N. 1001 SENTENZA 12 - 27 ottobre 1988
Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione. Impiego pubblico - Regione Lombardia - Comparti di contrattazione collettiva per il personale delle regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dei comuni, delle province, delle comunita' montane, e degli altri enti indicati nell'art. 4 del d.P.R. n. 68 del 1986 - Determinazione di unico comparto - Mancato rispetto delle autonomie regionali e sindacali - Previsione di apposito procedimento di garanzia dell'autonomia regionale sia nella fase contrattuale che normativa - Inammissibilita'. (D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68, artt. 1, n. 3, 4 e 10). (Cost., artt. 5, 115, 117, 118 e 119; legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 5, 7, 8 e 10)(GU n.44 del 2-11-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 19 maggio 1986, depositato in Cancelleria il 9 giugno 1986 ed iscritto al n.26 del registro ricorsi 1986, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.66 del 20 marzo 1986, concernente "Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93". Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1988 il Giudice relatore Enzo Cheli; Udito l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri. RITENUTO IN FATTO 1.- Con ricorso in data 16 maggio 1986 la Regione Lombardia sollevava conflitto di attribuzione in riferimento al d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68 recante "Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93", per sentir dichiarare che "non spetta allo Stato determinare un comparto di contrattazione collettiva per il pubblico impiego comprendente il personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti insieme a quello dei Comuni, delle Province, delle Comunita' montane, loro consorzi e associazioni, e degli altri enti indicati nell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 68 del 1986", e conseguentemente ottenere l'annullamento degli artt. 1, n. 3, 4 e 10 dell'impugnato provvedimento. La ricorrente presentava anche contestuale istanza di sospensione del provvedimento impugnato, limitatamente alle disposizioni sopraindicate. Con un primo motivo di ricorso la Regione lamenta la violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost., nonche' dell'art. 5 della l. n. 93 del 1983, dal momento che l'inclusione del personale regionale in un unico comparto, comprendente anche il personale degli enti locali e di enti pubblici di varia natura, si porrebbe in contrasto con il criterio generale di cui all'art. 5, quarto comma, della l. n. 93 del 1983, a tenore del quale la determinazione dei comparti deve avvenire "nel rispetto delle autonomie costituzionalmente garantite" e quindi, in primo luogo, delle autonomie regionali. La previsione di un unico comparto lederebbe invece tali autonomie, perche' ad unico comparto corrisponde unico accordo, che verrebbe a vincolare la Regione nonostante che a concluderlo abbiano concorso anche volonta' diverse da quella regionale. Inoltre, essendo stato riunito nello stesso comparto il personale delle Regioni, quello degli enti locali e quello di enti non territoriali e meramente funzionali,non sarebbero stati presi in considerazione "settori omogenei o affini" della pubblica amministrazione, con la conseguente impossibilita' di giungere alla definizione di accordi adeguati alle particolarita' dei singoli enti, in ispecie alle esigenze costituzionalmente garantite dell'amministrazione regionale. Con un secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost., e degli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge n. 93 del 1983 in relazione al fatto che la delegazione di parte pubblica prevista dall'art. 4 del provvedimento impugnato non verrebbe a coincidere con nessuna di quelle disciplinate da detti articoli e neppure con la somma di tali delegazioni. L'art. 10 della legge n. 93 del 1983 risulterebbe altresi' violato dal momento che il decreto impugnato, per il fatto di aver definito un solo comparto, comprendente sia il personale regionale che quello di vari altri enti, richiederebbe necessariamente il recepimento dell'unico accordo con decreto del Presidente della Repubblica, la cui efficacia dovrebbe considerarsi quindi estesa anche alle Regioni ordinarie, ponendosi nei confronti di esse come "fonte suppletiva di norme". Un terzo profilo di violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost., e dell'art. 10, nonche' degli artt. 7 e 8 della legge n. 93 del 1983, viene poi denunciato con riferimento alla composizione della delegazione di parte pubblica, dal momento che il decreto impugnato prevede numerose integrazioni alla composizione stabilita nell'art. 10 della legge n. 93, con la conseguenza che quella che nella disciplina della legge e' una delegazione a maggioranza regionale viene a trasformarsi in una delegazione nella quale le Regioni sono semplicemente minoranza. La Regione ricorrente contesta infine (quarto e quinto motivo) la lesione della propria autonomia sindacale, per il fatto di essere tenuta a negoziare e stipulare assieme ad altre delegazioni di parte pubblica portatrici di interessi diversi da quelli regionali, nonche' la violazione dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 93 del 1983, per essere stato chiesto alla Regione un parere solo sull'accordo raggiunto il 21 dicembre 1984, e non sulle integrazioni apportate con l'accordo stipulato in data 11 febbraio 1986, sul quale alla Regione non e' stato possibile pronunziarsi. 