N. 365 SENTENZA 23 - 31 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Impiegato dello Stato - Impiegata coniugata - Stipendi e assegni  -
 Quote di aggiunta di famiglia per figli a carico - Diritto  alla loro
 corresponsione - Omessa previsione nel caso in cui il  coniuge svolga
 attivita' lavorativa che non dia titolo alla  corresponsione di
 assegni familiari - Illegittimita'  costituzionale parziale.
 . 212, art. 8).
 (Cost., artt. 3 e 29)
(GU n.14 del 6-4-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3  del
 d.l.lgt. 21 novembre 1945, n. 722 (Provvedimenti economici  a  favore
 dei  dipendenti  statali)  e  8  della  legge  8  aprile 1952, n. 212
 (Revisione  del  trattamento  economico  dei   dipendenti   statali),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  23 gennaio 1980 dalla Corte dei
 Conti - Sezioni Riunite, sul ricorso proposto da D'Ottavi  De  Castro
 Rita,  iscritta  al  n.  465 del registro ordinanze 1980 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 dell'anno 1980;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 gennaio 1988 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    La  Corte  dei  Conti,  a  sezioni  riunite,  in sede di esame del
 ricorso proposto da una dipendente della Corte  medesima  avverso  il
 provvedimento  in  data  12  maggio  1976,  col  quale  il Segretario
 Generale ne aveva respinto l'istanza diretta ad ottenere la quota  di
 aggiunta di famiglia per un figlio a carico - non fruibile dal marito
 della ricorrente perche' lavoratore  autonomo  -  ha  sollevato,  con
 ordinanza  in  data  23  gennaio 1980, in relazione agli artt. 3, 29,
 secondo  comma,  e   37   Cost.,   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 3 del d.l.lgt. 21 novembre 1945 n. 722 e 8
 della legge 8 aprile 1952 n. 212, nella parte in cui non  riconoscono
 all'impiegata  statale  coniugata,  per  il  periodo  anteriore al 18
 dicembre 1977 - data di entrata in vigore della legge 9 dicembre 1977
 n.  903,  abrogativa  in parte qua di dette disposizioni - il diritto
 agli assegni familiari nel caso che il di lei marito appartenga  alla
 categoria dei lavoratori autonomi.
    La  rilevanza della questione e' stata affermata in considerazione
 del  descritto  oggetto  del  ricorso  e  nonostante   la   ricordata
 abrogazione  delle  norme  censurate,  posto  che  questa  non  opera
 retroattivamente e  non  consente,  percio',  il  riconoscimento  del
 diritto  all'assegno  in  contestazione per il periodo anteriore alla
 sua entrata in vigore.
    Nel merito, la Corte ha asservato che le disposizioni in questione
 consentono l'attribuzione del menzionato trattamento alla  dipendente
 statale  coniugata  soltanto  nel caso di assenza o di inabilita' del
 marito o che questi non sia provvisto di risorse  per  provvedere  al
 mantenimento  proprio  e  della  famiglia  (art.  3  del  d.l.lgt. n.
 722/1945) ovvero nel caso in cui la dipendente medesima sia  separata
 legalmente   dal   marito  senza  assegno  alimentare  o  questi  sia
 disoccupato (art. 8 l. n.  212/1952):  ipotesi  tutte  estranee  alla
 fattispecie,  in cui il marito della ricorrente risulta percettore di
 reddito da lavoro autonomo.
    La  limitazione a tali casi della suddetta attribuzione e' apparsa
 alla Corte in contrasto con l'art. 3 in quanto non  prevista  per  il
 dipendente    statale    di   sesso   maschile,   cui   e',   invece,
 incondizionatamente riconosciuto il diritto agli  assegni  familiari,
 sempre che ricorrano in capo a lui i prescritti requisiti e quale che
 sia la condizione del coniuge  o  il  rapporto  con  esso:  ad  esso,
 quindi,  spetta  tale  diritto  anche  se  la  moglie appartenga alla
 categoria dei  lavoratori  autonomi,  mentre  identica  spettanza  e'
 esclusa  nel  caso  inverso, ricorrente appunto nella fattispecie. Si
 tratta  di  una  discriminazione   per   sole   ragioni   di   sesso,
 riconducibile  ad una concezione che poneva il padre capo-famiglia in
 una posizione di preminenza rispetto  alla  donna  e  che  lo  stesso
 legislatore  gia'  nel  1975  (con la legge n. 151, sulla riforma del
 diritto di famiglia) ha ripudiato attuando il principio della parita'
 dei  coniugi  nel regime familiare ed imponendo ad entrambi l'obbligo
 del mantenimento dei  figli  in  proporzione  alle  loro  sostanze  e
 secondo la loro capacita' di lavoro professionale o casalingo.
    La  censurata limitazione, inoltre, discrimina fra lavoro maschile
 e lavoro femminile riconoscendo, a parita'  di  condizioni,  solo  al
 primo  idoneita'  a  produrre effetti economicamente e giuridicamente
 piu' rilevanti, sicche' puo' dubitarsi della sua conformita' all'art.
 37  Cost.,  interpretato anche alla luce della Convenzione O.I.L. del
 27 giugno 1951 n. 100, ratificata e resa esecutiva in Italia  con  l.
 22 maggio 1956 n. 741.
