N. 302 SENTENZA 9 - 10 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree  soggette a
 vincolo paesaggistico ambientale - Concessione e  autorizzazione in
 sanatoria - Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, primo, secondo e terzo  comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 9).
 
 Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree  soggette a
 vincolo paesaggistico ambientale - Concessione e  autorizzazione in
 sanatoria - Parere attribuito al Ministero  per i beni culturali e
 ambientali e trasformazione in silenzio assenso della mancata
 prestazione di detto parere  Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, primo e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
 
 Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree  soggette a
 vincolo paesaggistico ambientale - Parere prescritto  per la
 concessione o l'autorizzazione in sanatoria - Istanze di  parere -
 Termine per la loro presentazione - Decorrenza  Spostamento
 conseguente alla reiterazione di decreti-legge non convertiti -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 117, 118 e 77).
 
 Edilizia e urbanistica - Sanatorie delle opere abusive
 Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2,
 intero testo).
 
 (Cost., art. 77).
 
 Edilizia e urbanistica - Condono - Costruzioni prive di  concessione
 ma conformi agli strumenti urbanistici adottati dal Comune alla
 data del 2 ottobre 1986 - Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 11).
 
 (Cost., art. 3).
 
 Edilizia e urbanistica - Condono - Costruzioni prive di
 concessione ma conformi agli strumenti urbanistici adottati dal
 comune e non ancora approvati dalla regione alla data del 2  ottobre
 1986 - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 11).
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
 
 Edilizia e urbanistica - Opere eseguite in zone sismiche
 Attestazione della loro idoneita' statica - Norme per  gli
 accertamenti tecnici - Determinazione con decreto ministeriale -
 Non fondatezza.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 4, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
 
 Edilizia e urbanistica - Criteri e indirizzi per il  coordinamento
 delle politiche di risanamento delle zone  interessate
 dall'abusivismo - Attribuzione del relativo potere al Ministro dei
 lavori pubblici sentiti i Ministri per i beni culturali e
 dell'ambiente - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 13, primo comma).
 
 (Cost., artt. 117 e 118)
(GU n.11 del 16-3-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 4, terzo
 comma, 11, 12 e 13 del  d.-l.  12  gennaio  1988,  n.  2  intitolato:
 "Modifiche  alla  legge  28  febbraio  1985, n. 47, concernente nuove
 norme in materia di  controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia,
 sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere abusive", promosso con
 ricorso  del  Presidente  della  Giunta  regionale   della   Toscana,
 notificato  il  25  gennaio  1988,  depositato  in  cancelleria il 26
 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 1988.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore
 Antonio Baldassare;
    Uditi  l'avv.  Alberto  Predieri  per  la Regione Toscana e l'avv.
 dello Stato Giorgio Azzariti per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ricorso notificato il 25 gennaio 1988 e depositato il 26
 gennaio 1988, la Regione Toscana ha  impugnato  gli  artt.  4,  terzo
 comma, 11, 12, 13 del decreto-legge 12 gennaio 1988, n. 2, intitolato
 "Modifiche alla legge 28 febbraio  1985,  n.  47,  concernente  nuove
 norme  in  materia  di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia,
 sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive", pubblicato sulla
 Gazzetta  Ufficiale  del  13  gennaio  1988,  n.  9, affinche' ne sia
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale per violazione degli artt.
 3,  9,  77,  117  e  118 Cost., nonche' l'intero d.-l. per violazione
 dell'art. 77 Cost. e del principio di separazione  dei  poteri  dello
 Stato.
    Dopo  aver  premesso  che  si  tratta  della  nona reiterazione di
 decreti-legge aventi lo stesso titolo e contenuto analogo (dei  quali
 il  primo  e'  stato  il d.-l. 30 settembre 1986, n. 605 e gli ultimi
 cinque sono stati  ripresentati  nello  stesso  identico  testo),  la
 Regione  ricorrente  osserva,  in  via generale, che tale illegittimo
 uso, per esser ripetuto costantemente  e  ostentamente,  comporta  un
 sovvertimento dei princi'pi fondamentali della Costituzione, che, nel
 caso  di  specie,  raggiunge  anche  lo  scopo  pratico  di  favorire
 l'abusivismo  edilizio  e  di  violare  il  valore fondamentale della
 tutela del paesaggio (art. 9 Cost.).
    1.1.  -  Passando  ad  esporre  le  censure  piu'  particolari, la
 ricorrente prospetta l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 11
 del decreto impugnato, in quanto invaderebbe una sfera di competenza,
 relativa  all'approvazione  dei  piani  regolatori,  riservata   alla
 regione.   Secondo   l'unanime   insegnamento   della  giurisprudenza
 costituzionale, oltreche' di quella di merito  e  della  dottrina,  i
 piani  regolatori  generali (e le relative varianti), considerati nel
 loro iter procedimentale, vanno configurati  come  atti  complessi  a
 fattispecie   progressiva  e  diseguale,  nel  senso  che  alla  loro
 formazione concorrono diversamente sia l'atto con cui  il  comune  li
 adotta,  sia  l'atto con cui la regione li approva ed, eventualmente,
 li  modifica  (atto  che,  come  tale,  si  pone  in   posizione   di
 supremazia).  Ad avviso della ricorrente, poiche' tale configurazione
 dei piani regolatori deve considerarsi, anche in base alla  legge  28
 febbraio  1985  n. 47, principio fondamentale, il fatto che l'art. 11
 se  ne  discosti  irragionevolmente  comporta  una  violazione  della
 Costituzione. E cio' avverrebbe per effetto della norma ivi contenuta
 che, ai fini della  determinazione  dell'oblazione,  include  fra  le
 costruzioni   prive   di   concessione  ma  conformi  agli  strumenti
 urbanistici (di cui alla tabella allegata alla legge n. 47 del  1985,
 che  prevede  il  pagamento  di una somma inferiore rispetto a quella
 dovuta per opere difformi da quegli strumenti) le opere che risultano
 conformi  agli  strumenti  adottati  dal comune (pur se non approvati
 dalla regione) alla data del 2 ottobre 1986 (giorno di  pubblicazione
 sulla Gazzetta Ufficiale del primo dei decreti-legge della serie).
    In  tal modo quest'ultima norma, rendendo del tutto irrilevante la
 pur determinante partecipazione regionale alla formazione  dei  piani
 regolatori,   comporta,   ad   avviso  della  ricorrente,  quantunque
 limitatamente all'ipotesi considerata, una lesione  delle  competenze
 che  gli  artt. 117 e 118 Cost. attribuiscono alle regioni in materia
 urbanistica.    Nello    stesso     tempo,     essa     cancellerebbe
 irragionevolmente,  e  pertanto  in  violazione dell'art. 3 Cost., il
 principio correttamente seguito anche dalla legge  n.  47  del  1985,
 poiche',  se  la  regione  non  dovesse  approvare il piano o dovesse
 apportarvi modifiche sostanziali al fine di  tutelare  gli  interessi
 generali  canonizzati  all'art.  10  della  legge  urbanistica  (come
 modificato dalla legge n. 765 del 1967), tutto cio' non avrebbe alcun
 effetto   per   le  ipotesi  considerate  nell'art.  11  del  decreto
 impugnato. La qual cosa evidenzia, altresi', sempre ad  avviso  della
 ricorrente,  la  violazione,  da  parte  dello  stesso  articolo, del
 principio della parita' del trattamento.
    1.2.  -  Ulteriori  censure  sono  poi  prospettate  dalla Regione
 Toscana nei confronti dell'art. 12 del decreto-legge n. 2  del  1988,
 il quale viene sospettato d'illegittimita' costituzionale in ciascuno
 dei suoi tre commi.
    Innanzitutto,  la  ricorrente  ritiene che l'art. 12, primo comma,
 nel prevedere che il parere  (favorevole)  prescritto  dall'art.  32,
 primo  comma,  della  legge  n.  47  del  1985 per le aree soggette a
 vincolo  paesaggistico  ambientale  (spettante  alle  amministrazioni
 preposte  alla  tutela  di quel vincolo), sia reso dal Ministro per i
 beni culturali e ambientali, sottrae  un'attribuzione  alle  regioni,
 alterando l'ordine delle competenze costituzionali, come interpretato
 dalla sentenza di questa  Corte  n.  151  del  1986  (punto  5  della
 motivazione).  Piu'  in  particolare,  la  ricorrente  osserva che da
 quest'ultima pronunzia si ricava che e'  in  armonia  con  il  quadro
 delle  competenze  costituzionali  una  ripartizione di poteri fra lo
 Stato e le regioni, la quale, al fine di tutelare il valore  primario
 del  paesaggio (art. 9 Cost.), si ispirasse al principio cooperativo,
 nel senso di stabilire una concorrenza di poteri per cui l'intervento
 statale  e'  dato  soltanto  in  funzione  sostitutiva ed eventuale e
 soltanto quando cio' sia necessario per il  raggiungimento  dei  fini
 essenziali  della tutela. Secondo la ricorrente, anzi, dalla suddetta
 sentenza  si  puo'  dedurre  che  solo  questa,  e  non   altra,   e'
 l'organizzazione  dei  poteri  che  si  puo'  considerare adeguata al
 ricordato principio cooperativo.
