N. 303 SENTENZA 10 - 17 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Poste e telecomunicazioni - Servizio postale - Vaglia cambiari
 commutanti debiti dello Stato - Spedizione con raccomandata  Perdita
 o manomissione - Esonero dell'Amministrazione dal  risarcimento danni
 - Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93).
 
 (Cost., art. 3).
 
 Poste e telecomunicazioni - Servizio postale - Perdita di
 corrispondenza raccomandata - Azione giudiziaria contro
 l'Amministrazione previo reclamo in via amministrativa entro il
 termine di sei mesi dalla data di impostazione Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 20, 91 e 96, lett. éf).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 113)
(GU n.12 del 23-3-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 6, 20, 28, 48,
 91, 93 e 96, lett. f), del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Testo  unico
 delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di
 telecomunicazioni), promossi con le seguenti ordinanze:
       a)  ordinanza  emessa  il 26 ottobre 1983 dal Tribunale di Roma
 nel procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e il Ministero
 delle  Poste  e  Telecomunicazioni,  iscritta  al n. 405 del registro
 ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987;
       b)  ordinanze  emesse  il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal
 Tribunale di Roma nei  procedimenti  civili  vertenti  tra  la  Banca
 d'Italia  e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritti ai
 nn. 408 e 409 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987;
       c)  ordinanze  emesse  il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal
 Tribunale di Roma nei  procedimenti  civili  vertenti  tra  la  Banca
 d'Italia  e  il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni iscritti ai
 nn. 406 e 407 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987 e
 ordinanza emessa il 18 marzo 1986 dalla Corte d'Appello di  Roma  nel
 procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e Losito Maria Pia
 ed altro, iscritta al n. 723 del registro ordinanze 1986 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 59, 1a serie speciale,
 dell'anno 1986;
    Visti  gli  atti  di costituzione della Banca d'Italia nonche' gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avvocati  Massimo Severo Giannini e Giorgio Sangiorgio
 per la Banca d'Italia e l'Avvocato dello Stato Antonio Palatiello per
 il Presidente del Consiglio dei ministri;
                            Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  in data 26 ottobre 1983, pervenuta a questa
 Corte il 28 agosto 1987  (R.O.  405/87),  il  Tribunale  di  Roma  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli artt. 3, 28 e 113 Cost., degli artt. 6, 28, 48 e 93  del  D.P.R.
 19  marzo  1973,  n.  156, detto "codice postale" ("Testo unico delle
 disposizioni legislative in  materia  postale,  di  bancoposta  e  di
 telecomunicazioni"),   "nella   parte  in  cui  stabiliscono  che  il
 Ministero delle Poste e  delle  Telecomunicazioni  non  e'  tenuto  a
 nessuna   forma   di   risarcimento,  oltre  all'indennita'  prevista
 dall'art. 28 dello stesso D.P.R., nel caso  di  mancato  recapito  di
 raccomandate  con  le quali siano stati spediti vaglia cambiari o, in
 genere, titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato".
    L'incidente  di  costituzionalita'  e'  insorto  nel  corso  di un
 giudizio instaurato da Vulpiani Ovidio contro la Banca  d'Italia  per
 sentirla  condannare  al  pagamento  della somma portata da un vaglia
 cambiario non trasferibile, il quale,  spedito  per  posta  in  piego
 raccomandato  mai  recapitato al destinatario, era stato pagato dalla
 stessa Banca a una persona diversa  spacciatasi  per  il  legittimato
 mediante  un  documento  di  identita'  falso.  A  sua volta la Banca
 d'Italia aveva citato in garanzia il Ministero delle Poste per essere
 da  questo  manlevata  in caso di accoglimento della domanda attrice.
 Costituendosi in giudizio, il Ministero replico' di essere  esonerato
 da  responsabilita'  per  il  risarcimento  dei  danni  in virtu' del
 combinato disposto degli artt. 6, 28, 48, 93 del D.P.R.  n.  156  del
 1973,  a  norma  dei  quali,  in  caso  di  perdita di corrispondenza
 raccomandata, salva la prova della forza  maggiore,  esso  e'  tenuto
 soltanto  al versamento di una indennita' pari al decuplo dei diritti
 di raccomandazione con esclusione di ogni risarcimento ulteriore.
