N. 507 SENTENZA 21 aprile - 5 maggio 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Camera di commercio, industria e agricoltura - Diritti inerenti ai servizi di borsa - Determinazione con provvedimento amministrativo - Assenza di criteri delimitativi dell'imposizione - Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione. (R.D. 20 settembre 1934, n. 2011, artt. 53 e 80). (Cost., art. 23)(GU n.19 del 11-5-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 53 e 80 del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011 ("Approvazione del testo unico delle leggi sui consigli provinciali dell'economia corporativa e sugli uffici provinciali dell'economia corporativa"), promossi con ordinanze: 1) ordinanza emessa il 15 febbraio 1983 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra la Camera di commercio di Bologna e l'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilita', iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 dell'anno 1983; 2) ordinanza emessa il 24 settembre 1984 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra il Consorzio di credito per le opere pubbliche e la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Genova, iscritta al n. 1329 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 bis dell'anno 1985; 3) n. 3 ordinanze emesse il 17 giugno 1986 della Corte d'appello di Milano nei procedimenti civili vertenti tra a s.p.a. Dalmine, la s.p.a. Italsider, la s.p.a. Finsider e la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Milano, iscritte ai nn. 710, 711 e 712 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58 prima serie speciale dell'anno 1986; Visti gli atti di costituzione del Consorzio di credito per le opere pubbliche, della Camera di commercio di Genova, delle s.p.a. Dalmine, Italsider e Finsider, della Camera di commercio di Milano e della s.p.a. Nuova Italsider; Udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Uditi l'avv. Franco G. Scoca per il Consorzio di credito per le opere pubbliche, gli avvocati Fabrizio Lemme e Michele Savarese per le s.p.a. Dalmine, Italsider e Finsider, gli avvocati Ezio Antonini e Valerio Onida per la Camera di commercio di Milano e l'avv. Fabrizio Lemme per la s.p.a. Nuova Italsider; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso su ricorso della Camera di commercio di Bologna per la mancata corresponsione di diritti inerenti ai servizi di borsa, il Tribunale di Bologna, con ordinanza in data 15 febbraio 1983, ha impugnato dinanzi a questa Corte la norma - art. 53 t.u. 20 settembre 1934, n. 2011 - che si limita a prevedere tali diritti, demandandone la determinazione a provvedimenti dell'autorita' amministrativa. Ritiene il Tribunale remittente che gli stessi presentino i caratteri propri della prestazione patrimoniale imposta, ed infatti: sia le modalita' di determinazione del loro ammontare, unilateralmente fissato dall'amministrazione in base a criteri predeterminati (nel caso di specie L.10.000 quale diritto fisso, e L.1.000 quale diritto proporzionale per ogni miliardo di capitale in circolazione), sia la conseguente impossibilita' di commisurare la prestazione pecuniaria alla quantita' e qualita' del servizio reso dall'ente gestore, sia infine la necessita', per accedere alla quotazione ufficiale, di rivolgersi esclusivamente ad un soggeto pubblico, impedirebbero di qualificarli come corrispettivi di natura privata. In altri termini, l'utente, qualora decida di richiedere l'ammissione dei propri titoli in borsa, deve sottostare ad un rapporto interamente imposto, corrispondendo diritti obbligatoriamente dovuti ed autoritativamente fissati. Cosi' qualificatane la natura, la norma che si limita a prevederne l'istituzione, demandandone poi la concreta attuazione all'autorita', si porrebbe in contrasto con la riserva di legge, seppur relativa, di cui all'art. 23 Cost., la cui osservanza richiede, ad avviso del giudice a quo, che siano almeno predeterminati, in via legislativa, criteri idonei a quantificare la misura della prestazione patrimoniale imposta. 