N. 694 SENTENZA 9 - 23 giugno 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Lavoro -
 Cassa integrazione guadagni - Sospensioni dal lavoro Scelta del
 personale - Criteri della rotazione o di obiettiva ripartizione della
 riduzione dell'orario di lavoro tra la generalita' dei dipendenti -
 Obbligo per le imprese - Omessa previsione - Inammissibilita'.
 (Legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2; legge 8 agosto 1972, n.
 464, art. 1; legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 1; legge 12 agosto
 1977, n. 675, art. 2).  (Cost., artt. 2, 3, 4 e 41)
(GU n.26 del 29-6-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 5
 novembre 1968, n. 1115 (Estensione, in favore dei lavoratori, degli
 interventi della cassa integrazione guadagni, della gestione
 dell'assicurazione contro la disoccupazione e della cassa assegni
 familiari e provvidenze in favore dei lavoratori anziani licenziati),
 dell'art. 1 della legge 8 agosto 1972, n. 464 (Modifiche ed
 integrazioni alla l. n. 1115/1968), dell'art. 1 della legge 20 maggio
 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), e dell'art.
 2 della legge 12 agosto 1977, n. 675 (Provvedimenti per il
 coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la
 riconversione e lo sviluppo del settore), promossi con le seguenti
 ordinanze:
   1) ordinanza emessa il 19 marzo 1987 dal Pretore di Milano nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Carcano Pierluigi ed altri e
 la S.p.A. Alfa Romeo ed altra, iscritta al n. 314 del registro
 ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 32/prima s.s. dell'anno 1987;
   2) ordinanza emessa il 2 giugno 1987 dal Pretore di Pontedera nel
 procedimento civile vertente tra Genovesi Angelo ed altri e la S.p.A.
 Piaggio e C., iscritta al n. 561 del registro ordinanze 1987 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44/prima s.s.
 dell'anno 1987.
   Visti di atti di costituzione di Cantatore Luigi ed altri, di
 Genovesi Angelo ed altri, della S.p.A. Alfa Romeo e Alfa Romeo Auto e
 della S.p.A. Piaggio nonche' l'atto di intervento del Presidente del
 Consiglio dei ministri;
   udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1988 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
   uditi gli avv.ti Valerio Onida per Cantatore Luigi ed altri, Andrea
 Proto Pisani per Genovesi Angelo ed altri, Renato Scognaliglio, Paolo
 Barile e Salvatore Trifiro' per le S.p.A. Alfa Romeo e Alfa Romeo
 Auto e Luigi Calabrese per la S.p.A. Piaggio e l'Avvocato dello Stato
 Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                      Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza in data 19 marzo 1987 (R.O. n. 314/87), il
 Pretore di Milano ha sollevato la questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 2, legge 5 novembre 1968 n. 1115; 1, legge
 8 agosto 1972 n. 464; 1, legge 20 maggio 1975 n. 164; 2, legge 12
 agosto 1977 n. 675; nella parte in cui non prevedono l'obbligo per le
 imprese che operano sospensioni dal lavoro di attuare la riduzione
 dell'orario mediante il c.d. criterio della "rotazione" o, comunque,
 mediante criteri di ripartizione della riduzione stessa sulla
 generalita' dei lavoratori addetti alle lavorazioni interessate dai
 provvedimenti di sospensione dal lavoro: e cio' in riferimento agli
 artt. 3, 4 e 41 Cost.
   Con gli atti introduttivi del giudizio a quo, numerosi dipendenti
 dell'Alfa Romeo S.p.A. e dell'Alfa Romeo Auto S.p.A. avevano chiesto
 che venisse dichiarata l'illegittimita' delle sospensioni in cassa
 integrazione a zero ore adottate da dette societa' nei loro confronti
 e, conseguentemente, pronunciata la condanna delle medesime a
 reintegrare essi dipendenti nel posto di lavoro ed a corrispondere le
 differenze retributive tra il trattamento di integrazione salariale e
 la normale retribuzione. A fondamento della domanda, i ricorrenti
 avevano dedotto l'illegittimita' del provvedimento del C.I.P.I., col
 quale era stata accertata la sussistenza delle condizioni
 giustificatrici della proroga del trattamento straordinario di
 integrazione salariale, nonche' quella delle sospensioni a zero ore
 disposte dalle societa' convenute, senza osservanza di alcuno dei
 suddetti criteri, e dei sistemi di scelta da queste utilizzati per la
 individuazione dei lavoratori da sospendere.
   Nonostante la molteplicita' dei profili di illegittimita' dei
 contestati provvedimenti, il giudice remittente ha ritenuto rilevante
 la questione di costituzionalita' concernente il solo aspetto della
 mancata previsione, da parte del legislatore, del criterio della
 "rotazione" o di altri ugualmente idonei a ripartire in modo uniforme
 sui lavoratori interessati il sacrificio della sospensione, atteso
 che il requisito della rilevanza deve essere inteso (anche alla
 stregua della giurisprudenza di questa Corte: sent. n. 143/'80) nel
 senso della idoneita' di una eventuale pronunzia di
 incostituzionalita' ad esercitare una decisiva influenza anche su una
 soltanto delle diverse soluzioni possibili della controversia,
 implicate dal thema decidendum.
   Ne', ad avviso del giudice a quo, l'ammissibilita' della proposta
 questione puo' negarsi in base al rilievo che il suo accoglimento
 postula la pronunzia di una sentenza "additiva", ossia espansiva
 della sfera di efficacia delle disposizioni impugnate, in quanto la
 giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente (si cita, ad esempio,
 il caso delle sentt. nn. 63/'66, in materia di prescrizione dei
 criteri di lavoro, e 1/'87, in ordine al diritto del padre lavoratore
 all'astensione dal lavoro ed al godimento dei riposi giornalieri)
 avallato il principio per cui la contrarieta' di una norma ordinaria
 ai principi della Costituzione puo' essere rimossa non soltanto
 mediante la tecnica meramente caducatoria, ma anche mediante una piu'
 ampia lettura di essa, cosi' da farvi ricomprendere quei precetti che
 la rendano conforme al dettato della norma sovraordinata.