    Ad  avviso  della Regione Toscana, l'art. 12 del decreto impugnato
 tenta di ripristinare lo stesso contenuto normativo  della  circolare
 ministeriale  n.  3786 del 1985, annullata dal giudice amministrativo
 (Cons. St., sez. VI, n. 241 del 1987)  per  violazione  della  stessa
 legge  sulla quale era intervenuta la sentenza di questa Corte n. 151
 del 1986. Esso pertanto, conclude la Regione,  abolendo  ogni  potere
 regionale  in  materia,  cancella  in  realta'  l'una e l'altra delle
 sentenze appena ricordate, perpetrando cosi' un evidente  eccesso  di
 potere legislativo.
    In  secondo  luogo,  l'art.  12  e'  censurato dalla ricorrente in
 quanto  dispone,  al  secondo  comma,  una  disciplina   illogica   e
 incoerente,  avendo  presente  il  valore costituzionale da tutelare,
 cioe' il paesaggio (art. 9 Cost.). Per  un  verso,  infatti,  avrebbe
 introdotto,  senza  giustificazione  alcuna, un sistema differenziato
 rispetto a  quello  della  legge  n.  431  del  1985,  che  la  Corte
 costituzionale  ha  gia'  giudicato  come corretto, mentre, per altro
 verso, ha rovesciato la logica presente nell'art. 32 della  legge  n.
 47  del 1985, nel senso che al metodo del silenzio-rifiuto sancito da
 quest'ultimo articolo ha sostituito quello del silenzio-accoglimento.
 In  altre  parole, secondo la ricorrente, mentre il sistema dell'art.
 32 legge n. 47 del  1985  dava  adeguata  protezione  agli  interessi
 paesaggistici,  in quanto il parere negativo, espressamente enunciato
 o tacitamente formulato in virtu' del silenzio  dell'Amministrazione,
 impediva  il  rilascio  della  concessione  in  sanatoria ex art. 35,
 undicesimo comma, legge n. 47 del  1985  ed  impediva,  altresi',  la
 formazione  del  silenzio-accoglimento  della  domanda  di sanatoria,
 tutt'al contrario avviene con  il  sistema  istituito  dall'impugnato
 art.  12,  laddove il silenzio, decorso il termine, diventa un parere
 favorevole, che consente il rilascio della  concessione  edilizia  in
 sanatoria.
    Infine,   anche   l'art.  12,  terzo  comma,  e'  censurato  dalla
 ricorrente  sotto  piu'  profili.  Tale  disposizione,  infatti,  nel
 prevedere  che il decorso del nuovo termine di centottanta giorni, il
 quale, iniziava, in base all'art. 32 legge n. 47 del 1985, dalla data
 della  domanda  per il rilascio della concessione in sanatoria, abbia
 ora inizio dalla data di entrata in vigore del decreto-legge,  viola,
 secondo  la  Regione, diverse norme costituzionali. Innanzitutto essa
 comporta un'evidente lesione delle competenze garantite alle  regioni
 dagli  artt.  117  e  118 Cost., in quanto, rimettendo in termini gli
 abusivisti che avevano gia' richiesto il parere e a cui il parere era
 stato    rifiutato   dalla   regione   (esplicitamente   o   con   il
 silenzio-rifiuto),   finisce   per    rilasciare    ope    legis    e
 retroattivamente  quel consenso che era stato negato. Inoltre, sempre
 a  giudizio  della  ricorrente,  la  reiterazione  dei  decreti-legge
 comporta  una violazione dell'art. 77 Cost. che si traduce in lesione
 delle competenze regionali ex artt. 117 e 118  Cost.,  in  quanto  lo
 spostamento  continuo della decorrenza del termine, per effetto delle
 ripetute ed illegittime reiterazioni del  decreto-legge,  produce  la
 vanificazione  dei  provvedimenti di rigetto silenziosi (oltreche' di
 quelli espressi) della regione formatisi mesi prima.
    Da  ultimo,  la  ricorrente  osserva  che  l'intero  sistema cosi'
 delineato  appare  illogico   e   incoerente   rispetto   al   valore
 costituzionale  della tutela del paesaggio (art. 9 Cost.), ricordando
 che e' in potere della regione, la quale e' titolare di competenze in
 materia,  denunziare  una  violazione  del  genere,  che comporta una
 lesione della  potesta'  regionale  di  attuare  il  valore  primario
 tutelato dall'art. 9 della Costituzione.
    1.3.  -  La  Regione Toscana impugna anche l'art. 13, primo comma,
 del decreto-legge n. 2 del 1988,  che  attribuisce  al  Ministro  dei
 lavori  pubblici, in base alle risultanze delle indagini sul fenomeno
 dell'abusivismo  e  sentiti  i  Ministri  per  i  beni  culturali   e
 dell'ambiente,  il  potere  di  stabilire "criteri e indirizzi per il
 coordinamento delle politiche di risanamento delle  zone  interessate
 dall'abusivismo".   Quest'articolo   e'   ritenuto   un'incoerente  e
 irragionevole  addizione   rispetto   alle   competenze   legislative
 garantite   dall'art.   117   Cost.   alle   regioni,   che  peraltro
 risulterebbero lese da un potere d'intervento caso per  caso  in  una
 materia  che  e' affidata alla legislazione regionale nell'ambito dei
 princi'pi fondamentali posti dalle leggi statali.
    Ne',  sempre  secondo  la ricorrente, e' possibile giustificare il
 potere di cui alla disposizione impugnata come  manifestazione  della
 funzione   di   indirizzo  e  di  coordinamento,  poiche'  di  questa
 difetterebbero tanto i requisiti formali stabiliti dall'art. 3  della
 legge  n.  382  del  1975 (deliberazione del Consiglio dei ministri),
 quanto  i  requisiti  sostanziali  precisati   dalla   giurisprudenza
 costituzionale  (interessi  non  localizzabili  e  insuscettibili  di
 frazionamento).
    1.4.  -  Oggetto  d'impugnazione da parte della Regione Toscana e'
 anche l'art. 4, terzo comma, del decreto-legge  n.  2  del  1988,  il
 quale,  nel  prevedere che con decreto ministeriale siano determinati
 gli accertamenti da eseguire al fine della  certificazione  richiesta
 dall'art.  35,  terzo  comma,  lett.  b,  della  legge n. 47 del 1985
 (certificazione tecnica riguardante l'idoneita' statica  delle  opere
 eseguite  in  zone  sismiche), introdurrebbe nel sistema ivi previsto
 disposizioni non attinenti all'emanazione delle norme tecniche per le
 costruzioni  nelle zone sismiche, ma relative al distinto profilo del
 controllo e della  vigilanza.  E  poiche',  conclude  la  ricorrente,
 quest'ultimo  rientra  nelle  competenze  regionali  (art.  20, primo
 comma, legge n. 741 del 1981), tanto che gli uffici del Genio  Civile
 competenti in materia sono stati trasferiti alle regioni dallo stesso
 d.P.R. n.  616  del  1977  (allegato  A),  risulterebbe  violata  una
 competenza  regionale  (peraltro  gia'  esercitata  da molte regioni,
 compresa  la  Toscana),  considerato  che  i  poteri  di   cui   alla
 disposizione   impugnata   non  potrebbero  essere  ricompresi  nella
 funzione statale di indirizzo e coordinamento per le  stesse  ragioni
 ricordate  a  proposito  della  censura rivolta all'art. 13 (v. punto
 1.3.).
    1.5.  -  Da  ultimo,  la Regione ricorrente, al fine di evitare il
 protrarsi degli effetti dannosi dei  decreti-legge  decaduti,  chiede
 che  la  Corte  sospenda  l'efficacia  dell'atto impugnato, dovendosi
 ritenere  ammissibile,  secondo  un'autorevole  dottrina,  la  tutela
 cautelare  anche  nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza
 di legge.