2. - Nell'ambito di un analogo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Genova, con ordinanza in data 24 settembre 1984, ha sollevato identica questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53 r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, ritenendola, anche in questo caso, rilevante in relazione agli effetti che un'eventuale caducazione della norma produrrebbe sul decreto presidenziale (1 giugno 1978, n. 318) posto a fondamento della pretesa creditoria. Il dubbio di legittimita' costituzionale della norma impugnata, nella parte in cui difetta di una qualsiasi previsione di criteri idonei a determinare la misura della prestazione, o a circoscrivere comunque la discrezionalita' dell'ente impositore, non potrebbe poi essere superato, ad avviso del giudice a quo, dalla possibilita' di ragguagliare l'imposizione alla spesa effettiva che l'ente e' tenuto a sostenere per l'erogazione del servizio, in quanto di tale criterio non vi sarebbe alcuna traccia nelle norme che disciplinano la prestazione imposta. 3. - La stessa questione, infine e' stata sollevata anche dalla Corte di appello di Milano con tre ordinanze di identico contenuto emesse, in data 17 giugno 1986, nel corso di altrettanti giudizi, sempre concernenti la mancata corresponsione di diritti inerenti ai servizi di borsa. Nell'escludere che le prestazioni in oggetto costituiscano il mero corrispettivo di un servizio gestito in forma imprenditoriale da un soggetto pubblico, la Corte remittente impugna, insieme all'art. 53 del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, anche l'art. 80 dello stesso testo unico, nella parte in cui richiamando il r.d. 4 gennaio 1925, n. 29, prevede l'istituzione dei diritti inerenti ai servizi di borsa senza pero' individuare alcun criterio di determinazione dell'ammontare del diritto o almeno del suo limite massimo. 4. - Si sono costituiti, dinanzi a questa Corte, gli enti e le societa' debitrici dei diritti di quotazione, chiedendo che la questione venisse dichiarata fondata. In particolare, l'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilita' (I.C.I.P.U., ora Consorzio di credito per le opere pubbliche, C.R.E.D.I.O.P.), ribadendo ed ampliando, le argomentazioni svolte dai giudici a quibus circa la natura giuridica dei diritti di quotazione, la loro sottoposizione alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost., e l'ambito di tale riserva, ha osservato che il testo unico approvato con r.d. n. 2011 del 1934, non risultando emanato in forza di una norma delega, costituirebbe una fonte meramente ricognitiva, e, pertanto, le disposizioni in esso contenute avrebbero il valore e la forza di legge solo in quanto riproduttive di precedenti norme di eguale forza e valore. Di conseguenza, quella parte dell'art. 53 che si riferisce ai diritti delle borse valori, non trovando alcuna rispondenza nelle disposizioni previste come oggetto di coordinamento (artt. 19 Legge 18 aprile 1926, n. 731, e 3, quarto comma, Legge 3 gennaio 1929, n. 16), risulterebbe priva di fondamento legislativo. Nell'ipotesi in cui venisse invece riconosciuto alla norma impugnata il valore di fonte giuridica, allora, la disciplina in essa contenuta, non prevedendo, nemmeno indirettamente, il presupposto dal quale sorge l'obbligo della prestazione, si porrebbe in contrasto con il principio della riserva di legge costituzionalmente garantito. In riferimento poi alla giurisprudenza di questa Corte che ritiene rispettato tale principio anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti o controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione, purche' gli stessi siano ricavabili dalla destinazione della prestazione ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura, (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963, 67 del 1973, 51 del 1960 e 21 del 1969), la parte osserva che, benche' si possa ritenere che i diritti di quotazione, destinati a coprire le spese di un servizio reso dalle camere di commercio, possano trovare nel costo di tale servizio un sufficiente limite all'eventuale arbitrio dell'amministrazione, tuttavia non risulterebbe chiaramente individuato il servizio del quale la prestazione imposta intende bilanciare il costo, ne tantomeno il criterio per commisurare la prima al secondo. Inoltre, il d.P.R. 31 marzo 1975 n. 138, trasferendo alla Consob la titolarita' della maggior parte dei servizi di borsa, avrebbe profondamente modificato il sistema dei rapporti tra camere di commercio e borse, sistema nel quale i diritti di quotazione trovavano la loro ragion d'essere quanto meno sul piano sostanziale. In relazione, infine, alla composizione e al funzionamento dell'organo competente a stabilire la misura della prestazione, ne' il Presidente della Repubblica, ne' il Ministro del tesoro proponente assicurerebbero, di fatto, nell'esercizio della loro funzione (non assistita da