N. 278 SENTENZA 25 febbraio - 10 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale
 
 Caccia - Specie di uccelli cacciabili - Variazioni all'elenco
 relativo disposte con atto del Presidente del Consiglio dei Ministri
 - Possibilita' di innovazioni ai criteri di classificazione della
 legge - Non fondatezza
 
 (Legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 11, ultimo comma)
 
 (Cost. art. 95, 97 e 117)
(GU n.11 del 16-3-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 11, ultimo
 comma, della legge 27 dicembre 1977, n.  968  (Princi'pi  generali  e
 disposizioni  per  la  protezione  e  la  tutela  della  fauna  e  la
 disciplina della caccia), promosso con ordinanza emessa l'8  novembre
 1982   dal  T.A.R.  del  Lazio  su  ricorsi  riuniti  proposti  dalla
 Federazione Italiana della Caccia ed altra contro il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri  ed  altro,  iscritta al n. 388 del registro
 ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 273- bis dell'anno 1985;
    Visti  gli  atti di costituzione della Lega per l'abolizione della
 Caccia, della Federazione Italiana  Caccia  e  dell'Unione  Nazionale
 Enalcaccia  Pesca  e Tiro nonche' l'atto di intervento del Presidente
 del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Ettore Gallo;
    Udito  l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1  -  Con  ordinanza  8  novembre 1982 (pervenuta, pero', a questa
 Corte il 5 giugno 1985) il T.A.R. del Lazio
 sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.11, u.c.,
 della l. 27 dicembre 1977 n. 968, con riferimento agli  articoli  95,
 97 e 117 Cost.
    Riferiva   nell'ordinanza   il  Tribunale  amministrativo  che  la
 Federazione Italiana della Caccia, e  con  successivo  ricorso  anche
 l'Unione  nazionale  Enalcaccia  Pesca  e  Tiro, avevano impugnato il
 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 giugno  1982  con
 il  quale erano state apportate variazioni all'elenco delle specie di
 uccelli cacciabili, contemplato nel secondo comma del citato art. 11.
    Osservava  il  Giudice  rimettente che il Presidente del Consiglio
 deriva tale suo potere dall'ultimo  impugnato  comma  del  richiamato
 art.   11,  dove  appunto  e'  detto  che  "possono  essere  disposte
 variazioni dell'elenco  delle  specie  cacciabili,  con  decreto  del
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri, sentito l'Istituto nazionale
 di biologia della selvaggina e il comitato di cui all'art. 4"; vale a
 dire il comitato tecnico venatorio nazionale.
    Facendo  propri taluni rilievi dei ricorrenti, il T.A.R. esprimeva
 dubbi di legittimita' costituzionale  su  tale  ultimo  comma  per  i
 seguenti motivi.
    Innanzitutto  perche'  l'art.  95 Cost., attribuendo al Presidente
 del Consiglio eminenti funzioni costituzionali, non fa alcun cenno  a
 specifiche  funzioni amministrative: ne', d'altra parte, e' stata mai
 data attuazione, per quanto  si  riferisce  all'organizzazione  della
 Presidenza  del  Consiglio,  al  precetto contenuto nella prima parte
 dell'art. 97 Cost.
    Sicche',  in  mancanza di una legge che la disciplini, sembrerebbe
 arbitraria l'attribuzione delle funzioni in contesto.
    Peraltro,  lo  stesso  procedimento  seguito  per l'adozione delle
 varianti appare al giudice rimettente confermare l'adombrato  profilo
 d'illegittimita'.  Il  decreto,  infatti,  e'  stato  emanato  "sulla
 proposta del Ministro dell'agricoltura e  foreste"  (che  lo  ha  poi
 controfirmato) contrariamente alle previsioni della legge.
    In  buona  sostanza, la generica ed ampia formulazione, con cui il
 comma impugnato attribuisce al Presidente del Consiglio il potere  in
 contestazione,  sarebbe  tale - secondo l'ordinanza - da consentirgli
 anche di innovare i criteri di classificazione e le scelte  di  fondo
 operate  dal  legislatore,  derogando,  percio', ai principi generali
 delineati dalla legge.
    Cio', pero', si porrebbe anche in contrasto con le norme contenute
 nell'art. 117 della Costituzione che ripartisce fra Stato  e  Regioni
 le attribuzioni nelle materie ivi elencate, tra cui la caccia.
