N. 374 SENTENZA 23 - 31 marzo 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza e assistenza sociale - Assicurazione I.v.s. Lavoratori ad orario ridotto - Esclusione dalla contribuzione figurativa - Non fondatezza. (Legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 3). (Cost., artt. 3 e 38)(GU n.15 del 13-4-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1981 dal Pretore di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Bertuzzi Domenico e l'I.N.P.S., iscritta al n. 98 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 del 1982; Visti gli atti di costituzione di Bettuzzi Domenico e dell'I.N.P.S. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Udito l'avv. Franco Agostini per Bettuzzi Domenico e l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso depositato il 12 febbraio 1979, Bettuzzi Domenico chiedeva al Pretore di Reggio Emilia l'accertamento del suo diritto all'accreditamento della contribuzione figurativa relativamente a taluni periodi di intervento della Cassa integrazione guadagni per contrazione dell'orario di lavoro, eccependo l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975, n. 164, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui limita la possibilita' di tale accreditamento ai soli casi di totale sospensione dell'attivita' lavorativa, ammessi ad integrazione salariale. Il giudice adito, con ordinanza in data 16 ottobre 1981, ha dichiarato l'eccezione non manifestamente infondata, rimettendone l'esame a questa Corte. Ha osservato, in particolare, che la suddetta limitazione comporta un'arbitraria disparita' di trattamento, a fini previdenziali, di situazioni simili nella sostanza (sospensione dell'attivita' lavorativa e contrazione dell'orario di lavoro, entrambe produttive dell'intervento della Cassa integrazione guadagni), in quanto, sia nell'una che nell'altra, si verifica il medesimo evento consistente in una incolpevole perdita di retribuzione. Ha poi rilevato che tale disparita' di trattamento risulta aggravata dall'art. 21 del d.l. 11 dicembre 1979, n. 624 che ha disposto, soltanto per gli interventi della Cassa successivi alla sua entrata in vigore, l'accreditamento della contribuzione figurativa anche in ipotesi di contrazione dell'orario di lavoro. Ha infine ritenuto che la norma impugnata contrasti con l'art. 38 Cost., il quale vuole la tutela del lavoratore anche nelle ipotesi in cui egli sia privato della retribuzione per fatto a lui non imputabile. 2. - Si e' costituito l'I.N.P.S. senza prendere posizione espressa circa il fondamento della questione e limitandosi a valutarne vari aspetti nei seguenti termini: a) con deliberazione n. 125 del 1979 il consiglio di amministrazione dell'Istituto ha escluso la possibilita' di concedere l'accredito in questione nelle ipotesi di contrazione dell'orario di lavoro ammesse ad integrazione salariale, pur esprimendo l'auspicio di un intervento legislativo in senso opposto; b) questo si e' dapprima tentato con l'art. 21 del ricordato d.-l. n. 624/1979, poi decaduto per mancanza di conversione, e puo' ritenersi oggi realizzato con l'art. 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155; c) ove si ritenga che carattere precipuo della contribuzione figurativa e' il suo collegamento all'erogazione di una prestazione previdenziale per gli eventi tassativamente stabiliti dalle vigenti norme di legge (delle quali la difesa dell'Istituto procede ad una puntuale elencazione), ed ove si ammetta che il trattamento di integrazione salariale ha natura di prestazione previdenziale, dovrebbe correlativamente riconoscersene la cumulabilita' con l'altra prestazione di identica natura consistente nell'accredito della suddetta contribuzione in ogni caso di attribuzione della prima, essendo entrambe giustificabili con l'identica ratio dell'incolpevole perdita di retribuzione, totale o parziale, cui corrisponde un maggiore o minore onere di copertura assicurativa della C.I.G.; d) per converso, puo' osservarsi che rientra nella discrezionalita' del legislatore la gradualita' dell'ampliamento della tutela previdenziale, il quale richiede una pluralita' di atti ed una successione di tempi, come riconosciuto in piu' occasioni anche da questa Corte; e) va anche riconosciuto che il difetto di contribuzione figurativa nei casi di Cassa integrazione corrispondente a semplice contrazione dell'orario di lavoro puo' ripercuotersi sulla retribuzione pensionabile da portare a base di computo dell'entita' della pensione secondo il sistema di cui all'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160. 3. - Si e' costituita anche la parte privata del giudizio a quo rilevando preliminarmente che la norma censurata non sembra, nella sua formulazione, tale da imporre l'interpretazione restrittiva che costituisce il presupposto da cui muove la questione in esame. Subordinatamente, la difesa di detta parte sollecita la declaratoria di incostituzionalita' della norma impugnata. 