N. 961 SENTENZA 10 - 13 ottobre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.  Corte dei
 conti - Regione Sicilia - Controllo successivo sui consuntivi degli
 enti locali - Violazione delle competenze regionali - Funzione di
 controllo - Conoscenza strumentale ai poteri decisionali delle Camere
 - Infondatezza.  (D.-L. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 13, quarto,
 quinto e sesto  comma, come modificato dalla legge di conversione 26
 febbraio 1982, n. 51).  (Cost., artt. 100, secondo comma, e 130;
 statuto regione Sicilia, artt. 15, terzo comma, e 23; d.-l. 6 maggio
 1948, n.  655, art. 10)
(GU n.42 del 19-10-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo unico della
 legge 26 febbraio 1982, n.  51,  che  ha  convertito  in  legge,  con
 modificazioni,  il  d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, avente ad oggetto:
 "Disposizioni in materia di finanza  locale",  promosso  con  ricorso
 della  Regione  Sicilia  notificato  il  30 marzo 1982, depositato in
 cancelleria il 7 aprile successivo ed iscritto al n. 24 del  registro
 ricorsi 1982;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avv.  Giuseppe  Fazio per la Regione Sicilia e l'Avvocato
 dello Stato Giorgio Azzariti per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Regione  Sicilia  ha proposto ricorso in via principale
 contro l'art. 13 (quarto, quinto e sesto comma) del d.l. 22  dicembre
 1981  n.  786  (Disposizioni in materia di finanza locale), nel testo
 modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1982 n. 51.
    Le disposizioni impugnate prevedono l'obbligo, per le province e i
 comuni con popolazione superiore a ottomila abitanti, di  trasmettere
 i  propri  conti  consuntivi  alla  Corte  dei  conti,  insieme  alle
 relazioni dei revisori e  ad  ogni  altro  documento  e  informazione
 richiesta  dalla Corte medesima. E' previsto il termine del 31 luglio
 per la comunicazione al Parlamento (da parte della Corte) dell'elenco
 dei  conti  consuntivi pervenuti e del piano delle rilevazioni che la
 Corte si propone di  compiere,  con  l'indicazione  dei  criteri  cui
 intende attenersi nell'esame dei conti medesimi. E' previsto, infine,
 che, in ogni caso, la Corte dei conti esamini la gestione finanziaria
 degli  enti  che  abbiano  registrato  il maggior aumento della spesa
 negli ultimi tre anni e la cui spesa pro-capite  sia  superiore  alla
 media,  riferendo  annualmente  al  Parlamento i risultati dell'esame
 compiuto sulla gestione finanziaria e sul buon andamento  dell'azione
 amministrativa degli enti.
    2.  - La ricorrente lamenta che una legge ordinaria abbia affidato
 alla Corte dei conti il controllo  successivo  sui  consuntivi  degli
 enti locali, violando cosi' l'art. 100 Cost. che prevede il controllo
 successivo solo sulla gestione del bilancio dello Stato.
    Sarebbero  inoltre  violate, sempre secondo la Regione Sicilia, le
 competenze regionali in materia di controllo sugli  enti  locali:  in
 particolare,  l'art.  130  Cost.,  che  prevede  controlli sugli enti
 locali solo da parte di un organo regionale (il Comitato regionale di
 controllo);  l'art.  15,  terzo comma, dello Statuto, che prevede una
 potesta' legislativa regionale (definita esclusiva,  nel  quadro  dei
 principi  generali  contenuti nei due precedenti commi) in materia di
 "ordinamento e controllo degli enti  locali";  ed  infine  l'art.  23
 dello  Statuto  e  l'art.  10  delle  relative  norme  di attuazione,
 contenute nel D. Lgs. 6 maggio 1948 n. 655  (Istituzione  di  Sezioni
 della  Corte  dei  conti  per la Regione siciliana),che prevedono una
 Sezione regionale della Corte dei conti con funzioni, fra l'altro, di
 controllo amministrativo e contabile, composta da magistrati nominati
 d'accordo fra Governo e Regione.
