N. 506 SENTENZA 21 aprile - 5 maggio 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Pubblici servizi di radiodiffusione circolare - Societa' concessionaria - Azioni appartenenti a soggetti privati Trasferimento all'I.R.I. con effetto dal 1 dicembre 1974 Indennizzo dovuto - Commisurazione al valore risultante dall'ultimo bilancio approvato alla data del 17 febbraio 1975 Inammissibilita'. (Legge 17 aprile 1975, n. 103, art. 47, secondo comma). (Cost., artt. 3, primo comm, 42, terzo comma)(GU n.19 del 11-5-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47, secondo comma, della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1980 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Rippa Guido e l'I.R.I. ed altra, iscritta al n. 219 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 dell'anno 1981; Visti gli atti di costituzione di Rippa Guido, dell'I.R.I. e della R.A.I., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso; Uditi gli avvocati Franco Pomponi per Rippa Guido, Paolo Barile e Michele Savarese per l'I.R.I. e Carmine Punzi per la R.A.I. e l'Avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: 1. - Con ordinanza emessa il 3 dicembre 1981 nel corso del procedimento civile tra Rippa Guido, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) e la Radiotelevisione Italiana s.p.a. (R.A.I.), il Tribunale di Roma ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione - questione di legittimita' dell'art. 47, secondo comma, della legge 17 aprile 1975, n. 103. Tale articolo dispone, al primo comma, che "Le azioni della societa' concessionaria dei pubblici servizi di radiodiffusione circolare appartenenti a soggetti privati... sono trasferite di diritto all'Istituto per la ricostruzione industriale con effetto dal 1 dicembre 1974" e, al secondo comma, che "Il relativo indennizzo e' corrisposto agli aventi diritto secondo il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato alla data di pubblicazione della presente legge". Ad avviso del Tribunale, la questione sarebbe rilevante, in quanto il processo a quo verte appunto sulla congruita' e legittimita' dell'indennizzo offerto all'attore. Essa sarebbe, altresi', non manifestamente infondata. Si osserva, infatti, che il principio fissato dall'art. 2423, secondo comma, del codice civile, in base al quale tutti i bilanci devono essere veritieri - ossia, devono indicare con chiarezza e precisione la situazione patrimoniale della societa' e gli utili conseguiti o le perdite sofferte - non avrebbe un valore assoluto, valido per tutti i tipi di bilancio (di esercizio, di liquidazione, di fusione, ecc.), ma assumerebbe un contenuto particolare a seconda del tipo di bilancio di cui si tratti. La funzione, che il bilancio di esercizio (al quale presumibilmente il legislatore ha inteso riferirsi con la norma denunciata) e' destinato ad assolvere, consiste nell'accertamento dell'entita' degli utili da distribuire ai soci, senza, pero', intaccare la garanzia per i creditori sociali (rappresentata dall'esistenza, nel patrimonio sociale, di attivita' corrispondenti almeno all'ammontare del capitale e delle riserve indisponibili) e compromettere la redditivita' dell'azienda. Cio' sarebbe dimostrato, secondo il giudice a quo, dalla normativa che impone limiti massimi di valutazione, non superabili se non in casi eccezionali, per le immobilizzazioni e per i beni materiali (prezzo di costo: art. 2425, nn.1 e 3, del codice civile), e, analogamente, per le materie prime o le merci; nonche' dalla circostanza che nel bilancio di esercizio non trovano espressione componenti patrimoniali pur aventi nell'organizzazione interna dell'azienda rilievo decisivo per la produzione dell'utile e per il conseguimento dell'oggetto sociale (ad esempio, concessioni amministrative, segreti industriali, brevetti ottenuti senza esborso di somme), ne' un'entita' come l'avviamento, quando non sia stata pagata una somma a tale titolo nell'acquisto dell'azienda ( art. 2427 del codice civile). Sarebbe, quindi, legittimo concludere che la situazione patrimoniale risultante dal bilancio di esercizio non coincide con il concetto di patrimonio in senso giuridico