    Al  Tribunale  le  dette norme sembrano in contrasto anzitutto con
 l'art. 3, primo comma  Cost.,  in  quanto  conservano  un  privilegio
 dell'Amministrazione  postale  spiegabile solo storicamente, ma ormai
 privo di fondamento razionale di fronte al principio dello  Stato  di
 diritto,  secondo cui lo Stato, quando gestisce un pubblico servizio,
 e' in linea di massima soggetto, nei  rapporti  con  gli  utenti,  al
 regime comune della responsabilita' contrattuale.
    Le perplessita' aumentano, sempre ad avviso del giudice a quo, ove
 si consideri che alcune leggi in materia  di  contabilita'  di  Stato
 prevedono che i titoli di spesa dello Stato siano d'ufficio commutati
 in vaglia cambiari della Banca d'Italia da inviare al  domicilio  del
 creditore  in  piego  raccomandato. Il collegamento di tali leggi con
 quelle denunziate del codice postale delinea "un sistema che  sottrae
 lo  Stato  debitore  ai rischi concernenti il mancato soddisfacimento
 del creditore", accollandoli "al  creditore  medesimo  e  alla  banca
 incaricata di emettere il vaglia e di provvedere al suo pagamento".
    Oltre  che  il  principio di eguaglianza, dalle norme in questione
 sarebbe   violato   anche   l'art.   28   Cost.,   considerato    che
 l'Amministrazione   viene   esonerata   da   responsabilita'  per  il
 risarcimento  dei  danni  anche  nel  caso  che  la   perdita   della
 raccomandata  sia  dovuta  a  un  fatto  criminoso  commesso  da suoi
 dipendenti  nell'esercizio  delle  loro  mansioni,  mentre  la  norma
 costituzionale  "esige che la' dove sia responsabile il funzionario o
 dipendente debba esserlo negli stessi limiti lo Stato (Corte cost. n.
 2 del 1968)".
    "Se   poi,   soggiunge   il   Tribunale,   dovesse  ritenersi  che
 l'irresponsabilita'   del   Ministero    delle    Poste    e    delle
 Telecomunicazioni  si  estenda  anche  ai  dipendenti, sarebbe allora
 prospettabile il dubbio che le norme in esame contrastino  anche  con
 l'art.  113  Cost.", in quanto pongono limiti di responsabilita' "che
 sottraggono  determinati  atti   o   comportamenti   della   pubblica
 amministrazione al sindacato giurisdizionale".
    2.  -  Si  e' costituita in giudizio la Banca d'Italia con un atto
 che richiama  integralmente  le  deduzioni  presentate  in  un  altro
 giudizio, di identico contenuto, del quale si dira' piu' avanti.
    3.  -  E'  intervenuta  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri.
 Richiamandosi a precedenti pronunce di questa Corte (sent. n. 190 del
 1984;  ord.  n. 277 del 1986), l'Avvocatura dello Stato fa osservare,
 in via pregiudiziale, che  "il  Tribunale,  per  poter  esaminare  il
 merito  della  controversia  sottoposta  alla sua cognizione, avrebbe
 dovuto preliminarmente  verificare  la  proponibilita'  dell'esperita
 azione  in  relazione alla previsione normativa del previo reclamo in
 via amministrativa da presentare nel termine decadenziale di sei mesi
 dall'impostazione".   Domanda,   pertanto,   che   la   questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata dall'ordinanza in epigrafe  sia
 dichiarata inammissibile.
    4.  -  La  medesima  questione  e'  stata nuovamente sollevata dal
 Tribunale di Roma con due ordinanze in data 14 giugno 1985, pervenute
 alla  Corte  il  28  agosto 1987 (R.O. nn. 408 e 409/87), in analoghi
 giudizi promossi da Manicuti Giorgio e Anania Morelli Carmela  contro
 la  Banca  d'Italia,  e  integrati, su istanza di quest'ultima, dalla
 chiamata in garanzia del Ministero delle Poste.
