N. 501 SENTENZA 21 aprile - 5 maggio 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiegato dello Stato e pubblico - Magistrati ordinari amministrativi, contabili, militari e procuratori e avvocati dello Stato - Collocamento a riposo anteriormente al 1 luglio 1983 - Riliquidazione delle rispettive pensioni sulla base del trattamento economico disposto con la legge n. 425 del 1984, con decorrenza dalla data del 1 gennaio 1988 - Omessa disposizione - Illegittimita' costituzionale parziale. (Legge 17 aprile 1985, n. 141, artt. 1, 3, primo comma, e 6). (Cost., artt. 3 e 36)(GU n.19 del 11-5-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2, secondo comma, e 3 della legge 29 aprile 1976, n. 177 ("Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza"); dell'art. 18, secondo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria)"); dell'art. 14, quinto comma, del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 ("Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonche' proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1 giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile"), nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 29 febbraio 1980, n. 33; degli artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141 ("Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei pubblici dipendenti"), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 5 giugno 1985 dalla Corte dei conti sui ricorsi riuniti proposti da Ferruggia Carmelo ed altri, iscritta al n. 637 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267- bis dell'anno 1985; 2) ordinanza emessa il 1 ottobre 1986 dalla Corte dei conti sui ricorsi proposti da Finocchi Francesco ed altri, iscritta al n. 820 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visti gli atti di costituzione di Pascasio Michelangelo ed altri, di Ferruggia Carmelo ed altri, di Granito Fernando ed altro, di Geri Vinicio ed altro, di Palermo Tommaso ed altri, di Cintolesi Cesare e di Finocchi Francesco, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola; Uditi gli avvocati Michelangelo Pascasio e Filippo De Jorio per Michelangelo Pascasio ed altri; l'avvocato Umberto Coronas per Ferruggia Carmelo, Granito Fernando ed altri; l'avvocato Tommaso Palermo per se stesso e per Finocchi Francesco ed altri, e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - La Corte dei conti a Sezioni riunite ha sollevato, con ordinanza del 5 giugno 1985 (R.O. n. 637/1985), questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione, degli artt. 2, secondo comma, e 3 della legge 29 aprile 1976, n. 177 ("Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza"), dell'art. 18, secondo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria)"), dell'art. 14, quinto comma, del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 ("Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonche' proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1 giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile"), nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 29 febbraio 1980, n. 33, degli artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141 ("Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei pubblici dipendenti"), nella parte in cui estendono ai pubblici dipendenti in pensione, e in particolare ai magistrati, la normativa concernente la perequazione automatica delle pensioni alla dinamica salariale del settore privato, secondo i meccanismi dettati dalla legge 3 giugno 1975, n. 160, recidendo cosi' ogni collegamento tra la dinamica delle retribuzioni dei magistrati in servizio e la dinamica dei trattamenti pensionistici dei magistrati a riposo. Il giudizio de quo trae origine da numerosi ricorsi proposti davanti alla Corte dei conti da Ferruggia Carmelo ed altri, nella loro qualita' di magistrati ordinari ed amministrativi e di avvocati dello Stato o loro superstiti, con i quali si chiede il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della pensione in godimento, sulla base - e con le relative decorrenze - degli stipendi previsti dalle tabelle annesse alla legge 2 aprile 1979, n. 97, e dalle successive disposizioni di legge riguardanti la categoria, oltre agli interessi corrispettivi e alla rivalutazione delle somme non corrisposte. A sostegno della domanda giudiziale i ricorrenti hanno dedotto che la legge 24 maggio 1951, n. 392, posta a presidio della liberta' e della indipendenza dei