 Alla dimostrazione della non manifesta infondatezza della
 questione, il giudice a quo ha, poi, premesso due osservazioni: la
 prima, intesa a sottolineare come, nella specie, non si discuta di
 una sospensione dell'attivita' di determinati reparti aziendali, la
 cui momentanea chiusura renda inutilizzabili le prestazioni dei
 lavoratori ivi addetti, bensi' di una crisi dell'impresa nel suo
 complesso, comportante esuberanza, piu' o meno temporanea di
 personale, con interessamento dell'intero organico; la seconda
 consistente nell'escludere che la vigente normativa in materia
 contenga (a differenza di quanto ritenuto da talune minoritarie
 opzioni ermeneutiche) disposizioni idonee a garantire l'uniforme
 distribuzione, su tutti i lavoratori coinvolti da una crisi di
 siffatta natura, dei sacrifici conseguenti alle disposte contrazioni
 dell'attivita' produttiva. Ad avviso dello stesso giudice, invero,
 anche quando vi sia incidenza della riduzione d'orario sulla
 globalita' dell'azienda, la scelta dei lavoratori da sospendere e'
 rimessa alla discrezionalita' dell'imprenditore, tenuto
 esclusivamente al rispetto di taluni limiti esterni (divieto di
 discriminazioni per ragioni sindacali, politiche, di sesso ecc...) o
 interni, costituiti dall'obbligo di operare una selezione fondata su
 criteri oggettivi e coerenti alle finalita' della cassa integrazione.
   Alla stregua di tali premesse, la normativa denunciata viene,
 quindi, ritenuta in contrasto:
   a) con l'art. 3 Cost., per la disparita' di trattamento che
 determina fra lavoratori, a seconda che siano sospesi o non
 dall'attivita', sebbene la globalita' della crisi aziendale li
 investa tutti in eguale misura e sebbene essi offrano tutti un
 identico apporto di lavoro all'imprenditore, nell'ambito delle
 rispettive categorie professionali; in particolare, questa identita'
 di apporto deve far ritenere indifferente per il datore di lavoro la
 selezione tra dipendenti con uguale qualifica ed addetti ad identiche
 mansioni, talche' le lamentate carenze della normativa suddetta non
 possono neanche giustificarsi per fini di salvaguardia dell'esercizio
 di legittimi poteri discrezionali di parte datoriale, diretti a
 concretizzare valutazioni di merito nell'ambito della gestione dei
 rapporti di lavoro (es., per promozioni, assegnazione di mansioni,
 determinazione dell'entita' della retribuzione, ecc...) e percio' non
 valutabili in base al principio di eguaglianza formale;
   b) con l'art. 4 Cost., in quanto consente che una degradazione a
 mero interesse del diritto al lavoro possa essere realizzata nel
 teste descritto modo discriminatorio, ossia sulla base di regole
 casuali (come quella dell'anzianita' o altre simili), non dettate ne'
 da esigenze dell'impresa meritevoli di tutela, ne' da necessita'
 derivanti dalle finalita' dell'intrapreso risanamento, ne', infine,
 da opportunita' di tutela differenziata per alcune categorie di
 lavoratori (in quanto, non verificandosi estinzione dei rapporti, non
 vi e' necessita' di prevedere una tutela rafforzata per le categorie
 piu' deboli, tramite l'applicazione di criteri di selezione analoghi
 a quelli previsti dagli accordi interconfederali in materia di
 licenziamenti per riduzione di personale);
   c) con l'art. 41 Cost., perche' il limite dell'utilita' sociale
 posto alla liberta' di iniziativa economica privata comporta la
 necessita' di forme organizzative dell'impresa idonee a garantire,
 sia pure in un'ottica di equo contemperamento degli interessi, il
 massimo livello ed il mantenimento dell'occupazione; il che non
 appare compatibile, in subiecta materia, con la denunciata carenza di
 obbligatori criteri di ripartizione, fra tutti i lavoratori
 dell'impresa, degli oneri della sospensione, tenuto conto della
 ricordata indifferenza, per l'imprenditore, della scelta dei
 dipendenti da sospendere. Ne' puo', in contrario, invocarsi una
 presunta maggiore economicita' di gestione, come propria del vigente
 sistema perche', in nome di essa, non sarebbe giustificabile il
 sacrificio di detta garanzia costituzionale di interessi primari,
 quali quelli della liberta' e dignita' dell'individuo, sia in se'
 considerato, sia nella sua specifica condizione di lavoratore: e cio'
 anche in considerazione del fatto che il trattamento di integrazione
 salariale, pur costituendo una forma di solidarieta' sociale nei
 confronti dei lavoratori sospesi, non esclude la mortificante
 condizione di costoro rispetto a quelli che possono continuare nella
 prestazione della propria attivita', tanto piu' quando si tratti,
 come nella specie, di integrazione salariale straordinaria, destinata
 a svolgersi per periodi di tempo di lunga ed imprecisata durata.
   2. - Analoga questione ha sollevato anche il Pretore di Pontedera
 (con ordinanza in data 2 giugno 1987; R.O. n. 561/'87), il quale ha
 altresi' denunciato il contrasto delle ricordate norme con l'art. 2
 Cost., in considerazione del fatto che l'allontanamento dal lavoro
 per un tempo indeterminato puo' comportare una vera e propria perdita
 di identita' personale e di ruolo sociale, con conseguente
 compromissione di quei diritti inviolabili garantiti dal precetto
 costituzionale.
   3. - Entrambe le ordinanze, ritualmente comunicate e notificate,
 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
 Si sono costituite le parti private e, nel solo giudizio introdotto
 con l'ordinanza del Pretore di Milano, e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri.
   3.1 - La difesa dei lavoratori ha concluso nel senso della
 fondatezza della questione, con argomenti sostanzialmente
 sovrapponibili a quelli svolti nell'ordinanza di rimessione: cio' sia
 pure subordinatamente all'eventualita' che la Corte non ritenga
 meritevole di adesione quell'orientamento giurisprudenziale secondo
 il quale, gia' allo stato della vigente normativa, risulta imposta
 all'imprenditore l'osservanza di criteri che, come quello della
 rotazione, possano assicurare l'equa ripartizione, fra tutti i
 dipendenti, dei sacrifici connessi alla contrazione dell'attivita'
 produttiva.