e nemmeno con quello di patrimonio in senso economico, donde la conseguenza che il criterio di indennizzo stabilito dalla disposizione denunciata, assumendo a presupposto valutazioni non idonee ad esprimere l'effettivo valore del bene espropriato, si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 42, terzo comma, della Costituzione. Quanto all'art. 3, ci si richiama al consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui la disposizione enuncia un canone generale di ragionevolezza, alla stregua del quale le leggi possono essere valutate sotto il profilo dell'adeguatezza dei motivi che hanno condotto all'adozione di una determinata disciplina. Tale canone nella specie sarebbe violato dall'equiparazione, ai fini dell'indennizzo, di situazioni di natura economica notevolmente diverse. Si aggiunge, in proposito, come il contrasto con l'art.3 della Costituzione non potrebbe essere escluso dalla considerazione che la norma impugnata adotta un criterio analogo a quello fissato dall'art.2437 del codice civile per la determinazione della quota spettante al socio recedente. Della norma, che tende a penalizzare il socio recedente con un trattamento di indubbio sfavore, sarebbe stata progettata la sostituzione con altra che faccia riferimento al valore netto effettivo del patrimonio. Ancor piu' consistente sarebbe il sospetto circa il contrasto della norma denunciata con l'art.42, terzo comma, della Costituzione, specie tenendo presente l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, costante nell'affermare, a partire dalla sentenza n.61 del 1957 e fino alla sentenza n.5 del 1980, che, sebbene l'indennizzo per l'esproprio non debba necessariamente costituire una integrale riparazione per la perdita subita, la misura di esso deve essere riferita al valore del bene determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla sua destinazione economica, poiche' solo in tal modo l'indennita' puo' costituire un "serio ristoro" per l'espropriato. In senso contrario non varrebbe, osserva il giudice a quo, il richiamo alla sentenza n.115 del 1969, con la quale sono state giudicate non fondate le questioni proposte nei confronti della disciplina per l'indennizzo previsto per le imprese assoggettate al trasferimento all'E.N.E.L. Tale decisione della Corte fu, infatti, giustificata con l'affermazione che trattavasi di bilanci compilati in base a norme particolari, quelle di cui alla legge 4 marzo 1958, n.191, le quali consentivano alle imprese di contabilizzare plusvalenze anche oltre i limiti delle plusvalenze ammesse agli effetti fiscali e, quindi, di esprimere in bilancio valori piu' aderenti alla reale consistenza del patrimonio sociale di quelli risultanti da un normale bilancio di esercizio, che, invece, costituisce l'unico punto di riferimento della norma denunciata. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 24 giugno 1981. 2. - Rippa Guido si e' costituito nel giudizio dinanzi alla Corte a mezzo del suo difensore, avv. Rocco Pomponi, con comparsa depositata il 10 giugno 1981. Fatte proprie le argomentazioni esposte nell'ordinanza di rimessione, il Rippa si limita a sottolineare come uno specifico motivo di illegittimita' sarebbe da individuare nel fatto che la norma impugnata ha assunto a momento di riferimento il bilancio approvato, in tal modo retrodatando la valutazione all'esercizio 1973, ossia a ben due anni prima dell'emanazione della legge. 3. - L'I.R.I. e la R.A.I., convenuti nel giudizio a quo, si sono costituiti dinanzi alla Corte con memorie depositate rispettivamente il 3 marzo 1981 e il 6 aprile 1981. Gli avv. Paolo Barile, Giuseppe Ferri e Michele Savarese, per l'I.R.I., osservano che l'ordinanza, benche' finemente motivata, non appare convincente. Il bilancio di esercizio, invero, non puo' essere visto in modo statico, poiche' la sua funzione e' quella "di fotografare un momento della vita della societa', che rappresenta un'impresa in movimento". La presenza di limiti massimi di valutazione non superabili ed il divieto di inserire in bilancio alcune componenti patrimoniali come l'avviamento non potrebbero portare ad affermare che il bilancio di esercizio