N. 501 SENTENZA 21 aprile - 5 maggio 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Impiegato dello Stato e pubblico - Magistrati ordinari
 amministrativi, contabili, militari e procuratori e avvocati dello
 Stato - Collocamento a riposo anteriormente al 1› luglio 1983 -
 Riliquidazione delle rispettive pensioni sulla base del trattamento
 economico disposto con la legge n. 425 del 1984, con  decorrenza
 dalla data del 1› gennaio 1988 - Omessa disposizione  -
 Illegittimita' costituzionale parziale.  (Legge 17 aprile 1985, n.
 141, artt. 1, 3, primo comma, e 6).  (Cost., artt. 3 e 36)
(GU n.19 del 11-5-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 2, secondo
 comma, e 3 della legge 29 aprile 1976, n.  177  ("Collegamento  delle
 pensioni  del  settore  pubblico  alla  dinamica  delle retribuzioni.
 Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale  statale  e
 degli  iscritti  alle  casse pensioni degli istituti di previdenza");
 dell'art. 18, secondo comma, della legge 21  dicembre  1978,  n.  843
 ("Disposizioni  per  la formazione del bilancio annuale e pluriennale
 dello Stato (legge finanziaria)"); dell'art. 14,  quinto  comma,  del
 decreto-legge  30  dicembre 1979, n. 663 ("Finanziamento del Servizio
 sanitario nazionale nonche' proroga  dei  contratti  stipulati  dalle
 pubbliche  amministrazioni in base alla legge 1› giugno 1977, n. 285,
 sulla occupazione giovanile"), nel testo sostituito dall'art. 1 della
 legge  29  febbraio  1980,  n. 33; degli artt. 1, 3, primo comma, e 6
 della legge 17 aprile 1985, n.  141  ("Perequazione  dei  trattamenti
 pensionistici  in  atto  dei  pubblici  dipendenti"), promossi con le
 seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 5 giugno 1985 dalla Corte dei conti sui
 ricorsi riuniti proposti da Ferruggia Carmelo ed altri,  iscritta  al
 n.  637  del  registro  ordinanze  1985  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 267- bis dell'anno 1985;
      2) ordinanza emessa il 1› ottobre 1986 dalla Corte dei conti sui
 ricorsi proposti da Finocchi Francesco ed altri, iscritta al  n.  820
 del  registro  ordinanze  1986  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1987;
    Visti  gli atti di costituzione di Pascasio Michelangelo ed altri,
 di Ferruggia Carmelo ed altri, di Granito Fernando ed altro, di  Geri
 Vinicio  ed altro, di Palermo Tommaso ed altri, di Cintolesi Cesare e
 di Finocchi Francesco, nonche' gli atti di intervento del  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  gli  avvocati  Michelangelo Pascasio e Filippo De Jorio per
 Michelangelo  Pascasio  ed  altri;  l'avvocato  Umberto  Coronas  per
 Ferruggia  Carmelo,  Granito  Fernando  ed  altri; l'avvocato Tommaso
 Palermo per se stesso e per Finocchi Francesco ed altri, e l'Avvocato
 dello  Stato  Giuseppe  Nucaro  per  il  Presidente del Consiglio dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
     1.  -  La  Corte  dei  conti  a Sezioni riunite ha sollevato, con
 ordinanza  del  5  giugno  1985  (R.O.  n.  637/1985),  questione  di
 legittimita'  costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36, primo
 comma, della Costituzione, degli artt. 2, secondo comma,  e  3  della
 legge  29  aprile  1976,  n.  177  ("Collegamento  delle pensioni del
 settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento  del
 trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle
 casse pensioni degli istituti di previdenza"), dell'art. 18,  secondo
 comma,  della  legge  21  dicembre 1978, n. 843 ("Disposizioni per la
 formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
 finanziaria)"),  dell'art.  14,  quinto  comma,  del decreto-legge 30
 dicembre  1979,  n.  663  ("Finanziamento  del   Servizio   sanitario
 nazionale  nonche'  proroga  dei  contratti stipulati dalle pubbliche
 amministrazioni in base alla legge 1›  giugno  1977,  n.  285,  sulla
 occupazione giovanile"), nel testo sostituito dall'art. 1 della legge
 29 febbraio 1980, n. 33, degli artt. 1, 3, primo  comma,  e  6  della
 legge   17   aprile  1985,  n.  141  ("Perequazione  dei  trattamenti
 pensionistici in atto dei pubblici dipendenti"), nella parte  in  cui
 estendono  ai  pubblici  dipendenti  in pensione, e in particolare ai
 magistrati, la normativa concernente la perequazione automatica delle
 pensioni  alla  dinamica  salariale  del  settore  privato, secondo i
 meccanismi dettati dalla legge 3 giugno 1975, n. 160, recidendo cosi'
 ogni  collegamento  tra la dinamica delle retribuzioni dei magistrati
 in  servizio  e  la  dinamica  dei  trattamenti   pensionistici   dei
 magistrati a riposo.