    Secondo  la  ricorrente,  infatti,  il  decreto impugnato, oltre a
 violare in alcune  sue  disposizioni  competenze  regionali,  sarebbe
 costituzionalmente  illegittimo di per se' e nella sua interezza, sia
 perche' mancherebbero nel caso i  presupposti  dell'urgenza  e  della
 necessita'  (che  soli  legittimano il ricorso al decreto-legge), sia
 perche' la continua reiterazione dei  decreti  stessi  violerebbe  l'
 art.  77  Cost.,  ultimo  comma,  che riserva soltanto alle Camere il
 potere  di  regolare  i  rapporti  sorti  in  base  al  decreto   non
 convertito.  Sta di fatto, a giudizio della ricorrente, che quest'uso
 illegittimo del decreto-legge, oltre a produrre incertezze continuate
 e  abusi  legati  a una studiata successione di decadenze, ritiri del
 provvedimento e sua riedizione, finisce per far applicare da mesi  un
 qualcosa che norma non e' e che anzi, secondo un'autorevole dottrina,
 e' soltanto fonte d'illecito, anche in grave danno  delle  competenze
 regionali  (come  nel caso, prima ricordato, dell'art. 12, u.c., che,
 spostando  in  continuazione  il  termine  per  la   formazione   del
 silenzio-assenso,  concorre  a sanare l'illegittimita' della condotta
 degli abusivisti e a sottrarre di fatto le relative  competenze  alle
 regioni).
    Pertanto   la   ricorrente,   non   ignorando   la  giurisprudenza
 costituzionale secondo la quale  le  regioni  non  possono  sollevare
 questioni  di  costituzionalita'  su atti legislativi dello Stato per
 violazione dell'art. 77 Cost. e pur prospettando il  dubbio  che  con
 decreto-legge  non  possano  stabilirsi  princi'pi fondamentali della
 materia, chiede  la  sospensione  cautelare  del  decreto  impugnato.
 D'altronde,   conclude   la  ricorrente,  il  potere  di  sospensione
 dell'esecuzione   dell'atto   impugnato   e',   secondo   la   stessa
 giurisprudenza  costituzionale  (sent.  n.  284  del  1974), elemento
 connaturale a un sistema di tutela giurisdizionale che si realizza in
 definitiva  con  pronunce  di annullamento, considerato che la durata
 del processo non deve andare  a  danno  dell'attore  che  ha  ragione
 (sent. n. 190 del 1985).
    2.  -  Si  e'  costituito  nel presente giudizio il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 Generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto dalla regione
 Toscana sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.
    Quanto alla censura relativa all'art. 11, l'Avvocatura osserva che
 la lamentata violazione delle competenze regionali non  sussiste,  in
 quanto  la  stessa  disposizione attribuisce rilevanza agli strumenti
 urbanistici adottati, ma non ancora approvati,  solo  al  fine  della
 determinazione  del quantum dovuto per ottenere il condono, e cioe' a
 fini che nulla hanno a che vedere  con  l'efficacia  degli  strumenti
 urbanistici  quali  mezzi  di regolazione dell'uso del territorio. La
 disposizione impugnata, in sostanza, si limiterebbe  ad  assumere  la
 conformita'   agli   strumenti   urbanistici,  anche  se  non  ancora
 approvati, come indice di minor gravita' dell'abuso da sanare.
    Per  quanto  concerne  le  censure mosse all'art. 12, l'Avvocatura
 rileva  che  la  sentenza  del  Consiglio  di  Stato,  assunta  dalla
 ricorrente a fondamento della eccepita illegittimita' costituzionale,
 ha precisato che il parere ex art. 32, legge n. 47 del  1985,  spetta
 alle  regioni  in  quanto  titolari  di  funzioni delegate in materia
 paesistica e che, in ogni caso,  deve  trovare  spazio  il  controllo
 sovraordinato  dello  Stato, in forma corrispondente all'annullamento
 d'ufficio della (illegittima)  autorizzazione  regionale  ex  art.  7
 della  legge  n.  1497  del  1939.  La disposizione impugnata avrebbe
 quindi  innovato  la   situazione   risultante   dall'interpretazione
 giurisprudenziale,  con l'intento di non appesantire la procedura per
 il condono con un doppio parere e  di  non  sacrificare  la  garanzia
 dell'intervento  dello  Stato  a  tutela del paesaggio. D'altronde, a
 giudizio dell'Avvocatura,  in  materia  ambientale  le  regioni  sono
 titolari  solo  di poteri limitati e la competenza disciplinata dalla
 disposizione impugnata risponde pienamente ai princi'pi fissati dalla
 Corte con le sentenze citate nel ricorso.
    In  ordine alle censure mosse all'art. 13, l'Avvocatura rileva che
 la disposizione impugnata, prevedendo  anche  la  partecipazione  del
 Ministro  dei  beni  culturali  e  di quello dell'ambiente, ha inteso
 garantire  che  l'azione  di  risanamento  delle   zone   interessate
 dall'abusivismo  si  attenga  al  rispetto di valori fondamentali dei
 quali e' tutore, in via esclusiva o concorrente, lo Stato.
    Quanto  all'ultima  disposizione oggetto di specifica impugnazione
 (art. 4, terzo comma), l'Avvocatura rileva che la funzione statale di
 emanazione  delle  norme  tecniche  per  le  costruzioni  nelle  zone
 sismiche, ben puo' esprimersi, ai fini particolari della legge n.  47
 del  1985, in una normazione sugli accertamenti da eseguire in ordine
 alle opere abusive da ammettere alla sanatoria.
    Da  ultimo,  l'Avvocatura precisa di non affrontare gli altri temi
 prospettati dalla regione ricorrente, in quanto  gli  stessi  esulano
 dall'oggetto  del  giudizio  proponibile dalle regioni a tutela delle
 proprie competenze, mentre esula dal regime degli atti aventi forza e
 valore di legge qualsiasi potere di sospensione cautelare.
    3.  -  In  prossimita' dell'udienza pubblica la Regione Toscana ha
 presentato una memoria con la quale ribadisce le proprie istanze.
   Piu'  in  particolare,  la  ricorrente,  contestando l'affermazione
 dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale l'art. 11  del  decreto
 impugnato  produrrebbe effetti circoscritti al condono edilizio e non
 incidenti  sull'efficacia  del  piano  urbanistico  come   mezzo   di
 regolazione  del  territorio, asserisce che la stessa controparte non
 nega che, seppure in relazione al  solo  condono,  si  verifichi  una
 violazione   delle   competenze   regionali,  dovuta  all'illegittima
 equiparazione, ai fini del condono, del piano adottato dal  comune  a
 quello  risultante  al  termine  dell'iter procedimentale, costituito
 dall'approvazione (con potere di modifica) delle regioni. A  giudizio
 della  ricorrente,  pertanto,  l'alterazione  del  regime  del  piano
 regolatore  generale  si  produce  con  la  sottrazione  del   potere
 sovraordinato  della  regione. Ed essa e' tanto piu' grave proprio in
 quanto si verte nella delicata materia del condono,  con  pregiudizio
 degli  interessi generali (paesaggistici, storici, monumentali, etc),
 la cui cura e' affidata, appunto, alle regioni. Sotto questo aspetto,
 ribadisce   la   ricorrente,   si   produce   anche  un'irragionevole
 parificazione nel trattamento di  posizioni  diseguali,  come  quella
 degli  abusivisti  che  hanno  costruito  senza  concessione,  ma  in
 conformita' con il piano regolatore, e quella  di  coloro  che  hanno
 eretto  opere senza la stessa concessione e senza rispettare il piano
 regolatore,  non  potendo  considerarsi  tale  quello   semplicemente
 adottato dal comune.
