N. 991 SENTENZA 12 - 27 ottobre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.  Pesca -
 Regione Sicilia - Concessione di benefici - Presunta competenza
 circoscritta al mare territoriale - Agevolazioni per la formazione di
 una flotta peschereccia destinata alla pesca alturiera oltre le acque
 territoriali nazionali - Ragionevolezza  - Non fondatezza.  (Legge
 reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, artt. 3 e 32).  (Statuto reg.
 Sicilia, art. 14, lett.  l); d.P.R. 12 novembre 1975, n. 913, art.
 1).  Pesca - Regione Sicilia - Programmi di ricerca - Convenzioni con
 il C.N.R., l'E.S.P.I., e altri istituti universitari e di ricerca -
 Previsto parere preventivo della competente commissione
 dell'assemblea regionale siciliana - Parere del Consiglio di
 giustizia amministrativa - Esclusione Illegittimita' costituzionale
 parziale.  (Legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, art. 13, ultimo
 comma).  (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 5)
(GU n.44 del 2-11-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 3, 13 e 32
 della legge regionale siciliana dal  titolo:  "Provvedimenti  per  la
 razionalizzazione  della  pesca in Sicilia", approvata il 20 novembre
 1979 e promulgata come legge regionale 4 gennaio 1980 n. 1,  promosso
 con  ricorso  del  Commissario  dello Stato per la Regione Siciliana,
 notificato il 28  novembre  1979,  depositato  in  cancelleria  il  4
 dicembre 1979 ed iscritto al n. 24 del registro ricorsi 1979;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi l'Avvocato Salvatore Orlando Cascio per la Regione Sicilia e
 l'Avvocato  dello  Stato  Giorgio  Azzariti  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.   -   Con  ricorso  ritualmente  notificato  e  depositato,  il
 Commissario dello Stato per la Regione  Siciliana  ha  impugnato  per
 illegittimita'  costituzionale  gli  artt.  3,  13  e  32 della legge
 regionale   siciliana,   dal    titolo    "Provvedimenti    per    la
 razionalizzazione  della  pesca in Sicilia", approvata dall'Assemblea
 Regionale il 20 novembre 1979 e promulgata, nelle more  del  presente
 processo, come l.r. 4 gennaio 1980 n. 1.
    Il ricorrente rileva che il suddetto art. 3 prevede la concessione
 di finanziamenti a tasso agevolato e di contributi a  fondo  perduto,
 sia  per  la  costruzione di motopescherecci di stazza fra le 30 e le
 200 tonnellate e con motori di potenza  non  inferiore  agli  80  HP,
 previo  impegno  della  demolizione  di  natanti  il cui tonnellaggio
 complessivo non sia inferiore all'80% di quello da costruire, sia per
 la  costruzione  di  motobarche da pesca fino a 15 tonnellate, previo
 impegno di demolire, per un tonnellaggio  corrispondente  al  60%  di
 quello  da  costruire.  Lo  stesso  art.  3  prevede,  inoltre, che i
 suddetti  benefici  siano  concessi  anche  per   l'ampliamento,   la
 manutenzione  e  la  trasformazione  del  naviglio  esistente  o  per
 l'acquisto di barche da pesca da  parte  di  cooperative.  L'art.  32
 autorizza  poi  per gli esercizi 1980, 1981 e 1982 la spesa di cinque
 miliardi e cinquecento  milioni.  Poiche'  la  Regione  Siciliana  ha
 competenza  esclusiva  in materia di caccia e pesca (art. 14 lett. l,
 dello Statuto) e poiche' le relative norme di attuazione (art. 1  del
 d.P.R. 913 del 1975) dispongono che "la regione siciliana esercita le
 attribuzioni del Ministero della  marina  mercantile  in  materia  di
 pesca  nel  mare  territoriale  a norma e nei limiti dell'art. 20, in
 relazione  all'art.  14  lett.  l)  dello  statuto  speciale...",  il
 ricorrente  ritiene che, non potendo le predette norme riferirsi alla
 pesca di altura (al di la' delle  acque  territoriali),  si  dovrebbe
 innanzitutto   dedurre   l'incostituzionalita'   delle   disposizioni
 impugnate, le  quali,  per  la  dimensione  dei  natanti  ammessi  ai
 benefici   e  per  i  cospicui  mezzi  finanziari  stanziati,  mirano
 chiaramente ad agevolare la formazione  di  una  flotta  peschereccia
 destinata  ad  operare al di la' della fascia marittima antistante il
 territorio  isolano  e,  perfino,  delle  stesse  acque  territoriali
 nazionali.