garanzie procedimentali) il soddisfacimento di esigenze esclusivamente tecniche. Ad eccezione della Italsider s.p.a., tardivamente costituitasi, le altre societa', parti nei giudizi pendenti presso la Corte d'appello di Milano, hanno osservato come sia ormai consolidata in giurisprudenza l'opinione che i diritti di quotazione spettanti alle camere di commercio debbano considerarsi tasse in senso tecnico, in conformita' al concetto di "prestazione patrimoniale imposta" accolto da questa Corte, ogni qualvolta si tratti di prestazioni istituite con atto dell'autorita', e a prescindere dalla circostanza che l'erogazione del servizio sia rimessa o meno alla volonta' del privato. Le societa' osservano poi che la norma impugnata non esaurisce certo quelle esigenze di specificita' piu' volte sottolineate dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione ai limiti che dovrebbero essere imposti alla discrezionalita' dell'amministrazione nell'individuare i soggetti passivi e l'ammontare del tributo. Ne' d'altra parte, tale carenza legislativa (che potrebbe comportare anche l'individuazione della base imponibile negli importi negoziati, e dei soggetti passivi negli azionisti in sede di negoziazione dei titoli) puo' essere superata - come ritenuto dal giudice di primo grado - da una "supposizione" logica, e cioe' che avendo avuto le camere di commercio il potere di ammettere i titoli societari, soggetto passivo dell'imposizione debba considerarsi la societa' nel suo complesso, ed oggetto di essa la quotazione in borsa dei titoli rappresentativi del capitale nella sua interezza. La tesi, infatti, oltre che priva di fondamento, in quanto venuto meno il potere di ammissione, trasferito dal 1974 alla Consob, risulterebbe costituzionalmente inaccettabile, dal momento che affiderebbe ad uno strumento diverso da quello legislativo il potere di delimitare la discrezionalita' dell'amministrazione, privando altresi' il legislatore della possibilita' di commisurare il carico tributario in modo uniforme nei confronti dei soggetti passivi, con conseguente violazione degli artt. 3 e 53 Cost. 5. - Delle varie camere di commercio si e' costituita nei termini solo quella di Milano chiedendo che la questione venisse dichiarata infondata. L'ente ha in proposito rilevato come, in base alla giurisprudenza di questa Corte concernente l'art. 23 Cost., i limiti alla discrezionalita' dell'amministrazione possano anche non essere previsti con lo strumento legislativo, a condizione pero' che siano desumibili dal contesto della disciplina in cui la norma primaria si inserisce ovvero da altri elementi. In tal senso, la camera di commercio sostiene che il sistema normativo conterrebbe una disciplina del tutto sufficiente ad individuare l'oggetto ed i presupposti della prestazione. In particolare, l'elemento oggettivo di riferimento, per la commisurazione dei diritti non potrebbe che essere l'intero capitale della societa', dal momento che la quotazione riguarda i titoli nel loro insieme e prescinde del tutto dall'effettiva negoziazione in borsa di una parte o meno dei medesimi. Inoltre, poiche' i diritti di quotazione sarebbero stati configurati dalla legge, fin dall'inizio, come entrate volte a finanziare i servizi di borsa, (art. 7 r.d. n. 29 del 1925 e artt. nn. 52 e 32, e 4 t.u. n. 2011 del 1934), la determinazione della loro misura sarebbe circoscritta dal perseguimento di tale scopo, che, costituendo un elemento di carattere essenzialmente tecnico, risulta senz'altro idoneo a delimitare adeguatamente la discrezionalita' dell'amministrazione. Altri limiti idonei ad escludere la possibilita' che la discrezionalita' amministrativa possa trasmodare in arbitrio vengono infine ravvisati nell'esistenza di garanzie procedimentali (delibera della Giunta camerale, proposta dal Ministero del tesoro, decreto del Presidente della Repubblica), nonche' nella fissazione dei diritti mediante l'adozione di un atto a carattere generale. 