    Oltre  a  riprendere  le  argomentazioni gia' svolte nel ricorso a
 proposito dell'asserita illegittimita' dell'art. 4,  terzo  comma,  e
 dell'art.  13  del  decreto  impugnato,  la  ricorrente,  in  replica
 all'argomento dell'Avvocatura relativo all'art. 12, secondo il  quale
 la  primarieta'  del  valore  tutelato  giustifica  la  modificazione
 dell'assetto   originario   della   delega   e    il    potenziamento
 dell'intervento  statale,  osserva  che le norme impugnate non mirano
 affatto a tutelare  valori  primari,  ma  ad  introdurre  istituti  e
 termini  a favore degli abusivisti, facilitati dal metodo illegittimo
 della reiterazione di decreti-legge non  convertiti,  che  trascinano
 per   mesi  uno  stato  di  provvisorieta'.  A  rigore,  continua  la
 ricorrente, si dovrebbe dire  che  la  norma  impugnata  non  esiste,
 poiche'  la  reiterazione  di  decreti  decaduti altro non e' che una
 forma di conversione operata, illegittimamente, dal Governo, anziche'
 dall'organo  competente, cioe' il Parlamento. E, cio' facendo, l'atto
 impugnato, oltre a usurpare poteri che sono del legislatore, violando
 cosi'  il  principio di separazione dei poteri, dimostra con i fatti,
 essendo il nono dei decreti reiterati, l'assoluta mancanza di urgenza
 e di necessita' del provvedimento.
    Infine,  la ricorrente osserva che non le si puo' obiettare che le
 illegittimita' del decreto  che  essa  fa  valere  sono  da  ritenere
 inammissibili,   in  quanto  di  per  se'  non  sarebbero  lesive  di
 competenze  regionali.  A  suo  giudizio,  infatti,  l'invasione   di
 competenza   si   realizza   proprio   per   l'illegittimo   uso  del
 decreto-legge, cosi'  che,  facendo  valere  quest'ultimo  vizio,  si
 tutela nel contempo la sfera di competenza della regione.
    In  ogni  caso,  la  Regione  Toscana  chiede che la Corte sollevi
 dinanzi  a  se'  questione  di  legittimita'  costituzionale  in  via
 incidentale  delle  medesime disposizioni contenute nel decreto-legge
 impugnato per quei profili che  dovesse  ritenere  non  prospettabili
 dalle  regioni  nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale in via
 principale.
    4. - In prossimita' dell'udienza anche l'Avvocatura dello Stato ha
 prodotto  un'ampia  memoria,  nella  quale  si  tende  a   dimostrare
 l'inammissibilita' delle censure sui vizi formali del decreto-legge e
 della richiesta di sospensiva del medesimo  decreto,  avanzate  dalla
 ricorrente.
    4.1.   -  Piu'  precisamente,  osserva  l'Avvocatura,  la  pretesa
 violazione dell'art. 77 Cost., conseguente all'asserita mancanza  dei
 presupposti   dell'urgenza   e   della   necessita',   nonche'   alla
 reiterazione dei decreti-legge, concerne norme costituzionali  vo'lte
 a  delimitare  i  confini tra Parlamento e Governo nella decretazione
 d'urgenza, e non gia' a tutelare la sfera di autonomia regionale.  Si
 tratterebbe, pertanto, di censure che, per costante giurisprudenza di
 questa  Corte,  non  possono  essere  dedotte  in  un   giudizio   di
 costituzionalita'  in  via principale, nel quale possono farsi valere
 soltanto  lesioni  di  competenze  regionali.  Del  resto,   conclude
 l'Avvocatura,   il   principio   che   l'eventuale   invasione  delle
 attribuzioni delle regioni puo' derivare dalle  singole  disposizioni
 del  decreto-legge,  non  gia'  dalla  struttura  di  questo,  non e'
 convincentemente contestato  dalla  ricorrente,  la  quale  manca  di
 rilevare  un'autonoma  valenza, ai fini del giudizio di legittimita',
 della reiterazione del decreto impugnato.
    In   ogni   caso,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  le  censure  sono
 infondate, poiche' nella Costituzione non vi sarebbe  alcun  divieto,
 per  il Governo, di riprodurre lo stesso decreto-legge, una volta che
 questo sia decaduto e sempreche' sussistano ancora i presupposti e le
 condizioni   di   cui   all'art.   77   della  Costituzione.  Secondo
 l'Avvocatura, per un verso, infatti, ai decreti-legge si applicano  i
 limiti costituzionali previsti per la funzione legislativa ordinaria,
 i quali non vietano affatto che il  Parlamento  possa  adottare,  con
 legge,  disposizioni  analoghe  o  identiche  a  quelle  contenute in
 decreti-legge non convertiti; per altro  verso,  poiche'  il  divieto
 della  reiterazione  dei medesimi decreti puo' desumersi soltanto dai
 regolamenti parlamentari (artt. 72, Reg. Cam.;  76  Reg.  Sen.),  che
 precludono  la  presentazione  alle Camere di un disegno di legge che
 riproduca  il  contenuto  di   progetti   precedentemente   respinti,
 occorrerebbe  precisare  che quel divieto dovrebbe scattare, non gia'
 in caso d'inerzia del Parlamento, ma soltanto nell'ipotesi di un voto
 di  non conversione del decreto stesso. In quest'ultimo senso e', del
 resto, la prassi parlamentare.
    Quanto   al   dubbio  prospettato  dalla  ricorrente  per  cui  il
 decreto-legge non potrebbe porre princi'pi fondamentali della materia
 limitativi  della  potesta'  legislativa  concorrente  delle regioni,
 l'Avvocatura si limita a osservare che nessun limite di contenuto  e'
 previsto  dalla  Costituzione alla decretazione d'urgenza, che, anzi,
 e' ritenuta idonea, da parte di autorevole dottrina, a porre  persino
 norme in deroga alla Costituzione stessa.
    4.2.  -  Anche  la  richiesta  di  sospensiva dell'atto impugnato,
 oltreche' superata dalla tempestiva fissazione  dell'udienza,  e',  a
 giudizio  dell'Avvocatura,  inammissibile.  Innanzitutto,  poiche' le
 pronunce cautelari sono espressamente  previste  per  altri  tipi  di
 giudizio di competenza della Corte costituzionale e non lo sono per i
 giudizi di costituzionalita',  si  deve  supporre,  per  l'Avvocatura
 erariale,  che  il  silenzio  del legislatore abbia il significato di
 voler negare alla Corte il ben piu' grave potere di incidere,  previa
 delibazione  sommaria e con provvedimento provvisorio, sull'efficacia
 della legge.
    Ne',   sempre   secondo  l'Avvocatura,  puo'  invocarsi  in  senso
 favorevole alla sospensiva l'art. 36 del regolamento per la procedura
 avanti  al Consiglio di Stato, richiamato dall'art. 22 della legge n.
 87 del  1953,  poiche'  la  fonte  dell'analogo  potere  del  giudice
 amministrativo  risiede  nella  norma sostanziale contenuta nell'art.
 39, T.U. n. 1054 del 1924, che espressamente attribuisce allo  stesso
 giudice   il   potere   di  sospendere  cautelarmente  l'esecutivita'
 dell'atto amministrativo impugnato.
    In ogni caso, conclude l'Avvocatura, non puo' minimamente pensarsi
 di estendere analogicamente il trattamento  dell'atto  amministrativo
 ad  atti  profondamente  diversi, quali sono le leggi o quelli aventi
 forza  di  legge.  Sicche',  in  mancanza  di  una  morma   o,   piu'
 precisamente,  di  una  norma  costituzionale  che  espressamente  lo
 preveda, non puo' ritenersi riconosciuto un potere  quale  quello  di
 sospensione  cautelare delle leggi. Cio' puo' dedursi anche dal fatto
 che e' la stessa Costituzione, agli artt. 73 e 136,  a  prevedere  le
 ipotesi  di  inizio  o  di  cessazione dell'efficacia delle leggi e a
 stabilire, all'art. 137, una  riserva  di  legge  costituzionale  per
 quanto riguarda le condizioni, le forme e i termini di proponibilita'
 dei giudizi di  legittimita'  costituzionale  (lasciando  alla  legge
 ordinaria   solo   le  norme  integrative  sulla  costituzione  e  il
 funzionamento della Corte). Del resto, sempre  secondo  l'Avvocatura,
 la  disponibilita'  degli  effetti del decreto-legge non e' data alla
 Corte, ma solo al Parlamento, che, in base all'art.  77  Cost.,  puo'
 renderli  stabili,  mediante  la  conversione  in  legge, o porli nel
 nulla.
                         Considerato in diritto
    1. - L'immediata fissazione dell'udienza per il dibattimento delle
 questioni di  costituzionalita'  sollevate  dal  ricorso  di  cui  in
 epigrafe  induce a considerare assorbita la richiesta formulata dalla
 Regione  Toscana  affinche'  questa  Corte   sospenda   cautelarmente
 l'efficacia  del  decreto-legge  impugnato (d.-l. 12 gennaio 1988, n.
