N. 302 SENTENZA 9 - 10 marzo 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale - Concessione e autorizzazione in sanatoria - Inammissibilita'. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, primo, secondo e terzo comma). (Cost., artt. 3 e 9). Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale - Concessione e autorizzazione in sanatoria - Parere attribuito al Ministero per i beni culturali e ambientali e trasformazione in silenzio assenso della mancata prestazione di detto parere Illegittimita' costituzionale. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, primo e secondo comma). (Cost., artt. 117 e 118). Edilizia e urbanistica - Opere abusive costruite in aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale - Parere prescritto per la concessione o l'autorizzazione in sanatoria - Istanze di parere - Termine per la loro presentazione - Decorrenza Spostamento conseguente alla reiterazione di decreti-legge non convertiti - Illegittimita' costituzionale. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 12, terzo comma). (Cost., artt. 117, 118 e 77). Edilizia e urbanistica - Sanatorie delle opere abusive Inammissibilita'. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, intero testo). (Cost., art. 77). Edilizia e urbanistica - Condono - Costruzioni prive di concessione ma conformi agli strumenti urbanistici adottati dal Comune alla data del 2 ottobre 1986 - Inammissibilita'. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 11). (Cost., art. 3). Edilizia e urbanistica - Condono - Costruzioni prive di concessione ma conformi agli strumenti urbanistici adottati dal comune e non ancora approvati dalla regione alla data del 2 ottobre 1986 - Non fondatezza. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 11). (Cost., artt. 117 e 118). Edilizia e urbanistica - Opere eseguite in zone sismiche Attestazione della loro idoneita' statica - Norme per gli accertamenti tecnici - Determinazione con decreto ministeriale - Non fondatezza. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 4, terzo comma). (Cost., artt. 117 e 118). Edilizia e urbanistica - Criteri e indirizzi per il coordinamento delle politiche di risanamento delle zone interessate dall'abusivismo - Attribuzione del relativo potere al Ministro dei lavori pubblici sentiti i Ministri per i beni culturali e dell'ambiente - Non fondatezza. (D.-L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 13, primo comma). (Cost., artt. 117 e 118)(GU n.11 del 16-3-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, terzo comma, 11, 12 e 13 del d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2 intitolato: "Modifiche alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente nuove norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive", promosso con ricorso del Presidente della Giunta regionale della Toscana, notificato il 25 gennaio 1988, depositato in cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 1988. Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassare; Uditi l'avv. Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'avv. dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 25 gennaio 1988 e depositato il 26 gennaio 1988, la Regione Toscana ha impugnato gli artt. 4, terzo comma, 11, 12, 13 del decreto-legge 12 gennaio 1988, n. 2, intitolato "Modifiche alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente nuove norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio 1988, n. 9, affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 9, 77, 117 e 118 Cost., nonche' l'intero d.-l. per violazione dell'art. 77 Cost. e del principio di separazione dei poteri dello Stato. Dopo aver premesso che si tratta della nona reiterazione di decreti-legge aventi lo stesso titolo e contenuto analogo (dei quali il primo e' stato il d.-l. 30 settembre 1986, n. 605 e gli ultimi cinque sono stati ripresentati nello stesso identico testo), la Regione ricorrente osserva, in via generale, che tale illegittimo uso, per esser ripetuto costantemente e ostentamente, comporta un sovvertimento dei princi'pi fondamentali della Costituzione, che, nel caso di specie, raggiunge anche lo scopo pratico di favorire l'abusivismo edilizio e di violare il valore fondamentale della tutela del paesaggio (art. 9 Cost.). 1.1. - Passando ad esporre le censure piu' particolari, la ricorrente prospetta l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 11 del decreto impugnato, in quanto invaderebbe una sfera di competenza, relativa all'approvazione dei piani regolatori, riservata alla regione. Secondo l'unanime insegnamento della giurisprudenza costituzionale, oltreche' di quella di merito e della dottrina, i piani regolatori generali (e le relative varianti), considerati nel loro iter procedimentale, vanno configurati come atti complessi a fattispecie progressiva e diseguale, nel senso che alla loro formazione concorrono diversamente sia l'atto con cui il comune li adotta, sia l'atto con cui la regione li approva ed, eventualmente, li modifica (atto che, come tale, si pone in posizione di supremazia). Ad avviso della ricorrente, poiche' tale configurazione dei piani regolatori deve considerarsi, anche in base alla legge 28 febbraio 1985 n. 47, principio fondamentale, il fatto che l'art. 11 se ne discosti irragionevolmente comporta una violazione della Costituzione. E cio' avverrebbe per effetto della norma ivi contenuta che, ai fini della determinazione dell'oblazione, include fra le costruzioni prive di concessione ma conformi agli strumenti urbanistici (di cui alla tabella allegata alla legge n. 47 del 1985, che prevede il pagamento di una somma inferiore rispetto a quella dovuta per opere difformi da quegli strumenti) le opere che risultano conformi agli strumenti adottati dal comune (pur se non approvati dalla regione) alla data del 2 ottobre 1986 (giorno di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del primo dei decreti-legge della serie). In tal modo quest'ultima norma, rendendo del tutto irrilevante la pur determinante partecipazione regionale alla formazione dei piani regolatori, comporta, ad avviso della ricorrente, quantunque limitatamente all'ipotesi considerata, una lesione delle competenze che gli artt. 117 e 118 Cost. attribuiscono alle regioni in materia urbanistica. Nello stesso tempo, essa cancellerebbe irragionevolmente, e pertanto in violazione dell'art. 3 Cost., il principio correttamente seguito anche dalla legge n. 47 del 1985, poiche', se la regione non dovesse approvare il piano o dovesse apportarvi modifiche sostanziali al fine di tutelare gli interessi generali canonizzati all'art. 10 della legge urbanistica (come modificato dalla legge n. 765 del 1967), tutto cio' non avrebbe alcun effetto per le ipotesi considerate nell'art. 11 del decreto impugnato. La qual cosa evidenzia, altresi', sempre ad avviso della ricorrente, la violazione, da parte dello stesso articolo, del principio della parita' del trattamento. 