    Il  giudizio  de  quo  trae  origine  da numerosi ricorsi proposti
 davanti alla Corte dei conti da Ferruggia  Carmelo  ed  altri,  nella
 loro  qualita' di magistrati ordinari ed amministrativi e di avvocati
 dello  Stato  o  loro  superstiti,  con  i   quali   si   chiede   il
 riconoscimento  del  diritto  alla  riliquidazione  della pensione in
 godimento, sulla base - e con le relative decorrenze - degli stipendi
 previsti  dalle  tabelle  annesse  alla legge 2 aprile 1979, n. 97, e
 dalle successive disposizioni  di  legge  riguardanti  la  categoria,
 oltre  agli  interessi corrispettivi e alla rivalutazione delle somme
 non corrisposte.
    A sostegno della domanda giudiziale i ricorrenti hanno dedotto che
 la legge 24 maggio 1951, n. 392, posta a presidio  della  liberta'  e
 della  indipendenza dei magistrati, ne ha disciplinato il trattamento
 economico in modo autonomo rispetto a quello degli  altri  dipendenti
 statali,  stabilendo  fra  l'altro,  in favore dei primi, la regola -
 desumibile dai principi d'ordine costituzionale ai  quali  si  ispira
 quella  speciale  normativa e codificata nell'art. 11, secondo comma,
 della stessa legge n. 392 del 1951 - del permanente  adeguamento  del
 trattamento  economico  dei  magistrati  a  riposo  alla retribuzione
 corrisposta ai colleghi in attivita' di servizio con  pari  qualifica
 ed anzianita'.
    Detta  tesi,  invero, non e' condivisa dal giudice a quo in quanto
 il citato art. 11, secondo comma, aveva  lo  scopo  di  estendere  ai
 magistrati cessati dal servizio anteriormente alla data di decorrenza
 dei nuovi stipendi, stabiliti dalla legge stessa, il  trattamento  di
 pensione  derivante  dalla  sua  applicazione,  e  non  puo', quindi,
 trattandosi di disposizione confinata in  precisi  limiti  temporali,
 avere  una  vigenza  in via permanente, ne' puo' essere invocata come
 norma-guida, perche', anche ammesso che esistano  nel  sistema  norme
 ordinarie   di   rango   superiore,   la  stessa  formulazione  della
 disposizione non avalla una tesi del genere.  Tanto  e'  vero  che  i
 miglioramenti dei trattamenti pensionistici dei magistrati sono stati
 disposti di volta in volta con apposite leggi di riliquidazione.
    Non  si vede percio' - prosegue l'ordinanza - come la legge n. 177
 del 1976, che aveva lo scopo di sostituire al  complicato  meccanismo
 della riliquidazione quello di un adeguamento automatico, proprio per
 accelerare la rivalutazione dei trattamenti  economici  piu'  colpiti
 dal  processo inflattivo allora in atto, non dovesse applicarsi anche
 alle pensioni dei magistrati. Allo stato della  normativa,  comunque,
 l'interpretazione  autentica  dell'art. 1 della legge n. 177, operata
 dall'art. 3 della legge 141  del  1985,  ha  eliminato  ogni  dubbio,
 confermando l'orientamento delle Amministrazioni interessate.
    Anche  sul  piano  costituzionale  nessuna  garanzia - sostiene il
 giudice a  quo  -  assicura  al  lavoratore  ne'  un  trattamento  di
 quiescenza   coincidente   con   lo  stipendio  fruito  all'atto  del
 collocamento a riposo (sentt. n. 124 del 1968 e n. 185 del 1981), ne'
 una automatica estensione ai pensionati dei miglioramenti retributivi
 attribuiti al personale  in  servizio,  cosi'  che  la  misura  della
 pensione  ben  puo'  risultare differenziata in ragione della data di
 cessazione dal servizio (sent. n. 92 del 1975).