    Nella  memoria  depositata  la  ricorrente insiste su quest'ultimo
 motivo, ritenendo che l'esame  sulla  gestione  finanziaria  affidato
 dalle  disposizioni  impugnate  alla  Corte  dei  conti non possa non
 rientrare nel  concetto  di  controllo,  il  quale  e'  affidato,  in
 Sicilia,   alla   Sezione   decentrata   della   Corte   dei   conti.
 Conseguentemente, secondo la Regione Sicilia, solo se dovesse  essere
 dimostrato che la nuova Sezione enti locali della Corte dei conti non
 e' organo di controllo  potrebbe  essere  consentito  al  legislatore
 nazionale  di  attribuire a quest'ultima il potere di svolgere la sua
 funzione (non di controllo) sui conti consuntivi,  senza  violare  lo
 Statuto siciliano.
    3.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri, costituitosi
 tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, chiede che sia  dichiarata
 la inammissibilita' del primo motivo e l'infondatezza degli altri.
    A  sostegno della richiesta di inammissibilita' del motivo fondato
 sulla  presunta  violazione  dell'art.  100  Cost.,  l'Avvocatura  si
 richiama  al  consolidato orientamento di questa Corte, che nega alle
 regioni il potere di far valere nel giudizio di costituzionalita'  in
 via principale il mancato rispetto di norme costituzionali diverse da
 quelle poste a garanzia delle competenze regionali.
    L'infondatezza  degli  altri motivi del proposto ricorso e' invece
 motivata, sempre dall'Avvocatura, con la considerazione che la  nuova
 attivita'  della  Corte  dei  conti non da' vita ad un controllo (ne'
 preventivo,  ne'  successivo),  trattandosi  di  mera  attivita'   di
 conoscenza,   volta  essenzialmente  alla  acquisizione  di  dati  ed
 elementi sull'andamento della finanza  locale,  che  non  riguarda  i
 singoli conti consuntivi di ciascun ente locale, gia' assoggettati al
 controllo dei rispettivi competenti organi regionali.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Regione Sicilia dubita della legittimita' costituzionale
 dell'articolo unico della legge  26  febbraio  1982  n.  51,  che  ha
 convertito  in  legge, con modificazioni, il d.l. 22 dicembre 1981 n.
 786 (Disposizioni in materia di finanza locale), nella parte  in  cui
 assoggetta  anche  le  Province  e i Comuni siciliani con popolazione
 superiore a ottomila abitanti all'obbligo  di  trasmettere  i  propri
 conti  consuntivi  alla  speciale  Sezione  della  Corte  dei  Conti,
 istituita, per l'apppunto, con la disposizione impugnata. I dubbi  di
 legittimita'  costituzionale  prospettati  dalla ricorrente si basano
 sul preteso contrasto della legge impugnata con:
      a)  l'art.  100  Cost.,  perche' una legge ordinaria ha affidato
 alla Corte dei conti funzioni ulteriori rispetto a quelle assegnatele
 dalla Costituzione;
       b)  l'art. 130 Cost., perche' la legge impugnata attribuisce un
 controllo sugli enti locali ad organo diverso da quello previsto  dal
 suddetto articolo;
       c)   l'art.  15  dello  Statuto,  perche'  sarebbe  violata  la
 competenza esclusiva della regione in materia di controllo degli enti
 locali;
       d)  l'art. 23 dello Statuto e l'art. 10 delle relative norme di
 attuazione (D. Lgs. n. 655  del  1948),  perche'  verrebbe  elusa  la
 competenza  della  Sezione  regionale  della  Corte  dei  conti  e la
 prerogativa della regione di partecipare alla scelta  dei  magistrati
 della Corte medesima, chiamati ad operare su atti e provvedimenti che
 si formano nel territorio della regione.
    2.  -  Va,  innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilita'
 sollevata  dall'Avvocatura  dello  Stato  in  relazione  al   profilo
 d'illegittimita'  costituzionale della legge impugnata in riferimento
 all'art. 100 della Costituzione.