 Ogni altro criterio che, invece, rimetta al discrezionale potere
 del datore di lavoro la scelta dei dipendenti cui addossare in modo
 esclusivo detti sacrifici, fatalmente si espone alle proposte censure
 di illegittimita' costituzionale, in quanto finisce per divenire un
 modo surrettizio ed anomalo per perseguire non solo, o non tanto, lo
 scopo di ridurre il carico complessivo di ore lavorate e pagate,
 bensi' quello di allontanare (temporaneamente, ma per lunghi periodi
 ed eventualmente anche anticipando una definitiva espulsione) i
 lavoratori giudicati meno produttivi o meno utili, per eta',
 condizioni di salute, rendimento pregresso ecc.
 Ne', rispetto a tali finalita', costituisce sufficiente strumento
 dissuasivo il semplice divieto di atti discriminatori, rimanendo pur
 sempre a disposizione dell'imprenditore il potere di selezione che,
 essendo, di per se', non strettamente coerente con i suddetti scopi
 precipui della cassa integrazione, si presta ad un'utilizzazione
 distorta, a tutto discapito dei lavori sospesi, tenuto anche conto
 della incerta possibilita' di ritenerlo condizionato all'osservanza
 dei criteri stabiliti per la diversa ipotesi dei licenziamenti per
 riduzione di personale.
   3.2 - La difesa delle imprese ha concluso, preliminarmente, nel
 senso dell'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza
 attuale: quella individuata dal giudice remittente sarebbe, invero,
 una rilevanza meramente eventuale, attesi i vari profili del thema
 decidendum, sicche' difetterebbe il requisito della pregiudizialita'
 necessaria della questione medesima, che si concreta solo allorche'
 il dubbio, ai fini della definizione del giudizio pendente, "investe
 una norma dalla cui applicazione il giudice dimostra di non poter
 prescindere" (Corte cost. sentt. nn. 190/'84 e 2/'86).
   Sotto altro profilo, l'irrilevanza della questione viene anche
 dedotta osservandosi che le norme censurate attengono ai casi ed ai
 tempi in cui i lavoratori sospesi hanno diritto di percepire il
 trattamento di cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) non
 invece ai poteri imprenditoriali di direzione e di organizzazione
 (es., artt. 2082 e 2086 cod. civ.) in forza dei quali vengono
 effettuate le sospensioni e le scelte del personale nei cui confronti
 dovrebbe operare il richiesto intervento di integrazione salariale:
 scelte che, invece, sono in contestazione nel giudizio a quo.
   Ulteriori profili di irrilevanza vengono anche ravvisati nel fatto
 che il suddetto potere di scelta non concreta un merum arbitrium
 dell'imprenditore, essendo sottoposto al limite della non
 discriminazione e dell'osservanza dei principi di correttezza e di
 buona fede, che impongono altresi' di valutare la coerenza tra
 sospensione e motivi, specifici per ciascuna azienda, di intervento
 della cassa: il problema della legittimita' delle scelte si pone,
 pertanto, solo nell'ambito della fase attuativa dell'esercizio del
 potere gerarchico ed organizzativo che compete all'imprenditore ed e'
 sottratto in radice, in quanto tale, al vaglio di costituzionalita',
 dovendosene, tutt'al piu', verificare il buon uso nei singoli casi
 concreti.
   E ancora: la censura e' stata proposta in riferimento alle norme
 che governano sia la cassa integrazione ordinaria che quella
 straordinaria, senza alcuna considerazione delle distinzioni
 reciproche e di quelle che, nell'ambito di ciascuna categoria,
 possono farsi fra le varie ipotesi (crisi, ristrutturazioni, ecc...);
 essa, poi, non ha tenuto conto del fatto che i criteri di scelta in
 concreto adottati dalle imprese convenute (anzianita' di servizio per
 le categorie meno elevate; professionalita' funzionale per quelle
 meno elevate) sono stati conseguenti alla fallita sperimentazione del
 criterio della rotazione, dimostratosi fonte di aggravi economici
 incompatibili con le finalita' di risanamento per le quali il
 trattamento di integrazione salariale era stato accordato; infine, la
 censura, tutta fondata com'e' su di un'ipotizzata fungibilita' tra
 lavoratori nello svolgimento di una determinata mansione, omette di
 attribuire il dovuto rilievo alle esigenze aziendali attinenti
 all'organizzazione e gestione complessiva del lavoro nel rispetto del
 principio di economicita', in un'ipotetica situazione di continuo
 interscambio di personale nelle attivita' lavorative.
 La stessa difesa ha, poi, eccepito l'inammissibilita' della
 questione e, nel merito, ne ha dedotto la manifesta infondatezza.
 L'inammissibilita' discenderebbe dal fatto che una pronunzia di
 accoglimento nei termini pretesi dal giudice a quo avrebbe l'effetto
 di creare una vera e propria norma giuridica del tutto nuova, per di
 piu' svincolata dalle caratteristiche peculiari dei vari tipi di
 intervento della cassa integrazione e delle varie strutture aziendali
 nell'ambito delle quali la nuova norma dovrebbe trovare applicazione.
 La manifesta infondatezza viene argomentata in base alla
 considerazione che nei rapporti privati di lavoro non puo' ritenersi
 operante un generale principio di parita' di trattamento, essendo
 consentito al datore di lavoro di diversificare, nel rispetto delle
 norme inderogabili, le posizioni dei singoli dipendenti; che il
 diritto al lavoro non costituisce una garanzia costituzionale
 assoluta di conseguimento e mantenimento dell'occupazione, sicche', a
 fortiori, non puo' avere rilevanza in materia di cassa integrazione,
 che non comporta neppure la cessazione del rapporto; che, del resto,
 la migliore garanzia materiale di quel diritto, come di quelli
 connessi, sta nell'efficienza del meccanismo produttivo, al cui
 recupero tende appunto lo strumento della cassa integrazione che
 risulta, rispetto a tale finalita', tanto piu' efficace quanto minori
 sono i fattori di rigidita' della gestione della crisi aziendale.
