N. 505 SENTENZA 21 aprile - 5 maggio 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Provincia autonoma di Bolzano - Masi chiusi - Vendita o assegnazione
 forzata del maso intervenuta entro dieci anni dall'assunzione -
 Divisione suppletoria - Obbbligazione dell'assuntore verso i coeredi
 - Conferimento alla massa ereditaria dell'eccedenza del ricavo dalla
 vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione, previa
 deduzione di eventuali spese inerenti all'assunzione e del valore
 delle migliorie apportate al maso - Omessa previsione -
 Illegittimita'  costituzionale parziale.  (Legge prov. Bolzano 29
 marzo 1954, n. 1, art. 30).  (Cost., art. 3).  Provincia autonoma di
 Bolzano - Masi chiusi - Vendita del maso  Prezzo di assunzione del
 maso - Rivalutazione monetaria ai fini  del calcolo dell'eccedenza
 del ricavo dell'alienazione - Omessa  previsione - Non fondatezza.
 (Legge prov. Bolzano 29 marzo 1954, n. 1, art. 30).  (Cost., artt. 3,
 42 e 44)
(GU n.19 del 11-5-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 29 del testo
 unico approvato con decreto del Presidente della  Giunta  provinciale
 di  Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 "Approvazione del testo unificato
 delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi";  dell'art.
 30  del testo unico approvato con decreto del Presidente della Giunta
 provinciale di Bolzano 7 febbraio 1962, n. 8 "Approvazione del  testo
 unico  delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi nella
 Provincia di Bolzano" e  dell'art.  30  della  legge  provinciale  di
 Bolzano  29  marzo  1954, n. 1, modificato dalla legge provinciale di
 Bolzano 25 dicembre 1959, n. 10 "Norme modificatrici,  interpretative
 ed  integrative  delle  leggi  provinciali  29  marzo  1954  n. 1 e 2
 settembre 1954 n. 2 contenenti le norme fondamentali sull'ordinamento
 dei  masi chiusi", promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1980 dal
 Tribunale di Bolzano nei procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra
 Pircher  Paul, Pircher Theresia ed altri e Pircher Franz, iscritta al
 n. 520 del  registro  ordinanze  1980  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 277 dell'anno 1980;
    Visto l'atto di costituzione di Pircher Theresia ed altri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 9 marzo 1988 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Udito l'avv. Giovanni Rotunno per Pircher Theresia ed altri;
                            Ritenuto in fatto
    1.  - Il Tribunale di Bolzano, con ordinanza del 21 marzo 1980, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli
 artt.  3,  42  e  44  Cost.,  dell'art. 30 della legge provinciale di
 Bolzano 29 marzo 1954 n. 1 (art. 29 del t.u. delle leggi  provinciali
 sull'ordinamento   dei   masi   chiusi,  approvato  con  decreto  del
 presidente della giunta provinciale 28 dicembre  1978  n.  32)  nella
 parte  in  cui  esclude il diritto dei coeredi verso l'assuntore alla
 divisione suppletoria dell'eccedenza del ricavo dall'alienazione  del
 maso  chiuso  sul  prezzo  di  assunzione  nel  caso di trasferimento
 coattivo,  e  in  particolare  di  vendita  in  un  procedimento   di
 esecuzione  forzata.  Nella  specie il prezzo di assunzione era stato
 fissato dal Pretore in L. 10.066.660, con la quale somma  l'assuntore
 aveva  tacitato  i  diritti  di  legittima  sul maso dei suoi tredici
 fratelli.   Successivamente,   essendosi    l'assuntore    fortemente
 indebitato,  il  maso  fu messo all'asta dai creditori ricavandone un
 prezzo di aggiudicazione  di  L.  234.000.000,  con  un'eccedenza  in
 favore del debitore di lire 54.000.000.
    La  disposizione impugnata prevede che la differenza tra il prezzo
 di assunzione (calcolato  sul  valore  di  reddito,  non  sul  valore
 venale)  e  il  ricavo  dall'alienazione  del  maso,  ove  questa sia
 intervenuta entro dieci anni dall'assunzione, sia versata alla  massa
 ereditaria,  ai  fini di un supplemento di divisione, solo in caso di
 alienazione "volontaria", restandone cosi'  esclusi  i  trasferimenti
 coattivi, salva soltanto, ove si tratti di espropriazione forzata, la
 prova della simulazione del debito.