    Un'ulteriore censura viene prospettata dall'Avvocatura dello Stato
 in relazione all'art. 13 della legge regionale n. 1  del  1980  nella
 parte  in  cui  prevede  che  le convenzioni stipulate dall'Assessore
 regionale  competente  con  il  C.N.R.,  l'E.S.P.I.,   gli   istituti
 universitari  e  i  centri  specializzati,  al  fine di predisporre e
 attuare programmi di ricerca in  materia  di  pesca,  debbono  essere
 assistite  da  un  parere  preventivo  della  competente  commissione
 dell'Assemblea  Regionale  Siciliana,  prescindendo  dal  parere  del
 Consiglio  di giustizia amministrativa. Secondo il ricorrente, questa
 norma contrasterebbe con l'art. 4, comma secondo,  del  d.  leg.vo  6
 maggio  1948,  n. 654 ("Norme per l'esercizio nella Regione Siciliana
 delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato"), il quale stabilisce
 che  "gli  atti per i quali le leggi vigenti richiedono il parere del
 Consiglio  di  Stato,  qualora  siano  emanati   dall'Amministrazione
 regionale,  sono  sottoposti  al  parere  del  Consiglio di giustizia
 amministrativa".  Tale  violazione   appare   evidente,   ad   avviso
 dell'Avvocatura  dello  Stato,  se si ha presente che gli artt. 5 e 6
 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, come modificato  successivamente,
 prescrivono  il  parere  del  Consiglio  di  Stato  sui  progetti  di
 contratto stipulati  dalle  amministrazioni  statali  i  cui  importi
 superino  72  milioni  di  lire,  nel  caso  di  pubblici incanti, 36
 milioni, nel caso di  licitazione  privata,  e  18  milioni,  per  la
 trattativa privata.
    2.  -  Costituitasi regolarmente in giudizio, la Regione Siciliana
 contesta, innanzitutto, le premesse di fatto poste a base del ricorso
 e,  in particolare, tanto che l'aumento del tonnellaggio delle barche
 da pesca, tenuto conto delle demolizioni, non e' tale da portare agli
 effetti  paventati,  quanto  che il rifinanziamento del settore della
 pesca sia particolarmente  elevato,  essendo  addirittura  inferiore,
 tenuto   conto   della   svalutazione,  al  precedente  finanziamento
 stanziato dalla l. r. n. 5 del 1975.
    In   ogni  caso,  la  Regione  respinge  il  modo  di  argomentare
 dell'Avvocatura dello Stato,  secondo  la  quale  gli  effetti  degli
 interventi   regionali   dovrebbero  essere  destinati  ad  esaurirsi
 nell'ambito dei confini  regionali,  come  se,  ad  esempio,  nessuna
 regione potesse incrementare le attivita' economiche oltre il proprio
 fabbisogno. Ad avviso della  resistente,  l'argomento  addotto  dallo
 Stato  rende  chiaro che quella sollevata e' una questione di merito,
 che andrebbe proposta di fronte al Parlamento  nelle  forme  previste
 dagli artt. 127 u.c. Cost. e 35 della legge n. 87 del 1953.
    Con  riguardo  alla  seconda censura, la Regione Siciliana osserva
 che, pur a prescindere dal suo valore giuridico, il d. leg.vo n.  654
 del  1948,  contenendo  norme  di attuazione relative al Consiglio di
 Stato,  riguarderebbe  soltanto   profili   procedurali,   non   gia'
 sostanziali,  sicche' essa risulterebbe violata nelle sole ipotesi in
 cui una legge regionale spostasse ad altro organo  la  competenza  di
 tipo consultivo propria del Consiglio di giustizia amministrativa. In
 ogni caso, conclude la Regione, norme  analoghe  a  quella  censurata
 sono  state  adottate  in  altre  leggi attualmente in vigore. E cio'
 sarebbe  pienamente  legittimo,  avendo  la  Regione  una  competenza
 esclusiva in materia di contabilita' pubblica.
    3.  -  In una breve memoria depositata in prossimita' dell'udienza
 pubblica, la Regione Siciliana, oltre a ribadire argomentazioni  gia'
 svolte  nel  precedente  scritto, chiede che la prima delle questioni
 sopra riportate sia dichiarata improcedibile,  in  quanto  l'articolo
 impugnato e' stato sostituito dall'art. 3 della l. r. n. 26 del 1987,
 che prevede  per  il  potenziamento  delle  attivita'  di  pesca  uno
 stanziamento  (15  miliardi  di lire) ben maggiore di quello previsto
 nella legge impugnata.