    Infine, ad avviso della Corte remittente, risulta violato anche il
 principio di uguaglianza giuridica  e  morale  dei  coniugi,  di  cui
 all'art.  29,  secondo  comma  Cost.:  tale  eguaglianza  va, invero,
 riferita ad ogni aspetto della vita familiare e  percio'  concernente
 la   produzione  del  cosi'  detto  "salario  familiare",  menzionato
 dall'art. 36 Cost.  ed  esso  stesso  soggetto  al  regime  paritario
 garantito  dall'art.  37,  con  riferimento  ai  rapporti  di lavoro.
 Conseguentemente escludere il diritto della  donna  lavoratrice  alla
 corresponsione  degli  assegni  familiari  di  cui il marito non puo'
 beneficiare significa, attesa  la  configurabilita'  di  questi  come
 componenti  della  retribuzione  lato  sensu intesa, riconoscere alla
 prima una condizione  minus  quam  perfecta  rispetto  a  quella  del
 secondo, in sostanziale elusione del principio suddetto.
                         Considerato in diritto
    1.  - Il dubbio di legittimita' costituzionale investe gli artt. 3
 del d.l.lgt. 21 novembre 1945,  n.  722  (Provvedimenti  economici  a
 favore  dei dipendenti statali) e 8 della legge 8 aprile 1952, n. 212
 (Revisione del trattamento economico dei dipendenti  statali),  nella
 parte  in cui non riconoscono all'impiegata statale coniugata, per il
 periodo anteriore all'entrata in vigore della legge 9 dicembre  1977,
 n.  903,  il  diritto  alle quote di aggiunta di famiglia per figli a
 carico, nel caso che il di lei marito  presti  attivita'  lavorativa,
 anche  se  questa  non  dia  titolo  alla  corresponsione  di assegni
 familiari.
    2.   -   La   censura  muove  dalla  constatazione  del  deteriore
 trattamento in tal modo riservato alla lavoratrice coniugata rispetto
 all'uomo  cui  gli  assegni  in  questione competono, invece, in ogni
 caso, anche se la moglie lavori  -  per  pervenire  alla  conclusione
 dell'assoluta mancanza di giustificazione, con riguardo sia al regime
 familiare che a quello previdenziale di tale disciplina, che  appare,
 quindi, differenziata solo in relazione al sesso.
    Di qui appunto la prospettazione della violazione del principio di
 uguaglianza (art. 3 Cost.) sia in generale, sia in  particolare,  per
 cio'  che  riguarda la reciproca posizione dei coniugi nel matrimonio
 (art. 29 Cost.) e la condizione  della  donna  lavoratrice  (art.  37
 Cost.).
    3. - La questione e' fondata.
    La  censurata disparita' di trattamento e' venuta meno con effetto
 dalla data di entrata in vigore della legge 9 dicembre 1977, n.  903,
 che,  nel  sancire  la  parita'  di trattamento tra uomini e donne in
 materia di lavoro, ha eliminato anche in materia di assegni familiari
 ogni  disparita'  tra i coniugi, statuendo all'art. 9 che il relativo
 trattamento puo'  essere  corrisposto,  in  alternativa,  alla  donna
 lavoratrice  alle  stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti
 per   il   lavoratore.   Cio',   pero',   non   toglie,   stante   la
 irretroattivita'   della   sopravvenuta   legge,  che  il  regime  di
 diseguaglianza  si  debba  considerare  persistente  fino  alla  data
 suddetta.
    Come  ha  gia'  ritenuto  questa  Corte  (sent.  n.  105/'80),  in
 riferimento all'analoga disposizione di cui all'art. 3, primo  comma,
 del  d.P.R.  30  maggio  1955,  n.  797,  il  regime differenziato in
 questione si fonda sul presupposto della  priorita'  della  posizione
 del padre nell'ambito familiare e si pone, percio', in contraddizione
 con  l'esigenza  di  equiparazione  della  moglie  al   marito,   nel
 matrimonio  e  nella famiglia. Esigenza che gia' prima di riflettersi
 nella disciplina dettata  dalla  legge  di  riforma  del  diritto  di
 famiglia n. 151 del 1975 (alla cui logica si e' poi ispirata la legge
 n. 903 del 1977 sulla parita' tra uomo e donna in materia di lavoro e
 rapporti  connessi),  risultava,  sul piano del fondamento normativo,
 direttamente dal principio di parita' dei coniugi sancito dagli artt.
 3 e 29 della Costituzione (v. Corte cost., sent. n. 6/'80).
    Pertanto,  in  considerazione del contrasto con il detto principio
 di parita' e, di  conseguenza,  con  gli  artt.  3  e  29  Cost.,  va
 dichiarata l'illegittimita' delle norme censurate, nella parte in cui
 non prevedono che le quote di  aggiunta  di  famiglia  spettanti  per
 figli  a  carico  possano  essere  corrisposte  (cosi'  come, per gli
 assegni familiari in genere, discende ora dall'art.  9  della  citata
 legge  n. 903/'77), alla dipendente statale, anche nel caso in cui il
 di lei marito svolga attivita' lavorativa che, come  quella  autonoma
 (art.  2,  lett. f del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797), non dia titolo
 alla corresponsione degli assegni suddetti.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 3 del d.l.lgt.
 21 novembre 1945,  n.  722  (Provvedimenti  economici  a  favore  dei
 dipendenti  statali) e 8 della legge 8 aprile 1952, n. 212 (Revisione
 del trattamento economico dei dipendenti statali) nella parte in  cui
 escludono   il   diritto   dell'impiegata   statale   coniugata  alla
 corresponsione delle quote  di  aggiunta  di  famiglia  per  figli  a
 carico,  nel caso in cui il di lei marito svolga attivita' lavorativa
 che non dia titolo alla corresponsione di assegni familiari.
    Cosi'  deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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