    Circa  i  profili  di  illegittimita'  costituzionale  delle norme
 impugnate l'ordinanza - dopo aver escluso che  si  possa  prospettare
 una "non adeguatezza" dei trattamenti pensionistici in questione alle
 esigenze di vita dei magistrati (art. 38 Cost.) o ad assicurare  loro
 un'esistenza  libera  e  dignitosa  (art.  36  Cost.)  - individua la
 violazione del citato art. 36, primo comma, piuttosto  nella  mancata
 previsione  di  criteri  che  garantiscano  trattamenti di quiescenza
 proporzionati alla quantita' e qualita' del lavoro prestato.
    Il contrasto poi con il principio di uguaglianza, il cui ambito di
 applicazione e' caratterizzato dalla  omogeneita'  delle  situazioni,
 discende,  secondo il giudice a quo, dal fatto che le norme impugnate
 hanno irrazionalmente  disciplinato  con  eguali  regole  fattispecie
 intrinsecamente differenziate.
    Circa la rilevanza della questione sollevata, osserva il giudice a
 quo  che  se   le   disposizioni   censurate   venissero   dichiarate
 incostituzionali  ne  deriverebbe  il  riconoscimento del diritto dei
 ricorrenti  all'adeguamento  della  pensione  nei  termini   indicati
 nell'art.  2,  primo  comma,  della  legge  n.  177  del  1976,  reso
 inoperante dalle disposizioni successive, della cui costituzionalita'
 si   dubita,   ovvero  sulla  base  di  indici  che  il  legislatore,
 nell'esercizio del suo potere discrezionale, riterra' di fissare, nel
 rispetto   ovviamente  del  principio  della  proporzionalita'  della
 retribuzione differita, al pari di quella in  costanza  del  rapporto
 d'impiego, alla quantita' e qualita' del lavoro prestato.
    Ne' la rilevanza viene meno - secondo il giudice a quo - alla luce
 della  legge  17  aprile  1985,  n.  141,  in  quanto:  a)  le  nuove
 disposizioni  che  riguardano specificamente la magistratura hanno un
 preciso ambito temporale; b)  non  tengono  conto  dei  miglioramenti
 concessi  dopo  il  1979;  c)  "disvelano  intuitivamente il limitato
 intendimento  di  attenuare   le   conseguenze   negative   derivanti
 dall'applicazione  della  precedente  normativa  che aveva dato luogo
 alle c.d. pensioni di annata"; d) non riguardano infine i  magistrati
 cessati  dal servizio dopo il 1› gennaio 1979, per i quali continuano
 a valere gli indici di incremento del settore privato.
    2. - Con una seconda ordinanza del 1› ottobre 1986 la stessa Corte
 dei conti a Sezioni  riunite  (R.O.  n.  820/1986)  solleva  identica
 questione di legittimita' costituzionale nel corso di un procedimento
 originato da una serie di ricorsi, aventi lo stesso oggetto, proposti
 da Finocchi Francesco e altri magistrati a riposo.
    Ai   profili  di  incostituzionalita'  prospettati  con  la  prima
 ordinanza del 5 giugno 1985 a) violazione dell'art. 36, primo  comma,
 della  Costituzione,  per mancato rispetto della proporzionalita' tra
 retribuzione e qualita' e quantita' del lavoro prestato, prescrivendo
 per  tutte  le  pensioni  incrementi indifferenziati, che non tengono
 alcun conto delle retribuzioni spettanti ai lavoratori  in  servizio;
 b)   violazione   dell'art.  3  della  Costituzione,  per  aver  dato
 un'identica disciplina a situazioni giuridicamente differenziate), la
 Corte  dei  conti  ne  aggiunge  un  altro,  ravvisando  nelle  norme
 impugnate un'ulteriore lesione del principio di eguaglianza,  laddove
 dispone "trattamenti pensionistici macroscopicamente differenziati in
 ragione della data del collocamento a riposo".
    3.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  dello  Stato,  che,
 assumendo  l'infondatezza della questione proposta, osserva anzitutto
 che il criterio di proporzionalita', stabilito  dall'art.  36,  primo
 comma,   della   Costituzione,   non   esclude   che  possano  essere
 disciplinati in modo vario dal legislatore i singoli ordinamenti  per
 meglio adeguarli in concreto alle particolari situazioni, soprattutto
 in vista dei mezzi finanziari  ed  organizzativi  necessari;  ne'  il
 dettato   dell'art.   3  della  Costituzione  impedisce  di  adottare
 disposizioni diverse per regolare situazioni  considerate  per  vario
 aspetto differenti.