    In  virtu'  di  tale  disposto,  mentre  spetta  alla  Regione  la
 normazione di dettaglio nell'ambito dei principi fondamentali dettati
 dalle  leggi dello Stato, e' evidente che la determinazione di questi
 ultimi e' coperta chiaramente da riserva di legge, con esclusione  di
 qualsiasi  atto  di  normazione secondaria. E', percio', da escludere
 che il Presidente del Consiglio possa innovare ai  principi  generali
 dettati  dalla  legge  sulla  caccia, mediante l'emanazione di un suo
 decreto.
    2  -  L'ordinanza  e'  stata  ritualmente notificata, comunicata e
 pubblicata. Innanzi a questa Corte si sono costituite la  Federazione
 e l'Unione ricorrenti, ma la loro costituzione risulta fuori termine.
    Si  e',  invece,  regolarmente costituita la Lega per l'abolizione
 della caccia, che era gia' intervenuta nel giudizio
 "a quo". E' pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri
 rappresentato e difeso dell'Avvocatura Generale dello Stato.
    3  -  Contesta  innanzitutto  la Lega che il comma impugnato violi
 l'art. 95 Cost. perche' questo garantisce le funzioni essenziali  del
 Presidente,  ma non esclude che la legge ordinaria possa attribuirgli
 altri compiti che non contraddicano l'eminente figura e la  posizione
 generale  che  gli  compete  nel  sistema.  Il  che,  infatti,  si e'
 regolarmente verificato per numerose disparate funzioni fin da  tempi
 lontani.
    Ne'  potrebbe  trarsi  argomento alcuno dall'invocato parametro di
 cui  all'art.  97  Cost.,  perche'  la  disciplina   necessaria   per
 l'esercizio del potere di cui all'ultimo comma dell'art. 11 impugnato
 e' dettato negli aspetti essenziali di formazione  dell'atto:  ed  il
 procedimento seguito e' proprio quello indicato dalla legge.
    Infatti  il  Comitato  tecnico  nazionale  e' costituito presso il
 Ministero dell'agricoltura e foreste, per cui non  puo'  stupire  che
 pareri, impulsi e proposte trovino la mediazione del Ministero di cui
 il Comitato e' organo: tanto piu' che allo stesso Comitato spetta  di
 formulare   al  Governo  proposta  in  merito  all'adeguamento  della
 legislazione nazionale alle norme  comunitarie  ed  alle  convenzioni
 internazionali   concernenti   l'esercizio   della  caccia  (art.  4,
 penultimo comma, legge n. 968 del 1977).
    Nemmeno avrebbe pregio - ad avviso della Lega - la censura secondo
 cui l'atto del  Presidente  potrebbe  perfino  innovare  ai  principi
 dettati  dalla  legge,  attesa  la  sua  amplissima discrezionalita',
 perche' e' la legge stessa che all'art. 8 precisa i criteri cui  deve
 restare subordinato ogni eventuale divieto. Cosi' che l'esercizio del
 potere   del   Presidente,   lungi   dal    possedere    la    temuta
 discrezionalita',  e'  strettamente  vincolato  a  quei principi e si
 sostanzia  in  un  mero  accertamento  di  presupposti  che  comporta
 valutazioni tecniche e fattuali.
    4   -   Sostanzialmente   condividendo   tali  assunti  rileva  in
 particolare l'Avvocatura Generale  che  l'attribuzione  conferita  al
 Presidente  del  Consiglio appare di rango cosi' elevato da non porsi
 in contrasto con la fisionomia costituzionale dell'organo. Sul  piano
 della  legittimita'  costituzionale, non puo' censurarsi la scelta di
 collocare a tale  livello  un  potere  decisionale  che  e'  posto  a
 salvaguardia   di  un  interesse  generale  dello  Stato  cosi'  come
 descritto dall'art. 1 della legge n. 968 del 1977,  che  dichiara  la
 fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato.
    Quanto  poi  all'argomento  che  il T.A.R. ritiene di desumere dal
 fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato  su  proposta
 del  Ministro  per  l'Agricoltura  e  Foreste, con la controfirma del
 medesimo, fa rilevare l'Avvocatura che, se pure si  dovesse  ritenere
 che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al piu'
 trarsene conseguenze sul piano della legittimita' del  provvedimento,
 ma non su quello della legittimita' costituzionale della legge.