    Secondo   il   giudice   a   quo  tale  limitazione  e'  priva  di
 giustificazione razionale, e quindi viola  l'art.  3  Cost.,  ove  si
 consideri  che anche un'alienazione non volontaria puo' far acquisire
 all'assuntore in tutto o in parte il valore commerciale del fondo,  e
 al   pari   della  vendita  volontaria  lo  spoglia  della  veste  di
 coltivatore, funzionale agli interessi generali economici alla  buona
 coltivazione.  Il  principio  di  eguaglianza esige che la regola del
 primo  comma  della  norma  in  questione  sia  estesa  a  tutte   le
 alienazioni,  essendo la limitazione a quelle volontarie giustificata
 soltanto per le norme del terzo e del quarto comma.
    Sarebbero  inoltre  violati  anche gli artt. 42 e 44 Cost. perche'
 "l'esclusione del diritto alla divisione suppletoria sul ricavato  da
 alienazione   coattiva   comporta   un   operare  della  compressione
 quantitativa dei diritti di  comproprieta'  ereditaria  anche  quando
 siano  venute  meno  le  ragioni  di  favore dell'assuntore, che dopo
 l'alienazione  non  e'  piu'  colui  che  contribuisce  al  razionale
 sfruttamento   del  suolo  e  alla  salvezza  dell'economia  agricola
 montana; con un risultato che contrasta anche  con  le  finalita'  di
 perseguimento di equi rapporti sociali".
    2.   -   Subordinatamente   all'accoglimento  della  questione  di
 costituzionalita'  sopra  esposta,  il  Tribunale   di   Bolzano   ha
 sollevato,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri  costituzionali,
 un'altra  questione  di  legittimita'  dell'art.   30   della   legge
 provinciale  citata,  "in  quanto  nel  rapporto differenziale tra il
 prezzo di assunzione e quello di  vendita  infradecennale  non  tiene
 conto  per  la  spettanza e l'entita' della divisione suppletoria del
 tempo intercorso, con idonea rivalutazione monetaria  del  prezzo  di
 assunzione".
    3.  -  Nel  giudizio davanti alla Corte si sono costituite quattro
 delle  parti  attrici  nel  giudizio  principale;  non  ha   spiegato
 intervento il Presidente della giunta provinciale di Bolzano.
    Le   parti   private,  con  argomenti  analoghi  a  quelli  svolti
 nell'ordinanza di  rimessione,  insistono  per  l'accoglimento  della
 questione.  In  una  memoria  illustrativa, depositata il 17 febbraio
 scorso, fanno inoltre presente che nel frattempo  e'  intervenuta  la
 legge  provinciale  26 marzo 1982 n. 10, introduttiva nel testo unico
 citato di un  art.  29/a,  che  estende  il  diritto  alla  divisione
 suppletoria  al  caso  di  vendita  o  assegnazione forzata del maso,
 limitatamente  pero'  al  residuo  finale   spettante   al   debitore
 esecutato,  dedotte  eventuali  spese  inerenti  all'assunzione  e al
 miglioramento del maso. Comunque, questa  nuova  norma,  non  essendo
 retroattiva, non e' applicabile nel caso di specie.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  norma  sottoposta  a  scrutinio di costituzionalita' e'
 l'art. 30 della legge della Provincia di Bolzano 29 marzo 1954 n.  1,
 ordinato  come  art.  29  nel testo unificato dalle leggi provinciali
 sull'ordinamento  dei  masi  chiusi,  approvato   con   decreto   del
 Presidente  della  Giunta  provinciale  28  dicembre  1978 n. 32. Non
 vengono in considerazione, in quanto  non  applicabili  nel  caso  di
 specie,  ne'  il  testo  dell'art.  29, primo comma, ne' l'art. 29/a,
 successivamente introdotti nel citato testo unico dagli artt. 7  e  9
 della legge provinciale 26 marzo 1982 n. 10.
    2. - La questione e' fondata.