    Proporzionalita'  ed  adeguatezza  della  retribuzione  -  secondo
 l'Avvocatura - non comportano la coincidenza automatica, nel  momento
 della liquidazione, del trattamento di quiescenza con la retribuzione
 goduta all'atto  di  cessazione  dal  servizio,  ovvero  con  le  sue
 successive  variazioni  (sent.  Corte  cost. n. 26 del 1980). D'altra
 parte il legislatore ha  uniformato  la  sua  linea  di  tendenza  in
 funzione  di  questo  obiettivo ottimale (dalla legge n. 177 del 1976
 alla n. 141 del 1985), cosicche' si e' operata una modificazione  del
 trattamento  pensionistico  relativo  alle  situazioni  pregresse  ed
 esaurite sulla  base  pensionabile  determinata  con  riferimento  al
 momento del collocamento a riposo. E l'Avvocatura nega che magistrati
 e avvocati dello Stato possano vantare una  specifica  autonomia  del
 loro trattamento di quiescenza, in presenza di una normativa comunque
 perequativa, avente forza cogente per la generalita'  dei  pensionati
 statali,  nel cui ambito la categoria suddetta non ha mai assunto una
 veste peculiare.
    Lo  stesso  principio  della  proporzionalita'  e'  finalizzato ad
 assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un minimo di  condizioni
 che  permettano un'esistenza "libera e dignitosa". Non possono quindi
 considerarsi contrarie a detto principio  le  norme  censurate,  che,
 nell'intento  di assicurare a tutti i pubblici dipendenti a riposo un
 "minimo vitale", differenziano, al fine dichiaratamente  perequativo,
 la  base  pensionabile  e  il  conseguente  trattamento economico, in
 stretta correlazione con la data di cessazione dal  servizio  attivo;
 donde  logicamente  discende una diversita' di trattamento, senza con
 cio' intaccare il principio di uguaglianza. La tutela  del  lavoro  e
 della  giusta  retribuzione  -  afferma  l'Avvocatura  -  e'  posta a
 salvaguardia  della  persona  del  lavoratore  e  dei  suoi   bisogni
 fondamentali,  non  a  garanzia  di  un  perfetto  equilibrio  tra la
 prestazione del datore di lavoro e quella del  lavoratore,  che,  una
 volta   in  quiescenza,  mantenga  il  diritto  ad  una  retribuzione
 differita sorretta dalla sinallagmaticita' del  cessato  rapporto  di
 lavoro.
    4.  -  Si  sono  costituite nel giudizio davanti a questa Corte le
 parti, che hanno  approfondito  le  argomentazioni  sviluppate  nelle
 ordinanze di rimessione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  dei conti a Sezioni riunite, con ordinanze del 5
 giugno 1985 (R.O. n.  637/1985)  e  del  1›  ottobre  1986  (R.O.  n.
 820/1986),  chiede a questa Corte di verificare se contrastino o meno
 con gli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione, gli  artt.  2,
 secondo  comma,  e  3 della legge 29 aprile 1976, n. 177; 18, secondo
 comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843; 14,  quinto  comma,  del
 decreto-legge  30  dicembre 1979, n. 663 (come modificato dall'art. 1
 della legge 29 febbraio 1980, n. 33); 1, 3, primo comma,  e  6  della
 legge 17 aprile 1985, n. 141.
     In  primo  luogo,  le norme impugnate non prevederebbero "criteri
 che garantiscano trattamenti  proporzionati  alla  quantita'  e  alla
 qualita'  del  lavoro  prestato"  in  ottemperanza all'art. 36, primo
 comma, della Costituzione.
    In  secondo  luogo,  disciplinerebbero "irrazionalmente con eguali
 regole fattispecie intrinsecamente  differenziate",  e  disporrebbero
 "trattamenti pensionistici macroscopicamente differenziati in ragione
 della data del collocamento a riposo", in violazione  rispettivamente
 del  principio  di  ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3
 della Costituzione.
    2. - La questione e' fondata, nei limiti di cui appresso.
    Con  la legge 29 aprile 1976, n. 177 ("Collegamento delle pensioni
 del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni.  Miglioramento
 del  trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti
 alle casse pensioni degli istituti di  previdenza"),  il  legislatore
 all'art.  2,  primo comma, ha formulato una dichiarazione di intenti:
 "Con  decreto  del  Presidente  della  Repubblica,  su  proposta  del
 Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro per
 il tesoro, sentite le organizzazioni sindacali, saranno  stabiliti  i
 criteri per la determinazione annuale dell'indice di incremento delle
 retribuzioni da applicare sulle pensioni avendo riguardo al confronto
 tra  due  periodi consecutivi di dodici mesi ciascuno dei trattamenti
 economici fondamentali ed accessori, fissi e continuativi, dovuti con
 carattere  di generalita' per le categorie del personale in attivita'
 di servizio".