6. - Con memorie depositate nell'imminenza della discussione, le parti hanno ribadito, ampliandole e precisandole, le argomentazioni gia' svolte negli atti di costituzione. Considerato in diritto 1. - Con cinque ordinanze di autorita' giudiziarie diverse e' sollevata questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 23 Cost., dell'art. 53 del t.u. 20 settembre 1934, n. 2011, il quale prevede al secondo comma le modalita' per la istituzione dei diritti inerenti ai servizi delle borse di commercio. In una delle ordinanze e' sollevata questione, sempre in riferimento all'art. 23 Cost., anche dell'art. 80 della stessa legge, il quale dispone che restano in vigore, fra gli altri, il r.d. 4 gennaio 1925, n. 29, che all'art. 7, terzo comma, elenca i diritti in questione. Ad avviso dei giudici a quibus, dette norme, prevedendo l'istituzione dei diritti inerenti ai servizi di borsa, non indicherebbero alcun criterio per la determinazione in concreto di tale prestazione patrimoniale imposta, dal che si deduce l'esistenza di un contrasto con il parametro costituzionale invocato. 2. - I giudizi possono essere per connessione riuniti e definiti con unica sentenza. 3. - In relazione al profilo sulla rilevanza della questione, prospettato - pur senza formularsi in proposito espressa eccezione di inammissibilita' - da una delle parti costituite e cioe' dal Consorzio di credito delle opere pubbliche e relativo all'aspetto della probabile esenzione di detto istituto dai diritti in parola, esenzione che discenderebbe dal r.d.-l. n. 1627 del 1919 convertito nella legge n. 488 del 1921, va osservato che una delle ordinanze di rimessione (reg. ord. n.1329 del 1984) ha espressamente motivato sul punto, con esauriente argomentazione, concludendo per la rilevanza della questione, nell'assunto che l'esenzione tributaria non si applica ai diritti di borsa, onde, di fronte a cosi' precisa motivazione del giudice a quo non puo' piu' farsi questione in questa sede di tale profilo che attiene alla rilevanza. 4. - In relazione ad altro eventuale profilo di inammissibilita' attinente alla natura di una delle norme impugnate, (art. 53, secondo comma, t.u. 1934, n. 2011) la difesa del Consorzio di credito per ultimo citato, esprime il dubbio che tale norma potrebbe non avere forza di legge, in quanto inserita in un testo unico di carattere compilativo che non troverebbe, sul punto, riscontro in norme legislative preesistenti, onde il sindacato su detta norma potrebbe non spettare a questa Corte. Al riguardo va pero' osservato che, come e' stato anche di recente affermato dalla Corte di cassazione, i diritti in parola, aventi carattere non tributario ma, comunque, di prestazione patrimoniale imposta, trovano oggi il loro fondamento in norme di rango legislativo. Difatti, se e' vero che la norma che introdusse tali diritti di borsa e cioe' l'art. 7 del r.d. n. 29 del 4 gennaio 1925, era contenuta originariamente in un testo di natura regolamentare, tuttavia tale norma fu elevata al rango di legge per effetto dell'espresso richiamo fattone nell'art. 80 del t.u. del 1934, n. 2011, per cui, anche il secondo profilo di eventuale inammissibilita' e' in realta' inconsistente. Che tale richiamo abbia potuto imprimere forza di legge alle norme richiamate, discende dalla constatazione della natura non meramente compilativa del cennato testo unico, perche' questo fu adottato sulla base dell'art. 16 della legge 18 giugno 1931, n. 875, che aveva appunto autorizzato il Governo a riunire in testo unico le norme preesistenti, con la facolta' di emanare quelle necessarie a disciplinare organicamente la materia, integrando, modificando e sopprimendo le precedenti disposizioni. 5.1. - Nel merito le questioni non sono fondate. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che il principio della riserva di legge, previsto dall'art. 23 Cost., sia rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione, purche' gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963, 67 del 1973, 51 del 1960 e 21 del 1969). Si esclude altresi' da questa Corte (sent. n. 34 del 1986) la violazione della norma costituzionale citata quando esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti le prestazioni, un modulo procedimentale a mezzo del quale si realizzi la collaborazione di piu' organi, al fine di evitare eventuali arbitrii dell'amministrazione. Osserva la Corte che la normativa oggetto della questione di costituzionalita' risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale. Poiche', come si e' detto, la norma istitutiva della prestazione in parola e' l'art. 7 del regolamento approvato con il R.D. 4 gennaio 1925, n. 29 - il cui contenuto, come si e' rilevato, ha assunto rango di legge ordinaria, per effetto del richiamo di cui all'art. 80 del R.D. 20 settembre 1934 - e' a tale norma che bisogna riferirsi per individuare gli elementi di detta prestazione patrimoniale imposta. Orbene, detta norma stabilisce che la Camera di commercio e industria