    Infine,  per  quanto  concerne  il riferimento all'art. 117 Cost.,
 osserva l'Avvocatura Generale che, a ben  vedere,  la  determinazione
 delle  specie  cacciabili  non  e'  inscrivibile  nella materia della
 caccia, avendo  piuttosto  la  funzione  di  delimitare  dall'esterno
 l'oggetto  dell'attivita'  venatoria  demandata al governo regionale.
 Invero, cosi' come non contrasta con l'art.  117  Cost.  Il  disposto
 dell'art.  1  della legge n. 968 del 1977, dove la fauna selvatica e'
 dichiarata patrimonio statale e non regionale, parimenti  non  invade
 la competenza regionale la riserva allo Stato del potere di stabilire
 quale parte di questo patrimonio e' ammesso ad un uso pubblico  quale
 l'esercizio venatorio.
                         Considerato in diritto
    1  -  L'ultimo comma dell'art. 11 della legge impugnata non sembra
 meritare le  censure  d'illegittimita'  costituzionale  che  ad  esso
 vengono mosse.
    2  - Seguendo l'ordine stesso delle doglianze, va detto subito che
 gli  argomenti  desunti  dagli  art.li  95  e  97  Cost.  non   hanno
 consistenza.
    E'  evidente,  infatti,  che  l'attribuzione  ex  art. 95 Cost. al
 Presidente del Consiglio di funzioni costituzionali non  esclude  che
 la  legge  possa  assegnargli anche compiti di natura amministrativa,
 specie  se  si  riferiscono  a  interessi  generali  non   facilmente
 classificabili nell'ambito delle competenze dei singoli ministeri: e,
 del resto, numerosissimi sono tali compiti amministrativi che tuttora
 sussistono,  per  gran  parte  previsti  da leggi lontanissime, anche
 precedenti  al  rafforzamento  e  all'accentramento  di  poteri   nel
 Presidente  introdotti  dalla  dittatura,  e molti anzi attribuiti ex
 novo da leggi della Repubblica.
    Ne'  rileva,  ai  fini  del presente giudizio, che non siano state
 ancora emanate le disposizioni di legge  per  l'organizzazione  della
 Presidenza  del  Consiglio  ex  art.  97  Cost. Cio' non ha, infatti,
 finora impedito il funzionamento dell'Organo dello Stato, regolato da
 prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie leggi
 interpetrate  in  adeguamento  alla  Costituzione.  Mentre   poi   la
 procedura  per l'attuazione della funzione amministrativa in esame e'
 specificamente prevista nel comma impugnato, ed  il  relativo  potere
 decisionale  e' ben collocato a livello cosi' elevato, trattandosi di
 salvaguardare un interesse generale dello Stato (art. 1 della legge).
    A tale proposito, anzi, va subito respinta l'idea che si tratti di
 procedura anomala per essere stato il decreto in  parola  emanato  su
 proposta   del   Ministro  dell'Agricoltura  e  foreste,  che  lo  ha
 controfirmato. Non va dimenticato, infatti, che il  Comitato  di  cui
 all'art.  4  che  deve  essere  sentito,  ai  sensi dell'art. 11, per
 l'emanazione del Decreto da parte del Presidente del Consiglio, e' il
 Comitato  tecnico-venatorio  nazionale,  costituito appunto presso il
 Ministero  dell'agricoltura  e  foreste.  E'  comprensibile  che   il
 Presidente  del  Consiglio  non  prenda  spontanee  iniziative in una
 materia  cosi'  squisitamente   tecnica,   se   non   quando   riceva
 segnalazioni circa la necessita' di variazioni all'elenco, proprio da
 parte dei due enti (Istituto nazionale di biologia della selvaggina e
 Comitato  venatorio  nazionale) che egli comunque e' tenuto a sentire
 quando intenda procedere a seguito di  segnalazioni  pervenutegli  da
 altre fonti.
    Non  puo'  stupire,  pertanto,  che,  quando il Comitato venatorio
 nazionale  ritenga  opportuno  di  assumersi  l'iniziativa   di   una
 segnalazione  in  materia, lo faccia attraverso l'intermediazione del
 Ministro, del cui Dicastero e' organo, secondo prassi  amministrativa
 consolidata. Del resto, e' la legge stessa che, proprio nel penultimo
 comma del richiamato art. 4, prevede poteri propositivi da parte  del
 Comitato  in  tema  di  adeguamento della legislazione nazionale alle
 norme  comunitarie  e  alle  Convenzioni  internazionali  concernenti
 l'esercizio della caccia, come bene e' stato ricordato dalla Lega per
 l'abolizione della caccia nella sua memoria: ed il contestato Decreto
 del  Presidente  4  maggio 1982 fa appunto riferimento alla Direttiva
 comunitaria n. 79/409/CEE del 2 aprile 1979.