    4.  -  Nel  corso  della  discussione  orale  la stessa Regione ha
 addotto un nuovo argomento anche in relazione alla seconda questione,
 affermando  che  l'art.  4  del  d. leg.vo n. 654 del 1948 prevede il
 parere del Consiglio di giustizia  amministrativa  soltanto  per  gli
 atti  per i quali il parere del Consiglio di Stato e' richiesto dalle
 "leggi vigenti".  E,  poiche'  si  deve  intendere  che  quest'ultima
 espressione  si  riferisca sia a leggi statali sia a leggi regionali,
 si  imporrebbe  la  conclusione  che  la  legge  impugnata   potrebbe
 legittimamente  escludere quel parere, rientrando, per l'appunto, tra
 le "leggi vigenti" cui il citato art. 4 rinvia per  stabilire  se  il
 parere sia dovuto o meno.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  Al  giudizio  di  questa Corte sono sottoposte due distinte
 questioni di legittimita' costituzionale sollevate,  con  il  ricorso
 indicato  in  epigrafe, dal Commissario dello Stato presso la Regione
 Siciliana.
    La prima concerne gli artt. 3 e 32 della legge regionale 4 gennaio
 1980, n. 1 ("Provvedimenti per la razionalizzazione  della  pesca  in
 Sicilia"),  i  quali,  nel  prevedere  prestiti  a  tasso agevolato e
 contributi  a  fondo  perduto  per  la  costruzione,  l'acquisto,  il
 miglioramento e il mantenimento di natanti da pesca (art. 3), nonche'
 i  relativi  stanziamenti  finanziari  (art.  32),  contravverrebbero
 all'art.  14, lett. l, Stat. Sic. e alle relative norme di attuazione
 (art. 1 del d.P.R.  12  novembre  1975,  n.  913),  che  limitano  la
 competenza  regionale  in  materia  di  pesca  al  mare  territoriale
 prospiciente il territorio isolano. Ad avviso  dell'Avvocatura  dello
 Stato,  tale  violazione  sarebbe  dimostrata  dall'intera disciplina
 stabilita dalle  norme  impugnate,  la  quale  rivelerebbe  l'intento
 legislativo  di  estendere la propria competenza alla pesca di altura
 (cioe' oltre il limite  territoriale),  tenuto  conto  del  rilevante
 potenziamento   della   flotta   peschereccia   ivi  previsto  e,  in
 particolare, dell'alto tonnellaggio e dell'elevata potenza dei motori
 dei  natanti  ammessi  ai  benefici previsti dalla legge, nonche' dei
 cospicui mezzi finanziari stanziati e della quantita' dei natanti  da
 demolire, che risulta in ogni caso inferiore ai rinnovi.
    Su   questa  prima  questione  pendono,  tuttavia,  due  eccezioni
 pregiudiziali  prospettate  dalla  Regione   Siciliana,   che   vanno
 previamente  esaminate.  Per un verso, infatti, la resistente ritiene
 che questa Corte sia assolutamente  carente  di  giurisdizione  sulla
 prima  questione,  trattandosi  di problema di merito, di cui sarebbe
 competente il Parlamento a norma dell'art. 127 Cost.,  in  quanto  lo
 Stato  non  esprimerebbe altro che valutazioni di ordine politico sul
 significato  da  dare  alle  prescrizioni   contenute   nella   legge
 regionale,  le  quali  sarebbero in contrasto con quelle espresse dal
 legislatore regionale; per altro verso, la Regione Siciliana  ritiene
 che  non  si  debba  procedere  all'esame  del merito della questione
 essendo entrata in vigore, nelle more del presente processo, la legge
 regionale  27  maggio  1987,  n.  26  ("Interventi  nel settore della
 pesca"),  che  ha  modificato,   all'art.   3,   le   norme   oggetto
 dell'impugnazione   in   discussione,  prevedendo,  fra  l'altro,  un
 finanziamento notevolmente superiore a quello stabilito con la  legge
 impugnata.
    1.1.   -  Va  innanzitutto  disattesa  l'eccezione  della  Regione
 Siciliana, secondo la quale la questione sollevata avrebbe in realta'
 i  caratteri di una questione di merito, affidata dall'art. 127 Cost.
 alla competenza delle Camere.