 2),   in   quanto   ritenuto   produttivo   di   effetti   gravemente
 pregiudizievoli   nei   confronti   dell'esercizio  delle  competenze
 costituzionalmente garantite alle regioni, in conseguenza di  un  uso
 del  decreto stesso che si assume come macroscopicamente illegittimo.
 Cio' preclude a  questa  Corte  di  esaminare  ogni  altra  questione
 relativa   a   tale   richiesta,   a   cominciare  dalla  sua  stessa
 ammissibilita'.
    2.  -  La  ricorrente  prospetta,  innanzitutto,  una questione di
 costituzionalita'   dell'intero   decreto-legge,   nel   senso    che
 quest'ultimo,  a  suo  giudizio,  sarebbe  illegittimo per violazione
 dell'art. 77 Cost. e, in connessione con  cio',  per  violazione  del
 principio  di  separazione  dei poteri, quale delineato nella vigente
 Costituzione. La censura e' motivata con il duplice rilievo che,  nel
 caso,   mancherebbero   del   tutto   i   presupposti  costituzionali
 dell'urgenza e della necessita' del provvedimento e che  la  continua
 violazione del divieto di reiterare la presentazione di decreti-legge
 non  convertiti,  deducibile  dall'art.  77  Cost.,  produrrebbe  una
 lesione  delle  competenze  che  quest'ultimo  articolo assicura alle
 Camere, laddove riserva ad esse il potere di "regolare  con  legge  i
 rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti".
    Cosi' come proposta e nei limiti di cui si dira' ora, la questione
 e' inammissibile.
    Con  giurisprudenza  costante  e  da tempo consolidata (v. ad es.,
 sentt. nn. 111 del 1972, 13 e 151 del 1974, 307  del  1983,  151  del
 1986,  nonche'  ordd. nn. 81 del 1984, 164 del 1988), questa Corte ha
 affermato che nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via
 principale  la regione, agendo a tutela di una propria competenza che
 si assume violata, puo' impugnare le leggi dello Stato (o  quelle  di
 altre  regioni)  soltanto  ove  deduca che queste siano lesive di una
 propria sfera di competenza  costituzionalmente  garantita.  Poiche',
 dunque,  il  suo interesse a ricorrere e' qualificato dalla finalita'
 di ripristinare l'integrita' di una propria competenza, che si assume
 illegittimamente  lesa,  la  regione non puo' validamente prospettare
 nel   proprio   ricorso   la   violazione   di   qualsivoglia   norma
 costituzionale,  ma  puo' soltanto invocare quelle disposizioni della
 Costituzione la cui violazione comporta per cio' stesso la lesione di
 una propria competenza costituzionalmente garantita.
    Sebbene  in  via  di principio non puo' escludersi che una lesione
 delle attribuzioni regionali possa  conseguire  dalla  violazione  di
 precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della
 Costituzione (v. ad es., sent. n. 32 del 1960, e  da  ultimo,  sentt.
 nn.  64  e  183  del 1987), sta di fatto che nel caso di specie e' la
 stessa  ricorrente  a  prospettare  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale  relativa all'intero decreto-legge sul presupposto che
 quest'ultimo, contravvenendo ai requisiti dell'urgenza e necessita' e
 al  divieto  di  reiterazione dei decreti non convertiti, apparirebbe
 lesivo delle competenze che la Costituzione  riserva  al  Parlamento.
 Sotto  tale  profilo,  non  si puo' dunque dubitare della mancanza di
 interesse della Regione ricorrente in relazione  alle  questioni  ora
 considerate, che vanno pertanto dichiarate inammissibili.
    Occorre  precisare,  comunque, che il giudizio di inammissibilita'
 relativo   alla   questione   del   preteso   contrasto   dell'intero
 decreto-legge  nei confronti dell'art. 77 Cost. non puo' pregiudicare
 l'esame  dell'ammissibilita'  della  distinta  questione  riguardante
 l'art.  12,  u.c., dello stesso decreto-legge, che e' impugnato dalla
 ricorrente per l'asserita violazione del combinato  disposto  formato
 dagli  artt.  117,  118  e  77  Cost.  (v.  infra al punto 6.1. della
 motivazione), poiche' in quest'ultimo caso  la  norma  invocata  come
 paramentro   costituzionale  e'  sostanzialmente  diversa  da  quella
 relativa alla questione appena considerata.
    Sulla    base    delle   argomentazioni   ricordate   a   sostegno
 dell'inammissibilita' della questione implicante i  profili  relativi
 all'art.  77  Cost., l'eccezione proposta dalla ricorrente, affinche'
 questa  Corte  sollevi  di  fronte  a  se'  stessa  la  questione  di
 costituzionalita'  dell'intero decreto-legge per violazione dell'art.
 77 della Costituzione, va dichiarata consequenzialmente inammissibile
 per difetto di rilevanza.
    3.  -  La Regione Toscana dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, terzo comma, del d.-l. n. 2 del 1988, il  quale  dispone
 che  con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il
 Ministro  per  il  coordinamento  della   protezione   civile,   sono
 determinati  gli  accertamenti  da  compiere  al fine della redazione
 della  certificazione  attestante  l'idoneita'  statica  delle  opere
 eseguite  nelle zone sismiche (di cui all'art. 35, terzo comma, lett.
 b, legge 28 febbraio 1985, n. 47). Secondo la ricorrente, tale norma,
 regolando  ipotesi  rientranti nel concetto di vigilanza, si porrebbe
 in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 12
 lett.  a  del  d.P.R.  15 gennaio 1972 n. 8 e dalla tabella contenuta
 nell'allegato "A" del  d.P.R.  24  luglio  1977  n.  616,  che  hanno
 trasferito  alle  regioni le funzioni di vigilanza sulle costruzioni,
 nonche' i relativi uffici.
    La questione non e' fondata.
    La  censura  proposta  nei confronti dell'art. 4, terzo comma, del
 d.-l. n. 2 del 1988 si  basa  sull'erronea  presupposizione  che  gli
 accertamenti  ivi  previsti attengano a una funzione di vigilanza. In
 realta', la disposizione impugnata si riferisce  alla  determinazione
 degli  accertamenti  tecnici  che i periti devono compiere al fine di
 attestare l'idoneita' statica delle costruzioni nelle  zone  sismiche
 attraverso  la certificazione da allegare alla domanda di concessione
 o di autorizzazione in sanatoria, di cui all'art. 35 della  legge  n.
 47  del  1985.  Si tratta, piu' precisamente, di una disposizione che
 prevede la fissazione delle  norme  e  delle  procedure  tecniche  da
 applicare  nei  predetti  accertamenti,  le  quali  si  connettono  a
 competenze sicuramente spettanti allo Stato (art.  81,  primo  comma,
 lett.  b,  d.P.R.  n.  616  del  1977)  e  che, comunque, esigono una
 determinazione uniforme e valida per tutte le zone sismiche  presenti
 nel  territorio  nazionale.  Poiche',  pertanto,  la  norma impugnata
 riguarda attivita' che esulano da funzioni di vigilanza  e  che  sono
 collegate a competenze sicuramente spettanti allo Stato, non sussiste
 la minima violazione delle disposizioni costituzionali invocate dalla
 ricorrente.
    4.  -  Un'ulteriore  censura e' proposta dalla Regione Toscana nei
 confronti dell'art. 11 del decreto-legge impugnato, il quale  dispone
 che,  agli effetti dell'inserimento nella tabella allegata alla legge
 n. 47 del 1985 (che prevede la misura dell'oblazione da  versare  per
 il condono in relazione a varie tipologie di costruzioni abusive), si
 considerano conformi agli  strumenti  urbanistici  vigenti  anche  le
 opere  conformi a strumenti adottati (ma non, o non ancora, approvati
 dalla regione) entro la data del 2 ottobre 1986 (che e' il giorno  in
 cui   e'   stato  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  il  secondo
 decreto-legge della catena dei decreti reiterati, che  per  la  prima
 volta ha posto una disposizione identica a quella impugnata).
