, cioe' della lesione del
 patrimonio dell'ente, non incidendosi su un  bene  appartenente  allo
 Stato.
    Non  si  possono  richiamare  in  senso  proprio  i principi della
 responsabilita' contabile e della responsabilita' amministrativa  dei
 funzionari pubblici che, peraltro, e' di natura contrattuale.
    Ne'  possono  essere  trasportati  nel  campo aquiliano i principi
 affermati  nel  settore  del  danno  erariale  o  danno  pubblico  in
 generale. Non rileva nemmeno l'evoluzione che ha subito la nozione di
 finanza pubblica come comprensiva  anche  della  finanza  degli  enti
 pubblici oltre che di quella propria dello Stato.
    Il  tipo  di  responsabilita'  non e' stata nemmeno riduttivamente
 concretata nei soli comportamenti in contrasto con  i  criteri  della
 buona  amministrazione  a  seguito di valutazioni di tipo gestionale,
 sia pure collegata a dati ordinamentali di fondo, ma e' stata  legata
 a   parametri  certi  e  univoci,  quale  la  esistenza  di  leggi  e
 provvedimenti emanati in base ad esse, la  cui  violazione  determina
 l'ingiustizia del danno.
    Ma  il formale rispetto della norma non deve coprire gli eventuali
 comportamenti  di  negligenza  e  di  mala  fede  nell'esercizio   di
 attivita'  amministrativa o di impresa, i quali sono sempre vietati e
 contrastano  con  i  principi  costituzionali  del   buon   andamento
 dell'amministrazione  e della funzione sociale della proprieta' e dei
 limiti dell'iniziativa privata che in ogni caso  non  debbono  essere
 violati.
    Del  resto,  nella  concreta  vita giudiziaria lo stesso art. 2043
 cod. civ. del quale la stessa Corte ha  gia'  sottolineato  il  ruolo
 importante  sotto il profilo sistematico, spesso sorregge condanne di
 pubblici amministratori responsabili di danneggiamenti  non  solo  in
 situazioni dalle quali emergevano profili penalistici.
    La  legittimazione  ad agire, che e' attribuita allo Stato ed agli
 enti minori non trova fondamento nel fatto che essi hanno  affrontato
 spese  per  riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una
 perdita economica ma nella loro funzione a tutela della collettivita'
 e  delle  comunita' nel proprio ambito territoriale e degli interessi
 all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio  che
 ad essi fanno capo.
    Per  il  privato  cittadino  il  danno  ambientale potrebbe essere
 ingiusto nei limiti in cui si assume la rilevanza. Rimane,  comunque,
 ferma  la  tutela  del  cittadino  che  ha subito nocumento dal danno
 ambientale.
    La  rilevanza  del  rapporto tra il soggetto e il bene risulta dai
 luoghi   e    secondo    la    logica    dell'ordinamento    e    non
 dall'autoattribuzione del soggetto.
    Per quanto si e' detto, non sussiste nemmeno la dedotta violazione
 dell'art. 25 Cost. non essendo la Corte dei Conti, in ogni  caso,  il
 giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela
 da danni pubblici.
    Peraltro,  secondo  la  costante interpretazione di detto precetto
 costituzionale, il giudice naturale e' quello precostituito per legge
 la  cui  competenza e' previamente determinata rispetto a fattispecie
 astratte da verificarsi e non rispetto  a  quelle  gia'  verificatesi
 (Corte Cost. n. 164/1983).
    La   nozione   di  giudice  naturale  non  si  cristallizza  nella
 determinazione legislativa di una competenza  generale  ma  si  forma
 anche  a  seguito  di  tutte  quelle  disposizioni  di legge le quali
 possono anche derogare da tale  competenza  in  base  a  criteri  che
 ragionevolmente valutano i disparati interessi in gioco.
    Per  quanto  riguarda la lamentata violazione dell'art. 5 Cost., e
 cioe' delle autonomie locali, che si verificherebbe per effetto della
 norma  censurata in quanto, a dire del giudice remittente, questa non
 avrebbe attribuito il potere di azione  in  subiecta  materia  ad  un
 organo  imparziale  quale  puo'  essere  solo il Procuratore Generale
 della Corte dei  Conti,  si  osserva  che  la  censura  e'  priva  di
 consistenza.  Invero,  essa  e'  riferita  unicamente  alla lamentata
 mancata  attribuzione  della  giurisdizione  alla  Corte  dei  Conti,
 risultando  impugnato  solo  il  secondo  comma dell'art. 18 che tale
 giurisdizione prevede  e  non  anche  il  terzo  comma  che,  invece,
 attribuisce la legittimazione ad agire allo Stato e agli enti sul cui
 territorio incidono i  beni  oggetto  del  fatto  lesivo,  mentre  il
 successivo comma quarto facultizza le associazioni di cui all'art. 13
 della stessa legge e i cittadini a denunciare i fatti lesivi dei beni
 ambientali   di   cui  sono  a  conoscenza  al  fine  di  sollecitare
 l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati.
    Non  sono  mancate  critiche alla norma cosi' come e' formulata in
 ordine alla effettivita' del suo  funzionamento  e  all'assicurazione
 della  voluta  tutela  del  bene ambientale, ma spetta al legislatore
 provvedere a colmare le eventuali lacune e le deficienze al  fine  di
 assicurare  la  effettiva  applicazione  della  norma  stessa ai casi
 concreti, mentre lo stesso ordinamento appresta  gia'  alcuni  rimedi
 (per  es.  la  denuncia  per  omissione  di  atti  di  ufficio  degli
 amministratori inerti; la legittimazione degli  organi  di  vigilanza
 dell'ente;  la nomina di commissari ad acta o curatori speciali (art.
 78 cod. proc. civ.).
    Va  anche  considerato  che  la  possibilita'  del mutamento delle
 persone  elette  o   nominate   alle   cariche   che   importano   la
 rappresentanza  dell'ente  e  della sostituzione degli amministratori
 responsabili di eventuali danni con altri che abbiano  maggiore  cura
 degli  interessi  pubblici  e  siano in grado di agire contro i detti
 responsabili.
    Soccorre,  cioe',  il  principio della temporaneita' delle cariche
 pubbliche e la possibilita' concreta di un avvicendamento  che  rende
 possibile  ai  subentranti  di  perseguire gli uscenti che sono stati
 inerti, anche per la prevista sospensione  della  prescrizione  (art.
 2941 cod. civ.).
    Tuttavia  va  anche  detto  che  la  scelta  del giudice ordinario
 assicura una regolarita' di giudizio sia per la  sussistenza  di  tre
 gradi di giurisdizione sia per la struttura del sistema istruttorio e
 probatorio, sia,  infine,  per  la  maggiore  idoneita'  del  giudice
 ordinario  alla  cura  di  interessi  concernenti  rapporti di natura
 paritaria, attribuiti alla sua competenza.
    Pertanto, la sollevata questione di legittimita' costituzionale va
 dichiarata non fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 18, secondo  comma,  della  legge  8  luglio  1986  n.  349
 sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  5,  25, primo comma, e 103,
 secondo comma, Cost., dalla Corte  dei  Conti  con  le  ordinanze  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1987.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GRECO
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1987.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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