    In  questi  due  casi e' stato accertato che la Banca d'Italia non
 aveva  provveduto,   nel   termine   di   decadenza   di   sei   mesi
 dall'impostazione  delle  raccomandate,  a proporre il reclamo in via
 amministrativa previsto dagli artt. 20, 91 e 96 lett. f)  del  codice
 postale  come  condizione  di  proponibilita' dell'azione giudiziaria
 contro l'Amministrazione postale. Pertanto, le ordinanze ora in esame
 rimettono  alla Corte anche le norme appena citate del decreto n. 156
 del 1973 per una verifica di costituzionalita' "nella  parte  in  cui
 stabiliscono   che   i   reclami   in   via   amministrativa  per  le
 corrispondenze raccomandate devono essere presentati entro  sei  mesi
 dalla  data  dell'impostazione e che l'Amministrazione delle Poste e'
 liberata  da  ogni  responsabilita'  per  la   perdita   di   oggetti
 raccomandati  quando  il  mittente  non  abbia  presentato  il  detto
 reclamo". Esse violerebbero: a) l'art. 3 Cost., "non  giustificandosi
 il termine breve (sei mesi dall'impostazione) con motivi di interesse
 superiore o con criteri di ragionevolezza", tenuto conto specialmente
 della "natura contrattuale riconosciuta dalla piu' recente dottrina e
 giurisprudenza al rapporto tra utente e Amministrazione delle Poste";
 b)   gli   artt.   24  e  113  Cost.,  secondo  i  quali  "la  tutela
 giurisdizionale  dei  diritti  non   puo'   soffrire   esclusioni   o
 limitazioni  che  ne  rendano  impossibile  o difficile l'esercizio",
 vanificando la domanda di giustizia.
    Nel  merito  le  due  ordinanze  seguono  una  linea argomentativa
 analoga a quella gia' elaborata dallo stesso Tribunale nell'ordinanza
 26  ottobre  1983,  sopra  riferita al n. 1. Aggiungono che "non puo'
 legittimamente argomentarsi, come sostiene l'Avvocatura, che la Banca
 aveva  la possibilita' di scelta tra la spedizione per raccomandata e
 quella per assicurata, atteso che norme  per  essa  vincolanti  (...)
 prescrivevano  all'epoca dei fatti la spedizione raccomandata, ne' la
 Banca per  i  principi  regolatori  della  responsabilita'  contabile
 avrebbe  potuto  agire  diversamente  o  recuperare le maggiori spese
 della spedizione per assicurata".
    5.  -  In  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuta la Presidenza del
 Consiglio, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato.
    La  prima  questione,  con  cui si mette in dubbio la legittimita'
 degli artt. 20, 91 e 96 lett. f)  del  codice  postale,  e'  ritenuta
 infondata  dall'Avvocatura.  A  suo  avviso,  l'onere  di  tempestivo
 reclamo all'Amministrazione "soddisfa ad un tempo la comune  esigenza
 di  non ritardare gli indispensabili accertamenti di fatto, anche per
 l'eventuale recupero della corrispondenza se ancora possibile,  e  di
 consentire  all'utente l'indennizzo previsto dall'ordinamento, ove ne
 ricorrano i presupposti, attraverso un procedimento  semplice  e  non
 dispendioso".  Il termine di sei mesi puo' ritenersi sufficientemente
 ampio per escludere che l'onere  del  reclamo  sia  tale  da  rendere
 impossibile   o  difficile  l'esercizio  del  diritto,  e  quindi  da
 offendere le garanzie costituzionali.
    Quanto  alla  questione  di  merito,  poiche'  essa  e' oggetto di
 rimessione   condizionata,   dovrebbe    reputarsi    percio'    solo
 inammissibile.  Comunque, essa e' dall'Avvocatura ritenuta infondata.