4. - Infine, e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, la cui difesa ha concluso nel senso dell'infondatezza della questione, osservando in primo luogo che i casi di integrazione salariale per totale sospensione dell'attivita' lavorativa e quelli per semplice contrazione dell'orario di lavoro non sono assimilabili in quanto nei secondi il datore di lavoro continua a versare una retribuzione, ancorche' in misura corrispondentemente ridotta. D'altra parte, tale riduzione non implica necessariamente un pregiudizio per il lavoratore, tenuto conto del periodo limitato in riferimento al quale si esplica l'intervento della Cassa integrazione e, per contro, dell'ampiezza del periodo preso in considerazione dalle vigenti disposizioni ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile. Inefficace viene poi giudicato l'argomento svolto nell'ordinanza di rinvio in riferimento all'art. 21 del d.-l. n. 624/1979, dettato in vista di talune ipotesi di intervento straordinario della Cassa, protrattosi per periodi eccezionalmente lunghi, durante i quali, quindi, il riferimento alle settimane di contribuzione effettiva, a fini della determinazione dell'entita' del trattamento pensionistico, non sarebbe piu' possibile. Nell'imminenza dell'udienza ha depositato memoria Bettuzzi Domenico deducendo preliminarmente che le disposizioni censurate sono state restrittivamente interpretate dal giudice a quo, mentre appaiono tali da giustificare la possibilita' di accredito dei contributi figurativi anche nel caso di cassa integrazione con semplice contrazione dell'orario di lavoro. In sostanza, al lavoratore in cassa integrazione il legislatore tende a garantire tutti i diritti di cui prima godeva, equiparando il periodo di trattamento integrativo a quello di prestazione effettiva di lavoro, in guisa tale da impedire che sulla condizione in cui versa il lavoratore possano ripercuotersi effetti negativi. Cio' giustifica l'intervento in via di interpretazione autentica operato con l'art. 4 del d.-l. n. 463/1983 per chiarire la necessaria equiparazione, ai fini de quibus, dei periodi di integrazione salariale con orario ridotto a quelli con sospensione totale dell'attivita' lavorativa. Solo ove si accedesse all'interpretazione restrittiva fatta propria dal giudice a quo dovrebbe ritenersi fondata la questione in esame, per la disparita' di trattamento cui resterebbero assoggettati i periodi di integrazione salariale rispettivamente antecedenti e successivi alla data del 6 settembre 1972 nonche' tra coloro che possono far valere la sospensione del lavoro a fini pensionistici e coloro che, avendo subito la semplice riduzione dell'orario di lavoro, non possono, relativamente a questa, utilizzare i contributi figurativi per la misura della pensione. Considerato in diritto 1. - Il Pretore di Reggio Emilia dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975, n. 164 il quale, escludendo dalla contribuzione figurativa i periodi di intervento della Cassa integrazione guadagni per contrazione dell'orario di lavoro, violerebbe, a suo avviso, gli artt. 3 e 38 Cost. perche' i lavoratori che subiscono la riduzione di orario risulterebbero discriminati arbitrariamente rispetto ai lavoratori sospesi in toto dall'attivita' lavorativa, ammessi a contribuzione figurativa, sebbene in entrambi i casi si verifichi il medesimo evento della perdita incolpevole della retribuzione ed, inoltre, sarebbero privati della tutela previdenziale, pur in presenza di una perdita di retribuzione dovuta a fatto ad essi non imputabile. 1.1 - La questione non e' fondata. La posizione assicurativa e previdenziale dei lavoratori che continuavano a lavorare, sia pure ad orario ridotto, e subivano una diminuzione della retribuzione, compensata, pero', dalla integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni e, quindi, dello Stato, per molti anni e, quindi, anche nella vigenza della legge n. 164/1975, e' stata tenuta distinta da quella dei lavoratori sospesi in toto dall'attivita' lavorativa, per i quali la perdita della retribuzione era anche essa compensata dall'integrazione salariale di cui innanzi. Per i primi, il versamento dei contributi per l'assicurazione generale obbligatoria contro la vecchiaia, l'invalidita' e i superstiti continuava, sia pure con contribuzione ridotta, commisurata alla retribuzione effettivamente corrisposta; per gli altri, invece, siccome il rapporto di lavoro era sospeso e, quindi, anche la contribuzione obbligatoria, ad evitare il rischio della perdita dell'anzianita' contributiva, della stessa assicurazione obbligatoria e financo del trattamento minimo di pensione, erano riconosciuti a carico dello Stato contributi figurativi. La contribuzione figurativa e' appunto un beneficio concesso agli assicurati della previdenza sociale nel caso in cui essi, per motivi indipendenti dalla loro volonta', non possono lavorare e, quindi, non possono ricavare dal lavoro i mezzi per far fronte alla contribuzione volontaria. Lo Stato contribuisce totalmente al funzionamento della previdenza sociale sotto forma di integrazione delle prestazioni, mentre il lavoratore e' esonerato. Si ricorre alla finzione di considerare quei periodi di inattivita' lavorativa coperti da assicurazione con l'effetto pratico di consentire la liquidazione della pensione mediante il raggiungimento del minimo contributivo oppure, in via mediata e sussidiaria, di garantire la misura della pensione in corrispondenza di aumenti periodici di contribuzione. Con l'art. 8, quarto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 155, le posizioni previdenziali ed assicurative dei due gruppi di lavoratori sono state parificate con il riconoscimento per entrambi dei contributi figurativi. La norma ha dato luogo a dubbi interpretativi in ordine alla sua applicabilita' alle situazioni pregresse non definite. L'art. 4, n. 16, del d.