   3.3 - Anche la difesa dell'autorita' intervenuta ha eccepito
 l'inammissibilita' della questione in relazione alla natura additiva
 della pronunzia richiesta ed alla molteplicita' delle soluzioni
 ugualmente possibili per assicurare l'uniforme ripartizione del
 sacrificio fra i lavoratori; molteplicita' che costituisce riprova
 del fatto che la materia implica scelte riservate alla
 discrezionalita' del legislatore (Corte cost., sentt. nn. 39/'86 e
 102/'77).
 Ha, inoltre, dedotto l'infondatezza della questione in quanto il
 contestato potere di scelte, le quali hanno altro e diverso oggetto;
 esse, poi, tacendo al riguardo, non autorizzano, per cio' solo,
 l'esercizio di tale potere in modo irrazionale o discriminatorio,
 essendo lo stesso subordinato alla coerenza con la c.d. causa
 integrabile ed all'osservanza del divieto di atti discriminatori;
 infine, ragionevolmente e' stata omessa la previsione della
 necessaria osservanza di un rigido criterio di rotazione, o di altri
 analoghi, che potrebbe confliggere con specifiche esigenze tecnico-
 organizzative e cosi' vanificare l'intervento della C.I.G.
   4. - Nell'imminenza dell'udienza, hanno depositato memorie le
 difese sia dei lavoratori che dei datori di lavoro costituiti nei
 giudizi introdotti con le ordinanze nn. 314/87 e 561/87.
 La difesa dei lavoratori dipendenti dalla Finmilano S.p.A. e dalla
 Sofinpar S.p.A. contesta, in primo luogo, l'eccezione di
 inammissibilita' della questione, sollevata dalla controparte sotto
 vari profili, ed osserva al riguardo che il giudice a quo ha
 esattamente individuato le disposizioni di legge applicabili,
 avanzando, relativamente ad esse, il dubbio di illegittimita'; che,
 ai fini della rilevanza della questione medesima, non e' affatto
 necessaria la definitiva dimostrazione che il giudizio principale
 sara' definito esclusivamente mediante l'applicazione delle
 disposizioni impugnate; che le norme oggetto della censura e non
 altre sono quelle individuabili come fonte del potere imprenditoriale
 di scegliere discrezionalmente i lavoratori da sospendere; che,
 infine, le caratteristiche concrete della vicenda oggetto del
 processo a quo non possono influire in alcun modo sulla rilevanza
 della questione, una volta che sia stato accertato e motivato dal
 giudice remittente (come e' accaduto nella fattispecie) che parametri
 per la valutazione della legittimita' dei comportamenti di parte
 datoriale sono proprio quelle norme legislative (anche nelle parti in
 cui esse omettono di stabilire alcunche') a cui la questione stessa
 si riferisce.
 Quanto al problema della pur eccepita inammissibilita' della
 questione sotto il profilo della natura additiva della decisione
 auspicata dalla Corte, la stessa difesa osserva che tale natura non
 e', di per se', produttiva della conseguenza prospettata ex adverso,
 in quanto, alla luce dei parametri costituzionali invocati dal
 giudice a quo, l'adozione normativa di un criterio di equa
 ripartizione degli oneri della sospensione si impone come contenuto
 necessario della disciplina della materia, potendo variare soltanto
 le modalita' specifiche da osservare per rispettare quel criterio
 ("rotazione" o altro simile): non vi e', dunque, prospettazione di
 piu' soluzioni, nell'ordinanza di rimessione, ma soltanto
 l'identificazione di tale necessario contenuto che, correlativamente,
 dovrebbe costituire il proprium della decisione chiesta alla Corte,
 senza alcuna invadenza da parte di questa nell'ambito della
 discrezionalita' legislativa.
 Nel merito, poi, la suddetta difesa insiste per la declaratoria di
 illegittimita' delle norme censurate. Osserva al riguardo che, nella
 vigente disciplina del rapporto di lavoro e delle sue vicende e' dato
 individuare l'immanenza del principio per cui le scelte
 imprenditoriali incidenti sui lavoratori sono condizionate al
 rispetto di regole e criteri oggettivi e controllabili, che limitano
 il relativo "potere privato".
   Cio' si percepisce gia' in sede di disciplina del collocamento,
 attraverso le restrizioni poste al potere di assunzione nominativa;
 poi, con riferimento alla disciplina limitativa del potere di recesso
 dell'imprenditore, in materia di licenziamenti individuali, e del
 potere di scelta dei lavoratori da licenziare, in caso di riduzione
 del personale. Ne' diverso e' il principio che presiede alla
 disciplina della cosi' detta "mobilita' controllata" dei lavoratori
 fra diverse aziende (art. 25, legge n. 675/75) o a quella dei
 contratti di solidarieta', particolarmente significativa, in quanto
 idonea a determinare un'equa ripartizione fra tutti i lavoratori
 interessati degli oneri conseguenti a disposte riduzioni di orario
 (d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, conv. in legge 19 dicembre 1984, n.
 863).
 In un tale contesto normativo sarebbe assurdo ritenere che solo in
 materia di sospensione dal lavoro per intervento della Cassa
 Integrazione, debba legittimamente sopravvivere un potere
 discrezionale, di parte datoriale, di scegliere i lavoratori sui
 quali deve esclusivamente gravare il relativo onere, senza quei
 temperamenti imposti dall'evoluzione dell'ordinamento giuslavoristico
 e che parte della giurisprudenza ha, in via interpretativa,
 configurato come necessari, gia' allo stato della vigente normativa.
   5. - La difesa delle summenzionate Societa', premessa
 un'illustrazione delle varie norme avvicendatesi in materia di cassa
 integrazione e precisato che finalita' esclusiva di tale istituto e'
 quella di realizzare il risanamento e la trasformazione dell'impresa
 in crisi, senza che si debba procedere a licenziamenti, ribadisce
 preliminarmente tutte le eccezioni di inammissibilita' della
 questione, nei molteplici aspetti gia' illustrati nell'atto di
 costituzione.