    Pur  a  prescindere  dal  fatto di per se' decisivo, peraltro gia'
 rilevato da questa Corte in una precedente pronunzia (sent. n. 95 del
 1981),  che  lo  Statuto  siciliano,  a differenza di tutti gli altri
 statuti regionali, non prevede il sindacato di merito  da  parte  del
 Parlamento  italiano per conflitto di interessi, non si puo' tuttavia
 negare che la censura ora discussa abbia tutti i requisiti per  poter
 esser qualificata come una censura di legittimita' costituzionale. Le
 censure  di  merito,  infatti,  non  si  distinguono  da  quelle   di
 legittimita'  per la natura sostanziale delle valutazioni da operare,
 ma se ne differenziano soltanto per il dato formale che le  regole  o
 gli interessi assunti come parametro del giudizio non sono sanciti in
 alcuna norma della Costituzione o anche di legge.
    Ed  invero,  quando  una  censura viene validamente prospettata in
 relazione a una pretesa violazione di una norma  o  di  un  principio
 riconducibile  a  un giudizio di valore contenuto in una disposizione
 di legge - che, nell'ipotesi del processo  sulla  legittimita'  delle
 leggi,  va  identificata con una disposizione di rango costituzionale
 -, si deve comunque escludere che la relativa questione possa  essere
 annoverata  fra  quelle  di  merito,  cioe'  tra questioni per la cui
 risoluzione  e'  invocato  un  parametro  non  codificato  in  alcuna
 disposizione di legge o della Costituzione.
    E,  poiche',  nel  caso,  il ricorrente fonda le proprie richieste
 sulla pretesa violazione di  una  norma  costituzionale  (l'art.  14,
 lett.  l,  St.  Sic.), come ritiene di doverla interpretare alla luce
 delle relative norme di attuazione in ordine ai precisi confini delle
 competenze  legislative vantate dalla Regione Siciliana in materia di
 pesca nell'ambito del mare territoriale (art. 1, d.P.R.  n.  903  del
 1975),  cio'  basta  a  dimostrare  che sussistono tutti gli elementi
 perche' quella in discussione possa essere considerata una  questione
 di legittimita' costituzionale.
    1.2.  - Va parimente respinta l'eccezione della Regione Siciliana,
 vo'lta a richiedere a questa Corte una  dichiarazione  di  cessazione
 della  materia  del contendere in ordine alla questione relativa agli
 artt. 3 e 32 della legge regionale n. 1 del 1980.
    Pur  senza  analizzare  nel  dettaglio  se e quali norme impugnate
 restino in vigore dopo l'adozione della legge  regionale  n.  26  del
 1987,  sta di fatto che, poiche', a differenza di quanto disposto per
 le leggi di altre regioni, la presentazione di un ricorso statale per
 il  controllo  di  legittimita'  costituzionale delle leggi regionali
 siciliane non preclude, come in ipotesi, la promulgazione e l'entrata
 in  vigore delle leggi medesime (art. 29 St. Sic.) e poiche' la legge
 sopravveniente  ha  innovato  le   norme   oggetto   della   presente
 impugnazione   soltanto   per   il   futuro  e  senza  alcun  effetto
 retroattivo, permane la necessita' per questa Corte  di  pronunciarsi
 nel  merito  della questione in relazione agli effetti prodotti dalle
 norme impugnate dal momento della loro entrata in  vigore  fino  alla
 loro  abrogazione con la successiva legge regionale del 1987, i quali
 potrebbero essere travolti, ove  non  siano  gia'  esauriti,  da  una
 dichiarazione   d'illegittimita'   costituzionale   della  disciplina
 normativa impugnata.
    Ne', del resto, puo' trarsi alcun argomento in senso contrario dal
 fatto che lo Stato non abbia  ritenuto  d'impugnare  il  sopravvenuto
 art.  3  della  l.  r. n. 26 del 1987, il quale prevede un meccanismo
 d'incentivazione finanziaria diretto ai  medesimi  scopi  e  ispirato
 alla  stessa  ratio di quello previsto dalle disposizioni oggetto del
 presente giudizio. Infatti, contrariamente a quanto  sembra  supporre
 la difesa della Regione Siciliana, non si puo' dedurre che la mancata
 impugnazione di disposizioni analoghe o persino identiche possa avere
 il  significato  di rinuncia tacita a un precedente ricorso, poiche',
 ammessa pure  in  via  ipotetica  la  configurabilita'  nel  processo
 costituzionale   di   una   rinuncia   implicita   conseguente  a  un
 comportamento univocamente convergente del ricorrente che si ponga in
 assoluta  incompatibilita' con la volonta' manifestata nel precedente
 ricorso, non si puo' escludere che un  comportamento  omissivo,  come
 quello  invocato dalla resistente come prova della supposta rinunzia,
 sia legato ad un possibile affidamento del ricorrente  ai  poteri  di
 annullamento  di  ufficio che questa Corte vanta in relazione a norme
 analoghe o identiche a quelle impugnate, in base  all'art.  27  della
 legge  11  marzo 1953, n. 87. Esso, pertanto, non puo' esser in alcun
 modo interpretato nel senso voluto dalla regione resistente.