magistrati, ne ha disciplinato il trattamento economico in modo autonomo rispetto a quello degli altri dipendenti statali, stabilendo fra l'altro, in favore dei primi, la regola - desumibile dai principi d'ordine costituzionale ai quali si ispira quella speciale normativa e codificata nell'art. 11, secondo comma, della stessa legge n. 392 del 1951 - del permanente adeguamento del trattamento economico dei magistrati a riposo alla retribuzione corrisposta ai colleghi in attivita' di servizio con pari qualifica ed anzianita'. Detta tesi, invero, non e' condivisa dal giudice a quo in quanto il citato art. 11, secondo comma, aveva lo scopo di estendere ai magistrati cessati dal servizio anteriormente alla data di decorrenza dei nuovi stipendi, stabiliti dalla legge stessa, il trattamento di pensione derivante dalla sua applicazione, e non puo', quindi, trattandosi di disposizione confinata in precisi limiti temporali, avere una vigenza in via permanente, ne' puo' essere invocata come norma-guida, perche', anche ammesso che esistano nel sistema norme ordinarie di rango superiore, la stessa formulazione della disposizione non avalla una tesi del genere. Tanto e' vero che i miglioramenti dei trattamenti pensionistici dei magistrati sono stati disposti di volta in volta con apposite leggi di riliquidazione. Non si vede percio' - prosegue l'ordinanza - come la legge n. 177 del 1976, che aveva lo scopo di sostituire al complicato meccanismo della riliquidazione quello di un adeguamento automatico, proprio per accelerare la rivalutazione dei trattamenti economici piu' colpiti dal processo inflattivo allora in atto, non dovesse applicarsi anche alle pensioni dei magistrati. Allo stato della normativa, comunque, l'interpretazione autentica dell'art. 1 della legge n. 177, operata dall'art. 3 della legge 141 del 1985, ha eliminato ogni dubbio, confermando l'orientamento delle Amministrazioni interessate. Anche sul piano costituzionale nessuna garanzia - sostiene il giudice a quo - assicura al lavoratore ne' un trattamento di quiescenza coincidente con lo stipendio fruito all'atto del collocamento a riposo (sentt. n. 124 del 1968 e n. 185 del 1981), ne' una automatica estensione ai pensionati dei miglioramenti retributivi attribuiti al personale in servizio, cosi' che la misura della pensione ben puo' risultare differenziata in ragione della data di cessazione dal servizio (sent. n. 92 del 1975). Circa i profili di illegittimita' costituzionale delle norme impugnate l'ordinanza - dopo aver escluso che si possa prospettare una "non adeguatezza" dei trattamenti pensionistici in questione alle esigenze di vita dei magistrati (art. 38 Cost.) o ad assicurare loro un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.) - individua la violazione del citato art. 36, primo comma, piuttosto nella mancata previsione di criteri che garantiscano trattamenti di quiescenza proporzionati alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. Il contrasto poi con il principio di uguaglianza, il cui ambito di applicazione e' caratterizzato dalla omogeneita' delle situazioni, discende, secondo il giudice a quo, dal fatto che le norme impugnate hanno irrazionalmente disciplinato con eguali regole fattispecie intrinsecamente differenziate. Circa la rilevanza della questione sollevata, osserva il giudice a quo che se le disposizioni censurate venissero dichiarate incostituzionali ne deriverebbe il riconoscimento del diritto dei ricorrenti all'adeguamento della pensione nei termini indicati nell'art. 2, primo comma, della legge n. 177 del 1976, reso inoperante dalle disposizioni successive, della cui costituzionalita' si dubita, ovvero sulla base di indici che il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, riterra' di fissare, nel rispetto ovviamente del principio della proporzionalita' della retribuzione differita, al pari di quella in costanza del rapporto d'impiego, alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. Ne' la rilevanza viene meno - secondo il giudice a quo - alla luce della legge 17 aprile 1985, n. 141, in quanto: a) le nuove disposizioni che riguardano specificamente la magistratura hanno un preciso ambito temporale; b) non tengono conto dei miglioramenti concessi dopo il 1979; c) "disvelano intuitivamente il limitato intendimento di attenuare le conseguenze negative derivanti dall'applicazione della precedente normativa che aveva dato luogo alle c.d. pensioni di annata"; d) non riguardano infine i magistrati cessati dal servizio dopo il 1 gennaio 1979, per i quali continuano a valere gli indici di incremento del settore privato. 