    La  norma  denunziata  attribuisce  ai  coeredi  dell'assuntore il
 diritto  a  un  supplemento  di  divisione  (recte:  a  una   seconda
 divisione)   -   previo  conferimento  alla  massa  ereditaria  della
 differenza tra il prezzo di assunzione e  il  prezzo  ricavato  dalla
 vendita  del  maso  intervenuta  entro  dieci  anni  dall'assunzione,
 "decurtata del valore di eventuali miglioramenti da lui eseguiti,  da
 stimarsi  da  esperti"  -  solo nel caso di vendita "volontaria", non
 anche nel caso di  vendita  o  assegnazione  in  un  procedimento  di
 esecuzione  forzata. Il limite risponde a una ratio legis orientata a
 coniugare una misura di equita'  con  una  misura  sanzionatoria  del
 comportamento dell'assuntore, che ha alienato il maso, appropriandosi
 del suo valore commerciale, prima di avere soddisfatto, coltivando il
 fondo  per  un  periodo di tempo ragionevole (valutato dalla legge in
 dieci anni dall'assunzione, ossia dall'apertura  della  successione),
 le  finalita'  di utilita' sociale in vista delle quali gli era stato
 concesso di assumere il maso a un prezzo  agevolato,  commisurato  al
 valore  di reddito anziche' al valore venale. Alla radice della norma
 sta  la  concezione  della  proprieta'  -  sviluppata  dalla  cultura
 religioso-giuridica   germanica   -  come  dotazione  o  attrezzatura
 dell'"ufficio"  al   quale   Dio   ha   chiamato   il   proprietario,
 costituendolo  amministratore  fiduciario  del  fondo al servizio del
 bene comune.
    La  logica  sanzionatoria  spiega  l'esclusione  della pretesa dei
 coeredi nei casi di trasferimento coattivo del maso. Ma,  almeno  nel
 caso  di  vendita o assegnazione forzata per debiti, essa non e' piu'
 integrata in una giustificazione sostanziale che valga a  legittimare
 la disparita' di trattamento dei coeredi al cospetto del principio di
 eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. L'idea che la  vendita  forzata
 del  maso  non  possa  normalmente  intervenire se non a causa di una
 sfortunata gestione dell'impresa agricola, cioe' per  una  causa  non
 imputabile   a   cattiva  volonta'  o  a  negligenza  dell'assuntore,
 presuppone un contesto sociologico  inattuale,  incentrato  sul  maso
 chiuso  come supporto economico di una "grande famiglia", nella quale
 "il diritto di comandare discendeva  di  generazione  in  generazione
 insieme con la proprieta' dei fondi ereditari". Allora la successione
 a causa di morte, regolata dal  diritto  di  primogenitura,  non  era
 soltanto   una   vicenda   patrimoniale  di  mutamento  del  soggetto
 proprietario, ma aveva preminentemente il significato  socio-politico
 di  investitura  nella  qualita'  di  capo  del  gruppo parentale. In
 siffatto contesto i membri del gruppo, pur in  posizione  subalterna,
 esercitavano, in virtu' del rapporto di parentela, un controllo sulle
 decisioni  del  titolare,  e  in  particolare  sulle  decisioni   che
 comportassero  assunzione  di  debiti,  vigilando  che  esse  fossero
 giustificate dai bisogni della conduzione del maso.
    Oggi  il  declino  della  grande  famiglia  e  dei  costumi che ne
 salvaguardavano la compattezza distorce la  funzione  originariamente
 assegnata  alla norma in esame: piuttosto che sollecitare l'interesse
 dell'assuntore a perseverare nella fedele  e  diligente  coltivazione
 del  fondo  e  a  resistere a tentazioni speculative, il limite della
 "volontarieta'" della vendita, non piu' radicato  nell'intimo  legame
 un  tempo  esistente tra lo spirito della famiglia e la conservazione
 della terra, puo' trasformarsi in incentivo  a  una  conduzione  poco
 oculata  o  addirittura  a  comportamenti  fraudolenti intenzionati a
 creare le premesse di una  vendita  forzata  pilotata  dall'assuntore
 allo  scopo  di  lucrare  un  consistente  residuo attivo sottratto a
 pretese dei coeredi.
    In  questo  diverso contesto viene meno il supporto fattuale della
 logica sanzionatoria sopra enucleata e invece  si  propaga  anche  al
 caso  di  vendita  o  assegnazione  forzata l'esigenza di equita' che
 impone all'assuntore  l'obbligazione  restitutoria  verso  i  coeredi
 prevista dall'art. 30 della legge prov. n. 1 del 1954.