provvede ai locali ed a quanto altro occorre per il funzionamento delle Borse di commercio alle proprie dipendenze e dei relativi uffici fornendo anche tutto il personale necessario sia per le riunioni che per il funzionamento di detti uffici. Stabilisce altresi' che le spese relative alla pubblicazione del listino di borsa sono a carico della Camera di commercio e che le entrate sono, fra l'altro, costituite dai diritti di borsa che vengono ivi elencati, come si vedra' in prosieguo. Quanto all'organo competente alla determinazione di quei diritti, la stessa norma prevede che le tariffe siano deliberate dalla Camera di commercio e che siano approvate con decreto del Capo dello Stato. Quanto alla portata del secondo comma dell'art. 53 del t.u. del 1934, n. 2011 (che e' la norma denunciata in tutte le ordinanze di rinvio) va rilevato che in realta' si e' in presenza di una disposizione dal contenuto meramente procedimentale, in quanto essa si limita a stabilire che l'indicato decreto del Capo dello Stato, per l'istituzione dei "diritti inerenti ai servizi delle borse di commercio, e' promosso, per i diritti delle borse valori, dal Ministro delle finanze e per i diritti delle borse merci, dal Ministro per l'agricoltura e foreste di concerto con il Ministro dell'industria". Da quanto precede risulta dunque che, dal contesto in cui gli artt. 53 e 80 del t.u. del 1934 si collocano, e' certamente possibile desumere la presenza di quegli elementi che la giurisprudenza di questa Corte (in particolare da ultimo v. sul punto la sentenza n. 34 del 1986) ritiene sufficienti ai fini della rispondenza all'art. 23 Cost. dei tributi o comunque delle prestazioni imposte in genere. Tali elementi sono: i soggetti, tenuti alla prestazione e l'oggetto della stessa, razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell'onere, e, infine, il modulo procedimentale che, come e' stato precisato da questa Corte nella sentenza per ultima richiamata, concorre ad escludere l'eventualita' di arbitrii da parte dell'Amministrazione. 5.2 - Per quel che riguarda i soggetti, dal contenuto delle norme denunciate e' possibile individuarli in coloro che abbiano interesse rispetto "ai servizi delle borse di commercio", dovendosi rilevare che l'art. 7 del R.D. del 4 gennaio 1925, n. 29, diversifica i diritti relativi a tali servizi: a) in quelli per la quotazione dei titoli sul listino di borsa; b) in quelli per il rilascio delle tessere d'ingresso ai recinti ed agli spazi riservati; c) in quelli per l'uso dei telefoni, di tavoli, cabine e per ogni servizio a disposizione delle borse. Da queste indicazioni risultano dunque ben individuabili i soggetti tenuti a tali prestazioni, cosi' per i diritti di quotazione nel listino, tali soggetti possono ravvisarsi nelle persone fisiche o societa', aventi appunto interesse alla quotazione dei titoli nel listino di borsa. 5.3 - Parimenti, dalle stesse indicazioni, e' chiaramente individuabile l'oggetto della prestazione patrimoniale imposta che ha, come punto di riferimento, gli elencati servizi di borsa, onde le prestazioni in parola devono avere attinenza con quei servizi e gravare percio' sui soggetti che rispettivamente si avvalgono di tali servizi. Dalla individuazione di tali elementi discende, come automatica conseguenza, anche il requisito della desumibilita' di criteri tecnici per la quantificazione delle tariffe, relative a ciascuno dei diritti di borsa indicati. Difatti i provvedimenti amministrativi, determinativi di tali tariffe, debbono prendere in considerazione il complesso delle spese sostenute dalle borse, ripartendo di conseguenza i diritti (rectius le prestazioni patrimoniali imposte) indicate sub a,) b) e c), in misura ovviamente proporzionale all'incidenza di ciascuna voce sul complesso di tali spese, attribuendo l'onere alle categorie di soggetti rispettivamente interessate e, facendolo infine gravare, nell'ambito di ciascuna categoria di destinatari dei servizi, sui singoli soggetti, secondo criteri ispirati a principi di ragionevolezza che esplicitamente o implicitamente siano desumibili dai decreti del Presidente della Repubblica che approvano le tariffe. Dalle elencate indicazioni risulta percio' soddisfatta l'esigenza, posta in risalto dalla piu' recente giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 34 del 1986) in tema di prestazioni patrimoniali imposte, secondo cui "la delimitazione della potesta' amministrativa non deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa, ma ben puo' risultare da tutto il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte". 