    Premesso  che  "l'istituto  della raccomandazione, a differenza di
 quello dell'assicurazione, non e'  volto  a  garantire  il  contenuto
 degli invii, il quale rimane del tutto ignoto all'Amministrazione, ma
 semplicemente a dare prova che un  certo  plico  e'  stato  impostato
 presso  un  certo  ufficio  postale a una certa data ed e' arrivato a
 destinazione",  l'Avvocatura  sostiene,  in   linea   generale,   che
 l'esenzione dell'Amministrazione postale da responsabilita' per danni
 e' giustificata dall'"esigenza di non gravare  il  servizio  pubblico
 del  costo  di  disservizi,  ineliminabili dato l'elevatissimo numero
 degli addetti e delle prestazioni da rendere (...), e dal cui rischio
 l'utente  ha  d'altra  parte  deciso  di non cautelarsi", come invece
 potrebbe scegliendo la forma dell'assicurazione. Del resto,  aggiunge
 l'interveniente,      la     previsione     della     responsabilita'
 dell'Amministrazione in limiti ben definiti e circoscritti e'  comune
 alla  legislazione dei paesi aderenti all'Unione Postale Universale e
 per il servizio  postale  internazionale  e'  sancita  dalla  vigente
 Convenzione  postale  universale, resa esecutiva in Italia dal d.p.r.
 n. 358 del 1981.
    Passando  a  trattare la questione nella piu' ristretta dimensione
 in cui e' proposta dal giudice a quo, l'Avvocatura nega rilevanza  al
 fatto  che  la  forma della raccomandazione postale sia in certi casi
 prevista dalla legge come unico modo di invio agli aventi diritto  di
 vaglia  cambiari  commutanti  titoli  di spesa dello Stato. In questi
 termini la questione sarebbe male impostata. Non le disposizioni  del
 codice postale, che esentano l'Amministrazione da responsabilita' per
 i danni derivati dall'inadempimento  dell'obbligazione  di  trasporto
 assunta verso l'utente, dovevano essere impugnate, bensi', semmai, le
 norme della contabilita' di Stato o di altre leggi le quali prevedono
 la  novazione  di  debiti  dello  Stato  mediante emissione di vaglia
 cambiari della Banca d'Italia e a questa prescrivono di avvalersi del
 servizio  postale  nella  forma della raccomandazione per l'invio dei
 vaglia agli aventi diritto, riversando sulla  banca  il  rischio  del
 furto   o   dello   smarrimento   del   titolo.   Pertanto,  a  detta
 dell'Avvocatura, la questione, cosi' come  e'  stata  posta,  sarebbe
 irrilevante  prima  ancora  che  infondata.  In  ogni caso, quanto al
 merito, vengono richiamate le precedenti osservazioni generali  circa
 la ragionevolezza della disciplina speciale di cui si discorre.
    In   relazione  all'art.  28  Cost.,  l'Avvocatura  rimprovera  al
 tribunale di dimenticare "che la normativa in esame  non  esclude  ma
 limita  la  responsabilita'", cosi' che, entro il limite di legge, e'
 rispettato il principio di responsabilita' civile dello Stato  per  i
 fatti   illeciti   compiuti   dai   suoi   funzionari   e  dipendenti
 nell'esercizio delle loro funzioni.
    Infine,  l'Avvocatura  ritiene  ultroneo il richiamo dell'art. 113
 Cost., sul riflesso che "la questione dei limiti  di  responsabilita'
 attiene al piano dei diritti sostanziali, come tale estraneo all'area
 di incidenza delle garanzie assicurate dall'anzidetta norma".
    6.  - In entrambi i giudizi si e' costituita la Banca d'Italia con
 un atto di contenuto identico a quello menzionato sotto al n. 8.
    7.  -  La  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6,
 28, 48, 93 del d.P.R. n. 156 del 1973 e' stata sollevata,  sempre  in
 riferimento  agli artt. 3, 28 e 113 Cost., da altre due ordinanze del
 Tribunale di Roma in data 14 giugno 1985 (esse  pure  pervenute  alla
 Corte  solo  il  28 agosto 1987, e iscritte nel R.O. del 1987, ai nn.
 406 e 407), nonche' dalla Corte d'appello di Roma  con  ordinanza  18
 marzo  1986  (R.O. n. 723 del 1986), in riferimento agli artt. 3 e 28
 Cost.: ordinanze emesse nel corso di giudizi analoghi ai  precedenti,
 instaurati  rispettivamente  da  Di  Gilio  Rita, Finocchi Aleandro e
 Losito Maria Pia contro la Banca d'Italia, e integrati, su istanza di
 quest'ultima,  mediante  chiamata  in  garanzia  del  Ministero delle
 Poste.