    Secondo  la  difesa  del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri,
 l'inammissibilita' della questione  ora  menzionata  deriverebbe  dal
 rilievo  che  la  norma  costituzionale  invocata  come parametro non
 sarebbe diretta a determinare competenze regionali  e,  pertanto,  ne
 sarebbe precluso l'esame in quanto il ricorso per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale puo' essere validamente proposto da una
 regione soltanto a difesa dell'integrita' delle proprie competenze.
    Non  vi  puo'  essere  il  minimo dubbio che, come questa Corte ha
 affermato con giurisprudenza da  tempo  costante,  una  regione  puo'
 validamente   proporre   ricorso   nel   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale soltanto se esso  e'  sorretto  dall'esistenza  di  un
 interesse   a  ricorrere  della  regione  stessa,  qualificato  dalla
 prospettazione  di  una  lesione  dell'autonomia   costituzionalmente
 garantita  alla regione medesima. Tuttavia, come questa Corte ha piu'
 volte precisato (v., ad es., sent. n.  32  del  1960  e,  da  ultimo,
 sentt.  nn.  64  e  183  del  1987,  302 del 1988), tale requisito di
 ammissibilita' non puo' essere inteso  formalisticamente,  nel  senso
 che una regione puo' validamente prospettare la violazione delle sole
 disposizioni costituzionali che contengono una diretta determinazione
 delle competenze regionali, ma va concepito in modo sostanziale, vale
 a dire  con  riferimento  alla  concreta  definizione  dell'autonomia
 costituzionale  delle  regioni,  sicche'  queste  possono validamente
 prospettare la violazione di qualsiasi norma costituzionale avente il
 diretto  effetto  di  comportare un'effettiva e attuale lesione della
 propria autonomia costituzionalmente garantita.
    Poiche'  nel  caso viene prospettato un vizio di costituzionalita'
 che, anche se riferito a una disposizione collocata al di  fuori  del
 titolo  V  della  Costituzione,  comporterebbe  tuttavia,  ove  fosse
 riconosciuto come fondato, una  diversa  configurazione  in  concreto
 della  sfera  di  autonomia costituzionalmente garantita alla regione
 ricorrente, nel  senso  che  quest'ultima  si  vedrebbe  riconosciuta
 l'inesistenza  dell'obbligo  previsto  dalle  norme impugnate, non si
 puo' negare la sussistenza di un interesse a ricorrere della  Regione
 Sicilia,   qualificato   dalla   esigenza  di  tutelare  l'integrita'
 dell'effettiva consistenza dell'autonomia  statutariamente  garantita
 alla ricorrente.
    3. - Nel merito, comunque, le questioni sono infondate.
    Presupposto  comune  di tutte le censure prospettate dalla Regione
 Sicilia nel presente giudizio e' che il potere della Corte dei  conti
 di  richiedere  alla province e ai comuni con popolazione superiore a
 ottomila abitanti i conti  consuntivi,  insieme  alle  relazioni  dei
 revisori  e  ad  ogni  altro  documento e informazione utile, rientri
 nelle nozioni di controllo (di legittimita', di merito  o  contabile)
 recepite  dalle  norme  costituzionali  assunte  come parametro della
 supposta illegittimita' (artt. 100 e 130 Cost.; 15 e  23  St.  Sic.).
 Ma,  come  risulta  chiaramente  dalla  disciplina positiva contenuta
 nelle norme impugnate, tale presupposto si rivela errato.