assuma un significato convenzionale, non identificabile con il patrimonio in senso economico. Il giudice a quo cadrebbe in equivoco, trascurando che il bilancio di esercizio attiene alla valutazione di un patrimonio destinato ad essere il fulcro di una azienda viva, che dovra' affrontare le vicende connesse alla sua presenza sul mercato. Se considerato in tale prospettiva, cioe' in relazione alla dinamica della vita imprenditoriale, il bilancio di esercizio rappresenta effettivamente il valore del patrimonio della societa'. Si sottolinea, inoltre, che il principio del riferimento al bilancio di esercizio e' quello adottato dall'art. 2437 del codice civile per il caso del recesso del socio e che la Corte di cassazione (sentenza 10 settembre 1974, n. 2454) ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale, sollevata per motivi analoghi, nei confronti dell'anzidetta disposizione. La validita' della norma sarebbe stata confermata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n.115 del 1969 in materia di nazionalizzazione delle imprese esercenti industrie elettriche. Si conclude osservando che un criterio ritenuto non lesivo di princi'pi costituzionali nei rapporti tra privati ben puo' essere utilizzato per stabilire la misura dell'indennita' di espropriazione, che, pur dovendo rappresentare un serio ristoro, non e' destinata a compensare interamente la perdita subita. L'avv. Rosario Nicolo', per la R.A.I., in via preliminare solleva il dubbio che la questione sia rilevante, osservando che, secondo l'atto di citazione, la domanda principale aveva ad oggetto una serie di pretese ragioni di invalidita' del bilancio relativo all'esercizio chiuso il 31 dicembre 1973. Se il giudice a quo si fosse dato carico di tali questioni e, in ipotesi, fosse stata accolta la domanda principale, con conseguente annullamento del documento in base al quale e' stato liquidato l'indennizzo, sarebbe venuta meno l'utilita' pratica e, quindi, la rilevanza della proposta questione. Nel merito, si contesta che la situazione patrimoniale risultante dal bilancio di esercizio non rappresenti la vera consistenza economica della societa'. Si ribadisce la differenza del bilancio di esercizio rispetto ai bilanci di liquidazione e di fusione: questi riguardano ipotesi di cessazione dell'attivita', mentre il primo presuppone che l'attivita' sociale sia in corso e che neppure per un momento essa si arresti. Si ribadisce che tutto il sistema accolto dal codice civile per la valutazione del valore delle azioni corrisponde a quello stabilito dalla legge impugnata. Si conclude, quindi, per l'inammissibilita' della questione proposta e, quanto al merito, per l'infondatezza della medesima. 4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri e' intervenuto nel giudizio tramite l'Avvocatura generale dello Stato con atto depositato il 24 marzo 1981. Anche l'Avvocatura pone in evidenza la diversita' esistente tra la societa' considerata nel momento di cessazione dell'attivita' (bilancio di liquidazione) dalla societa' riguardata nella fase dinamica del perseguimento degli scopi sociali (bilancio di esercizio). "Questa differenza da' ragione del diverso trattamento che il codice civile riserva ai soci durante la vita della societa' e al momento della sua estinzione": il diritto "a una quota proporzionale del patrimonio, che venga a risultare dalla liquidazione" spetta "solo in caso di liquidazione (e al momento della liquidazione)", mentre al socio recedente o escluso le azioni non quotate in borsa sono rimborsate in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio (art. 2437 e 2529 cod. civ.). Dovrebbe, quindi, escludersi ogni contrasto con i princi'pi costituzionali, anche in considerazione del fatto che l'espropriazione ha colpito non gia' l'impresa nel suo complesso e per cio' che ne rappresenta il risultato patrimoniale finale, bensi' talune singole participazioni azionarie per quella che ne e' l'utilizzazione economica durante la vita e l'attivita' della societa'. La stessa Corte costituzionale - si aggiunge - ha precisato, nella sentenza n.5 del 1980, che per la determinazione dell'indennizzo occorre risalire "al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione di esso secondo la legge". Con memorie ritualmente depositate Rippa Guido e l'I.R.I. hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi, l'I.R.I. associandosi all'eccezione sulla rilevanza avanzata dalla R.A.I. Alla pubblica udienza anche l'Avvocatura dello Stato ha fatto propria tale eccezione. Considerato in diritto: 1. - Chiamato a pronunciarsi sulla domanda proposta da un privato, gia' azionista della R.A.I., per far dichiarare "non corrispondente all'effettivo valore delle azioni" espropriate l'indennizzo liquidatogli dall'I.R.I. e far condannare, di conseguenza, l'I.R.I. e la R.A.I. a versargli il "maggior valore" delle azioni stesse, il Tribunale di Roma sottopone al vaglio di questa Corte l'art. 47, secondo comma, della legge 17 aprile 1975, n.103. Pur coinvolgendo in realta' il contenuto dell'intero comma,la questione viene esplicitata con specifico riguardo alla "parte" di esso che commisura l'indennizzo per il trasferimento di diritto all'I.R.I. delle "azioni della societa' concessionaria dei pubblici servizi di radiodiffusione circolare, appartenenti a soggetti privati non aventi titolo ai sensi dell'art.3" della stessa legge, al "valore risultante dall'ultimo bilancio approvato alla data di pubblicazione della legge", cioe' alla data del 17 febbraio 1975: bilancio da ravvisare, nonostante l'indeterminatezza della formula "bilancio approvato", nel bilancio di esercizio e, quindi, nel bilancio relativo all'esercizio chiuso il 31 dicembre 1973. La norma censurata violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, perche', con il rinviare esclusivamente alle valutazioni del bilancio di esercizio, risulterebbe "priva di ragionevole giustificazione" e condurrebbe alla determinazione di un compenso "meramente simbolico", ben lontano, quindi, dal rappresentare un "serio" ristoro per l'espropriato. Infatti, le valutazioni del bilancio di esercizio - dovendo, per un verso, prescindere da non poche "componenti patrimoniali" e, per altro verso, non superare "limiti massimi" di computo - sarebbero "finalizzate non gia' alla rilevazione della 'reale' consistenza del patrimonio sociale, ma al ben diverso scopo di evitare la distribuzione di utili che potrebbero compromettere la redditivita' dell'impresa e l'integrita' del capitale sociale" e, quindi, non sarebbero "idonee ad esprimere l'effettivo valore del bene espropriato". 2. - Per poter affrontare il merito della questione proposta, occorre superare l'eccezione formalmente addotta, in ordine alla rilevanza, dalla difesa della R.A.I. nella memoria di costituzione e successivamente fatta propria sia dalla difesa dell'I.R.I. nella memoria per l'udienza sia dall'Avvocatura dello Stato nel corso della discussione orale. L'eccezione muove dalla premessa che l'attore, come "domanda principale", avrebbe "dedotto una serie di pretese ragioni di nullita' o di annullabilita' del bilancio di esercizio, per violazione dei criteri dettati dalla legge o per varie ed inespresse irregolarita' nella indicazione di alcune poste di bilancio". Tale questione sarebbe "logicamente preliminare" alla questione concernente la legittimita' costituzionale dell'art. 47, secondo comma, della legge 17 aprile 1975, n. 103, nel senso che, se "la domanda principale di nullita'" del bilancio, sulla cui base era stato corrisposto l'indennizzo in contestazione, fosse risultata meritevole di accoglimento, "sarebbero venute automaticamente meno la rilevanza e la stessa utilita' pratica della questione di incostituzionalita'". Non avendo il Tribunale "esaminato per nulla questa domanda principale dell'attore ne' qualificato l'azione proposta o la natura dei pretesi vizi del bilancio o deciso circa l'ammissibilita' della stessa azione", il giudizio sulla rilevanza della dedotta questione di legittimita', traducendosi nella semplice asserzione che i relativi dubbi "investono i criteri che sono stati seguiti per la determinazione dell'indennizzo della cui congruita' e legittimita' si controverte nel presente giudizio", si presenterebbe "incompleto ed immotivato". O, meglio, "immotivato", cioe' inficiato da mancanza di motivazione, e, subordinatamente, "incompleto", cioe' inficiato da insufficienza di motivazione. 