    Questa disposizione e' censurata sotto un triplice profilo: a) per
 violazione del principio di ragionevolezza, per il fatto che essa  si
 distaccherebbe,   senza   adeguata   giustificazione,   dalla  comune
 concezione dei piani regolatori  generali  come  atti  a  fattispecie
 complessa,  alla cui formazione concorrono tanto il comune quanto, in
 posizione di supremazia, la regione; b) per  violazione  dell'art.  3
 Cost.,  per il fatto che la stessa norma tratta egualmente situazioni
 diseguali, come quella di  chi  ha  costruito  (senza  concessione  o
 autorizzazione)  in  conformita' con i piani regolarmente approvati e
 chi ha costruito (senza concessione o autorizzazione) in  conformita'
 a  un  atto,  quale  il  piano adottato dal comune, che non e' ancora
 giunto   al   termine   del   suo    iter    formativo,    culminante
 nell'approvazione  regionale; c) per violazione degli artt. 117 e 118
 Cost., in quanto, seppure al fine della determinazione  della  misura
 dell'oblazione  da  versare  per ottenere il condono, la disposizione
 impugnata escluderebbe la  rilevanza  dell'esercizio  della  funzione
 amministrativa riconosciuta in materia alle regioni.
   4.1.  -  Le  prime  due  censure  (elencate sub a e b) sollevano in
 realta' il  medesimo  problema,  prospettandolo,  in  un  caso,  come
 (irragionevole)  deroga della disposizione impugnata nei confronti di
 una norma-principio, e pertanto in termini obiettivi,  e,  nell'altro
 caso,  come  (illegittima) parificazione del trattamento giuridico di
 posizioni eterogenee, e pertanto in termini  soggettivi.  In  ambo  i
 casi, comunque, cio' che si assume violato e' l'art. 3 Cost., nel suo
 duplice significato di norma-parametro generale della arbitrarieta' o
 non  ragionevolezza  delle  scelte legislative e di norma altrettanto
 generale posta a garanzia del principio di parita' di trattamento fra
 i cittadini.
    Cosi' poste, le censure sono inammissibili.
    Come  si e' precedentemente ricordato ad analogo riguardo (punto 2
 della motivazione),  e'  giurisprudenza  costante  e  consolidata  di
 questa  Corte  che  nei giudizi di costituzionalita' sollevati in via
 principale le regioni non possono validamente  prospettare  questioni
 che  assumono  la  violazione  di norme-parametro non incidenti sulla
 ripartizione  o  sull'esercizio  di   competenze   costituzionalmente
 garantite alle regioni. Poiche' in ipotesi si prospetta la violazione
 di una disposizione  costituzionale,  l'art.  3,  che  stabilisce  un
 principio generale e un criterio di legislazione la cui trasgressione
 non comporta, di per se', la  lesione  di  competenze  regionali,  le
 relative questioni vanno dichiarate inammissibili.
    4.2.  -  Infondata  e', invece, la censura rivolta all'art. 11 del
 decreto impugnato sotto il profilo della violazione degli artt. 117 e
 118 della Costituzione.
    La  Regione  ricorrente  prospetta  il  dubbio  che, stabilendo di
 considerare conformi agli strumenti urbanistici vigenti le opere  che
 alla  data  del  2  ottobre  1986  lo  erano  soltanto  rispetto agli
 strumenti adottati dal comune e non (ancora) approvati dalla regione,
 l'art.  11  rende  irrilevante,  seppure ai soli fini del condono, la
 funzione amministrativa garantita in materia alle regioni: quella  di
 dare  forma  definitiva,  con  la  propria approvazione (ed eventuale
 modificazione), al piano regolatore generale. In realta', tale dubbio
 non   ha   alcun   fondamento,  poiche'  la  norma  impugnata,  lungi
 dall'incidere sulla competenza regionale di  approvazione  dei  piani
 regolatori  o  lungi  dal  produrre  un'irrilevanza degli effetti dei
 piani stessi, quali risultano approvati dalla regione, nei  confronti
 delle  opere  abusive  suscettibili  di condono, assume semplicemente
 l'ipotesi di conformita' a un piano non ancora definitivo (al pari di
 quella  rispetto al piano definitivo) come criterio di determinazione
 della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono.
    In  altre  parole,  il  legislatore,  stretto  dall'alternativa di
 considerare le costruzioni abusive rispettose dei piani adottati  dai
 comuni   come   non   conformi  agli  strumenti  urbanistici  vigenti
 (tipologia n. 1 della tabella allegata alla legge n. 47 del 1985)  o,
 all'opposto, come conformi agli stessi (tipologia n. 2), beninteso ai
 limitati fini della determinazione  del  quantum  dell'oblazione,  ha
 scelto  la seconda soluzione, ritenendo evidentemente che il rispetto
 delle prescrizioni del piano  adottato  dal  comune  e  non  (ancora)
 approvato  dalla  regione  fosse  piu'  prossimo alla tipologia della
 conformita'  agli  strumenti  urbanistici  che  a  quella  della  non
 conformita'  agli  stessi.  Nel  far  cio',  comunque, il legislatore
 statale ha assunto una fattispecie giuridica relativa a  prescrizioni
 comunali,   peraltro   inserita   in   un   piu'  ampio  procedimento
 coinvolgente anche funzioni regionali, come  termine  di  riferimento
 per l'esercizio di una competenza sicuramente statale, e precisamente
 quella riguardante  la  fissazione  della  misura  dell'oblazione  da
 versare  per  ottenere il condono. E' chiaro che un comportamento del
 genere non puo' implicare alcuna  lesione  di  competenze  regionali,
 qualunque sia la corretta ricostruzione giuridica del procedimento di
 formazione del piano regolatore generale.
    5.  - Oggetto di impugnazione da parte della Regione ricorrente e'
 anche l'art.12 del decreto-legge n. 2 del 1988.
    Una  prima  serie  di  censure  riguarda  i due commi iniziali del
 predetto articolo, i quali sono diretti a modificare  l'articolo  32,
 primo  comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, stabilendo: a) che
 il  parere  favorevole  ivi  previsto  al  fine  del  rilascio  della
 concessione  o della autorizzazione in sanatoria per opere sottoposte
 a  vincolo,  spettante,  a  norma  del  ricordato   art.   32,   alle
 "amministrazioni   preposte  alla  tutela  del  vincolo  stesso",  e'
 attribuito al "Ministero per i beni culturali e ambientali"; b)  che,
 qualora  il  predetto  parere  riguardi  aree  sottoposte  a  vincolo
 successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva, esso  si  intende
 reso  in senso favorevole (anziche' in senso negativo, come prescrive
 il citato art. 32), decorso il termine di  centottanta  giorni  dalla
 presentazione  della  istanza, a meno che "l'amministrazione preposta
 alla tutela del vincolo" non notifichi, entro lo stesso  termine,  un
 parere  negativo  specificamente motivato sulle sopravvenute esigenze
 paesaggistico-ambientali  contrarie  alla  conservazione   dell'opera
 abusiva.
    Questa  nuova  disciplina  viene  impugnata  dalla Regione Toscana
 sotto un triplice profilo.
    Innanzitutto  si  prospetta  una  violazione  dell'art. 9, secondo
 comma, Cost., il quale tutela il paesaggio e  il  patrimonio  storico
 della   Nazione  come  valori  primari  e  inderogabili,  poiche'  le
 disposizioni  oggetto  della  presente  impugnazione  sono  vo'lte  a
 stabilire,  a giudizio della ricorrente, un trattamento di favore per
 gli abusivisti, il quale arreca un grave pregiudizio  agli  interessi
 paesaggistici, ambientali, storici e artistici.
    In   secondo   luogo,   le   stesse   norme   sono  sospettate  di
 incostituzionalita' dalla ricorrente in quanto  ritenute  viziate  di
 eccesso  di  potere legislativo o di irragionevolezza (art. 3 Cost.),
 sia perche' contenenti una disciplina illogica e incoerente  rispetto
 ai   valori   costituzionali  da  tutelare,  sia  perche'  dirette  a
 ripristinare in forma di atto legislativo il contenuto  di  circolari
 gia'  ritenute  illegittime,  con  sentenza  definitiva,  dal giudice
 amministrativo.
    Infine,  sempre  a  giudizio  della ricorrente, l'art. 12, primo e
 secondo comma, appare in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., che
 conferiscono  alle regioni competenze legislative e amministrative in
 materia di urbanistica  e  di  tutela  delle  bellezze  naturali,  in
 quanto:  a)  sottrarrebbe  del tutto alle regioni stesse il potere di
 esprimere il parere favorevole, cui l'art. 32 legge n.  47  del  1985
 condiziona  il  rilascio  della  concessione o dell'autorizzazione in
 sanatoria per le opere abusive costruite in aree soggette  a  vincolo
 paesaggistico-ambientale;  b)  violerebbe  il  principio cooperativo,
 quale previsto dalla sentenza n. 151 del 1986 di  questa  Corte,  sia
 nel  sottrarre  il  predetto parere alle regioni, sia nel trasformare
 l'eventuale mancata formulazione dello stesso in silenzio-assenso.