    Sulla   base  di  siffatto  indice  annuale  di  incremento  delle
 retribuzioni,  si  sarebbe   dovuto   realizzare   per   perequazione
 automatica   il  collegamento  delle  pensioni  alla  dinamica  delle
 retribuzioni, ai sensi dell'art. 1 della  stessa  legge  n.  177  del
 1976.  Che  tuttavia l'art. 2, primo comma, innanzi citato, non fosse
 nulla piu' che la indicazione di un programma da attuare  in  futuro,
 e' dimostrato dal consecutivo secondo comma: "Sino a quando non sara'
 determinato l'indice di cui al precedente comma e comunque non  oltre
 l'anno  1978,  sara'  applicato  sulle pensioni l'indice valevole per
 l'aggancio  alla  dinamica  salariale  del   settore   privato".   Il
 successivo art. 3 stabilisce le percentuali di aumento delle pensioni
 per l'anno 1976 e per l'anno 1977.
    Si tratta, come e' evidente, di norme a carattere transitorio, che
 il legislatore si propone di superare, fissando un termine  temporale
 "non oltre l'anno 1978".
    Senonche'  questo  dies ad quem si consuma senza il raggiungimento
 del programma prefissato, e sopraggiunge la legge 21  dicembre  1978,
 n.  843  "Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale e
 pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria)",  che  all'art.   18
 stabilisce  la  misura  percentuale degli aumenti per l'anno 1979 "in
 attesa della legge di riordino  del  sistema  pensionistico",  e  nel
 secondo comma estende la disposizione alle pensioni di cui all'art. 1
 della legge n. 177 del 1976.
    Alla  fine  dello stesso anno, con decreto-legge 30 dicembre 1979,
 n. 663  ("Finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  nonche'
 proroga  dei  contratti  stipulati dalle pubbliche amministrazioni in
 base alla legge 1› giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile")
 convertito  con  modificazioni  nella  legge 29 febbraio 1980, n. 33,
 all'art. 14, quinto comma, l'applicazione dell'aumento percentuale di
 cui  al  primo  comma  dell'art.  10, legge 3 giugno 1975, n. 160, si
 estende anche alle pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177  del
 1976.  Codeste pensioni sono ancora una volta richiamate per ricevere
 incrementi  percentuali  dalla  legge  17   aprile   1985,   n.   141
 ("Perequazione  dei  trattamenti  pensionistici  in atto dei pubblici
 dipendenti") all'art.  1 e  all'art.  3.  Gli  aumenti  previsti  dal
 secondo  comma  dell'art.  1  sono,  ai  sensi del successivo art. 6,
 maggiorati del 20 per cento dal 1› luglio 1985, del 55 per cento  dal
 1› gennaio 1986 e del 100 per cento dal 1› luglio 1987.
    Tutte  codeste  norme, per prassi delle Amministrazioni competenti
 confermata da interpretazione autentica del legislatore con l'art. 3,
 secondo  comma,  della  legge  n.  141 del 1985, sono state applicate
 anche al personale di magistratura e assimilato.
    Con   legge   14   novembre  1987,  n.  468,  di  conversione  del
 decreto-legge  16  settembre  1987,  n.  379,  il  legislatore,   nel
 provvedere a miglioramenti economici per il personale militare e alla
 riliquidazione delle pensioni dei dirigenti civili e  militari  dello
 Stato  e  del  personale  ad  essi  collegato  ed  equiparato, non ha
 ricompreso tra queste le pensioni dei magistrati.
    3.  -  La  sequenza  delle  norme  in  argomento  dimostra  che il
 legislatore non ha realizzato il programma, prefissosi nel  1976,  di
 collegare   il   trattamento   di   quiescenza  agli  incrementi  del
 trattamento del personale in attivita' di servizio.
