N. 306 SENTENZA 10 - 17 marzo 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Sanita' pubblica - Acque superficiali destinate alla produzione di acque potabili - Attuazione di direttiva C.E.E. - Pretesa invasione di competenze provinciali - Non fondatezza. (D.P.R. 3 luglio 1982, n. 515, éin toto, e artt. 2, 3, 8, secondo comma, e 9). (Cost., art. 107)(GU n.12 del 23-3-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale del d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515, recante: "Attuazione della direttiva CEE n. 75/440 concernente la qualita' delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile", promossi con ricorsi dei Presidenti delle Giunte provinciali di Trento e Bolzano, notificati il 3 settembre 1982, depositati in cancelleria il 9 settembre successivo ed iscritti ai nn. 37 e 38 del registro ricorsi 1982; Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti; Uditi l'avv. Sergio Panunzio per le Province Autonome di Trento e Bolzano e l'avv. dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 3 settembre 1982 la Provincia autonoma di Trento ha proposto in via principale questione di legittimita' costituzionale del d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515, nel suo complesso, ed in particolare degli artt. 2, 3, 8, primo comma, e 9 dello stesso, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione, nonche' dell'art. 76 Cost. Il decreto impugnato, emanato in base alla delega conferita dalla legge 9 febbraio 1982, n. 42, detta norme volte ad attuare la direttiva CEE n. 75/440 del 16 giugno 1985 in materia di acqua potabile. Il decreto nel suo complesso, in particolare con le disposizioni degli artt. 2, 3, 8, primo comma, e 9, sarebbe lesivo della competenza legislativa ed amministrativa concorrente della provincia in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico" (art. 9, n. 9, dello Statuto e art. 1 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, recante norme di attuazione in materia di urbanistica ed opere pubbliche). Inoltre, per quel che concerne il demanio idrico passato in proprieta' alle province (art. 68 dello Statuto e art. 8, lett. e), del d.P.R. 20 gennaio 1979, n. 115), il decreto impugnato interferisce con la competenza legislativa ed amministrativa primaria della provincia (art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1979, n. 381) per le attribuzioni concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall'inquinamento; cio' tanto piu' in quanto l'art. 14 dello Statuto prevede un piano generale di utilizzazione delle acque da elaborare d'intesa tra rappresentanti della provincia e dello Stato. Ed ancora, a giudizio della provincia ricorrente, il decreto impugnato interferisce con la competenza legislativa ed amministrativa esclusiva statutariamente attribuite alla provincia in materia di "tutela del paesaggio", di "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale" e di "opere idrauliche di terza, quarta e quinta categoria" (art. 8, nn. 6, 17 e 24 dello Statuto). Infine, il decreto impugnato sarebbe illegittimo in quanto la normativa sull'acqua potabile, essendo finalizzata alla prevenzione delle malattie causate dall'acqua cattiva, incide sulla materia della sanita', attribuita alla competenza concorrente della provincia (art. 9, n. 10, dello Statuto e art. 8 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, che assegna alla provincia competenza legislativa in ordine alla "profilassi delle malattie infettive o diffusive per le quali sia imposta la vaccinazione obbligatoria"). La provincia ricorrente osserva, infatti, che il decreto delegato - che pure, ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge di delega 9 febbraio 1982, n. 42, avrebbe dovuto mantenere ferme le competenze attribuite alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome - lede le competenze statutariamente attribuite alle Province in quanto: a) attribuisce allo Stato funzioni che competono alle province (artt. 2, 8, comma primo, e 9; l'art. 3, poi, elenca i compiti attribuiti alla provincia, escludendone, peraltro, alcuni di grande rilevanza, mentre in materia la provincia e' titolare di una competenza amministrativa totale); b) autorizza l'emanazione di disposizioni tecniche dettagliate delle quali nella direttiva CEE non vi e' traccia (art. 9); c) viola il criterio direttivo contenuto nella legge di delega secondo cui le