    2.  -  Lo  stesso  legislatore  provinciale ha riconosciuto che la
 detta condizione non e' piu' giustificata. Tuttavia non ha cancellato
 la  differenza di trattamento dei coeredi dell'assuntore nei due casi
 di vendita volontaria e di vendita forzata del maso, ma soltanto l'ha
 attenuata.  La  legge  prov. 26 marzo 1982 n. 10 ha inserito (art. 9)
 nel testo unico del 1978 cit. il seguente art.  29/  a:  "(1)  Se  il
 maso,  in  tutto  o in parte, viene venduto o assegnato in esecuzione
 forzata  entro  il  termine   previsto   dal   precedente   articolo,
 l'assuntore  e'  tenuto  a  versare  alla  massa  ereditaria  per  la
 divisione suppletoria l'eccedenza del  ricavo  dalla  vendita  o  del
 valore  di  assegnazione sul prezzo di assunzione. (2) In tal caso si
 applicano il secondo, quinto e  sesto  comma  (quest'ultimo  aggiunto
 dall'art.  8  della  medesima  legge)  dell'art.  29.  Il diritto dei
 coeredi puo' esercitarsi sul ricavato  dell'esecuzione  forzata  solo
 nei limiti del residuo finale spettante al debitore esecutato, previa
 deduzione  di  eventuali   spese   inerenti   all'assunzione   e   al
 miglioramento del maso".
    Questa  norma, non essendo retroattiva, non e' applicabile al caso
 di specie. Ma nemmeno puo'  fornire  un  modello  alla  pronuncia  di
 illegittimita'  costituzionale  modificativa della norma applicabile,
 cioe' dell'art. 30 della legge n. 1 del 1954. La  soluzione  adottata
 dalla   legge   del   1982   restringe   l'obbligo   di  restituzione
 dell'assuntore verso i coeredi nella misura del  solo  arricchimento,
 consentendogli  di dedurre dal prezzo ricavato dalla vendita forzata,
 oltre al  prezzo  di  assunzione  e  alle  eventuali  spese  ad  essa
 inerenti,  non  soltanto il valore delle migliorie apportate al maso,
 ma anche le passivita' contratte per altri  scopi,  non  esclusi  gli
 scopi voluttuari.
    Pur  nella misura ridotta dal nuovo art. 29/ a del testo unico, la
 disparita'  di  trattamento  dei  coeredi  a  seconda  del  carattere
 volontario  o  coatto  della vendita non appare giustificata, ne' dal
 punto di vista dei principi dogmatici del nostro ordinamento, ne' dal
 punto  di vista di una razionale politica legislativa. La limitazione
 al mero arricchimento della responsabilita' di chi ha alienato  senza
 dolo  un  bene  spettante  alla  massa  ereditaria  e'  una direttiva
 estranea al nostro ordinamento, come attestano l'art. 535 cod.  civ.,
 che  ha abbandonato la regola romana della responsabilita' dell'erede
 apparente di buona fede verso l'erede vero, e piu' puntualmente,  con
 riguardo  alla  questione  in  oggetto,  l'art.  748,  che  indica le
 deduzioni consentite al coerede  donatario  tenuto  a  conferire  per
 imputazione  il  bene  donato.  D'altra  parte,  la soluzione accolta
 dall'art. 29/ a, in quanto limita il diritto di riparto  dei  coeredi
 al   residuo   attivo   dell'esecuzione   forzata,  non  e'  adeguata
 all'esigenza,  individuata  dall'ordinanza  di  rimessione,  "che  la
 divisione suppletoria scoraggi l'assuntore dal lasciare, senza troppo
 preoccuparsene, che si creino le premesse di una vendita forzata  per
 debiti".
    3. - In conseguenza dell'accoglimento della questione in relazione
 all'art.   3   Cost.,   restano   assorbiti    gli    incidenti    di
 costituzionalita' sollevati in riferimento agli artt. 42 e 44 Cost.