    In  questi  tre  casi  la  Banca  aveva  fornito la prova di avere
 proposto tempestivo reclamo all'Amministrazione  postale,  cosi'  che
 non  si  e'  posta la pregiudiziale sopra riferita ai nn. 3, 4 e 5 in
 punto  di  rilevanza   della   questione.   Un'altra   pregiudiziale,
 concernente  la  legge n. 1575 del 1962, e' stata sciolta dalla Corte
 d'appello nel senso dell'applicabilita' di tale legge  nonostante  la
 mancata  emanazione  del  decreto del Ministro del Tesoro che avrebbe
 dovuto stabilire i limiti  e  le  modalita'  della  commutazione  dei
 debiti  dello  Stato  in vaglia cambiari non trasferibili della Banca
 d'Italia.
    Nel  merito  le argomentazioni svolte nelle tre ordinanze, e cosi'
 pure le controdeduzioni dell'Avvocatura dello Stato,  intervenuta  in
 rappresentanza  della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono del
 tutto analoghe a quelle sopra esposte ai nn. 1 e 3.
    8.  -  In  tutti  i  giudizi  si  e' costituita la Banca d'Italia,
 precisando anzitutto  che  le  norme  denunziate  non  prevedono  una
 limitazione  di  responsabilita',  cosi'  che  si possa dire che "una
 responsabilita'" pur  sempre  esiste,  bensi'  prevedono  un  esonero
 (totale)  dell'Amministrazione  postale  da responsabilita' per danni
 nei  confronti  dell'utenza,  non  potendosi  riconoscere  natura  di
 risarcimento   (limitato)   alla   "forma   anomala  di  riparazione"
 rappresentata dal pagamento di un'indennita' fissa pari a dieci volte
 l'importo dei diritti di raccomandazione.
    In   secondo   luogo,   la  Banca  afferma  la  mancanza  di  ogni
 giustificazione razionale dell'esenzione da responsabilita' per danni
 dell'Amministrazione postale, esenzione che non si puo' intendere "se
 non come un privilegio del fisco, che risale a tempi passati,  quando
 le  amministrazioni  dello  Stato  avevano l'abitudine diffusa di non
 pagare". Conclude chiedendo che pure questo  privilegio  venga  fatto
 cadere.
                         Considerato in diritto
    1. - I giudizi promossi dalle sei ordinanze in esame hanno analogo
 contenuto, e pertanto  devono  essere  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  -  La  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6,
 28, 48 e 93 del d.P.R. n. 156 del 1973 e' fondata.
    Secondo  una  formula  tralaticia, ricorrente nella giurisprudenza
 meno recente  e  ripresa  dall'Avvocatura  dello  Stato,  l'esenzione
 dell'Amministrazione  delle  Poste da responsabilita' per danni verso
 l'utenza  si  giustificherebbe  per  la  necessita'   "di   garantire
 all'Amministrazione      la      piu'      ampia     discrezionalita'
 nell'organizzazione del pubblico servizio", ponendola "al  riparo  da
 sanzioni    risarcitorie    per    inconvenienti    e    imperfezioni
 nell'adempimento  delle  prestazioni,   inseparabili   dalle   scelte
 organizzative  da  essa  fatte,  le  quali possono anche tradursi nel
 mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle
 quali,  per  la complessita' dell'organizzazione e la difficolta' dei
 controlli,  non  e'  possibile  garantire   l'assoluta   e   costante
 osservanza".   Ma   una  simile  giustificazione,  improntata  a  una
 concezione   del   servizio   postale   come    servizio    puramente
 amministrativo,  non  regge  di  fronte  all'art.  43  Cost.,  che ha
 istituito  uno  stretto  collegamento  tra  la  nozione  di  servizio
 pubblico essenziale e la nozione di impresa. Se ne deduce che tutti i
 servizi pubblici essenziali devono essere organizzati  e  gestiti  in
 forma  di impresa, ossia, come dispone l'art. 2 della legge 17 maggio
 1985  n.  210  per  il  servizio   ferroviario,   "con   criteri   di
 economicita'",  i  quali comportano la conformazione dei rapporti con
 gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente  soggetti  al
 regime  del diritto privato. A questo regime, che tende a convertirsi
 in "diritto comune a pubblici e privati operatori", indifferente alla
 diversa  natura  degli  interessi  in  gioco, e' stata ricondotta, in
 ossequio  alla  direttiva  costituzionale,  la  responsabilita'   per
 inadempimento  dell'Amministrazione ferroviaria dalla legge 7 ottobre
 1977,   n.   754.    Solo    una    discrezionalita'    organizzativa
 responsabilizzata  secondo  criteri  di economicita' puo' assicurare,
 tra  l'altro,  una  seria  politica   delle   assunzioni   improntata
 esclusivamente a rigorosi requisiti di professionalita'.