 Del pari, insiste nelle gia' proposte conclusioni circa
 l'infondatezza della questione. All'uopo osserva che e' mal posto il
 riferimento all'art. 3 Cost., sia perche' tale norma non consente di
 fondare un principio di parita' di trattamento che operi nel mero
 ambito dei rapporti privatistici, sia perche', ritenuta l'inesistenza
 di una disciplina legislativa in materia di scelta dei lavoratori da
 sospendere, l'esercizio del correlativo potere da parte del datore di
 lavoro, puo', tutt'al piu', comportare diseguaglianze di mero fatto,
 irrilevanti, come tali, ai fini del giudizio di costituzionalita' di
 quella disciplina.
 D'altra parte, il potere in questione non puo' essere esercitato in
 modo arbitrario e discriminatorio, essendo, viceversa, soggetto ai
 limiti esterni ed interni gia' ricordati con l'atto di costituzione.
 Solo apoditticamente, poi, nell'ordinanza di rimessione e negli
 scritti difensivi avversari, si insiste su di una presunta
 indifferenza, per l'imprenditore, dell'individuazione dei lavoratori
 da sospendere, laddove questa concretamente consegue a valutazioni
 ispirate ad esigenze tecniche e produttive, imposte dalle finalita'
 di risanamento o di conversione: intento del legislatore e' stato
 appunto quello di non predeterminare e di non imporre criteri di
 scelta che potessero compromettere la possibilita' di realizzare
 siffatti obiettivi di ripresa dell'attivita' imprenditoriale,
 meritevoli di considerazione prioritaria; sul che si fonda anche
 l'intrinseca razionalita' della carenza di previsione del criterio
 della "rotazione" o di altri consimili.
 Si osserva, inoltre, che il giudizio di costituzionalita' ex art. 3
 Cost. richiede necessariamente un tertium comparationis desumibile
 dalla "norma generale derogata" o dalle "logiche dell'ordinamento",
 mentre nel caso di specie tale tertium non appare in modo alcuno
 ravvisabile (ad ulteriore conferma che si e' di fronte a mere
 disparita' di fatto).
 Ugualmente incongruo, secondo la stessa difesa, e' il riferimento
 all'art. 4 Cost., posto che in subjecta materia non viene in
 questione il diritto al lavoro nel senso garantito da tale norma e
 cioe' come diritto al posto di lavoro (adeguatamente tutelato, come
 tale, dalla normativa sulla cassa integrazione, che tende appunto ad
 evitare i licenziamenti), bensi' quello, di minor portata,
 all'effettivo espletamento della prestazione lavorativa; e che, in
 ogni caso, quella garanzia non comporta ex se il diritto al
 conseguimento di un'occupazione o alla conservazione di quella in
 atto ed e' compatibile col potere del legislatore di dettare
 disposizioni limitative, in vista della tutela di altre esigenze
 sociali costituzionalmente protette, quali, con riferimento alla
 specie, possono considerarsi quelle di risanamento delle imprese in
 crisi, in quanto la ripresa di migliori livelli di produttivita'
 costituisce essa medesima uno strumento per realizzare un incremento
 occupazionale e dare, in tal modo, attuazione allo stesso principio
 di cui all'art. 4 Cost.
 Viene, infine, sottolineato che la vigente disciplina della cassa
 integrazione non contrasta, in parte qua, con l'art. 41 Cost. poiche'
 l'esercizio (che, per quanto sopra osservato, non puo' non rispondere
 a criteri di correttezza) del potere imprenditoriale di scelta si
 pone in funzione di un piu' efficace e tempestivo risanamento
 dell'impresa, sicche' non solo non contrasta con l'utilita' sociale
 di cui alla norma costituzionale, ma anzi ne rappresenta concreta
 attuazione, al contrario di quanto avverrebbe se fossero imposti
 onerosi e vincolanti criteri di selezione.
   6. - La difesa dei lavoratori dipendenti dalla Piaggio S.p.A.,
 insistendo per la declaratoria di illegittimita' delle norme
 censurate, osserva che il discrezionale potere di scelta dei
 lavoratori da sospendere non puo' giustificarsi in nome della
 liberta' di iniziativa economica. La garanzia costituzionale di
 quest'ultima non puo' non essere letta nella chiave proposta dalle
 norme che sanciscono diritti fondamentali, alla stregua delle quali
 appare congruo ritenere che l'impresa e' una formazione sociale nella
 quale, ex art. 2 Cost., si esercita il diritto al lavoro di cui
 all'art. 4 Cost. ed il lavoratore sviluppa la sua personalita'; che i
 valori di solidarieta' e di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost.
 impongono che, ove, a seguito di interventi statali (cioe' a carico
 di tutti i cittadini), sia concesso il beneficio della C.I.G., questa
 debba essere sopportata in pari misura da tutti i lavoratori
 dell'impresa, col solo limite della fungibilita' per i lavoratori, ed
 anche se l'adozione del criterio della rotazione possa comportare un
 maggior costo per il datore di lavoro: l'interesse individuale di
 quest'ultimo, invero, dovrebbe recedere non solo in considerazione
 delle necessita' di tutela dei suddetti superiori valori
 costituzionali, ma anche in considerazione della natura di pubblico
 beneficio, propria della C.I.G.
 Non puo' riconoscersi rilievo dirimente al principio per cui il
 suddetto potere discrezionale e' circondato da limiti esterni ed
 implica l'osservanza di limiti interni, posto che ne' gli uni ne' gli
 altri sono idonei ad impedire che il datore di lavoro estrometta
 dall'azienda la manodopera meno produttiva, cosi' penalizzando, ad
 esempio, le lavoratrici ed i lavoratori piu' anziani o in precarie
 condizioni di salute.