2. - Con una seconda ordinanza del 1 ottobre 1986 la stessa Corte dei conti a Sezioni riunite (R.O. n. 820/1986) solleva identica questione di legittimita' costituzionale nel corso di un procedimento originato da una serie di ricorsi, aventi lo stesso oggetto, proposti da Finocchi Francesco e altri magistrati a riposo. Ai profili di incostituzionalita' prospettati con la prima ordinanza del 5 giugno 1985 a) violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, per mancato rispetto della proporzionalita' tra retribuzione e qualita' e quantita' del lavoro prestato, prescrivendo per tutte le pensioni incrementi indifferenziati, che non tengono alcun conto delle retribuzioni spettanti ai lavoratori in servizio; b) violazione dell'art. 3 della Costituzione, per aver dato un'identica disciplina a situazioni giuridicamente differenziate), la Corte dei conti ne aggiunge un altro, ravvisando nelle norme impugnate un'ulteriore lesione del principio di eguaglianza, laddove dispone "trattamenti pensionistici macroscopicamente differenziati in ragione della data del collocamento a riposo". 3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che, assumendo l'infondatezza della questione proposta, osserva anzitutto che il criterio di proporzionalita', stabilito dall'art. 36, primo comma, della Costituzione, non esclude che possano essere disciplinati in modo vario dal legislatore i singoli ordinamenti per meglio adeguarli in concreto alle particolari situazioni, soprattutto in vista dei mezzi finanziari ed organizzativi necessari; ne' il dettato dell'art. 3 della Costituzione impedisce di adottare disposizioni diverse per regolare situazioni considerate per vario aspetto differenti. Proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione - secondo l'Avvocatura - non comportano la coincidenza automatica, nel momento della liquidazione, del trattamento di quiescenza con la retribuzione goduta all'atto di cessazione dal servizio, ovvero con le sue successive variazioni (sent. Corte cost. n. 26 del 1980). D'altra parte il legislatore ha uniformato la sua linea di tendenza in funzione di questo obiettivo ottimale (dalla legge n. 177 del 1976 alla n. 141 del 1985), cosicche' si e' operata una modificazione del trattamento pensionistico relativo alle situazioni pregresse ed esaurite sulla base pensionabile determinata con riferimento al momento del collocamento a riposo. E l'Avvocatura nega che magistrati e avvocati dello Stato possano vantare una specifica autonomia del loro trattamento di quiescenza, in presenza di una normativa comunque perequativa, avente forza cogente per la generalita' dei pensionati statali, nel cui ambito la categoria suddetta non ha mai assunto una veste peculiare. Lo stesso principio della proporzionalita' e' finalizzato ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un minimo di condizioni che permettano un'esistenza "libera e dignitosa". Non possono quindi considerarsi contrarie a detto principio le norme censurate, che, nell'intento di assicurare a tutti i pubblici dipendenti a riposo un "minimo vitale", differenziano, al fine dichiaratamente perequativo, la base pensionabile e il conseguente trattamento economico, in stretta correlazione con la data di cessazione dal servizio attivo; donde logicamente discende una diversita' di trattamento, senza con cio' intaccare il principio di uguaglianza. La tutela del lavoro e della giusta retribuzione - afferma l'Avvocatura - e' posta a salvaguardia della persona del lavoratore e dei suoi bisogni fondamentali, non a garanzia di un perfetto equilibrio tra la prestazione del datore di lavoro e quella del lavoratore, che, una volta in quiescenza, mantenga il diritto ad una retribuzione differita sorretta dalla sinallagmaticita' del cessato rapporto di lavoro. 