3. - In effetti, "circa la rilevanza", il giudice a quo si limita ad osservare che i dubbi di legittimita' costituzionale "investono i criteri che sono stati seguiti per la determinazione dell'indennizzo della cui congruita' e legittimita' si controverte nel presente giudizio". Poiche', pero', alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, tanto basta a smentire l'assunto di una motivazione mancante, l'esame dell'eccezione di inammissibilita' si viene a concentrare sull'altro addebito mosso all'ordinanza di rimessione: quello secondo cui la motivazione in ordine alla rilevanza non sarebbe comunque sufficiente o, per essere piu' precisi, non sarebbe sufficiente a dimostrare l'"attuale" incidenza della dedotta questione di legittimita' costituzionale sugli sviluppi del procedimento a quo. Cio' premesso, non si puo' non rimarcare come sia la stessa ordinanza di rimessione a dare atto che due sono gli aspetti oggetto di controversia in tale procedimento: "la congruita'" e "la legittimita'" dell'avvenuta determinazione dell'indennizzo. Due aspetti, dunque: l'uno relativo all'astratta idoneita' dei criteri formali indicati dall'art. 47, secondo comma, della legge 17 marzo 1975, n. 103, a consentire la determinazione di un "serio ristoro" per l'espropriato; l'altro relativo all'esatta applicazione concreta di questi criteri, indipendentemente dalla loro potenziale idoneita' a tradursi in un compenso adeguato. Orbene, l'eccezione difensiva muove all'ordinanza di rimessione l'addebito di essersi soffermata unicamente sul primo aspetto, nonostante la priorita' che "la domanda di nullita'" del bilancio di esercizio formulata in via principale dall'attore avrebbe su ogni altra questione. 4. - Dagli atti del procedimento ordinario - cui la formale prospettazione di un'eccezione come quella di specie inevitabilmente rimanda per poterne verificare la serieta' - emerge con chiarezza che, nel momento decisivo del deposito della comparsa conclusionale, la difesa dell'attore ha parlato insistentemente di "azione di nullita'" e di "formulazione non corretta del bilancio", denunciando dettagliatamente omissioni ed errori a danno dell'espropriato. Questa Corte non puo', pertanto, esimersi dal constatare che, nella parte dedicata alla rilevanza, il giudice a quo ha completamente trascurato un punto fondamentale ai fini non soltanto dell'eccezione difensiva, ma anche dell'impostazione data dall'ordinanza di rimessione al giudizio sulla rilevanza. Una volta messo in risalto che oggetto di controversia nel procedimento ordinario sono tanto "la congruita'" quanto "la legittimita'" della determinazione dell'indennizzo corrisposto al privato gia' azionista, il Tribunale, per poter sollevare una questione di costituzionalita' nei confronti della norma concernente i criteri di determinazione dell'indennizzo, avrebbe dovuto, prima di tutto, respingere la domanda volta a contestare la regolare applicazione dei criteri indicati dalla legge. Nella irrisolta persistenza di tale preliminare aspetto della controversia, la questione di legittimita' costituzionale ciononostante proposta si presenta come meramente eventuale (v. sentenza n. 300 del 1983 ed ordinanze n.142 del 1985, n. 595 del 1987, n. 26 del 1988). Qualora, infatti, la domanda di nullita' dovesse risultare meritevole di accoglimento, con la conseguente necessita' di un ricalcolo dell'indennizzo e l'eventuale determinazione del suo nuovo ammontare in termini non "simbolici", non vi sarebbe motivo di porre in discussione la legittimita' costituzionale della norma che fissa i criteri per la determinazione dell'indennizzo stesso. La questione, cosi' come motivata in ordine alla rilevanza, va, dunque, dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47, secondo comma, della legge 17 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma con ordinanza del 3 dicembre 1980. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: CONSO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 5 maggio 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0723