 Neanche corretto appare insistere sulle finalita' conservative
 dell'occupazione che sarebbero proprie della C.I.G., poiche'
 l'esperienza dimostra che, sovente, la sospensione di vaste masse di
 lavoratori si e' configurata come vera e propria "anticamera" del
 licenziamento ed ha cosi' consentito tagli all'occupazione di gran
 lunga superiori a quelli che sarebbero stati possibili seguendo le
 vie ordinarie del licenziamento collettivo per riduzione del
 personale. D'altra parte, se l'Istituto in questione e' un beneficio
 disposto a favore dei lavoratori occupati, in ipotesi di crisi
 occupazionali e/o aziendali, e' inammissibile, sul piano giuridico,
 che tale beneficio si realizzi in violazione dei principi di
 solidarieta' e di uguaglianza, anche quando i danni conseguenti alla
 sua adozione potrebbero essere equamente ripartiti fra tutti i
 lavoratori occupati.
 Infine, pretestuosa e' l'obiezione che l'adozione del criterio di
 "rotazione" potrebbe comportare costi esorbitanti e, comunque, in
 contrasto con le stesse finalita' della C.I.G.: se il datore di
 lavoro preferisce - invece di sopportare il costo sociale dei
 licenziamenti collettivi per riduzione del personale - ricorrere al
 beneficio della C.I.G. e riversare sulla collettivita' i costi
 relativi, conservando la professionalita' della forza lavoro, appare
 equo che lo stesso datore di lavoro sopporti quel relativamente basso
 costo economico derivante dalla necessita' di adottare il criterio
 della "rotazione".
   7. - La difesa della Piaggio S.p.A., dopo avere riepilogato i
 termini della controversia agitata nel giudizio a quo ed avere
 contestato l'affermazione del giudice remittente in merito alla
 ritenuta realizzabilita', nel caso di specie, del sistema della
 rotazione (in considerazione della reciproca fungibilita' dei
 lavoratori interessati), sottolinea che lo stesso giudice non ha in
 alcun modo specificato quali diritti inviolabili, garantiti dall'art.
 2 Cost., risulterebbero violati da una normativa che, come quella
 vigente, non consente l'adozione di un sistema siffatto.
 Rileva, poi, che dalla proposta censura non e' dato arguire in qual
 modo il discrezionale potere di scelta dei lavoratori da sospendere,
 riservato all'imprenditore, violerebbe il principio di eguaglianza
 formale, atteso che la sospensione dal lavoro ha luogo senza alcun
 riguardo alle "distinzioni" di sesso, di razza, di lingua, di
 religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali,
 considerate nel parametro costituzionale di riferimento, oltre che
 nel rispetto del principio di non discriminazione di cui all'art. 15
 della legge n. 300/70.
 Egualmente inconferente viene considerato il richiamo all'art. 4
 Cost., sia pure inteso nel senso di norma diretta a garantire
 l'effettivita' del diritto al lavoro, poiche' la normativa censurata
 tende esattamente a concretare siffatta garanzia, avendo per scopo il
 risanamento dell'impresa ed il mantenimento dei livelli
 occupazionali.
   Quanto alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost., si osserva che,
 una volta escluso che la normativa censurata leda o esponga a
 pericolo la sicurezza o la dignita' sociale del lavoratore (in quanto
 la sospensione sottrae il lavoratore stesso ai rischi sempre
 incombenti nel processo produttivo, non ne lede la liberta', ne' lo
 espone, per quanto sopra osservato, a discriminazioni di sorta),
 restando il solo problema dell'utilita' sociale con riferimento al
 quale e', pero', da rilevare che, allorquando, come nel caso in
 questione, la legge positivamente dispone in ordine ad una certa
 situazione, si versa in un ambito riservato alla discrezionalita' del
 legislatore, il cui controllo esorbita dai poteri di questa Corte. In
 sostanza, il legislatore, avendo escluso l'operativita' del criterio
 della rotazione o di altri consimili ed avendo rimesso al potere
 dell'imprenditore l'individuazione dei lavoratori da sospendere, ha
 ritenuto quest'ultimo come l'unico interprete idoneo delle preminenti
 esigenze aziendali da soddisfare al fine del risanamento e percio'
 della realizzazione stessa delle finalita' sociali che all'attivita'
 produttiva si ricollegano: tanto piu' che questi margini di liberta'
 non escludono specifiche pattuizioni con le organizzazioni sindacali,
 intese a dare attuazione anche al sistema della rotazione, ove le
 circostanze concrete lo facciano configurare come compatibile col
 conseguimento delle suddette finalita'.
                         Considerato in diritto
    1.  -  I  due  giudizi  (R.O.  nn. 314/87 e 561/87) possono essere
 riuniti e decisi con un'unica sentenza in quanto prospettano identica
 questione.
    2.  -  I  Pretori  di  Milano  e  di  Pontedera  sospettano  della
 illegittimita' costituzionale degli artt. 2 della  legge  5  novembre
 1968,  n. 1115, 1 della legge 8 agosto 1972, n. 464, 1 della legge 20
 maggio 1975, n. 164, 2 della legge 12  agosto  1977,  n.  675,  nella
 parte  in  cui, disciplinando l'istituzione ed il funzionamento della
 Cassa Integrazione Guadagni, anche a  zero  ore,  non  hanno  sancito
 l'obbligo  per  le  imprese  che  operano  sospensioni dal lavoro, di
 effettuare la scelta del personale da  sospendere  mediante  il  c.d.
 criterio  della rotazione o, comunque, mediante criteri obbiettivi di
 ripartizione per modo che gli oneri  della  riduzione  dell'attivita'
 produttiva  ricadano  sulla  generalita'  dei dipendenti addetti alle
 lavorazioni interessate dai relativi provvedimenti.