    L'eccezione  confermata  dal  d.P.R.  n.  156  del  1973 in favore
 dell'Amministrazione   delle   Poste,   la    cui    discrezionalita'
 organizzativa  non  e' correlata col principio di responsabilita', si
 spiega solo come retaggio storico di  un  privilegio  risalente  alle
 origini  del  servizio  postale. Questo e' nato agli inizi del secolo
 XVII come servizio "aulico", affidato a privati ai quali  il  monarca
 concedeva,  in  compenso,  la licenza di svolgere un servizio analogo
 per i sudditi, in regime di monopolio. Piu' tardi,  quando  lo  Stato
 moderno   si   riservo'   il   servizio  postale  come  strumento  di
 acquisizione di un'entrata, i privilegi precedentemente accordati dal
 sovrano  ai Mastri delle sue Poste, si consolidarono in un privilegio
 del fisco, comprendente  anche  l'immunita'  da  responsabilita'  per
 danni   verso   l'utenza.   La   sua   conservazione  non  ha  alcuna
 giustificazione nell'ordinamento attuale, dove  il  servizio  postale
 non  puo'  essere piu' considerato un bene patrimoniale dell'erario e
 si configura invece,  secondo  il  criterio  organizzativo  impartito
 dall'art.  43 Cost., come un'impresa gestita dallo Stato in regime di
 monopolio,  ossia  come  una  forma  di  partecipazione  dello  Stato
 all'attivita' economica.
    3.  -  L'ingiustificatezza  del privilegio si accentua nei casi ai
 quali i giudici remittenti hanno circoscritto la sollevata  questione
 di  legittimita'  costituzionale.  In  questi  casi  la  forma  della
 raccomandazione postale non e' liberamente scelta ne'  dai  creditori
 (destinatari),  ne'  dalla  Banca  d'Italia  (mittente) come mezzo di
 trasmissione dei vaglia cambiari,  cosi'  che  si  possa  dire,  come
 afferma  l'Avvocatura, che gli utenti assumono un rischio cui possono
 sottrarsi optando per la forma dell'"assicurazione". Invero, la legge
 23  ottobre  1962  n. 1575, rovesciando l'impostazione del precedente
 d.P.R. 25 gennaio 1962, n. 71 (alla quale e'  tornato  il  d.P.R.  10
 febbraio  1984,  n. 21, lasciandone fuori pero' i rimborsi IRPEF, che
 continuano ad essere regolati dalla legge 31 maggio  1977,  n.  247),
 attribuiva agli Uffici ordinatori della spesa la facolta' di disporre
 d'ufficio la commutazione dei titoli di spesa dello Stato  in  vaglia
 cambiari    non    trasferibili    emessi   dalla   Banca   d'Italia,
 indipendentemente da una richiesta del creditore:  e  cio',  come  e'
 scritto  nella  relazione al disegno di legge, allo scopo di ottenere
 una "semplificazione  del  sistema  di  pagamento  dello  Stato".  Il
 secondo  e il terzo comma dell'articolo unico della legge n. 1575 del
 1962, da integrare col primo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 71 dello
 stesso  anno,  prescrivevano  che  i  vaglia  fossero  spediti  dalle
 Tesorerie di Stato all'indirizzo dei creditori in piego raccomandato,
 a  spese  delle  Amministrazioni  interessate.  Disponeva, infine, il
 quinto comma che "l'emissione dei vaglia cambiari estingue il  debito
 dello Stato".