    5.1. - Per i motivi gia' esposti in precedenza, le censure rivolte
 dalla Regione ricorrente all'art. 12,  primo  e  secondo  comma,  per
 l'asserita  violazione degli artt. 3 e 9 Cost., non sono ammissibili.
    Tali  censure, infatti, involgono profili di costituzionalita' non
 comportanti,  di  per  se'  stessi,  una  qualche   incisione   delle
 competenze  costituzionalmente  garantite alle regioni. Cio' vale non
 solo per le violazioni relative all'art. 3 Cost., sulle quali  si  e'
 in  precedenza motivato in riferimento ad una diversa censura (supra,
 punto  4.1.),  ma  anche  per  quelle  relative  all'art.   9   della
 Costituzione.  Essendo,  infatti,  la  tutela del paesaggio un valore
 primario  e  un  obiettivo   costituzionale   alla   cui   attuazione
 concorrono,  nei limiti delle rispettive competenze, sia lo Stato sia
 le  regioni  e  gli  altri  enti  locali  territoriali,   l'eventuale
 violazione  puo'  essere  validamente oggetto di un ricorso regionale
 per illegittimita' costituzionale soltanto in connessione a eventuali
 lesioni  dell'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito in
 vista dell'attuazione della predetta tutela.
    5.2. - Indubbiamente ammissibili sono, invece, le censure proposte
 dalla Regione ricorrente verso l'art. 12, commi primo e secondo,  del
 d.-l.  n. 2 del 1988 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., come
 attuati dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio  1977  n.  616,  in  quanto
 risulterebbero  violate  le  competenze  riservate  alle  regioni  in
 materia di urbanistica e di tutela delle bellezze naturali.
    Nell'attribuire  al  Ministro per i beni culturali e ambientali il
 parere prescritto dall'art. 32, primo comma, della legge  n.  47  del
 1985,   come   condizione   per   il  rilascio  della  concessione  o
 dell'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni  esistenti  nelle
 aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale e nel prevedere che,
 per le aree sottoposte a  vincolo  successivamente  alla  ultimazione
 delle  opere abusive, la mancata formulazione del predetto parere nel
 termine di centottanta giorni dalla domanda deve intendersi  come  se
 quel  parere fosse stato dato in senso favorevole, l'art. 12, primo e
 secondo  comma,  del  decreto  impugnato  mira   a   introdurre   una
 modificazione  radicale nel sistema previsto dall'art. 32 della legge
 n. 47 del 1985. Quest'ultimo stabilisce,  infatti,  che  il  predetto
 parere  deve  esser  dato dalle "amministrazioni preposte alla tutela
 del vincolo" paesaggistico e che la mancata formulazione dello stesso
 nel  termine di centottanta giorni dalla domanda va interpretata come
 silenzio-rifiuto. Piu' in particolare,  poiche'  per  amministrazione
 istituzionalmente  preposta  alla  tutela del vincolo ambientale deve
 intendersi     l'amministrazione     competente      al      rilascio
 dell'autorizzazione  di  cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n.
 1947, cioe' la regione (art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977),
 le  disposizioni  oggetto  della presente impugnazione, per un verso,
 mirano a sottrarre alla regione e ad attribuire allo Stato il  parere
 necessario per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in
 sanatoria e, per un altro, tendono a trasformare da  silenzio-rifiuto
 in silenzio-assenso la mancata prestazione del parere stesso.
    Per  l'uno  e per l'altro degli aspetti ora menzionati, l'art. 12,
 primo e secondo comma, del  d.-l.  n.  2  del  1988,  deve  ritenersi
 costituzionalmente illegittimo.
    Come  questa Corte ha affermato in altra circostanza (sent. n. 151
 del 1986), la tutela del  paesaggio  e  delle  bellezze  naturali  e'
 affidata,  secondo la nostra Costituzione, a un sistema di intervento
 pubblico basato su un  concorso  di  competenze  statali  con  quelle
 regionali.  Nell'attuazione  legislativa  di  questo  principio si e'
 perseguito un equilibrio di volta in volta  diverso  delle  anzidette
 componenti  pubbliche  concorrenti  alla  tutela  del paesaggio: piu'
 favorevole alle regioni nell'originaria  versione  dell'art.  82  del
 d.P.R.  n.  616  del 1977; piu' attento, nelle innovazioni introdotte
 con la legge 8 agosto 1985 n. 431, a garantire un autonomo potere del
 Ministro per i beni culturali e ambientali a difesa dei vincoli posti
 a protezione delle bellezze naturali. In  ogni  caso,  qualunque  sia
 l'equilibrio che il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento,
 intende stabilire fra  le  competenze  dello  Stato  e  quelle  delle
 regioni,  resta fermo, per esso, il vincolo costituzionale in base al
 quale deve esser fatto salvo, come ha  precisato  la  sentenza  prima
 citata, il principio di un'equilibrata concorrenza e cooperazione fra
 le une e le altre competenze in  relazione  ai  momenti  fondamentali
 della disciplina stabilita a protezione del paesaggio.
    L'art.  12,  primo  e  secondo  comma,  del  d.-l.  n. 2 del 1988,
 contravviene a questo principio quando attribuisce al Ministro per  i
 beni  culturali  e  ambientali il potere di prestare il parere di cui
 all'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985 trasformando  in
 silenzio-assenso  la  mancata  prestazione  dello stesso in relazione
 alle costruzioni situate in aree sottoposte a  vincolo  paesaggistico
 successivamente  all'ultimazione  dell'opera abusiva. In ambo i casi,
 infatti, la disciplina posta in essere finisce per  estromettere  del
 tutto  (art.  12,  primo  comma)  o  per  relegare  in  una posizione
 assolutamente secondaria  (art.  12,  secondo  comma)  le  competenze
 regionali  in  relazione  a  momenti  di particolare importanza della
 disciplina  prevista  per  la  protezione  delle  bellezze  naturali,
 violando  cosi'  il  principio  costituzionale  di  concorrenza  e di
 cooperazione delle competenze statali e  di  quelle  regionali  nella
 tutela del paesaggio.
    E cio' vale tanto di piu', se si tiene presente che lo stesso art.
 12, secondo comma, suppone una corretta interpretazione  del  sistema
 vigente  quando,  riconoscendo  alla  regione  il  potere (in verita'
 illegittimo  e   irrazionale)   di   superare   il   silenzio-assenso
 ministeriale con un proprio parere contrario specificamente motivato,
 la identifica come l'autorita' istituzionalmente preposta alla tutela
 del  vincolo  paesaggistico.  Tuttavia, occorre sottolineare, finche'
 quest'ultima premessa resta  ferma  e  finche',  quindi,  il  sistema
 legislativo   posto  a  tutela  del  valore  primario  del  paesaggio
 riconosce nella regione quell'autorita', il rapporto  di  concorrenza
 fra  le competenze statali e le competenze regionali, se vuole essere
 coerente e ragionevolmente collegato alle finalita' del  sistema  cui
 inerisce,  non  puo'  non ispirarsi alla regola posta da questa Corte
 (sent.  n.   151   del   1986):   che,   nell'ambito   dei   principi
 cooperativistici  che  ne informano i rapporti, le competenze statali
 vanno  esercitate  solo  in  caso  di  mancato  esercizio  di  quelle
 regionali   o  solo  in  quanto  cio'  sia  reso  necessario  per  il
 raggiungimento dei fini essenziali della tutela.
    Anche per questo motivo, nella parte ora considerata il ricorso va
 senz'altro accolto.
    6.  -  Ulteriori  dubbi  di costituzionalita' sono sollevati dalla
 Regione ricorrente nei confronti dell'art. 12, u.c., del d.-l.  n.  2
 del  1988, laddove si dispone che "per le istanze di parere di cui al
 comma primo (dello stesso articolo) proposte  prima  dell'entrata  in
 vigore  del  presente  decreto,  il  termine  di  centottanta  giorni
 stabilito dall'art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n.
 47,  decorre  dalla  data di entrata in vigore del presente decreto".