    Risulterebbero violati:
       a) l'art. 3 Cost., per la conseguente disparita' di trattamento
 che si determina tra lavoratori sospesi e non sospesi, nonostante che
 la  crisi investa tutta l'azienda e nonostante che tutti i lavoratori
 offrano all'imprenditore, nell'ambito delle categorie  professionali,
 identico apporto di lavoro;
       b)  l'art.  4  Cost.,  perche'  l'allontanamento dall'attivita'
 lavorativa si configura come compromissione illegittima  del  diritto
 al  lavoro,  in quanto attuata attraverso modalita' discriminatorie e
 sulla base  di  regole  non  dettate  ne'  da  esigenze  dell'impresa
 meritevoli  di  tutela,  ne'  da necessita' di risanamento, ne' dalla
 opportunita' di una tutela  differenziata  per  alcune  categorie  di
 lavoratori;
       c)  l'art.  41  Cost., perche' non risulta rispettato il limite
 della utilita'  sociale  posto  all'iniziativa  economica,  il  quale
 comporta  la necessita' di forme organizzative dell'impresa, idonee a
 garantire,  sia  pure  nell'ottica  dell'equo  contemperamento  degli
 interessi,  il  mantenimento  del  massimo  livello  occupazionale  e
 perche'  risulta  consentito  lo  svolgimento   della   liberta'   di
 iniziativa  economica in contrasto con siffatti diritti fondamentali,
 pur in presenza di una sostanziale indifferenza per l'imprenditore in
 ordine  alla  individuazione  dei dipendenti da sospendere o anche in
 difetto di esigenze aziendali idonee a prevalere,  sotto  il  profilo
 della utilita' sociale, sugli interessi sottesi a tali diritti;
       d)  l'art.  2  Cost.,  secondo il Pretore di Pontedera, perche'
 l'allontanamento  dal  lavoro  per  un  tempo   indeterminato,   puo'
 comportare  una vera e propria perdita dell'identita' personale e del
 ruolo sociale con conseguente compromissione dei diritti  inviolabili
 della personalita', costituzionalmente garantiti.
    3.  -  E'  preliminare l'esame della eccezione di inammissibilita'
 sollevata dalla difesa delle imprese. Tra  l'altro,  si  sostiene  la
 mancanza   della   rilevanza  attuale  ossia  della  pregiudizialita'
 necessaria sia perche' non risulta dimostrato che le norme  investite
 sono  quelle  la  cui applicazione e' indispensabile per la soluzione
 della  controversia  sia  perche'  di  questa  sono  possibili  varie
 soluzioni,   per   cui   un'eventuale   pronuncia   di   accoglimento
 eserciterebbe decisiva influenza su una soltanto di  esse,  implicate
 dal  thema decidendum dei giudizi a quibus e, per giunta, senza che i
 giudici remittenti abbiano motivato  sulla  concreta  utilizzabilita'
 delle altre.
    4. - L'eccezione e' fondata.
    La  Cassa  Integrazione  Guadagni  e'  stata  creata  nel 1941 per
 ovviare a sospensioni o a riduzioni di orario di lavoro, dovute  alla
 crisi  bellica.  Negli  anni  successivi, la sua disciplina ha subito
 modificazioni. Il d.lg.lgt. 9 novembre 1945,
 n. 788, ha esteso il trattamento relativo anche a favore degli operai
 che  effettuavano  un  orario  di  lavoro  inferiore  alle   40   ore
 settimanali.  Il d.lg.lgt. 12 agosto 1947, n. 869, l'ha prevista come
 rimedio per ovviare alla crisi di riconversione delle industrie.
    La  legge  5  novembre  1968,  n.  1115,  ha  previsto (art. 2) un
 intervento  straordinario  a  favore  degli  operai   delle   aziende
 industriali,  comprese  quelle  dell'edilizia  ed affini, sospesi dal
 lavoro  o  ad  orario  ridotto  in  dipendenza  di  crisi  economiche
 settoriali o locali o nei casi di ristrutturazioni o riorganizzazioni
 aziendali.
    Con  la  legge 8 agosto 1972, n. 464, l'intervento e' stato esteso
 relativamente alla durata del trattamento economico ed  a  favore  di
 operai dipendenti da imprese industriali nei casi di riconversione.
    La  legge  20  maggio  1975, n. 164, ha distinto gli interventi in
 ordinari e straordinari.
    L'integrazione  salariale  ordinaria  e'  stata  prevista  per  la
 contrazione  e  la  sospensione  dell'attivita'  produttiva:  a)  per
 situazioni  aziendali  dovute  ad  eventi transitori e non imputabili
 all'imprenditore o agli operai; b) ovvero determinate  da  situazioni
 temporanee di mercato.
    L'integrazione  salariale  straordinaria e' stata disposta: a) per
 crisi  economiche  settoriali  o  locali;  b)  per  ristrutturazione,
 riorganizzazione o riconversione industriale.
    La  legge  12  agosto  1977,  n.  675,  ha  demandato  al C.I.P.I.
 l'accertamento della sussistenza delle cause  di  intervento  nonche'
 degli  specifici  casi  di crisi aziendale che presentano particolare
 rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale o
 alla situazione produttiva del settore.
    Dal  contesto  normativo  si  evince  che  la  Cassa  Integrazione
 Guadagni  ha  la  funzione  di  garantire  il  salario  e  i  livelli
 occupazionali dei lavoratori, di evitare i licenziamenti, di superare
 le crisi economiche aziendali, attuando nel contempo  il  risanamento
 delle  aziende o favorendone la riorganizzazione, la ristrutturazione
 o la trasformazione.
    Sia  i  lavoratori  che lavorano ad orario ridotto, sia quelli che
 sono sospesi dall'attivita' lavorativa  godono  di  una  integrazione
 salariale,  mentre  continua,  anche  per questi ultimi, la copertura
 assicurativa e permangono, quindi,  i  trattamenti  previdenziali  ed
 assistenziali.
    Per quanto riguarda il potere di scelta dei lavoratori da porre in
 Cassa, su cui si incentra la controversia, tutte le norme  che  hanno
 attuato    la    disciplina    della   Cassa   lo   hanno   riservato
 all'imprenditore, il quale, tuttavia, non puo' esercitarlo secondo il
 suo  merum  arbitrium,  ma sulla scorta delle valutazioni pubbliche e
 sindacali che fondano il ricorso alla Cassa.