    Parimenti   corretto,   comunque,   in  proposito  e'  il  rilievo
 dell'Avvocatura  Generale,  secondo  cui,  quand'anche   si   dovesse
 ritenere   che   l'atto  emanato  si  discosti  dal  modello  legale,
 potrebbero al piu' trarsene conseguenze sul piano della  legittimita'
 del  provvedimento.  In realta', le anomalie denunziate - ammesso che
 abbiano rilevanza pregiudizievole -  riguarderebbero  la  regolarita'
 del procedimento amministrativo, ma non entrerebbero in conflitto con
 alcuna norma costituzionale, considerato che, comunque, il potere  e'
 stato  esercitato  dal  Presidente  del  Consiglio  e  che i due enti
 tecnici hanno espresso il loro avviso.
    3   -   Piu'   penetrante  si  direbbe,  invece,  prima  facie  la
 preoccupazione relativa all'ampia e generica formulazione  del  comma
 impugnato  che  - secondo l'ordinanza di rimessione - sarebbe tale da
 consentire al Presidente del Consiglio di  innovare  alle  scelte  di
 fondo   operate   dal  legislatore  per  l'elencazione  delle  specie
 cacciabili, cosi' derogando  ai  principi  generali  delineati  dalla
 legge.
    Ma   si   tratta  soltanto  di  impressioni  dovute  all'apparente
 sommarieta' della tecnica di normazione. In realta', invece, gia' nel
 corpo  stesso  della disposizione vi e' un elemento significativo che
 ne orienta l'interpetrazione e la collega alla ratio della legge.  Si
 vuol alludere al parere obbligatorio, anche se non vincolante, di due
 organi tecnici che sta alla base del provvedimento del Presidente: il
 parere  dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina e quello
 del Comitato tecnico venatorio nazionale. Pareri che vanno  messi  in
 relazione  ad  uno  dei  principi fondamentali dettati dalla legge in
 esame, quello  di  cui  al  primo  comma  dell'art.  8,  secondo  cui
 "l'esercizio  della  caccia  e'  consentito purche' non contrasti con
 l'esigenza di conservazione della  selvaggina  e  non  arrechi  danno
 effettivo  alle  produzioni agricole". E' evidente a questo punto che
 l'obbligo del Presidente  del  Consiglio  di  sentire  i  due  citati
 Istituti  prima  di  emettere  qualunque  provvedimento di variazione
 delle  specie  cacciabili,  e'  voluto  dal  legislatore  proprio  in
 funzione  della  specifica  competenza  di  quegli Enti in materia di
 biologia  della  selvaggina  e  di  problemi  venatori,  da  cui   il
 Presidente attinge gli elementi per esprimere le valutazioni del caso
 nell'ambito del principio generale di cui al primo comma dell'art. 8.
    Cio' dimostra che si tratta di valutazioni tecniche e fattuali, di
 cui la legge ha perentoriamente segnato i criteri, e  che,  per  cio'
 stesso,  escludono  il  temuto  ampio  potere  discrezionale, ed ogni
 possibilita' di innovare o di derogare alle scelte di  fondo  operate
 dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili.
    4  -  Il  decreto  impugnato  innanzi al Giudice amministrativo e'
 esemplare di tali limiti.
    La  premessa  fa  innanzitutto riferimento alle indicazioni - come
 gia' si e' accennato - della direttiva comunitaria che suggerisce  la
 riduzione  della  pressione  venatoria nei confronti di alcune specie
 dell'avifauna  minore,  ma  anche  alla   documentazione   in   campo
 scientifico relativa alla diminuzione di talune specie su quasi tutta
 l'area europea da esse interessata: documentazione che  evidentemente
 proviene  dagli Enti competenti. Cosi' come dagli stessi Enti e' data
 attestazione circa la potenziale nocivita' per  l'agricoltura  e  per
 altre  specie  selvatiche, della cornacchia grigia, della ghiandaia e
 della gazza,  o  della  rarita'  in  Italia  della  Limosa  lapponica
 (Pittima minore).