    1.3.  -  Non  di  meno la questione di legittimita' costituzionale
 concernente gli artt. 3 e 32 della legge regionale  n.  1  del  1980,
 sollevata dal Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana nei
 termini indicati nel punto 1, va dichiarata non fondata.
    Appare,  infatti,  del tutto incongruo individuare in una serie di
 elementi quantitativi - come l'alto tonnellaggio o l'elevata  potenza
 dei  motori dei natanti ammessi ai benefici, ovvero l'ammontare degli
 stanziamenti   previsti   per   il   finanziamento   delle   relative
 incentivazioni  -  un  sintomo sicuro di una volonta' obiettivata dal
 legislatore, vo'lta a disciplinare la pesca marittima al di  la'  dei
 confini  cui  l'art.  14,  lett. l, St. Sic. e le norme di attuazione
 contenute  nel  d.P.R.  n.  913  del  1975  (art.  1)   circoscrivono
 l'esercizio della relativa competenza, vale a dire il limite del mare
 territoriale prospiciente il territorio isolano.
    Contrariamente a quel che suppone lo Stato nel suo ricorso, tra il
 mezzo del potenziamento della flotta di natanti da pesca, compresi  i
 motopescherecci aventi stazza lorda di duecento tonnellate, e il fine
 di incoraggiamento della flotta medesima a  pescare  al  di  la'  dei
 confini   del   mare   territoriale   non   c'e'   alcun   nesso   di
 consequenzialita'  logica,  dovendosi  piuttosto  individuare   negli
 interventi  predisposti  dalla  legge  impugnata  ben altri fini, del
 tutto leciti e attinenti alla pesca nel mare territoriale,  quali  la
 sicurezza  dei  pescatori,  la piu' elevata efficacia degli strumenti
 idonei alla pesca e cosi'  via.  Quelle  prospettate  dal  ricorrente
 sono,   pertanto,  mere  illazioni  che,  non  potendosi  minimamente
 imputare, secondo i parametri di  un'ordinaria  ragionevolezza,  alle
 norme  contenute  negli  artt.  3 e 32 della l. r. n. 1 del 1980, non
 meritano accoglimento.
    2.  -  La  seconda questione sollevata dal Commissario dello Stato
 presso la Regione Siciliana  con  il  ricorso  indicato  in  epigrafe
 riguarda  l'art.  13  della stessa legge, il quale, nel prevedere che
 l'Assessore regionale competente puo' stipulare convenzioni  con  gli
 enti  di  ricerca o specializzati ivi menzionati "previo parere della
 competente  Commissione  legislativa   dell'Assemblea   regionale   e
 prescindendo  dal  parere prescritto dall'art. 5 del regio decreto 18
 novembre 1923, n. 2440, e successive modificazioni" (cioe' il  parere
 del  Consiglio  di  Stato  sui  contratti  al  di  sopra  di un certo
 ammontare), si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall'art. 4,
 comma  secondo, del d. leg.vo 6 maggio 1948, n. 654 (contenente norme
 di attuazione dello Statuto per le funzioni spettanti al Consiglio di
 Stato),  che  cosi'  dispone:  "gli atti per i quali le leggi vigenti
 richiedono il parere del Consiglio di Stato,  qualora  siano  emanati
 dall'Amministrazione   regionale,   sono  sottoposti  al  parere  del
 Consiglio di giustizia amministrativa".
    La censura e' fondata.