1.2. - Ulteriori censure sono poi prospettate dalla Regione Toscana nei confronti dell'art. 12 del decreto-legge n. 2 del 1988, il quale viene sospettato d'illegittimita' costituzionale in ciascuno dei suoi tre commi. Innanzitutto, la ricorrente ritiene che l'art. 12, primo comma, nel prevedere che il parere (favorevole) prescritto dall'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985 per le aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale (spettante alle amministrazioni preposte alla tutela di quel vincolo), sia reso dal Ministro per i beni culturali e ambientali, sottrae un'attribuzione alle regioni, alterando l'ordine delle competenze costituzionali, come interpretato dalla sentenza di questa Corte n. 151 del 1986 (punto 5 della motivazione). Piu' in particolare, la ricorrente osserva che da quest'ultima pronunzia si ricava che e' in armonia con il quadro delle competenze costituzionali una ripartizione di poteri fra lo Stato e le regioni, la quale, al fine di tutelare il valore primario del paesaggio (art. 9 Cost.), si ispirasse al principio cooperativo, nel senso di stabilire una concorrenza di poteri per cui l'intervento statale e' dato soltanto in funzione sostitutiva ed eventuale e soltanto quando cio' sia necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela. Secondo la ricorrente, anzi, dalla suddetta sentenza si puo' dedurre che solo questa, e non altra, e' l'organizzazione dei poteri che si puo' considerare adeguata al ricordato principio cooperativo. Ad avviso della Regione Toscana, l'art. 12 del decreto impugnato tenta di ripristinare lo stesso contenuto normativo della circolare ministeriale n. 3786 del 1985, annullata dal giudice amministrativo (Cons. St., sez. VI, n. 241 del 1987) per violazione della stessa legge sulla quale era intervenuta la sentenza di questa Corte n. 151 del 1986. Esso pertanto, conclude la Regione, abolendo ogni potere regionale in materia, cancella in realta' l'una e l'altra delle sentenze appena ricordate, perpetrando cosi' un evidente eccesso di potere legislativo. In secondo luogo, l'art. 12 e' censurato dalla ricorrente in quanto dispone, al secondo comma, una disciplina illogica e incoerente, avendo presente il valore costituzionale da tutelare, cioe' il paesaggio (art. 9 Cost.). Per un verso, infatti, avrebbe introdotto, senza giustificazione alcuna, un sistema differenziato rispetto a quello della legge n. 431 del 1985, che la Corte costituzionale ha gia' giudicato come corretto, mentre, per altro verso, ha rovesciato la logica presente nell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, nel senso che al metodo del silenzio-rifiuto sancito da quest'ultimo articolo ha sostituito quello del silenzio-accoglimento. In altre parole, secondo la ricorrente, mentre il sistema dell'art. 32 legge n. 47 del 1985 dava adeguata protezione agli interessi paesaggistici, in quanto il parere negativo, espressamente enunciato o tacitamente formulato in virtu' del silenzio dell'Amministrazione, impediva il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 35, undicesimo comma, legge n. 47 del 1985 ed impediva, altresi', la formazione del silenzio-accoglimento della domanda di sanatoria, tutt'al contrario avviene con il sistema istituito dall'impugnato art. 12, laddove il silenzio, decorso il termine, diventa un parere favorevole, che consente il rilascio della concessione edilizia in sanatoria. Infine, anche l'art. 12, terzo comma, e' censurato dalla ricorrente sotto piu' profili. Tale disposizione, infatti, nel prevedere che il decorso del nuovo termine di centottanta giorni, il quale, iniziava, in base all'art. 32 legge n. 47 del 1985, dalla data della domanda per il rilascio della concessione in sanatoria, abbia ora inizio dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, viola, secondo la Regione, diverse norme costituzionali. Innanzitutto essa comporta un'evidente lesione delle competenze garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, rimettendo in termini gli abusivisti che avevano gia' richiesto il parere e a cui il parere era stato rifiutato dalla regione (esplicitamente o con il silenzio-rifiuto), finisce per rilasciare ope legis e retroattivamente quel consenso che era stato negato. Inoltre, sempre a giudizio della ricorrente, la reiterazione dei decreti-legge comporta una violazione dell'art. 77 Cost. che si traduce in lesione delle competenze regionali ex artt. 117 e 118 Cost., in quanto lo spostamento continuo della decorrenza del termine, per effetto delle ripetute ed illegittime reiterazioni del decreto-legge, produce la vanificazione dei provvedimenti di rigetto silenziosi (oltreche' di quelli espressi) della regione formatisi mesi prima. Da ultimo, la ricorrente osserva che l'intero sistema cosi' delineato appare illogico e incoerente rispetto al valore costituzionale della tutela del paesaggio (art. 9 Cost.), ricordando che e' in potere della regione, la quale e' titolare di competenze in materia, denunziare una violazione del genere, che comporta una lesione della potesta' regionale di attuare il valore primario tutelato dall'art. 9 della Costituzione. 1.3. - La Regione Toscana impugna anche l'art. 13, primo comma, del decreto-legge n. 2 del 1988, che attribuisce al Ministro dei lavori pubblici, in base alle risultanze delle indagini sul fenomeno dell'abusivismo e sentiti i Ministri per i beni culturali e dell'ambiente, il potere di stabilire "criteri e indirizzi per il coordinamento delle politiche di risanamento delle zone interessate dall'abusivismo". Quest'articolo e' ritenuto un'incoerente e irragionevole addizione rispetto alle competenze legislative garantite dall'art. 117 Cost. alle regioni, che peraltro risulterebbero lese da un potere d'intervento caso per caso in una materia che e' affidata alla legislazione regionale nell'ambito dei princi'pi fondamentali posti dalle leggi statali. Ne', sempre secondo la ricorrente, e' possibile giustificare il potere di cui alla disposizione impugnata come manifestazione della funzione di indirizzo e di coordinamento, poiche' di questa difetterebbero tanto i requisiti formali stabiliti dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975 (deliberazione del Consiglio dei ministri), quanto i requisiti sostanziali precisati dalla giurisprudenza costituzionale (interessi non localizzabili e insuscettibili di frazionamento). 1.4. - Oggetto d'impugnazione da parte della Regione Toscana e' anche l'art. 4, terzo comma, del decreto-legge n. 2 del 1988, il quale, nel prevedere che con decreto ministeriale siano determinati gli accertamenti da eseguire al fine della certificazione richiesta dall'art. 35, terzo comma, lett. b, della legge n. 47 del 1985 (certificazione tecnica riguardante l'idoneita' statica delle opere eseguite in zone sismiche), introdurrebbe nel sistema ivi previsto disposizioni non attinenti all'emanazione delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche, ma relative al distinto profilo del controllo e della vigilanza. E poiche', conclude la ricorrente, quest'ultimo rientra nelle competenze regionali (art. 20, primo comma, legge n. 741 del 1981), tanto che gli uffici del Genio Civile competenti in materia sono stati trasferiti alle regioni dallo stesso d.P.R. n. 616 del 1977 (allegato A), risulterebbe violata una competenza regionale (peraltro gia' esercitata da molte regioni, compresa la Toscana), considerato che i poteri di cui alla disposizione impugnata non potrebbero essere ricompresi nella funzione statale di indirizzo e coordinamento per le stesse ragioni ricordate a proposito della censura rivolta all'art. 13 (v. punto 1.3.). 