    Dal  complesso  di  questa  disciplina risulta che: a) lo Stato e'
 autorizzato a novare unilateralmente il proprio debito  sostituendolo
 con  una  obbligazione pecuniaria di pari ammontare incorporata in un
 vaglia cambiario emesso dalla  Banca  d'Italia;  b)  il  servizio  di
 corrispondenza raccomandata, esercitato dall'Amministrazione postale,
 e' indicato obbligatoriamente  alla  Banca  d'Italia  come  mezzo  di
 adempimento  dell'obbligo  di trasferire al creditore il possesso del
 vaglia, necessario per ottenere il  pagamento  della  somma  da  esso
 portata.
    L'integrazione  del  meccanismo approntato dalla legge n. 1575 del
 1962 con le norme del  codice  postale  relative  all'istituto  della
 "raccomandazione"   fa   emergere   una   irrazionale  disparita'  di
 trattamento in contrasto con l'art. 3 Cost.: mentre nel rapporto  tra
 Banca  d'Italia  e creditore l'inadempimento dell'obbligo di consegna
 del vaglia e' regolato dalla norma generale dell'art. 1218 cod. civ.,
 onde la Banca si libera da responsabilita' solo con la prova del caso
 fortuito, invece nel rapporto tra Banca  d'Italia  e  Amministrazione
 delle  Poste  l'obbligo  di  trasporto  e  di  consegna del vaglia al
 destinatario, assunto dalla seconda verso la prima,  e'  regolato  da
 norme speciali che esonerano l'amministrazione da responsabilita' per
 il risarcimento dei danni, con la conseguenza, non  coerente  con  la
 ratio della legge n. 1575, di far ricadere il rischio dell'operazione
 sulla Banca.
    4.  -  L'Avvocatura  obietta  che, diversamente dal servizio della
 corrispondenza assicurata, l'Amministrazione postale,  cui  la  Banca
 d'Italia  affida  la raccomandata contenente il vaglia cambiario, non
 si obbliga a consegnare al destinatario il  vaglia,  ma  soltanto  un
 plico  chiuso,  del  quale  ignora  il  contenuto.  Si puo' replicare
 anzitutto che la  distinzione  tra  raccomandazione  e  assicurazione
 attiene  propriamente alla prova del danno derivato dalla perdita del
 plico, ma non rileva sul piano del diritto sostanziale: in entrambi i
 casi,  salvi  per  le  raccomandate  i divieti di cui all'art. 83 del
 d.P.R.  n.   156   del   1973,   l'Amministrazione   postale   assume
 contrattualmente   l'obbligazione  di  trasportare  e  consegnare  al
 destinatario il plico intatto nella sua  originaria  consistenza.  In
 secondo  luogo non va trascurato il rilievo che nel caso di specie il
 modello delle buste usate dalla Banca d'Italia per la spedizione  dei
 vaglia  cambiari  commutanti debiti dello Stato e' corredato di segni
 esteriori che rendono chiaramente riconoscibili  il  contenuto  della
 busta  e  la  funzione  cui  la  raccomandata  -  secondo  legge - e'
 deputata.
    5. - Infine l'Avvocatura eccepisce che, in ogni caso, non le norme
 del codice postale che sollevano l'Amministrazione da responsabilita'
 per   danni   dovevano   essere  impugnate,  bensi'  le  norme  della
 contabilita' di Stato  o  di  altre  leggi,  le  quali  prevedono  la
 commutazione  d'ufficio  dei debiti dello Stato in vaglia cambiari da
 spedire ai creditori in piego raccomandato, cosi'  ponendo  a  carico
 della  Banca  d'Italia  e/o  dello  stesso creditore il rischio dello
 smarrimento o della sottrazione del titolo. Da questo punto di  vista
 la questione sarebbe male impostata, e quindi inammissibile.
    Ma  nemmeno tale eccezione appare plausibile. Come si e' detto, la
 disciplina della commutazione dei debiti dello Stato secondo la legge
 n. 1575 del 1962 e' integrata dalle norme del codice postale (r.d. n.