 Secondo la ricorrente, tale disposizione appare in contrasto  con  la
 Costituzione  sotto un duplice profilo: a) per violazione dell'art. 9
 Cost., in quanto lo spostamento  della  decorrenza  del  termine  dal
 momento  della  domanda  a  quello dell'entrata in vigore del decreto
 appare illogico e incoerente rispetto alla tutela del valore primario
 della  protezione  del  paesaggio; b) per violazione degli artt. 117,
 118 e 77 Cost., in quanto la  norma  impugnata  appare  lesiva  delle
 competenze amministrative attribuite in materia alle Regioni, o, piu'
 precisamente, in quanto il continuo spostamento del  termine  per  la
 presentazione delle domande determinato dalla reiterazione di decreti
 non convertiti, vanifica gli eventuali pareri negativi espressi dalle
 Regioni   anche   attraverso   il   semplice   decorso   del  termine
 (silenzio-rifiuto).
    6.1. - Nei confronti della prima censura, l'Avvocatura dello Stato
 solleva eccezioni di inammissibilita'. Se, per i motivi gia' espressi
 in  precedenza  (punto  5.1.), non puo' sussistere alcun dubbio sulla
 fondatezza dell'eccezione in relazione alle censure  prospettate  per
 l'asserita  violazione  dell'art.  9 Cost., la conclusione e' opposta
 con riguardo ai profili di costituzionalita' attinenti  al  combinato
 disposto formato dagli artt. 117, 118 e 77 della Costituzione.
    Si  e'  precedentemente ricordato (punto 2 della motivazione) come
 questa  Corte,  nel  limitare  i  motivi   di   ricorso   validamente
 prospettabili  dalle regioni nel giudizio di costituzionalita' in via
 principale, non li  circoscrive  alle  violazioni  delle  sole  norme
 costituzionali che ripartiscono le competenze fra Stato e regioni, ma
 li estende anche a quelle relative a disposizioni della  Costituzione
 diverse  dalle precedenti che possono comunque comportare, nella loro
 attuazione,  un'incisione   o   un   pregiudizio   delle   competenze
 costituzionalmente  garantite  alle  regioni.  Nel  caso di specie e'
 astrattamente concepibile che, in presenza di una disposizione,  come
 quella  impugnata,  che  sposta  alla data d'inizio della vigenza del
 decreto-legge la decorrenza  del  termine  delle  istanze  di  parere
 proposte   prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto  stesso,  la
 reiterazione del decreto, a  prescindere  dalla  mancata  conversione
 dello  stesso,  possa  costituire  un fattore autonomo di pregiudizio
 delle competenze spettanti alle regioni in ordine  alla  formulazione
 del  suddetto  parere.  Per  tale  motivo,  la  suddetta questione di
 costituzionalita' va dichiarata ammissibile.
    6.2.  -  Anche  se  le  disposizioni  contenute  nell'ultimo comma
 dell'art. 12 fanno  sistema  con  i  commi  precedenti  dello  stesso
 articolo,   sussiste,   rispetto  ad  esso,  un  autonomo  motivo  di
 illegittimita', per violazione  delle  competenze  costituzionalmente
 garantite alle regioni, che appare collegato al fatto della insistita
 reiterazione del decreto impugnato.
    In  via  di  principio,  la reiterazione dei decreti-legge suscita
 gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai princi'pi
 costituzionali,  tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base
 al  decreto  reiterato  sono  praticamente  irreversibili  (come,  ad
 esempio,  quando  incidono  sulla liberta' personale dei cittadini) o
 allorche'  gli  stessi   effetti   sono   fatti   salvi,   nonostante
 l'intervenuta   decadenza,   ad  opera  dei  decreti  successivamente
 riprodotti.
    Di  fronte  a  questa  esigenza la Corte esprime l'auspicio che si
 ponga rapidamente mano alle riforme piu' opportune, perche' non venga
 svuotato  il  significato  dei  precetti contenuti nell'art. 77 della
 Costituzione. Nello stesso tempo, tuttavia, non puo'  esimersi,  come
 nel  presente giudizio, dal rilevare le violazioni della Costituzione
 dovute alla reiterazione dei decreti.
    Occorre  sottolineare,  innanzitutto, che il significato dell'art.
 12, u. c., del d.-l. n. 2 del 1988, si precisa in quanto  rientra  in
 un  sistema  di  reiterazioni,  in  base  al  quale  la  disposizione
 impugnata e' stata riprodotta per cinque volte  consecutivamente.  In
 questo  lasso  di  tempo  il  continuo  spostamento  del  termine  di
 decorrenza per le  istanze  di  parere,  conseguente  all'illegittima
 reiterazione  dei decreti, ha prodotto un indubbia interferenza sulle
 competenze amministrative regionali, nel senso che ne ha impedito  il
 dovuto  dispiegamento,  pur  legittimo  in astratto a causa del venir
 meno sin dall'inizio degli effetti provvisori  del  decreto  dopo  la
 mancata   conversione.   In  altre  parole,  dalla  reiterazione  del
 decreto-legge e' derivata la produzione dello svuotamento sostanziale
 degli  artt.  117 e 118 Cost., nell'attuazione loro data dall'art. 82
 del  d.P.R.  n.  616  del  1977,  in  base  ai  quali,  come  si   e'
 precedentemente  ricordato,  spetta  alle  regioni  rendere il parere
 (favorevole)  prescritto  come  condizione  per  il  rilascio   della
 concessione o dell'autorizzazione in sanatoria (art. 32, primo comma,
 legge n. 47 del 1985).
    Per questi profili, pertanto, il ricorso va accolto.
    7.  -  Un'ultima  questione  e'  stata  prospettata  dalla Regione
 ricorrente avverso l'art. 13, primo comma, del d.-l. n. 2  del  1988,
 il  quale  attribuisce  al  Ministro  dei lavori pubblici, sentiti il
 Ministro  per  i  beni  culturali  e   ambientali   e   il   Ministro
 dell'ambiente,  il  potere  di stabilire, sulla base delle risultanze
 delle indagini finalizzate al rilevamento della consistenza  e  delle
 caratteristiche del fenomeno dell'abusivismo, criteri e indirizzi per
 il  coordinamento  delle  politiche   di   risanamento   delle   zone
 interessate  dall'abusivismo.  Questa  disposizione  e' impugnata per
 violazione degli artt. 117  e  118  Cost.,  in  quanto  incoerente  e
 incompatibile con le competenze ivi garantite alle regioni.
    La questione non e' fondata.
    In  realta',  il  potere  disciplinato  dalla disposizione oggetto
 della presente censura rientra fra le competenze che gli artt. 117  e
 118  Cost.,  come  attuati  dall'art.  81, primo comma, lett. a), del
 d.P.R.  n.  616  del  1977,  riservano  allo  Stato   allorche'   gli
 riconoscono  il  potere di fissare le linee fondamentali dell'assetto
 del territorio nazionale, con  particolare  riferimento  alla  tutela
 ambientale  ed ecologica, nonche' alla difesa del suolo. Tuttavia, la
 Corte non puo' esimersi dal rilevare, innanzitutto, che,  considerata
 la  vastita'  e  la  molteplicita'  degli  interessi  coinvolti,  che
 peraltro  giustifica  l'attribuzione  allo  Stato   del   potere   in
 questione,   va   auspicata   una  piu'  ampia  partecipazione  delle
 componenti governative nella fase di  concertazione  e  di  decisione
 degli   indirizzi   previsti  dall'articolo  impugnato.  Inoltre,  la
 compresenza  nell'esercizio  del   predetto   potere   di   interessi
 infrazionabili  e di interessi localizzabili, che peraltro giustifica
 la definizione della competenza statale  considerata  in  termini  di
 indirizzo,   induce   ad   auspicare  la  previsione  di  momenti  di
 collaborazione  tra   Stato   e   regioni,   secondo   il   paradigma
 cooperativistico, piu' volte sottolineato da questa Corte.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  12,  commi
 primo, secondo e terzo del d.-l. n. 2 del 1988;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 del d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2, sollevata, in  riferimento  all'art.
 77 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 11 del predetto decreto-legge,  sollevata,  in  riferimento
 all'art.  3  Cost.,  dalla  Regione  Toscana con il ricorso di cui in
 epigrafe;
    Dichiara  non  fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 4, terzo comma,  11  e  13,  primo  comma,  del  predetto
 decreto-legge,  sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.,
 dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe;
    Dichiara  inammissibile l'eccezione di legittimita' costituzionale
 dell'intero d.-l. n. 2  del  1988,  sollevata  incidentalmente  dalla
 Regione Toscana, in riferimento all'art. 77 Cost..
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 10 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 88C0389