    In  proposito la Corte non puo' che ribadire gli orientamenti piu'
 volte gia' espressi: "Dal carattere retributivo delle pensioni deriva
 che  il  trattamento  di  quiescenza  deve  essere proporzionale alla
 qualita' e alla durata del  lavoro  prestato;  non  deriva  che  tale
 trattamento  debba essere necessariamente e in ogni caso inferiore al
 trattamento  di  servizio  attivo.  L'applicazione   al   trattamento
 pensionistico  dell'art.  36  della  Costituzione, che si connette al
 carattere retributivo della pensione, richiede che sia assicurata  al
 pensionato  e  alla  sua  famiglia,  come  all'impiegato  in servizio
 attivo,  'un'esistenza   libera   e   dignitosa'.   Appartiene   alle
 valutazioni  del  legislatore  ordinario disporre i mezzi per attuare
 tale  principio,  applicando  in  ogni   caso   il   criterio   della
 proporzionalita'  rispetto  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
 prestato durante il servizio  attivo;  ne'  la  discrezionalita'  del
 legislatore  trova  un  limite nelle richiamate norme costituzionali,
 nel senso che egli non possa prevedere che, in casi  determinati,  il
 trattamento  pensionistico  venga  economicamente  a  eguagliarsi  al
 trattamento di servizio attivo, ed eventualmente, sempre in relazione
 alla  quantita' e qualita' del lavoro prestato, possa essere migliore
 di quello goduto al momento della cessazione del servizio" (sent.  n.
 124 del 1968).
    La proporzionalita' ed adeguatezza "non devono sussistere soltanto
 al  momento  del  collocamento  a  riposo,  ma  vanno   costantemente
 assicurate  anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere
 d'acquisto della moneta" (sentt. n. 26 del 1980 e n. 173 del 1986).
    4.  -  Per il personale di magistratura il divario tra trattamenti
 di pensione e di servizio si e' accentuato a seguito  della  legge  6
 agosto 1984, n. 425, che ha introdotto una radicale innovazione nella
 struttura  della  retribuzione,  stabilendo  che  lo  stipendio   dei
 magistrati   in   servizio   alla  data  del  1›  luglio  1983  fosse
 incrementato  di  un  "beneficio",  costituito   da   quantificazioni
 corrispettive  dei servizi prestati dall'ingresso in carriera sino al
 30 giugno 1983.
     Dato   che,   secondo  il  richiamato  costante  indirizzo  della
 giurisprudenza di questa Corte,  la  pensione  deve  intendersi  come
 retribuzione  differita,  ne  consegue  l'esigenza  di  una  costante
 adeguazione del  trattamento  di  quiescenza  alle  retribuzioni  del
 servizio attivo.
    Pertanto  il legislatore, intervenuto con legge 17 aprile 1985, n.
 141, avrebbe dovuto perequare le pensioni  dei  magistrati  ordinari,
 amministrativi,  contabili, militari, nonche' dei procuratori e degli
 avvocati dello Stato alle retribuzioni disposte con la suddetta legge
 n.  425 del 1984, e non invece stabilire rivalutazioni percentuali di
 pensioni pregresse del tutto estranee  ai  criteri  adottati  per  la
 strutturazione  dei  nuovi  trattamenti  retributivi, con conseguente
 vulnus degli artt. 3 e 36 della Costituzione.
    La  ratio  della legge n. 141 del 1985 era quella di riequilibrare
 un sistema pensionistico che nella sua massima  estensione  temporale
 va dal 1976 a tutto il 1987.
    Poiche'  la  legge  n.  141  del  1985 ha esaurito la sua funzione
 perequatrice  al  31  dicembre  1987,  gli  effetti  della   presente
 decisione  che,  dichiarando  la  parziale  incostituzionalita' della
 legge suddetta, ne integra il contenuto normativo limitatamente  alla
 perequazione   delle   pensioni   del  personale  di  magistratura  e
 dell'Avvocatura dello Stato innanzi elencato,  hanno  inizio  dal  1›
 gennaio 1988.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale degli artt. 1, 3, primo
 comma, e 6 della legge 17 aprile  1985,  n.  141  ("Perequazione  dei
 trattamenti  pensionistici  in  atto dei pubblici dipendenti"), nella
 parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non dispongono,  a
 favore  dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari,
 nonche' dei procuratori e avvocati dello Stato,  collocati  a  riposo
 anteriormente  al  1›  luglio  1983,  la riliquidazione, a cura delle
 Amministrazioni competenti, della pensione sulla base del trattamento
 economico derivante dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6
 agosto 1984, n. 425 ("Disposizioni relative al trattamento  economico
 dei magistrati"), con decorrenza dalla data del 1› gennaio 1988.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 maggio 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 88C0718