    L'obbligo  ricadente  sui predetti enti locali di trasmettere alla
 Corte dei conti i  propri  consuntivi,  insieme  alla  relazione  dei
 revisori  e  a  ogni  altra  informazione o documento richiesti dalla
 Corte stessa, e' in realta' previsto dall'art. 13, quarto,  quinto  e
 sesto comma, del d. l. 22 dicembre 1981 n. 786, come modificato dalla
 legge di conversione 26 febbraio 1982, n. 51, al  fine  di  porre  la
 Corte dei conti in grado sia di comunicare al Parlamento, entro il 31
 luglio di ogni anno, l'elenco dei conti consuntivi  pervenuti  e  del
 piano  di rilevazioni che la stessa Corte si propone di compiere, con
 l'indicazione dei criteri cui intende attenersi nell'esame dei  conti
 medesimi,  sia  di  provvedere  essa  stessa all'esame della gestione
 finanziaria degli enti che  abbiano  registrato  il  maggior  aumento
 della  spesa  negli  ultimi  tre  anni  e la cui spesa pro-capite sia
 superiore alla media, per poi riferire annualmente  al  Parlamento  i
 risultati   dell'esame  compiuto  sotto  il  profilo  della  gestione
 finanziaria e  del  buon  andamento  dell'azione  amministrativa  dei
 predetti enti.
    Si  tratta,  com'e'  evidente,  di un'attivita' di conoscenza e di
 informazione che  e'  imputata  alla  Corte  dei  conti  come  organo
 ausiliario  delle  Camere  e che e' prevista al fine di permettere lo
 svolgimento di una  funzione  di  controllo  politico  da  parte  del
 Parlamento,     segnatamente     quella     concernente    il    c.d.
 controllo-conoscenza,   vale   a   dire   un'attivita'   parlamentare
 strumentalmente  collegata  ai  poteri decisionali delle Camere e, in
 particolare, al potere legislativo. Come tale,  l'attivita'  prevista
 dalle  disposizioni  impugnate  e i correlativi obblighi non soltanto
 sono  pienamente  compatibili  con  la  posizione   e   le   funzioni
 costituzionalmente riconosciute alla Corte dei conti (art. 100, comma
 secondo, Cost.), ma rispondono anche a  un  principio  costituzionale
 positivo  che,  imponendo  al  Parlamento  nazionale di coordinare la
 finanza statale con quella  regionale  e  locale  (art.  119  Cost.),
 suppone  logicamente  che  il  legislatore  sia  messo  in  grado  di
 conoscere, attraverso un organo imparziale e competente,  qual'e'  la
 Corte  dei  conti,  l'efettiva  situazione e le eventuali disfunzioni
 della gestione finanziaria delle province e dei comuni.
    Del  resto,  che  i  poteri  della  Corte dei conti previsti nelle
 disposizioni impugnate esulino da  qualsiasi  funzione  di  controllo
 prevista  nelle  norme  costituzionali  assunte  come  parametro  del
 presente giudizio (artt. 100 e 130 Cost.; artt. 15 e 23  Stat.  Sic.)
 deriva anche dalle caratteristiche della corrispondente attivita'.
    In  particolare,  va  sottolineato che l'esame dei consuntivi e di
 ogni altra informazione utile e' svolto dalla Corte dei  conti  sulla
 base  di  parametri  che  non  sono prefissati dalla legge al fine di
 sanzionarne  l'eventuale   violazione   con   l'annullamento   o   la
 caducazione  dell'atto controllato, ma al solo scopo di informare sia
 il Parlamento sia i soggetti agenti (province e comuni)  sullo  stato
 reale  della  finanza  locale nella sua globalita' (concernente circa
 1300 enti) e sulle eventuali disfunzioni affinche' si  determini  una
 migliore  gestione  finanziaria  degli  enti  controllati o modifiche
 della legislazione nazionale orientate nel medesimo senso.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 13, quarto, quinto e sesto comma, del d.  l.   22  dicembre
 1981,  n.  786  ("Disposizioni  in  materia di finanza locale"), come
 modificato dalla legge  di  conversione  26  febbraio  1982,  n.  51,
 sollevata, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, e 130 Cost.,
 nonche' agli artt. 15, terzo comma, e 23 St. Sic. e relative norme di
 attuazione  (art.  10,  D. Lgs. 6 maggio 1948, n. 655), dalla Regione
 Sicilia con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 ottobre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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