-l. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638/1983 ha normativamente stabilito che i periodi di sospensione o di lavoro ad orario ridotto, successivi al 6 settembre 1972, ammessi ad integrazione salariale, erano riconosciuti utili di ufficio ai fini del diritto e della misura della pensione e dei supplementi di pensione, da liquidare a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidita', la vecchiaia ed i superstiti con decorrenza successiva all'entrata in vigore della legge 23 aprile 1981, n. 155 (13 maggio 1981). Ed anche l'indirizzo giurisprudenziale formatosi sul punto ha escluso la possibile estensione della parificazione alle pensioni liquidate prima dell'entrata in vigore della legge anzidetta, limitandola solo alle pensioni da liquidare dopo la sua entrata in vigore. 2. - Il legislatore ha agito con gradualita'. Trovano, quindi, applicazione i principi piu' volte affermati da questa Corte secondo cui, in materia di revisione o di riforma del sistema previdenziale, attesi anche i conseguenti oneri finanziari, la gradualita' si presenta, proprio per le difficolta' finanziarie da superare, come un modo di essere necessario ed interamente coerente del fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi e appare come caratteristica, del pari necessaria e, comunque, compatibile del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale. E' riservato al legislatore ordinario il compito di determinare, con una razionale considerazione delle esigenze di vita dei lavoratori e delle effettive disponibilita' finanziarie, l'ammontare delle prestazioni o le modifiche della loro misura allo scopo di rendere sempre piu' attuale e costante il rapporto tra quei termini che subiscono variazioni nonche' la scelta dei tempi e dei modi, la completa parificazione dei trattamenti e delle discipline delle situazioni meritevoli di tutela che, fino a quel momento, erano state trattate in modo differente. E tanto piu' non sussiste la violazione degli invocati precetti costituzionali se la diversa disciplina, per il tempo precedente alla parificazione, aveva anche essa una ragionevole giustificazione. Il che e' nella specie. 2.1 - Invero, la situazione dei lavoratori che continuavano a prestare la loro opera, sia pure ad orario ridotto, era diversa da quella dei lavoratori sospesi dal lavoro, onde la diversita' dei trattamenti previdenziali non era del tutto arbitraria ed irrazionale. Per i primi sussisteva solo il rischio della riduzione della misura della pensione. Rischio, peraltro, molto limitato sia perche' la diminuzione del salario poteva trovare compenso in eventuali aumenti retributivi per la progressione per anzianita' o per meriti o per la dinamica salariale, sia perche', in base all'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160, ai fini della determinazione della misura della pensione sono assunti tre gruppi di retribuzione piu' favorevoli di 52 settimane scelte tra le ultime 520 (10 anni) di retribuzione precedenti la data di decorrenza della pensione. Di contro, pero', attesa la limitata durata dei trattamenti di integrazione salariale e di corresponsione dei contributi figurativi, il lavoratore che continuava a lavorare ad orario ridotto, che avesse beneficiato dei suddetti trattamenti, era esposto al rischio, non del tutto impossibile, di non potere piu' avere i trattamenti predetti nel caso in cui alla riduzione di orario fosse succeduta la sospensione del lavoro. E, per avere consumato gia' i benefici previsti, poteva subire finanche il danno, certamente gravissimo, della perdita del trattamento minimo di pensione, non compensabile con la incerta garanzia della misura della pensione. Diversa, fin dall'inizio, la situazione dei lavoratori sospesi. Per essi la contribuzione figurativa era necessitata dalla perdita dell'assicurazione obbligatoria conseguente alla inattivita' lavorativa ed alla cessazione dell'obbligo contributivo. Onde era piu' attuale il pericolo della perdita del trattamento minimo di pensione, mentre meramente secondario era il rischio della riduzione della misura della pensione. La diversa incidenza sui trattamenti previdenziali esigeva sopratutto la tutela della situazione di maggior bisogno in cui versavano i lavoratori sospesi rispetto a quelli che continuavano a lavorare ad orario ridotto, sicche' aveva giustificazione la manifestazione di solidarieta' sociale che si attuava in maggior misura. Rimaneva, pertanto, giustificata la diversita' della disciplina normativa ed irrilevante la sola identita' del presupposto, cioe' la perdita incolpevole della retribuzione che, pero', per un gruppo di lavoratori era solo parziale e per l'altro, invece, era totale. Successivamente, prima l'avvenuto aumento della durata dell'integrazione salariale e l'abolizione, poi, dei limiti temporali, hanno fatto venir meno ogni pericolo ed hanno reso attuabile la piena parificazione dei trattamenti per i due gruppi di lavoratori.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), sollevata dal Pretore di Reggio Emilia in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: GRECO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 31 marzo 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0500