1.5. - Da ultimo, la Regione ricorrente, al fine di evitare il protrarsi degli effetti dannosi dei decreti-legge decaduti, chiede che la Corte sospenda l'efficacia dell'atto impugnato, dovendosi ritenere ammissibile, secondo un'autorevole dottrina, la tutela cautelare anche nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Secondo la ricorrente, infatti, il decreto impugnato, oltre a violare in alcune sue disposizioni competenze regionali, sarebbe costituzionalmente illegittimo di per se' e nella sua interezza, sia perche' mancherebbero nel caso i presupposti dell'urgenza e della necessita' (che soli legittimano il ricorso al decreto-legge), sia perche' la continua reiterazione dei decreti stessi violerebbe l' art. 77 Cost., ultimo comma, che riserva soltanto alle Camere il potere di regolare i rapporti sorti in base al decreto non convertito. Sta di fatto, a giudizio della ricorrente, che quest'uso illegittimo del decreto-legge, oltre a produrre incertezze continuate e abusi legati a una studiata successione di decadenze, ritiri del provvedimento e sua riedizione, finisce per far applicare da mesi un qualcosa che norma non e' e che anzi, secondo un'autorevole dottrina, e' soltanto fonte d'illecito, anche in grave danno delle competenze regionali (come nel caso, prima ricordato, dell'art. 12, u.c., che, spostando in continuazione il termine per la formazione del silenzio-assenso, concorre a sanare l'illegittimita' della condotta degli abusivisti e a sottrarre di fatto le relative competenze alle regioni). Pertanto la ricorrente, non ignorando la giurisprudenza costituzionale secondo la quale le regioni non possono sollevare questioni di costituzionalita' su atti legislativi dello Stato per violazione dell'art. 77 Cost. e pur prospettando il dubbio che con decreto-legge non possano stabilirsi princi'pi fondamentali della materia, chiede la sospensione cautelare del decreto impugnato. D'altronde, conclude la ricorrente, il potere di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato e', secondo la stessa giurisprudenza costituzionale (sent. n. 284 del 1974), elemento connaturale a un sistema di tutela giurisdizionale che si realizza in definitiva con pronunce di annullamento, considerato che la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione (sent. n. 190 del 1985). 2. - Si e' costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto dalla regione Toscana sia dichiarato inammissibile e comunque infondato. Quanto alla censura relativa all'art. 11, l'Avvocatura osserva che la lamentata violazione delle competenze regionali non sussiste, in quanto la stessa disposizione attribuisce rilevanza agli strumenti urbanistici adottati, ma non ancora approvati, solo al fine della determinazione del quantum dovuto per ottenere il condono, e cioe' a fini che nulla hanno a che vedere con l'efficacia degli strumenti urbanistici quali mezzi di regolazione dell'uso del territorio. La disposizione impugnata, in sostanza, si limiterebbe ad assumere la conformita' agli strumenti urbanistici, anche se non ancora approvati, come indice di minor gravita' dell'abuso da sanare. Per quanto concerne le censure mosse all'art. 12, l'Avvocatura rileva che la sentenza del Consiglio di Stato, assunta dalla ricorrente a fondamento della eccepita illegittimita' costituzionale, ha precisato che il parere ex art. 32, legge n. 47 del 1985, spetta alle regioni in quanto titolari di funzioni delegate in materia paesistica e che, in ogni caso, deve trovare spazio il controllo sovraordinato dello Stato, in forma corrispondente all'annullamento d'ufficio della (illegittima) autorizzazione regionale ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939. La disposizione impugnata avrebbe quindi innovato la situazione risultante dall'interpretazione giurisprudenziale, con l'intento di non appesantire la procedura per il condono con un doppio parere e di non sacrificare la garanzia dell'intervento dello Stato a tutela del paesaggio. D'altronde, a giudizio dell'Avvocatura, in materia ambientale le regioni sono titolari solo di poteri limitati e la competenza disciplinata dalla disposizione impugnata risponde pienamente ai princi'pi fissati dalla Corte con le sentenze citate nel ricorso. In ordine alle censure mosse all'art. 13, l'Avvocatura rileva che la disposizione impugnata, prevedendo anche la partecipazione del Ministro dei beni culturali e di quello dell'ambiente, ha inteso garantire che l'azione di risanamento delle zone interessate dall'abusivismo si attenga al rispetto di valori fondamentali dei quali e' tutore, in via esclusiva o concorrente, lo Stato. Quanto all'ultima disposizione oggetto di specifica impugnazione (art. 4, terzo comma), l'Avvocatura rileva che la funzione statale di emanazione delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche, ben puo' esprimersi, ai fini particolari della legge n. 47 del 1985, in una normazione sugli accertamenti da eseguire in ordine alle opere abusive da ammettere alla sanatoria. Da ultimo, l'Avvocatura precisa di non affrontare gli altri temi prospettati dalla regione ricorrente, in quanto gli stessi esulano dall'oggetto del giudizio proponibile dalle regioni a tutela delle proprie competenze, mentre esula dal regime degli atti aventi forza e valore di legge qualsiasi potere di sospensione cautelare. 3. - In prossimita' dell'udienza pubblica la Regione Toscana ha presentato una memoria con la quale ribadisce le proprie istanze. Piu' in particolare, la ricorrente, contestando l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale l'art. 11 del decreto impugnato produrrebbe effetti circoscritti al condono edilizio e non incidenti sull'efficacia del piano urbanistico come mezzo di regolazione del territorio, asserisce che la stessa controparte non nega che, seppure in relazione al solo condono, si verifichi una violazione delle competenze regionali, dovuta all'illegittima equiparazione, ai fini del condono, del piano adottato dal comune a quello risultante al termine dell'iter procedimentale, costituito dall'approvazione (con potere di modifica) delle regioni. A giudizio della ricorrente, pertanto, l'alterazione del regime del piano regolatore generale si produce con la sottrazione del potere sovraordinato della regione. Ed essa e' tanto piu' grave proprio in quanto si verte nella delicata materia del condono, con pregiudizio degli interessi generali (paesaggistici, storici, monumentali, etc), la cui cura e' affidata, appunto, alle regioni. Sotto questo aspetto, ribadisce la ricorrente, si produce anche un'irragionevole parificazione nel trattamento di posizioni diseguali, come quella degli abusivisti che hanno costruito senza concessione, ma in conformita' con il piano regolatore, e quella di coloro che hanno eretto opere senza la stessa concessione e senza rispettare il piano regolatore, non potendo considerarsi tale quello semplicemente adottato dal comune. Oltre a riprendere le argomentazioni gia' svolte nel ricorso a proposito dell'asserita illegittimita' dell'art. 4, terzo comma, e dell'art. 13 del decreto impugnato, la ricorrente, in replica all'argomento dell'Avvocatura relativo all'art. 12, secondo il quale la primarieta' del valore tutelato giustifica la modificazione dell'assetto originario della delega e il potenziamento dell'intervento statale, osserva che le norme impugnate non