    4.   -   Subordinatamente   all'accoglimento  della  questione  di
 costituzionalita' esaminata nei precedenti nn. 2 e 3, il Tribunale di
 Bolzano  solleva, sempre in relazione ai medesimi parametri, un'altra
 questione di legittimita' dell'art. 30 della legge  prov.  n.  1  del
 1954,  questa  volta  in favore dell'assuntore: la norma impugnata e'
 reputata  illegittima  anche  nella  parte  in  cui  prevede  che  la
 differenza  tra  il  prezzo  di assunzione e il prezzo ricavato dalla
 vendita del maso  sia  calcolata  senza  applicare  alla  somma  gia'
 corrisposta  ai  coeredi  coefficienti di rivalutazione riferiti agli
 indici statistici di diminuzione del potere di acquisto della moneta.
    La  questione  e' ammissibile, essendo il giudice a quo chiamato a
 decidere non solo sull' an della divisione suppletoria, ma anche,  in
 caso  affermativo,  sul  quantum  dell'oggetto della nuova divisione.
 Peraltro, essa e' infondata.
    Occorre  considerare che, a norma dell'art. 35/ a del testo unico,
 il maso chiuso si trasmette recta via dal de cuius all'assuntore:  la
 legge  lo  separa  dall'eredita'  e  lo fa oggetto di una successione
 (anomala)  a  titolo  particolare   (c.d.   assunzione   del   maso).
 Corrispondentemente  si produce un effetto di surrogazione reale, per
 cui in luogo del maso entra nella massa  dividenda,  sotto  forma  di
 un'obbligazione  pecuniaria  dell'assuntore,  il prezzo di assunzione
 fissato ai sensi dell'art. 25. Cio' significa che, in ordine al maso,
 la  divisione  ereditaria  non  e'  una divisione per equivalente nel
 senso tecnico dell'art. 720 cod.civ. (cioe' una divisione avente  per
 oggetto l'immobile, attuata mediante assegnazione per intero del bene
 alla porzione di uno dei coeredi e costituzione in favore degli altri
 di  un  diritto  di  conguaglio),  bensi' e' una divisione avente per
 oggetto il valore di reddito del maso, tradotto in  una  obbligazione
 di  somma  determinata  "posta a carico dell'assuntore" (art. 26 t.u.
 cit.).
    Ne  consegue  che,  ove  si  proceda  al  supplemento di divisione
 previsto dall'art. 30 della legge n. 1 del 1954 (e ora dagli artt. 29
 e  29/  a  del  t.u.  del 1978 modificato dalla legge prov. n. 10 del
 1982), previo conferimento  alla  massa  del  prezzo  ricavato  dalla
 vendita  del maso, l'obbligazione di restituzione alla massa mediante
 imputazione alle rispettive quote, alla  quale  sono  tenuti  a  loro
 volta  i  coeredi dell'assuntore in ragione di cio' che sul valore di
 reddito  del  maso  hanno  ricevuto   nella   prima   divisione,   e'
 un'obbligazione  di  valuta,  soggetta  al  principio  nominalistico.
 L'applicazione di tale principio alla collazione di danaro donato,  e
 quindi anche all'imputazione di debiti di somme di denaro insorti tra
 coeredi, e' stata  riconosciuta  costituzionalmente  legittima  dalla
 sentenza  25  giugno  1981  n. 107 di questa Corte, in relazione agli
 artt. 747, 750 e 751 cod.civ.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 30 della legge
 della Provincia Autonoma di Bolzano 29 marzo 1954 n. 1  ("Ordinamento
 dei  masi  chiusi nella Provincia di Bolzano") nella parte in cui non
 prevede che pure in caso di trasferimento coattivo del  maso  chiuso,
 in  un procedimento di esecuzione forzata instaurato entro il termine
 ivi  contemplato,  l'assuntore  e'  tenuto  a  versare   alla   massa
 ereditaria,  per  la  divisione  suppletoria,  l'eccedenza del ricavo
 dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di  assunzione,
 previa  deduzione  di  eventuali  spese inerenti all'assunzione e del
 valore delle migliorie apportate al maso;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 30 della citata legge provinciale n. 1 del 1954 nella parte
 in   cui  non  prevede  la  rivalutazione  monetaria  del  prezzo  di
 assunzione del maso ai fini del  calcolo  dell'eccedenza  del  ricavo
 dall'alienazione,  sollevata,  con  riferimento agli artt. 3, 42 e 44
 Cost., dall'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 maggio 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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