4. - Si sono costituite nel giudizio davanti a questa Corte le parti, che hanno approfondito le argomentazioni sviluppate nelle ordinanze di rimessione. Considerato in diritto 1. - La Corte dei conti a Sezioni riunite, con ordinanze del 5 giugno 1985 (R.O. n. 637/1985) e del 1 ottobre 1986 (R.O. n. 820/1986), chiede a questa Corte di verificare se contrastino o meno con gli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione, gli artt. 2, secondo comma, e 3 della legge 29 aprile 1976, n. 177; 18, secondo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843; 14, quinto comma, del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 (come modificato dall'art. 1 della legge 29 febbraio 1980, n. 33); 1, 3, primo comma, e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141. In primo luogo, le norme impugnate non prevederebbero "criteri che garantiscano trattamenti proporzionati alla quantita' e alla qualita' del lavoro prestato" in ottemperanza all'art. 36, primo comma, della Costituzione. In secondo luogo, disciplinerebbero "irrazionalmente con eguali regole fattispecie intrinsecamente differenziate", e disporrebbero "trattamenti pensionistici macroscopicamente differenziati in ragione della data del collocamento a riposo", in violazione rispettivamente del principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 2. - La questione e' fondata, nei limiti di cui appresso. Con la legge 29 aprile 1976, n. 177 ("Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza"), il legislatore all'art. 2, primo comma, ha formulato una dichiarazione di intenti: "Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro per il tesoro, sentite le organizzazioni sindacali, saranno stabiliti i criteri per la determinazione annuale dell'indice di incremento delle retribuzioni da applicare sulle pensioni avendo riguardo al confronto tra due periodi consecutivi di dodici mesi ciascuno dei trattamenti economici fondamentali ed accessori, fissi e continuativi, dovuti con carattere di generalita' per le categorie del personale in attivita' di servizio". Sulla base di siffatto indice annuale di incremento delle retribuzioni, si sarebbe dovuto realizzare per perequazione automatica il collegamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni, ai sensi dell'art. 1 della stessa legge n. 177 del 1976. Che tuttavia l'art. 2, primo comma, innanzi citato, non fosse nulla piu' che la indicazione di un programma da attuare in futuro, e' dimostrato dal consecutivo secondo comma: "Sino a quando non sara' determinato l'indice di cui al precedente comma e comunque non oltre l'anno 1978, sara' applicato sulle pensioni l'indice valevole per l'aggancio alla dinamica salariale del settore privato". Il successivo art. 3 stabilisce le percentuali di aumento delle pensioni per l'anno 1976 e per l'anno 1977. Si tratta, come e' evidente, di norme a carattere transitorio, che il legislatore si propone di superare, fissando un termine temporale "non oltre l'anno 1978". Senonche' questo dies ad quem si consuma senza il raggiungimento del programma prefissato, e sopraggiunge la legge 21 dicembre 1978, n. 843 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria)", che all'art. 18 stabilisce la misura percentuale degli aumenti per l'anno 1979 "in attesa della legge di riordino del sistema pensionistico", e nel secondo comma estende la disposizione alle pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177 del 1976. Alla fine dello stesso anno, con decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 ("Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonche' proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1 giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile") convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, all'art. 14, quinto comma, l'applicazione dell'aumento percentuale di cui al primo comma dell'art. 10, legge 3 giugno 1975, n. 160, si estende anche alle pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177 del 1976. Codeste pensioni sono ancora una volta richiamate per ricevere incrementi percentuali dalla legge 17 aprile 1985, n. 141 ("Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei pubblici dipendenti") all'art. 1 e all'art. 3. Gli aumenti previsti dal secondo comma dell'art. 1 sono, ai sensi del successivo art. 6, maggiorati del 20 per cento dal 1 luglio 1985, del 55 per cento dal 1 gennaio 1986 e del 100 per cento dal 1 luglio 1987. Tutte codeste norme, per prassi delle Amministrazioni competenti confermata da interpretazione autentica del legislatore con l'art. 3, secondo comma, della legge n. 141 del 1985, sono state applicate anche al personale di magistratura e assimilato. Con legge 14 novembre 1987, n. 468, di conversione del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, il legislatore, nel provvedere a miglioramenti economici per il personale militare e alla riliquidazione delle pensioni dei dirigenti civili e militari dello Stato e del personale ad essi collegato ed equiparato, non ha ricompreso tra queste le pensioni dei magistrati. 