mirano affatto a tutelare valori primari, ma ad introdurre istituti e termini a favore degli abusivisti, facilitati dal metodo illegittimo della reiterazione di decreti-legge non convertiti, che trascinano per mesi uno stato di provvisorieta'. A rigore, continua la ricorrente, si dovrebbe dire che la norma impugnata non esiste, poiche' la reiterazione di decreti decaduti altro non e' che una forma di conversione operata, illegittimamente, dal Governo, anziche' dall'organo competente, cioe' il Parlamento. E, cio' facendo, l'atto impugnato, oltre a usurpare poteri che sono del legislatore, violando cosi' il principio di separazione dei poteri, dimostra con i fatti, essendo il nono dei decreti reiterati, l'assoluta mancanza di urgenza e di necessita' del provvedimento. Infine, la ricorrente osserva che non le si puo' obiettare che le illegittimita' del decreto che essa fa valere sono da ritenere inammissibili, in quanto di per se' non sarebbero lesive di competenze regionali. A suo giudizio, infatti, l'invasione di competenza si realizza proprio per l'illegittimo uso del decreto-legge, cosi' che, facendo valere quest'ultimo vizio, si tutela nel contempo la sfera di competenza della regione. In ogni caso, la Regione Toscana chiede che la Corte sollevi dinanzi a se' questione di legittimita' costituzionale in via incidentale delle medesime disposizioni contenute nel decreto-legge impugnato per quei profili che dovesse ritenere non prospettabili dalle regioni nei giudizi di legittimita' costituzionale in via principale. 4. - In prossimita' dell'udienza anche l'Avvocatura dello Stato ha prodotto un'ampia memoria, nella quale si tende a dimostrare l'inammissibilita' delle censure sui vizi formali del decreto-legge e della richiesta di sospensiva del medesimo decreto, avanzate dalla ricorrente. 4.1. - Piu' precisamente, osserva l'Avvocatura, la pretesa violazione dell'art. 77 Cost., conseguente all'asserita mancanza dei presupposti dell'urgenza e della necessita', nonche' alla reiterazione dei decreti-legge, concerne norme costituzionali vo'lte a delimitare i confini tra Parlamento e Governo nella decretazione d'urgenza, e non gia' a tutelare la sfera di autonomia regionale. Si tratterebbe, pertanto, di censure che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere dedotte in un giudizio di costituzionalita' in via principale, nel quale possono farsi valere soltanto lesioni di competenze regionali. Del resto, conclude l'Avvocatura, il principio che l'eventuale invasione delle attribuzioni delle regioni puo' derivare dalle singole disposizioni del decreto-legge, non gia' dalla struttura di questo, non e' convincentemente contestato dalla ricorrente, la quale manca di rilevare un'autonoma valenza, ai fini del giudizio di legittimita', della reiterazione del decreto impugnato. In ogni caso, ad avviso dell'Avvocatura, le censure sono infondate, poiche' nella Costituzione non vi sarebbe alcun divieto, per il Governo, di riprodurre lo stesso decreto-legge, una volta che questo sia decaduto e sempreche' sussistano ancora i presupposti e le condizioni di cui all'art. 77 della Costituzione. Secondo l'Avvocatura, per un verso, infatti, ai decreti-legge si applicano i limiti costituzionali previsti per la funzione legislativa ordinaria, i quali non vietano affatto che il Parlamento possa adottare, con legge, disposizioni analoghe o identiche a quelle contenute in decreti-legge non convertiti; per altro verso, poiche' il divieto della reiterazione dei medesimi decreti puo' desumersi soltanto dai regolamenti parlamentari (artt. 72, Reg. Cam.; 76 Reg. Sen.), che precludono la presentazione alle Camere di un disegno di legge che riproduca il contenuto di progetti precedentemente respinti, occorrerebbe precisare che quel divieto dovrebbe scattare, non gia' in caso d'inerzia del Parlamento, ma soltanto nell'ipotesi di un voto di non conversione del decreto stesso. In quest'ultimo senso e', del resto, la prassi parlamentare. Quanto al dubbio prospettato dalla ricorrente per cui il decreto-legge non potrebbe porre princi'pi fondamentali della materia limitativi della potesta' legislativa concorrente delle regioni, l'Avvocatura si limita a osservare che nessun limite di contenuto e' previsto dalla Costituzione alla decretazione d'urgenza, che, anzi, e' ritenuta idonea, da parte di autorevole dottrina, a porre persino norme in deroga alla Costituzione stessa. 4.2. - Anche la richiesta di sospensiva dell'atto impugnato, oltreche' superata dalla tempestiva fissazione dell'udienza, e', a giudizio dell'Avvocatura, inammissibile. Innanzitutto, poiche' le pronunce cautelari sono espressamente previste per altri tipi di giudizio di competenza della Corte costituzionale e non lo sono per i giudizi di costituzionalita', si deve supporre, per l'Avvocatura erariale, che il silenzio del legislatore abbia il significato di voler negare alla Corte il ben piu' grave potere di incidere, previa delibazione sommaria e con provvedimento provvisorio, sull'efficacia della legge. Ne', sempre secondo l'Avvocatura, puo' invocarsi in senso favorevole alla sospensiva l'art. 36 del regolamento per la procedura avanti al Consiglio di Stato, richiamato dall'art. 22 della legge n. 87 del 1953, poiche' la fonte dell'analogo potere del giudice amministrativo risiede nella norma sostanziale contenuta nell'art. 39, T.U. n. 1054 del 1924, che espressamente attribuisce allo stesso giudice il potere di sospendere cautelarmente l'esecutivita' dell'atto amministrativo impugnato. In ogni caso, conclude l'Avvocatura, non puo' minimamente pensarsi di estendere analogicamente il trattamento dell'atto amministrativo ad atti profondamente diversi, quali sono le leggi o quelli aventi forza di legge. Sicche', in mancanza di una morma o, piu' precisamente, di una norma costituzionale che espressamente lo preveda, non puo' ritenersi riconosciuto un potere quale quello di sospensione cautelare delle leggi. Cio' puo' dedursi anche dal fatto che e' la stessa Costituzione, agli artt. 73 e 136, a prevedere le ipotesi di inizio o di cessazione dell'efficacia delle leggi e a stabilire, all'art. 137, una riserva di legge costituzionale per quanto riguarda le condizioni, le forme e i termini di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale (lasciando alla legge ordinaria solo le norme integrative sulla costituzione e il funzionamento della Corte). Del resto, sempre secondo l'Avvocatura, la disponibilita' degli effetti del decreto-legge non e' data alla Corte, ma solo al Parlamento, che, in base all'art. 77 Cost., puo' renderli stabili, mediante la conversione in legge, o porli nel nulla. Considerato in diritto 1. - L'immediata fissazione dell'udienza per il dibattimento delle questioni di costituzionalita' sollevate dal ricorso di cui in epigrafe induce a considerare assorbita la richiesta formulata dalla Regione Toscana affinche' questa Corte sospenda cautelarmente l'efficacia del decreto-legge impugnato (d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2), in quanto ritenuto produttivo di effetti gravemente pregiudizievoli nei confronti dell'esercizio delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni, in conseguenza di un uso del decreto stesso che si assume come macroscopicamente illegittimo. Cio' preclude a questa Corte di esaminare ogni altra questione relativa a tale richiesta, a cominciare dalla sua stessa ammissibilita'. 