competenze attribuite alle Regioni a Statuto speciale e alle province autonome dovevano rimanere ferme. Ne' i suddetti profili di illegittimita' costituzionale possono essere esclusi, ad avviso della provincia ricorrente, per il fatto che il decreto impugnato attua una direttiva comunitaria, in quanto, secondo i principi affermati dalla Corte in materia (sent. n. 81 del 1979), l'attuazione in via legislativa delle direttive comunitarie non prescinde dall'osservanza dei fondamentali principi dell'autonomia e del decentramento. Il decreto impugnato, si osserva, tratta le Province autonome alla stregua delle Regioni ordinarie pur se per queste ultime vigono, in materia di attuazione di direttive CEE, norme particolari non applicabili alle province autonome, dovendosi queste ultime attenere solo alle prescrizioni dettate dallo Statuto speciale. D'altra parte, la pretesa dello Stato che le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome non possano conformarsi alle direttive CEE indipendentemente da una legge statale di attuazione e debbano rispettare di tale leggi le norme di princi'pio o addirittura disposizioni di dettaglio difformi dalla direttiva, e' priva di fondamento. La provincia ricorrente, infine, prospetta un profilo di illegittimita' costituzionale in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la legge di delega prevedeva l'attuazione delle direttive nel rispetto delle competenze attribuite alle Regioni a Statuto speciale e alle Provincie autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi ordinamenti statutari. 2. - Identiche censure sono rivolte al d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515, nel suo complesso, ed in particolare agli artt. 2, 3, 8, primo comma, e 9 dello stesso, dalla provincia di Bolzano, in riferimento alle medesime disposizioni statutarie. 3. - Si e' costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate non fondate. L'Avvocatura contesta, in primo luogo, il riferimento fatto dalle Province ricorrenti alle competenze in materia di paesaggio ed opere idrauliche, in quanto il decreto impugnato non riguarda in alcun modo la tutela paesistica o il pubblico interesse al buon regime delle acque, al quale provvedono le opere idrauliche. Parimenti non pertinente e', a giudizio dell'Avvocatura, il riferimento alle competenze in materia di utilizzazione delle acque e di acquedotti, in quanto la disciplina posta dal decreto impugnato (art. 1) non interferisce con la disciplina ed i poteri, di competenza provinciale, che stabiliscono l'uso delle acque. La destinazione di un corpo idrico all'approvigionamento di acqua potabile decisa dalle competenti autorita' e' assunta a presupposto della disciplina del decreto impugnato, che e' soltanto volto a provvedere alla classificazione delle acque a tale utilizzazione destinate secondo determinati requisiti di qualita'. Il decreto impugnato, in sostanza, prevede solo un piano generale di risanamento delle acque destinate alla potabilizzazione, che e' cosa diversa dalla pianificazione delle scelte circa l'uso delle acque prevista dall'art. 14, terzo comma, dello Statuto T.-A.A. Non pertinente e' poi, ad avviso dell'Avvocatura, il riferimento alla competenza provinciale in materia di acquedotti, in quanto il decreto impugnato non concerne la realizzazione di opere pubbliche di tal genere, ma controlli ed interventi esclusivamente riconducibili alla materia "sanita' ed igiene". Cosi' delimitata la materia alla quale la normativa impugnata e' riferibile, l'Avvocatura osserva che le deduzioni delle Province ricorrenti concernono la difformita' del ruolo riservato da questa normativa alle province rispetto a quello loro riservato dalla legge n. 352 del 1976. Ma trattasi di rilievi non condivisibili in quanto, nel caso di specie, la competenza legislativa ed amministrativa delle ricorrenti e' concorrente e non esclusiva, e come tale soggetta ai princi'pi della legislazione statale al pari delle regioni a Statuto ordinario. Inoltre la direttiva CEE che il decreto impugnato e' volto ad attuare presenta profili di particolare rigidita' che rendono solo teorico il riferimento fatto dalle province, sulla base della giurisprudenza costituzionale, alla liberta' nella scelta dei mezzi per il perseguimento di un certo obiettivo. Il decreto impugnato, d'altronde, coinvolge profili della materia sanitaria che sono riservati alla competenza statale. Ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 474 del 1975, infatti, sono di competenza statale le funzioni inerenti agli aspetti igienico-sanitari della produzione di sostanze alimentari e bevande, tra le quali, certamente, vanno ricomprese le acque destinate ad uso potabile. Considerato in diritto 1. - Le Province autonome di Trento e Bolzano hanno impugnato il d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 (Attuazione della direttiva CEE n. 75/440 concernente la qualita' delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile), nel suo complesso, e specificamente gli artt. 2, 3, 8, comma primo, e 9 dello stesso decreto, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione. I due giudizi, per l'identita' della normativa impugnata e dei parametri invocati, si prestano ad essere riuniti e definiti con unica decisione. 2. - Il d.P.R. n. 515 del 1982 e' stato emanato in base alla legge di delega 9 febbraio 1982, n. 42, per attuare la direttiva CEE n. 75/440 in materia di qualita' delle acque potabili, direttiva la cui dichiarata finalita' e' quella di "fissare in comune" i requisiti qualitativi minimi per le acque superficiali destinate alla produzione di acque potabili in ragione della necessita' di tutelare la salute umana. Muovendosi in tale specifico e ben definito ambito, il decreto impugnato ha per oggetto i requisiti di qualita' delle acque dolci superficiali destinate alla potabilizzazione (art. 1); dispone la suddivisione delle acque in tre categorie (A1, A2 e A3) qualitativamente decrescenti, alle quali corrispondono, per le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche, determinati valori-limite, suscettivi di deroghe in casi particolari, purche' da queste non derivi danno per la salute pubblica (artt. 4 e 5); prevede distinti trattamenti di potabilizzazione delle acque di intensita' proporzionata al livello qualitativo della categoria di appartenenza (art. 4); riserva allo Stato l'approvazione di nuove utilizzazioni di acque di qualita' inferiore alla categoria A3 (art. 8); assegna al Ministro della sanita' l'emanazione delle disposizioni tecniche di rilevamento e analisi (art. 9); ripartisce tra Stato e Regioni le funzioni amministrative in materia (artt. 2 e 3). 3. - Avuto riguardo all'obbiettivo conseguito dalla direttiva CEE (tutela della salute umana) ed alla conseguenziale sfera di operativita' del d.P.R. n. 515 del 1982, ristretta alla classificazione e al trattamento delle acque per esigenze di ordine igienico-sanitario, del tutto incongruo appare il riferimento, operato dalle Province ricorrenti, alle rispettive competenze esclusive in tema di "tutela del paesaggio", di "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale" e di "opere idrauliche" (art. 8, nn. 6, 17 e 24, dello Statuto). Infatti, la normativa censurata non interferisce in alcun modo sulla realizzazione di opere pubbliche attinenti alla distribuzione delle acque (acquedotti) o di altre opere concernenti il buon regime dei corsi d'acqua per esigenze di sicurezza, ne' prevede interventi che possano riflettersi sull'assetto del paesaggio. Ne' la normativa in questione prevede interventi di difesa delle acque dall'inquinamento al di fuori delle specifiche esigenze della potabilita', sicche' e' incongruo anche il riferimento all'art. 5 d.P.R. n. 381 del 1974, recante norme di attuazione dello Statuto in materia urbanistica e di opere pubbliche. 4. - L'indagine va pertanto limitata alla dedotta violazione delle competenze, di tipo concorrente, delle Province concernenti le materie dell'"igiene e sanita'" (art. 9, n. 9, dello Statuto) e della "utilizzazione delle acque pubbliche" (art. 9, n. 10, dello Statuto stesso), questa, peraltro, toccata dalla normativa impugnata in stretta connessione con le specifiche esigenze della potabilita' e quindi con la materia dell'igiene e sanita'. Al riguardo deve anzitutto osservarsi che, venendo in esame competenze non primarie delle province, le stesse subiscono non soltanto il limite del rispetto degli obblighi internazionali dello Stato - fra i quali devono ritenersi compresi, a tale effetto, quelli comunitari - ma anche quello dei princi'pi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 5 dello Statuto). Ora, poiche', come or ora rilevato, il decreto n. 515 del 1982 concerne la regolamentazione delle acque potabili quale bene essenziale per l'alimentazione