3. - La sequenza delle norme in argomento dimostra che il legislatore non ha realizzato il programma, prefissosi nel 1976, di collegare il trattamento di quiescenza agli incrementi del trattamento del personale in attivita' di servizio. In proposito la Corte non puo' che ribadire gli orientamenti piu' volte gia' espressi: "Dal carattere retributivo delle pensioni deriva che il trattamento di quiescenza deve essere proporzionale alla qualita' e alla durata del lavoro prestato; non deriva che tale trattamento debba essere necessariamente e in ogni caso inferiore al trattamento di servizio attivo. L'applicazione al trattamento pensionistico dell'art. 36 della Costituzione, che si connette al carattere retributivo della pensione, richiede che sia assicurata al pensionato e alla sua famiglia, come all'impiegato in servizio attivo, 'un'esistenza libera e dignitosa'. Appartiene alle valutazioni del legislatore ordinario disporre i mezzi per attuare tale principio, applicando in ogni caso il criterio della proporzionalita' rispetto alla qualita' e quantita' del lavoro prestato durante il servizio attivo; ne' la discrezionalita' del legislatore trova un limite nelle richiamate norme costituzionali, nel senso che egli non possa prevedere che, in casi determinati, il trattamento pensionistico venga economicamente a eguagliarsi al trattamento di servizio attivo, ed eventualmente, sempre in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, possa essere migliore di quello goduto al momento della cessazione del servizio" (sent. n. 124 del 1968). La proporzionalita' ed adeguatezza "non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta" (sentt. n. 26 del 1980 e n. 173 del 1986). 4. - Per il personale di magistratura il divario tra trattamenti di pensione e di servizio si e' accentuato a seguito della legge 6 agosto 1984, n. 425, che ha introdotto una radicale innovazione nella struttura della retribuzione, stabilendo che lo stipendio dei magistrati in servizio alla data del 1 luglio 1983 fosse incrementato di un "beneficio", costituito da quantificazioni corrispettive dei servizi prestati dall'ingresso in carriera sino al 30 giugno 1983. Dato che, secondo il richiamato costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, la pensione deve intendersi come retribuzione differita, ne consegue l'esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo. Pertanto il legislatore, intervenuto con legge 17 aprile 1985, n. 141, avrebbe dovuto perequare le pensioni dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, nonche' dei procuratori e degli avvocati dello Stato alle retribuzioni disposte con la suddetta legge n. 425 del 1984, e non invece stabilire rivalutazioni percentuali di pensioni pregresse del tutto estranee ai criteri adottati per la strutturazione dei nuovi trattamenti retributivi, con conseguente vulnus degli artt. 3 e 36 della Costituzione. La ratio della legge n. 141 del 1985 era quella di riequilibrare un sistema pensionistico che nella sua massima estensione temporale va dal 1976 a tutto il 1987. Poiche' la legge n. 141 del 1985 ha esaurito la sua funzione perequatrice al 31 dicembre 1987, gli effetti della presente decisione che, dichiarando la parziale incostituzionalita' della legge suddetta, ne integra il contenuto normativo limitatamente alla perequazione delle pensioni del personale di magistratura e dell'Avvocatura dello Stato innanzi elencato, hanno inizio dal 1 gennaio 1988.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141 ("Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei pubblici dipendenti"), nella parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non dispongono, a favore dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, nonche' dei procuratori e avvocati dello Stato, collocati a riposo anteriormente al 1 luglio 1983, la riliquidazione, a cura delle Amministrazioni competenti, della pensione sulla base del trattamento economico derivante dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425 ("Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati"), con decorrenza dalla data del 1 gennaio 1988. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: CASAVOLA Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 5 maggio 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0718