2. - La ricorrente prospetta, innanzitutto, una questione di costituzionalita' dell'intero decreto-legge, nel senso che quest'ultimo, a suo giudizio, sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 77 Cost. e, in connessione con cio', per violazione del principio di separazione dei poteri, quale delineato nella vigente Costituzione. La censura e' motivata con il duplice rilievo che, nel caso, mancherebbero del tutto i presupposti costituzionali dell'urgenza e della necessita' del provvedimento e che la continua violazione del divieto di reiterare la presentazione di decreti-legge non convertiti, deducibile dall'art. 77 Cost., produrrebbe una lesione delle competenze che quest'ultimo articolo assicura alle Camere, laddove riserva ad esse il potere di "regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". Cosi' come proposta e nei limiti di cui si dira' ora, la questione e' inammissibile. Con giurisprudenza costante e da tempo consolidata (v. ad es., sentt. nn. 111 del 1972, 13 e 151 del 1974, 307 del 1983, 151 del 1986, nonche' ordd. nn. 81 del 1984, 164 del 1988), questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimita' costituzionale in via principale la regione, agendo a tutela di una propria competenza che si assume violata, puo' impugnare le leggi dello Stato (o quelle di altre regioni) soltanto ove deduca che queste siano lesive di una propria sfera di competenza costituzionalmente garantita. Poiche', dunque, il suo interesse a ricorrere e' qualificato dalla finalita' di ripristinare l'integrita' di una propria competenza, che si assume illegittimamente lesa, la regione non puo' validamente prospettare nel proprio ricorso la violazione di qualsivoglia norma costituzionale, ma puo' soltanto invocare quelle disposizioni della Costituzione la cui violazione comporta per cio' stesso la lesione di una propria competenza costituzionalmente garantita. Sebbene in via di principio non puo' escludersi che una lesione delle attribuzioni regionali possa conseguire dalla violazione di precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della Costituzione (v. ad es., sent. n. 32 del 1960, e da ultimo, sentt. nn. 64 e 183 del 1987), sta di fatto che nel caso di specie e' la stessa ricorrente a prospettare la questione di legittimita' costituzionale relativa all'intero decreto-legge sul presupposto che quest'ultimo, contravvenendo ai requisiti dell'urgenza e necessita' e al divieto di reiterazione dei decreti non convertiti, apparirebbe lesivo delle competenze che la Costituzione riserva al Parlamento. Sotto tale profilo, non si puo' dunque dubitare della mancanza di interesse della Regione ricorrente in relazione alle questioni ora considerate, che vanno pertanto dichiarate inammissibili. Occorre precisare, comunque, che il giudizio di inammissibilita' relativo alla questione del preteso contrasto dell'intero decreto-legge nei confronti dell'art. 77 Cost. non puo' pregiudicare l'esame dell'ammissibilita' della distinta questione riguardante l'art. 12, u.c., dello stesso decreto-legge, che e' impugnato dalla ricorrente per l'asserita violazione del combinato disposto formato dagli artt. 117, 118 e 77 Cost. (v. infra al punto 6.1. della motivazione), poiche' in quest'ultimo caso la norma invocata come paramentro costituzionale e' sostanzialmente diversa da quella relativa alla questione appena considerata. Sulla base delle argomentazioni ricordate a sostegno dell'inammissibilita' della questione implicante i profili relativi all'art. 77 Cost., l'eccezione proposta dalla ricorrente, affinche' questa Corte sollevi di fronte a se' stessa la questione di costituzionalita' dell'intero decreto-legge per violazione dell'art. 77 della Costituzione, va dichiarata consequenzialmente inammissibile per difetto di rilevanza. 3. - La Regione Toscana dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 4, terzo comma, del d.-l. n. 2 del 1988, il quale dispone che con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per il coordinamento della protezione civile, sono determinati gli accertamenti da compiere al fine della redazione della certificazione attestante l'idoneita' statica delle opere eseguite nelle zone sismiche (di cui all'art. 35, terzo comma, lett. b, legge 28 febbraio 1985, n. 47). Secondo la ricorrente, tale norma, regolando ipotesi rientranti nel concetto di vigilanza, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 12 lett. a del d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8 e dalla tabella contenuta nell'allegato "A" del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, che hanno trasferito alle regioni le funzioni di vigilanza sulle costruzioni, nonche' i relativi uffici. La questione non e' fondata. La censura proposta nei confronti dell'art. 4, terzo comma, del d.-l. n. 2 del 1988 si basa sull'erronea presupposizione che gli accertamenti ivi previsti attengano a una funzione di vigilanza. In realta', la disposizione impugnata si riferisce alla determinazione degli accertamenti tecnici che i periti devono compiere al fine di attestare l'idoneita' statica delle costruzioni nelle zone sismiche attraverso la certificazione da allegare alla domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, di cui all'art. 35 della legge n. 47 del 1985. Si tratta, piu' precisamente, di una disposizione che prevede la fissazione delle norme e delle procedure tecniche da applicare nei predetti accertamenti, le quali si connettono a competenze sicuramente spettanti allo Stato (art. 81, primo comma, lett. b, d.P.R. n. 616 del 1977) e che, comunque, esigono una determinazione uniforme e valida per tutte le zone sismiche presenti nel territorio nazionale. Poiche', pertanto, la norma impugnata riguarda attivita' che esulano da funzioni di vigilanza e che sono collegate a competenze sicuramente spettanti allo Stato, non sussiste la minima violazione delle disposizioni costituzionali invocate dalla ricorrente. 4. - Un'ulteriore censura e' proposta dalla Regione Toscana nei confronti dell'art. 11 del decreto-legge impugnato, il quale dispone che, agli effetti dell'inserimento nella tabella allegata alla legge n. 47 del 1985 (che prevede la misura dell'oblazione da versare per il condono in relazione a varie tipologie di costruzioni abusive), si considerano conformi agli strumenti urbanistici vigenti anche le opere conformi a strumenti adottati (ma non, o non ancora, approvati dalla regione) entro la data del 2 ottobre 1986 (che e' il giorno in cui e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il secondo decreto-legge della catena dei decreti reiterati, che per la prima volta ha posto una disposizione identica a quella impugnata). Questa disposizione e' censurata sotto un triplice profilo: a) per violazione del principio di ragionevolezza, per il fatto che essa si distaccherebbe, senza adeguata giustificazione, dalla comune concezione dei piani regolatori generali come atti a fattispecie complessa, alla cui formazione concorrono tanto il comune quanto, in posizione di supremazia, la regione; b) per violazione dell'art. 3 Cost., per il fatto che la stessa norma tratta egualmente situazioni diseguali, come quella di chi ha costruito (senza concessione o autorizzazione) in conformita' con i piani regolarmente approvati e chi ha costruito (senza concessione o autorizzazione) in conformita' a un atto, quale il piano adottato dal comune, che non e' ancora giunto al termine del suo iter formativo, culminante nell'approvazione regionale; c) per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, seppure al fine della determinazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono, la disposizione impugnata escluderebbe la rilevanza dell'esercizio della funzione amministrativa riconosciuta in materia alle regioni. 