umana, come tale meritevole di particolari cautele sotto il profilo igienico-sanitario, non vi e' dubbio che il decreto, nel fissare i requisiti minimi di qualita' delle acque potabili, attua non soltanto la direttiva CEE, ma anche il princi'pio fissato, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dall'art. 4 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario. Tale princi'pio ha per oggetto l'uniformita' di condizioni e garanzie di salute nell'intero territorio della Repubblica, e prevede, a tal fine, l'emanazione, mediante legge dello Stato, di norme di coordinamento dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale, ed inoltre l'emanazione, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di misure di coordinamento volte a fissare ed a rivedere periodicamente i limiti di tollerabilita' relativi alla concentrazione di fattori inquinanti e alla esposizione ai medesimi. Il decreto impugnato costituisce, per un verso, normativa di attuazione di obblighi comunitari e, per altro verso, atto di coordinamento mediante legge in materia di igiene e sanita', ed anzi, sotto questo secondo profilo, realizza una ulteriore garanzia rispetto a quella richiesta dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978, in ragione dello strumento adottato (la legge in luogo dell'atto amministrativo). Infondatamente, pertanto, le Province ricorrenti ritengono invasa la propria competenza concorrente in tema di "igiene e sanita'", che, al contrario, la normativa impugnata limita legittimamente. Quanto alla disposizione (art. 9) che assegna allo Stato la determinazione delle norme tecniche di rilevamento ed analisi, essa si pone in stretta correlazione con il suindicato princi'pio di uniformita' risultante dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978, poiche' solo l'uniformita' delle metodiche di indagine puo' condurre ad uniformita' di risultati e quindi ad assicurare la omogeneita' di condizioni igienico-sanitarie. Ne' puo' ritenersi lesiva della competenza provinciale in tema di "utilizzazione delle acque pubbliche" la disposizione (art. 8, comma primo) che subordina all'approvazione dello Stato le nuove utilizzazioni di acque con caratteristiche inferiori a quelle minimali (proprie della categoria A3), poiche' anche in tale evenienza viene in risalto una specifica esigenza di salute pubblica, da valutare secondo criteri di tendenziale uniformita' di livello di condizioni igienico-sanitarie (al di fuori, quindi, degli obbiettivi programmatori del piano generale di utilizzazione delle acque di cui all'art. 14, comma terzo, dello Statuto). Infine, quanto al censurato riparto di funzioni tra Stato e Province (artt. 2 e 3), sara' sufficiente notare come le funzioni attribuite allo Stato siano strettamente correlate all'attuazione - necessariamente unitaria - del piu' volte richiamato princi'pio dell'uniformita' delle condizioni di salute sull'intero territorio (predisposizione di criteri e metodiche di rilevamento; redazione del piano generale di risanamento delle acque destinate alla potabilizzazione; modifica e adeguamento dei valori limite), nonche' funzioni di indirizzo e coordinamento rese indispensabili da esigenze inerenti all'osservanza della direttiva comunitaria (impegno degli Stati a migliorare, entro dieci anni, la qualita' delle acque), sicche' nessuna invasivita' e' prospettabile. 5. - Del pari infondata si palesa la dedotta violazione dell'art. 76 Cost., per asserita inosservanza del criterio della salvezza delle competenze delle Province autonome fissato dalla legge di delega (art. 3, comma secondo), in quanto il decreto, per quanto sopra esposto, non ha deviato dal criterio stesso.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi; dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale del d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 (Attuazione della direttiva CEE n. 75/440 concernente la qualita' delle acque superficiali destinate alla produzione di acque potabili) nel suo complesso e degli artt. 2, 3, 8, comma secondo, e 9 dello stesso decreto, sollevate dalle Province di Trento e Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione dello Statuto, nonche' dell'art. 76 Cost. Cosi' deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: CORASANITI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 17 marzo 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0415