    L'art.  5  della  legge  n.  164  del  1975  prevede espressamente
 l'intervento  del  sindacato  o  delle  rappresentanze  sindacali  in
 fabbrica   o,   in   mancanza,   delle   confederazioni  maggiormente
 rappresentative. Ad  esso  e'  attribuito  l'esame  della  situazione
 dell'azienda nel suo complesso; la verifica della sussistenza e della
 portata della  crisi  nonche'  la  valutazione  degli  interessi  dei
 lavoratori  in  una dimensione globale. In tal modo esso contribuisce
 alla ricerca delle condizioni per il superamento della crisi; sicche'
 trova  considerazione  l'interesse  collettivo  dei lavoratori a che,
 precipuamente, risultino salvaguardati i livelli  occupazionali.  Con
 l'imprenditore  vengono  di  solito  stipulati  accordi  che  sono di
 gestione e di procedimentalizzazione  aziendali,  i  quali  producono
 effetti  anche  nei confronti dei singoli lavoratori. L'imprenditore,
 detentore  del  potere  di  scelta,   nell'esercizio   dell'attivita'
 organizzativa deve, quindi, tener conto, in concreto, degli interessi
 dei lavoratori, prevedendosi requisiti di forma, obiettivi di merito,
 scadenze   e  specificazioni,  priorita'  necessarie,  il  che  rende
 trasparenti le misure di risanamento.
    Le     decisioni     operative     a    livello    dei    rapporti
 sindacato-imprenditore materialmente  incidono  sulle  posizioni  dei
 lavoratori.
    Legittimamente  ed  utilmente  opera  il  potere rappresentativo e
 negoziale degli organismi  sindacali,  soprattutto  di  fabbrica,  in
 funzione di temperamento del potere imprenditoriale.
    Inoltre,  l'esercizio  del  potere  dell'imprenditore  e' soggetto
 anche al sindacato del giudice al fine della verifica dell'osservanza
 di  condizioni  e  limiti  specifici  e  particolari.  Questi ultimi,
 secondo  l'indirizzo  giurisprudenziale,  si  distinguono  in  limiti
 esterni  e  limiti  interni. Anzitutto un limite interno deriva dalla
 necessaria  sussistenza  del  rapporto  di  coerenza  fra  le  scelte
 dell'imprenditore  e  le  finalita'  specifiche cui e' preordinata la
 Cassa e che devono essere realizzate.
    Consegue  che  i  criteri  da  applicare  devono  essere dotati di
 obiettiva razionalita',  non  devono  essere  rispondenti,  cioe',  a
 valutazioni  arbitrarie  o,  comunque,  assolutamente discrezionali o
 immotivate ma devono essere controllabili e verificabili ex post.
    Un   limite   generale  deriva  dalla  osservanza  dei  doveri  di
 correttezza e di buona fede oggettiva, imposti  dagli  artt.  1175  e
 1375 cod. civ.
    Limiti  esterni  derivano  dal divieto di discriminazioni (art. 15
 Statuto dei  Lavoratori),  quali,  per  esempio,  quelle  per  motivi
 sindacali, per ragioni di eta' (giovani o anziani), di sesso (parita'
 uomo-donna),  di  invalidita'  o  di   presunta   ridotta   capacita'
 lavorativa   per   altre   cause.   L'imprenditore   puo'   subire  o
 l'annullamento, da  parte  del  giudice,  delle  scelte  operate,  se
 attuative di discriminazioni, o la condanna al risarcimento dei danni
 in ogni altro caso. Sicche', anche in tal modo, rimane  garantita  la
 legittimita'   delle   scelte   ed   evitata  l'artificiosita'  o  la
 dissimulazione di finalita' illecite.
    La   contrattazione   aziendale   talvolta   ha   previsto   anche
 l'applicazione del criterio della rotazione, sempre che  lo  consenta
 la  situazione  da  sanare,  che  sussista  una  fungibilita'  tra  i
 lavoratori cassintegrandi o che i costi  non  siano  elevati  ed,  in
 definitiva, non vi sia il pericolo della frustrazione o della mancata
 realizzazione delle finalita' che si e' posta la legge di  previsione
 dei trattamenti di cassa integrazione.
    La  specialita'  dei  settori  di  fabbrica da sanare potrebbe non
 consentire l'applicazione generale ed indiscriminata del criterio.
    Nella  fattispecie,  del resto, gli stessi giudici remittenti, pur
 indicando il criterio della rotazione come idoneo  ad  assicurare  la
 razionale  obiettivita' e la equa ripartizione tra i lavoratori della
 fabbrica  dei  sacrifici  derivanti  dalla  collocazione   in   cassa
 integrazione,  hanno  riconosciuto la possibilita' di applicazione di
 altri criteri egualmente razionali ed obiettivi, idonei a raggiungere
 le finalita' che ritengono conformi al precetto costituzionale di cui
 hanno rilevato la violazione e, in sostanza, hanno demandato a questa
 Corte  la  scelta  di uno di essi. Essi stessi si rendono conto delle
 peculiarita' delle situazioni da sanare e del fatto che ogni episodio
 della  vicenda crisi ha una sua autonomia e si presenta con caratteri
 peculiari  e  talvolta  nuovi  e  della   necessita'   di   equamente
 contemperare    gli    interessi   dei   lavoratori   e   l'interesse
 dell'imprenditore.
    In  tale  situazione  la  questione  non  e' ammissibile in quanto
 questa Corte non puo' effettuare scelte che,  invece,  sono  affidate
 alla   discrezionalita'   del  legislatore  che  deve  realizzare  le
 finalita' della politica economico-sociale che persegue.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 2 della legge 5 novembre 1968, n.  1115  (Estensione,  in
 favore  dei  lavoratori,  degli  interventi  della cassa integrazione
 guadagni, della gestione dell'assicurazione contro la  disoccupazione
 e   della  cassa  assegni  familiari  e  provvidenze  in  favore  dei
 lavoratori anziani licenziati), 1 della legge 8 agosto 1972,  n.  464
 (Modifiche  e  integrazioni  alla  l. n. 1115/1968), 1 della legge 20
 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario)  e  2
 della legge 12 agosto 1977 n. 675 (Provvedimenti per il coordinamento
 della politica industriale, la ristrutturazione, la  riconversione  e
 lo  sviluppo del settore), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3,
 4 e 41 Cost., dai Pretori di Milano e di Pontedera con  le  ordinanze
 in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 23 giugno 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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