4.1. - Le prime due censure (elencate sub a e b) sollevano in realta' il medesimo problema, prospettandolo, in un caso, come (irragionevole) deroga della disposizione impugnata nei confronti di una norma-principio, e pertanto in termini obiettivi, e, nell'altro caso, come (illegittima) parificazione del trattamento giuridico di posizioni eterogenee, e pertanto in termini soggettivi. In ambo i casi, comunque, cio' che si assume violato e' l'art. 3 Cost., nel suo duplice significato di norma-parametro generale della arbitrarieta' o non ragionevolezza delle scelte legislative e di norma altrettanto generale posta a garanzia del principio di parita' di trattamento fra i cittadini. Cosi' poste, le censure sono inammissibili. Come si e' precedentemente ricordato ad analogo riguardo (punto 2 della motivazione), e' giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte che nei giudizi di costituzionalita' sollevati in via principale le regioni non possono validamente prospettare questioni che assumono la violazione di norme-parametro non incidenti sulla ripartizione o sull'esercizio di competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Poiche' in ipotesi si prospetta la violazione di una disposizione costituzionale, l'art. 3, che stabilisce un principio generale e un criterio di legislazione la cui trasgressione non comporta, di per se', la lesione di competenze regionali, le relative questioni vanno dichiarate inammissibili. 4.2. - Infondata e', invece, la censura rivolta all'art. 11 del decreto impugnato sotto il profilo della violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. La Regione ricorrente prospetta il dubbio che, stabilendo di considerare conformi agli strumenti urbanistici vigenti le opere che alla data del 2 ottobre 1986 lo erano soltanto rispetto agli strumenti adottati dal comune e non (ancora) approvati dalla regione, l'art. 11 rende irrilevante, seppure ai soli fini del condono, la funzione amministrativa garantita in materia alle regioni: quella di dare forma definitiva, con la propria approvazione (ed eventuale modificazione), al piano regolatore generale. In realta', tale dubbio non ha alcun fondamento, poiche' la norma impugnata, lungi dall'incidere sulla competenza regionale di approvazione dei piani regolatori o lungi dal produrre un'irrilevanza degli effetti dei piani stessi, quali risultano approvati dalla regione, nei confronti delle opere abusive suscettibili di condono, assume semplicemente l'ipotesi di conformita' a un piano non ancora definitivo (al pari di quella rispetto al piano definitivo) come criterio di determinazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono. In altre parole, il legislatore, stretto dall'alternativa di considerare le costruzioni abusive rispettose dei piani adottati dai comuni come non conformi agli strumenti urbanistici vigenti (tipologia n. 1 della tabella allegata alla legge n. 47 del 1985) o, all'opposto, come conformi agli stessi (tipologia n. 2), beninteso ai limitati fini della determinazione del quantum dell'oblazione, ha scelto la seconda soluzione, ritenendo evidentemente che il rispetto delle prescrizioni del piano adottato dal comune e non (ancora) approvato dalla regione fosse piu' prossimo alla tipologia della conformita' agli strumenti urbanistici che a quella della non conformita' agli stessi. Nel far cio', comunque, il legislatore statale ha assunto una fattispecie giuridica relativa a prescrizioni comunali, peraltro inserita in un piu' ampio procedimento coinvolgente anche funzioni regionali, come termine di riferimento per l'esercizio di una competenza sicuramente statale, e precisamente quella riguardante la fissazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono. E' chiaro che un comportamento del genere non puo' implicare alcuna lesione di competenze regionali, qualunque sia la corretta ricostruzione giuridica del procedimento di formazione del piano regolatore generale. 5. - Oggetto di impugnazione da parte della Regione ricorrente e' anche l'art.12 del decreto-legge n. 2 del 1988. Una prima serie di censure riguarda i due commi iniziali del predetto articolo, i quali sono diretti a modificare l'articolo 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, stabilendo: a) che il parere favorevole ivi previsto al fine del rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, spettante, a norma del ricordato art. 32, alle "amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso", e' attribuito al "Ministero per i beni culturali e ambientali"; b) che, qualora il predetto parere riguardi aree sottoposte a vincolo successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva, esso si intende reso in senso favorevole (anziche' in senso negativo, come prescrive il citato art. 32), decorso il termine di centottanta giorni dalla presentazione della istanza, a meno che "l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo" non notifichi, entro lo stesso termine, un parere negativo specificamente motivato sulle sopravvenute esigenze paesaggistico-ambientali contrarie alla conservazione dell'opera abusiva. Questa nuova disciplina viene impugnata dalla Regione Toscana sotto un triplice profilo. Innanzitutto si prospetta una violazione dell'art. 9, secondo comma, Cost., il quale tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione come valori primari e inderogabili, poiche' le disposizioni oggetto della presente impugnazione sono vo'lte a stabilire, a giudizio della ricorrente, un trattamento di favore per gli abusivisti, il quale arreca un grave pregiudizio agli interessi paesaggistici, ambientali, storici e artistici. In secondo luogo, le stesse norme sono sospettate di incostituzionalita' dalla ricorrente in quanto ritenute viziate di eccesso di potere legislativo o di irragionevolezza (art. 3 Cost.), sia perche' contenenti una disciplina illogica e incoerente rispetto ai valori costituzionali da tutelare, sia perche' dirette a ripristinare in forma di atto legislativo il contenuto di circolari gia' ritenute illegittime, con sentenza definitiva, dal giudice amministrativo. Infine, sempre a giudizio della ricorrente, l'art. 12, primo e secondo comma, appare in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., che conferiscono alle regioni competenze legislative e amministrative in materia di urbanistica e di tutela delle bellezze naturali, in quanto: a) sottrarrebbe del tutto alle regioni stesse il potere di esprimere il parere favorevole, cui l'art. 32 legge n. 47 del 1985 condiziona il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria per le opere abusive costruite in aree soggette a vincolo paesaggistico-ambientale; b) violerebbe il principio cooperativo, quale previsto dalla sentenza n. 151 del 1986 di questa Corte, sia nel sottrarre il predetto parere alle regioni, sia nel trasformare l'eventuale mancata formulazione dello stesso in silenzio-assenso. 