    Anche  se  i termini della questione di costituzionalita' non sono
 perspicuamente delineati  dal  ricorrente  -  tanto  da  giustificare
 l'impressione,  adombrata  dalla  Regione  resistente, che si invochi
 come unico parametro del  giudizio  una  norma  di  attuazione  dello
 Statuto   -,   appare   non   di   meno   chiaro  che  l'esame  della
 costituzionalita' dell'art. 13 della legge regionale n.  1  del  1980
 debba  formalmente  avvenire in confronto con l'art. 23 dello Statuto
 siciliano,  il  quale  pone  la  norma  costituzionale  di  carattere
 generale  sulle  funzioni consultive delle "sezioni" del Consiglio di
 Stato operanti in Sicilia, in relazione all'art.  4,  comma  secondo,
 del d. leg.vo n. 654 del 1948, che precisa, come s'e' prima visto, da
 quale specifico organo e in quali casi vanno dati i suddetti  pareri.
    Ebbene, dal complesso di norme appena richiamato risulta che tutti
 gli atti per i quali  le  leggi  vigenti  richiedono  il  parere  del
 Consiglio   di   Stato   sono   sottoposti,   quando  siano  adottati
 dall'Amministrazione pubblica della Regione Siciliana, al parere  del
 Consiglio di giustizia amministrativa. E, poiche' gli artt. 5 e 6 del
 r. d. 18 novembre 1923, n.  2440,  come  successivamente  modificato,
 prescrivono  il  parere  del  Consiglio  di  Stato  sui  progetti  di
 contratto delle amministrazioni statali i  cui  importi  superino  un
 predeterminato  ammontare,  non  si puo' non concludere che la deroga
 prevista nell'ultimo comma dell'articolo impugnato, nel  senso  della
 sottrazione  di  tutte  le  convenzioni ivi contemplate al parere del
 Consiglio di giustizia amministrativa, e',  per  la  parte  riferita,
 costituzionalmente illegittimo.
    Ne'  puo'  valere in senso contrario l'argomento addotto nel corso
 della pubblica udienza dalla difesa della Regione Siciliana.  Secondo
 la  resistente,  poiche' l'art. 4 delle ricordate norme di attuazione
 esige che il parere del Consiglio di giustizia  amministrativa  debba
 essere  prestato  verso  tutti gli atti amministrativi per i quali il
 parere del Consiglio di Stato e' richiesto dalle  "leggi  vigenti"  e
 poiche' quest'ultima generica dizione sembra riferirsi sia alle leggi
 statali sia a quelle  regionali,  la  deroga  prevista  dall'articolo
 impugnato  sarebbe  pienamente  legittima  in  quanto  stabilita, per
 l'appunto, da una legge (regionale) vigente.
    In  realta', questo ragionamento dimentica che, con riferimento al
 caso specifico, l'espressione "leggi vigenti" contenuta  nell'art.  4
 delle  citate  norme  di  attuazione  va  necessariamente  letta come
 riferentesi alle sole leggi statali, in  quanto,  nel  trasferire  al
 Consiglio   di  giustizia  amministrativa,  in  relazione  agli  atti
 dell'amministrazione siciliana, la competenza consultiva propria  del
 Consiglio   di  Stato,  il  riferimento  alle  ipotesi  in  cui  tale
 competenza dev'esser esercitata non poteva  e  non  puo'  logicamente
 farsi se non attraverso il parallelismo con le ipotesi previste per i
 pareri del Consiglio di Stato.
     E  cio'  significa,  piu'  in  particolare, che se le leggi della
 Regione Siciliana possono stabilire ipotesi  ulteriori  di  richiesta
 del  parere  rispetto  a  quelle  previste  dalle  leggi  statali  in
 relazione al Consiglio  di  Stato,  non  possono  tuttavia  escludere
 ipotesi  per  le quali le leggi nazionali obbligano a richiedere quel
 parere.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  ultimo
 comma, della legge regionale 4 gennaio 1980, n. 1 ("Provvedimenti per
 la  razionalizzazione  della  pesca  in  Sicilia") nella parte in cui
 prescrive  che   le   convenzioni   ivi   previste   sono   stipulate
 "prescindendo  dal parere prescritto dall'art. 5 del regio decreto 18
 novembre 1923, n. 2440, e successive modificazioni";
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 concernente gli artt. 3 e 32 della stessa legge regionale siciliana 4
 gennaio  1980,  n. 1, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe,
 dal  Commissario  dello  Stato  presso  la   Regione   Siciliana   in
 riferimento  all'art.  14,  lett.  l,  dello  Statuto siciliano, come
 attuato dall'art. 1 del d.P.R. 12 novembre 1975, n.  913  ("Norme  di
 attuazione dello statuto per la regione siciliana in materia di pesca
 marittima").
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 ottobre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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