 645 del 1936,  vigente  all'epoca  di  emanazione  della  legge,  poi
 sostituito   dal   d.P.R.   n.   156   del   1973),   concernenti  la
 responsabilita' dell'Amministrazione per  la  perdita  della  lettera
 raccomandata  con  cui  il  vaglia  cambiario  e'  stato  spedito  al
 creditore. Percio' la questione di costituzionalita', in  riferimento
 all'art. 3 Cost., e' stata posta correttamente dai giudici remittenti
 con riguardo non alle norme che prevedono la commutazione e impongono
 all'Amministrazione delle Poste un servizio di raccomandate in favore
 delle Tesorerie di  Stato  ai  fini  della  trasmissione  dei  vaglia
 cambiari  agli  aventi  diritto,  ma  appunto  alle  norme del codice
 postale  nella   parte   in   cui   mantengono   il   privilegio   di
 irresponsabilita' per danni dell'Amministrazione anche quando essa e'
 chiamata dalla legge al detto servizio.
    6.  -  Le questioni di costituzionalita' in riferimento agli artt.
 28 e 113 Cost. rimangono assorbite.
    7.  -  Le ordinanze del Tribunale di Roma indicate in epigrafe sub
 b) hanno  sollevato  anche  la  questione  di  costituzionalita',  in
 riferimento  agli  artt.  3,  24 e 113 Cost., degli artt. 20, 91 e 96
 lett. f) del codice postale, nella parte in cui, in caso  di  perdita
 di  una corrispondenza raccomandata, subordinano l'azione giudiziaria
 contro l'Amministrazione postale  alla  previa  presentazione  di  un
 reclamo  in  via  amministrativa entro il termine decadenziale di sei
 mesi dalla data di impostazione: reclamo di cui l'Amministrazione  ha
 eccepito  la  mancata  tempestiva  presentazione da parte della Banca
 d'Italia.
    La   questione,  nella  specie,  e'  irrilevante,  e  pertanto  va
 dichiarata inammissibile. Invero le norme  impugnate  si  riferiscono
 all'azione  giudiziaria  esercitata  in  via  principale dal mittente
 contro l'Amministrazione, mentre  nei  due  casi  in  esame  l'azione
 principale  e'  esercitata,  contro il mittente (Banca d'Italia), dal
 destinatario dei vaglia cambiari, il quale pretende che il  pagamento
 sia  ripetuto  a  sue  mani.  Nel processo l'Amministrazione e' stata
 chiamata in garanzia,  su  istanza  della  Banca,  la  quale  intende
 esercitare nel medesimo processo l'azione di regresso (o rivalsa) per
 l'eventualita' che sia accolta la domanda principale (art.  106  cod.
 proc.civ.).  A  questa azione, la quale trova ingresso in conseguenza
 della dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme  del
 codice  postale  che  la  escludono,  la condizione di procedibilita'
 prevista dagli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del codice postale  non  e'
 evidentemente  applicabile, trattandosi di un'azione che accede a una
 causa principale promossa contro il  mittente  da  un  terzo  il  cui
 diritto di agire non e' soggetto alla detta condizione.
    Per  la  ragione  svolta  nel  numero precedente risulta assorbita
 l'eccezione di inammissibilita' opposta dall'Avvocatura  dello  Stato
 nel  giudizio  promosso  dall'ordinanza  indicata in epigrafe sub a):
 poiche'  l'azione  di  rivalsa  della  Banca  non  e'  soggetta  alla
 condizione  del  previo tempestivo reclamo in via amministrativa, non
 ha rilevanza il fatto che il giudice a quo abbia omesso di  accertare
 se tale condizione sia stata o no osservata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93
 del d.P.R. 29 marzo 1973 n.  156  ("Testo  unico  delle  disposizioni
 legislative    in    materia    postale,    di    bancoposta   e   di
 telecomunicazioni")   nella   parte    in    cui    dispongono    che
 l'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni non e' tenuta
 al risarcimento dei danni, oltre all'indennita' di cui  all'art.  28,
 in  caso di perdita o manomissione di raccomandate con le quali siano
 stati spediti vaglia cambiari emessi in commutazione di debiti  dello
 Stato;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del d.P.R. 29  marzo  1973  n.  156,
 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dal Tribunale
 di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe sub b).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte Costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 17 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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