5.1. - Per i motivi gia' esposti in precedenza, le censure rivolte dalla Regione ricorrente all'art. 12, primo e secondo comma, per l'asserita violazione degli artt. 3 e 9 Cost., non sono ammissibili. Tali censure, infatti, involgono profili di costituzionalita' non comportanti, di per se' stessi, una qualche incisione delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Cio' vale non solo per le violazioni relative all'art. 3 Cost., sulle quali si e' in precedenza motivato in riferimento ad una diversa censura (supra, punto 4.1.), ma anche per quelle relative all'art. 9 della Costituzione. Essendo, infatti, la tutela del paesaggio un valore primario e un obiettivo costituzionale alla cui attuazione concorrono, nei limiti delle rispettive competenze, sia lo Stato sia le regioni e gli altri enti locali territoriali, l'eventuale violazione puo' essere validamente oggetto di un ricorso regionale per illegittimita' costituzionale soltanto in connessione a eventuali lesioni dell'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta tutela. 5.2. - Indubbiamente ammissibili sono, invece, le censure proposte dalla Regione ricorrente verso l'art. 12, commi primo e secondo, del d.-l. n. 2 del 1988 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, in quanto risulterebbero violate le competenze riservate alle regioni in materia di urbanistica e di tutela delle bellezze naturali. Nell'attribuire al Ministro per i beni culturali e ambientali il parere prescritto dall'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985, come condizione per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni esistenti nelle aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale e nel prevedere che, per le aree sottoposte a vincolo successivamente alla ultimazione delle opere abusive, la mancata formulazione del predetto parere nel termine di centottanta giorni dalla domanda deve intendersi come se quel parere fosse stato dato in senso favorevole, l'art. 12, primo e secondo comma, del decreto impugnato mira a introdurre una modificazione radicale nel sistema previsto dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985. Quest'ultimo stabilisce, infatti, che il predetto parere deve esser dato dalle "amministrazioni preposte alla tutela del vincolo" paesaggistico e che la mancata formulazione dello stesso nel termine di centottanta giorni dalla domanda va interpretata come silenzio-rifiuto. Piu' in particolare, poiche' per amministrazione istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo ambientale deve intendersi l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1947, cioe' la regione (art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977), le disposizioni oggetto della presente impugnazione, per un verso, mirano a sottrarre alla regione e ad attribuire allo Stato il parere necessario per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria e, per un altro, tendono a trasformare da silenzio-rifiuto in silenzio-assenso la mancata prestazione del parere stesso. Per l'uno e per l'altro degli aspetti ora menzionati, l'art. 12, primo e secondo comma, del d.-l. n. 2 del 1988, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo. Come questa Corte ha affermato in altra circostanza (sent. n. 151 del 1986), la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali e' affidata, secondo la nostra Costituzione, a un sistema di intervento pubblico basato su un concorso di competenze statali con quelle regionali. Nell'attuazione legislativa di questo principio si e' perseguito un equilibrio di volta in volta diverso delle anzidette componenti pubbliche concorrenti alla tutela del paesaggio: piu' favorevole alle regioni nell'originaria versione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977; piu' attento, nelle innovazioni introdotte con la legge 8 agosto 1985 n. 431, a garantire un autonomo potere del Ministro per i beni culturali e ambientali a difesa dei vincoli posti a protezione delle bellezze naturali. In ogni caso, qualunque sia l'equilibrio che il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento, intende stabilire fra le competenze dello Stato e quelle delle regioni, resta fermo, per esso, il vincolo costituzionale in base al quale deve esser fatto salvo, come ha precisato la sentenza prima citata, il principio di un'equilibrata concorrenza e cooperazione fra le une e le altre competenze in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio. L'art. 12, primo e secondo comma, del d.-l. n. 2 del 1988, contravviene a questo principio quando attribuisce al Ministro per i beni culturali e ambientali il potere di prestare il parere di cui all'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985 trasformando in silenzio-assenso la mancata prestazione dello stesso in relazione alle costruzioni situate in aree sottoposte a vincolo paesaggistico successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva. In ambo i casi, infatti, la disciplina posta in essere finisce per estromettere del tutto (art. 12, primo comma) o per relegare in una posizione assolutamente secondaria (art. 12, secondo comma) le competenze regionali in relazione a momenti di particolare importanza della disciplina prevista per la protezione delle bellezze naturali, violando cosi' il principio costituzionale di concorrenza e di cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella tutela del paesaggio. E cio' vale tanto di piu', se si tiene presente che lo stesso art. 12, secondo comma, suppone una corretta interpretazione del sistema vigente quando, riconoscendo alla regione il potere (in verita' illegittimo e irrazionale) di superare il silenzio-assenso ministeriale con un proprio parere contrario specificamente motivato, la identifica come l'autorita' istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. Tuttavia, occorre sottolineare, finche' quest'ultima premessa resta ferma e finche', quindi, il sistema legislativo posto a tutela del valore primario del paesaggio riconosce nella regione quell'autorita', il rapporto di concorrenza fra le competenze statali e le competenze regionali, se vuole essere coerente e ragionevolmente collegato alle finalita' del sistema cui inerisce, non puo' non ispirarsi alla regola posta da questa Corte (sent. n. 151 del 1986): che, nell'ambito dei principi cooperativistici che ne informano i rapporti, le competenze statali vanno esercitate solo in caso di mancato esercizio di quelle regionali o solo in quanto cio' sia reso necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela. Anche per questo motivo, nella parte ora considerata il ricorso va senz'altro accolto. 6. - Ulteriori dubbi di costituzionalita' sono sollevati dalla Regione ricorrente nei confronti dell'art. 12, u.c., del d.