    Ne'  e'  esatto che il legislatore abbia cancellato dalla legge la
 nozione di nocivita' per talune specie, che' anzi, da una  parte,  ha
 conferito proprio al Comitato venatorio nazionale compiti di studio e
 di ricerca, fra l'altro, per "la tutela delle  produzioni  agricole",
 (art.  4,  comma  terzo) e, dall'altra, ha attribuito alle Regioni il
 controllo  delle  specie  di  cui  all'art.  11  per  il   caso   che
 "moltiplicandosi  eccessivamente,  arrechino danni gravi alle colture
 agricole e al patrimonio faunistico..."  (art.  12,  secondo  comma).
 Proprio, dunque, quella nocivita' "in particolare per l'agricoltura e
 per  altre  specie  selvatiche"  che   il   Decreto   ha   preso   in
 considerazione  al  comma  quinto,  dietro  suggerimento  degli  enti
 specializzati.
    5  -  Appare  chiaro,  allora,  a  questo  punto,  che la funzione
 attribuita al Presidente del Consiglio  ha  quello  stesso  carattere
 amministrativo  di  aggiornamento,  in  relazione a dati tecnici e di
 fatto forniti dai competenti istituti, che possiedono  analoghi  atti
 dell'Esecutivo   diretti   all'aggiornamento   o  all'approvazione  o
 addirittura alla formazione di tabelle contenenti elenchi relativi ad
 altre  materie.  Cosi'  per  le  sostanze stupefacenti (cfr. sent. 13
 gennaio 1972 n. 9), per i giochi non d'azzardo (sent. 20 giugno  1972
 n.113) o per le malattie professionali (sent. 24 giugno 1981 n. 127).
    In  tali  casi,  questa  Corte ha avvertito che si tratta di "atti
 amministrativi" nei quali "non si configura alcuna  delega  da  parte
 del  legislatore":  ha  precisato,  anzi,  la  Corte  che "nel nostro
 ordinamento e' riscontrabile una certa proclivita' del legislatore  a
 collocare  in un testo legislativo, in aggiunta alla parte normativa,
 anche dati della realta', individuati  in  base  a  criteri  tecnici.
 Accade   sovente   in  tali  casi  che  il  legislatore  demandi  poi
 all'Esecutivo, o all'organo dell'Esecutivo competente per materia, di
 apportare  a  quei  dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una piu'
 matura  riflessione,  il  progresso  tecnico  rendono  consigliabili"
 (sent. n. 127 del 1981). In altri termini, si tratta di elementi o di
 situazioni   che   non   possono   essere   tutti   e   compiutamente
 predeterminati nella normazione primaria. In tal caso, il legislatore
 formula un elenco, di per se stesso ampiamente indicativo di un certo
 orientamento  nella  scelta  della  selvaggina  cacciabile,  e  detta
 principi rigorosi, in relazione  ai  quali,  ed  entro  l'ambito  dei
 quali,  conferisce  poi all'Esecutivo o ad un suo organo il potere di
 adeguarli ai mutamenti inevitabili che la realta' subisce nel  tempo.
    Da tutto cio' appare anche evidente che l'art. 117 Cost. non viene
 in  causa,  perche'  allo  Stato  resta  ferma  la   competenza   per
 l'emanazione di principi e disposizioni generali concernenti l'intero
 territorio  nazionale,  mentre  le  Regioni  (salvo   le   competenze
 esclusive  stabilite  dagli  Statuti  speciali  di  talune  Regioni e
 province autonome - art. 5, ultimo comma) provvedono ai piani annuali
 o  pluriennali  territoriali,  e  intervengono  con  atti normativi a
 vietare o  a  ridurre  la  caccia  per  periodi  prestabiliti  e  per
 determinate  specie  sulla  base  delle importanti e motivate ragioni
 indicate nell'art. 12.
    La  competenza  amministrativa  del  Presidente  del  Consiglio e'
 estranea a tutto questo, essendo prevista esclusivamente  nei  limiti
 di  aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, suggeriti
 dagli organi  tecnici  nello  stretto  ambito  dei  rigorosi  criteri
 fissati dalla legge.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 11,  ultimo  comma,  della  l.  27  dicembre  1977  n.  968
 (Principi  generali  per  la  protezione e la tutela della fauna e la
 disciplina della caccia) sollevata dal T.A.R. del Lazio con ordinanza
 8 novembre 1982 con riferimento agli articoli 95, 97 e 117 Cost.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 10 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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