5.4. - Anche l'esigenza di un modulo procedimentale, che metta al riparo dalla eventualita' di arbitrii dell'amministrazione, rendendo possibile l'indagine sulle varie fasi del procedimento, appare nella specie soddisfatto. Basta al riguardo considerare che, secondo la normativa indicata, e' previsto, per i diritti sub a) e sub b) - che sono quelli aventi la maggiore rilevanza - una delibera della Camera di commercio nonche' l'approvazione con decreto del Presidente della Repubblica (art. 7, comma quarto, R.D. n. 29 del 4 gennaio 1925), su proposta del Ministro competente (art. 53, comma secondo, t.u. 20 settembre 1934, n. 2011). Si e' dunque in presenza di un procedimento ben articolato che consente un adeguato controllo nel loro susseguirsi, delle varie fasi del procedimento per verificare la ragionevolezza delle determinazioni adottate. Quanto infine ai diritti indicati sub c), per i quali e' solo prevista la delibera della Camera di commercio, questa semplificazione procedimentale e' giustificata dalla natura dei servizi cui i diritti in parola si riferiscono, perche' essi concernono l'uso dei telefoni, dei tavoli, delle cabine e di ogni altro servizio (chiaramente affine a quelli teste' elencati), cioe' di un complesso di prestazioni di carattere meramente materiale, rispetto alle quali la garanzia procedimentale puo' gia' ritenersi soddisfatta, con la previsione della sola delibera della Camera di commercio. 6. - Negli scritti difensivi e nella discussione orale, allo scopo di sottolineare il denunciato contrasto con l'art. 23 Cost., sono state poste in evidenza una serie di incongruenze che sarebbero riscontrabili in concreto nel contenuto dei decreti presidenziali determinativi delle tariffe in parola. Al riguardo e' agevole rilevare che gli aspetti evidenziati (come ad esempio l'identita' della misura dei diritti di borsa, qualunque sia la dimensione di questa, oppure l'ancoraggio dei diritti per la quotazione nei listini al capitale delle societa', etc.), ove dovessero essere reputati irragionevoli sarebbero se mai da attribuirsi ad una cattiva applicazione della norma denunciata e non ad una irrazionale previsione di questa. In tal caso spetterebbe al giudice di merito il compito di verificare se, nella determinazione della misura di quelle tariffe e nella individuazione dei soggetti tenuti agli oneri in questione, i decreti presidenziali abbiano o meno rispettato i criteri desumibili dall'intero contesto normativo che regola la materia, potendosi cosi' trarre le naturali conseguenze nella sede giudiziaria appropriata. 7. - Inconferente, ai fini del presente giudizio, e' infine la circostanza, posta in evidenza in qualcuna delle ordinanze di rinvio e negli scritti difensivi delle parti private, secondo cui attualmente non spetterebbero piu' alle Camere di commercio i diritti connessi alle quotazioni di listino, essendo state le relative funzioni attribuite alla Consob dalla legge 1974, n. 216 e dalle successive norme che disciplinano detta Commissione. Trattasi di tutta evidenza di un problema che non riguarda il giudizio di legittimita' costituzionale, perche' si e' in presenza di una questione d'ordine interpretativo che deve essere risolta dal giudice di merito, allo scopo di verificare se, nella determinazione concreta delle tariffe dei diritti di borsa, si sia tenuto conto dell'eventuale venir meno di compiti gia' attribuiti alle Borse, come conseguenza dell'avvenuto trasferimento alla Consob. Difatti, sulla base dei criteri desumibili dall'intero complesso normativo teste' descritto, la prestazione patrimoniale dovrebbe necessariamente avere come parametro di riferimento solo i servizi effettivamente resi dalle Borse e non anche quelli che, in ipotesi, in base a norme successive, fossero stati loro sottratti.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Previa riunione dei giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 53 e 80 del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011 ("Approvazione del testo unico delle leggi sui Consigli provinciali dell'economia corporativa e sugli Uffici provinciali dell'economia corporativa"), sollevata in riferimento all'art. 23 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: CAIANIELLO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 5 maggio 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0724