-l. n. 2 del 1988, laddove si dispone che "per le istanze di parere di cui al comma primo (dello stesso articolo) proposte prima dell'entrata in vigore del presente decreto, il termine di centottanta giorni stabilito dall'art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto". Secondo la ricorrente, tale disposizione appare in contrasto con la Costituzione sotto un duplice profilo: a) per violazione dell'art. 9 Cost., in quanto lo spostamento della decorrenza del termine dal momento della domanda a quello dell'entrata in vigore del decreto appare illogico e incoerente rispetto alla tutela del valore primario della protezione del paesaggio; b) per violazione degli artt. 117, 118 e 77 Cost., in quanto la norma impugnata appare lesiva delle competenze amministrative attribuite in materia alle Regioni, o, piu' precisamente, in quanto il continuo spostamento del termine per la presentazione delle domande determinato dalla reiterazione di decreti non convertiti, vanifica gli eventuali pareri negativi espressi dalle Regioni anche attraverso il semplice decorso del termine (silenzio-rifiuto). 6.1. - Nei confronti della prima censura, l'Avvocatura dello Stato solleva eccezioni di inammissibilita'. Se, per i motivi gia' espressi in precedenza (punto 5.1.), non puo' sussistere alcun dubbio sulla fondatezza dell'eccezione in relazione alle censure prospettate per l'asserita violazione dell'art. 9 Cost., la conclusione e' opposta con riguardo ai profili di costituzionalita' attinenti al combinato disposto formato dagli artt. 117, 118 e 77 della Costituzione. Si e' precedentemente ricordato (punto 2 della motivazione) come questa Corte, nel limitare i motivi di ricorso validamente prospettabili dalle regioni nel giudizio di costituzionalita' in via principale, non li circoscrive alle violazioni delle sole norme costituzionali che ripartiscono le competenze fra Stato e regioni, ma li estende anche a quelle relative a disposizioni della Costituzione diverse dalle precedenti che possono comunque comportare, nella loro attuazione, un'incisione o un pregiudizio delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Nel caso di specie e' astrattamente concepibile che, in presenza di una disposizione, come quella impugnata, che sposta alla data d'inizio della vigenza del decreto-legge la decorrenza del termine delle istanze di parere proposte prima dell'entrata in vigore del decreto stesso, la reiterazione del decreto, a prescindere dalla mancata conversione dello stesso, possa costituire un fattore autonomo di pregiudizio delle competenze spettanti alle regioni in ordine alla formulazione del suddetto parere. Per tale motivo, la suddetta questione di costituzionalita' va dichiarata ammissibile. 6.2. - Anche se le disposizioni contenute nell'ultimo comma dell'art. 12 fanno sistema con i commi precedenti dello stesso articolo, sussiste, rispetto ad esso, un autonomo motivo di illegittimita', per violazione delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni, che appare collegato al fatto della insistita reiterazione del decreto impugnato. In via di principio, la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai princi'pi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche' gli stessi effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti. Di fronte a questa esigenza la Corte esprime l'auspicio che si ponga rapidamente mano alle riforme piu' opportune, perche' non venga svuotato il significato dei precetti contenuti nell'art. 77 della Costituzione. Nello stesso tempo, tuttavia, non puo' esimersi, come nel presente giudizio, dal rilevare le violazioni della Costituzione dovute alla reiterazione dei decreti. Occorre sottolineare, innanzitutto, che il significato dell'art. 12, u. c., del d.-l. n. 2 del 1988, si precisa in quanto rientra in un sistema di reiterazioni, in base al quale la disposizione impugnata e' stata riprodotta per cinque volte consecutivamente. In questo lasso di tempo il continuo spostamento del termine di decorrenza per le istanze di parere, conseguente all'illegittima reiterazione dei decreti, ha prodotto un indubbia interferenza sulle competenze amministrative regionali, nel senso che ne ha impedito il dovuto dispiegamento, pur legittimo in astratto a causa del venir meno sin dall'inizio degli effetti provvisori del decreto dopo la mancata conversione. In altre parole, dalla reiterazione del decreto-legge e' derivata la produzione dello svuotamento sostanziale degli artt. 117 e 118 Cost., nell'attuazione loro data dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in base ai quali, come si e' precedentemente ricordato, spetta alle regioni rendere il parere (favorevole) prescritto come condizione per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria (art. 32, primo comma, legge n. 47 del 1985). Per questi profili, pertanto, il ricorso va accolto. 7. - Un'ultima questione e' stata prospettata dalla Regione ricorrente avverso l'art. 13, primo comma, del d.-l. n. 2 del 1988, il quale attribuisce al Ministro dei lavori pubblici, sentiti il Ministro per i beni culturali e ambientali e il Ministro dell'ambiente, il potere di stabilire, sulla base delle risultanze delle indagini finalizzate al rilevamento della consistenza e delle caratteristiche del fenomeno dell'abusivismo, criteri e indirizzi per il coordinamento delle politiche di risanamento delle zone interessate dall'abusivismo. Questa disposizione e' impugnata per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto incoerente e incompatibile con le competenze ivi garantite alle regioni. La questione non e' fondata. In realta', il potere disciplinato dalla disposizione oggetto della presente censura rientra fra le competenze che gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, riservano allo Stato allorche' gli riconoscono il potere di fissare le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento alla tutela ambientale ed ecologica, nonche' alla difesa del suolo. Tuttavia, la Corte non puo' esimersi dal rilevare, innanzitutto, che, considerata la vastita' e la molteplicita' degli interessi coinvolti, che peraltro giustifica l'attribuzione allo Stato del potere in questione, va auspicata una piu' ampia partecipazione delle componenti governative nella fase di concertazione e di decisione degli indirizzi previsti dall'articolo impugnato. Inoltre, la compresenza nell'esercizio del predetto potere di interessi infrazionabili e di interessi localizzabili, che peraltro giustifica la definizione della competenza statale considerata in termini di indirizzo, induce ad auspicare la previsione di momenti di collaborazione tra Stato e regioni, secondo il paradigma cooperativistico, piu' volte sottolineato da questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la illegittimita' costituzionale dell'art. 12, commi primo, secondo e terzo del d.-l. n. 2 del 1988; Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale del d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2, sollevata, in riferimento all'art. 77 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe; Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del predetto decreto-legge, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe; Dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4, terzo comma, 11 e 13, primo comma, del predetto decreto-legge, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe; Dichiara inammissibile l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'intero d.-l. n. 2 del 1988, sollevata incidentalmente dalla Regione Toscana, in riferimento all'art. 77 Cost.. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: BALDASSARRE Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 10 marzo 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0389