2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere la reiezione del ricorso. Ad avviso del resistente, il d.P.R. n. 68 del 1986 non modificherebbe il procedimento di approvazione di cui all'art. 10, ultimo comma, della legge n. 93 del 1983, ne' lederebbe l'autonomia regionale. L'Avvocatura rileva inoltre che il parere regionale sull'accordo stipulato in data 11 febbraio 1986 (che riguarda, peraltro, il solo settore sanitario) e' stato richiesto con nota della Presidenza del Consiglio n. 40823 del 12 febbraio 1986. Per quanto attiene alla composizione del comparto in oggetto, la parte resistente osserva che essa e' stata determinata sulla base dell'accordo del 21 dicembre 1984 e in armonia con i principi di cui alla sentenza di questa Corte n. 219 del 1984. La composizione dei comparti, comunque, va determinata in ragione della omogeneita' e della affinita' non tra gli enti ma tra le posizioni dei loro dipendenti, in accordo con l'art. 4 della stessa legge quadro, che impone alla disciplina derivante dagli accordi di ispirarsi ai principi della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche e della trasparenza dei trattamenti economici. Per quanto attiene poi alla composizione della delegazione di parte pubblica, di cui all'art. 4 del provvedimento impugnato, si rileva che essa risulta dalla somma delle delegazioni previste dagli artt. 8 e 10 della legge n. 93. Non avrebbe comunque rilievo il fatto che le Regioni si trovino, in quella sede, in minoranza, dal momento che la delegazione non e' un organo collegiale che decide secondo il principio di maggioranza. Ad avviso dell'Avvocatura non vi sarebbe, infine, lesione dell'autonomia sindacale regionale, sia perche' la sentenza n. 219 del 1984 di questa Corte ha escluso l'identificazione fra la contrattazione ai sensi della legge n. 93 del 1983 e la contrattazione collettiva di cui all'art. 39 Cost., sia perche' la Regione, quando esercita i propri diritti sindacali, agisce iure privatorum, e pertanto al di fuori di una posizione costituzionalmente garantita. 3.- Con ordinanza 18 novembre 1986, n. 241, questa Corte ha respinto l'istanza di sospensione, non avendo ravvisato la presenza di un pregiudizio immediato per la Regione, anche in relazione al fatto che "in virtu' dell'art. 10 della legge quadro, nessuna disciplina eventualmente definita in sede di accordo potrebbe trovare applicazione nei confronti del personale delle Regioni e degli enti dipendenti senza un preventivo provvedimento regionale di approvazione dell'accordo stesso". 4.- Nell'imminenza dell'udienza di discussione la Regione Lombardia ha prodotto un'ampia memoria, dove si illustrano e si sviluppano, anche alla luce della piu' recente giurisprudenza costituzionale, le tesi enunciate nel ricorso. Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato memoria, dove si formula, in aggiunta alle difese gia' sviluppate nell'atto di costituzione, un'eccezione di inammissibilita' nei confronti del primo motivo del ricorso, dal momento che la previsione di un comparto unitario delle Regioni e degli enti locali non comporterebbe, di per se', neppure indirettamente, una compressione della sfera di autonomia regionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.- La Regione Lombardia lamenta l'invasione della propria sfera di attribuzioni che sarebbe stata operata dagli artt. 1 n. 3, 4 e 10 del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68 concernente "Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93". Tali norme - per il fatto di aver incluso il personale delle Regioni a statuto ordinario e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti in un unico comparto comprendente il personale di altre categorie di enti locali e funzionali (Comuni, Province, Comunita' montane, Consorzi tra enti locali, ex IPAB, Camere di commercio, ecc.) - non avrebbero rispettato l'autonomia costituzionalmente garantita alla Regione in tema di ordinamento dei propri uffici e del proprio personale, incorrendo, sotto vari profili, nella violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione e degli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge 29 marzo 1983 n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego). La Regione chiede, pertanto, in sede di conflitto di attribuzione, l'annullamento delle disposizioni impugnate, previa dichiarazione che "non spetta allo Stato determinare un comparto di contrattazione collettiva per il pubblico impiego comprendente il personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti insieme a quello dei Comuni, delle Province, delle Comunita' montane, loro consorzi e associazioni, e degli altri enti indicati nell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 68 del 1986". 2.- Va preliminarmente rilevata l'insussistenza in fatto del quinto motivo del ricorso, mediante il quale si contesta la violazione dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 93 del 1983, per non essere stata la Regione Lombardia consultata in ordine all'accordo integrativo raggiunto tra Governo e sindacati in data 11 febbraio 1986. A parte la considerazione che l'accordo in questione si presentava estraneo all'oggetto della presente controversia in quanto attinente soltanto al diverso comparto del servizio sanitario nazionale, risulta, infatti, accertato, alla luce della documentazione prodotta dall'Avvocatura dello Stato, che il parere regionale venne richiesto nelle forme dovute, con nota della Presidenza del Consiglio indirizzata, in data 12 febbraio 1986 n. 40823, a tutti i Presidenti delle Giunte regionali. 3.- Con riferimento agli altri motivi il ricorso e' inammissibile. A questo proposito, occorre innanzitutto richiamare la tipicita' della disciplina concernente la determinazione dei comparti di contrattazione collettiva cosi' come delineata nella legge quadro sul pubblico impiego: disciplina attraverso cui si e' inteso regolare la prima fase del procedimento destinato a concludersi con la stipulazione dei diversi accordi sindacali di comparto o intercompartimentali. Va infatti ricordato come, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 93 del 1983, il numero dei comparti e la composizione degli stessi siano determinati mediante una procedura complessa comprensiva di varie fasi, attraverso le quali: a) il Presidente del Consiglio definisce con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative gli accordi relativi alla definizione dei comparti; b) su tali accordi viene sentito il parere delle Regioni; c) gli stessi vengono comunicati al Parlamento; d) gli accordi sono, quindi, assunti come base per la proposta di delibera che il Presidente del Consiglio avanza al Consiglio dei ministri; d) il Consiglio dei ministri adotta la delibera definitiva, che viene successivamente emanata con decreto del Presidente della Repubblica. Tale procedura presenta alcuni elementi di analogia con quella prevista per la stipulazione dei successivi accordi sindacali relativi ai vari comparti, ma se ne differenzia, tra l'altro, per la piu' limitata presenza consentita, in sede di definizione dei comparti, alle Regioni ordinarie. Queste, infatti, nella procedura delineata dall'art. 5, non assumono la posizione di parti contraenti, bensi' quella di soggetti investiti di una semplice funzione consultiva relativa ad accordi inter alios acti, in quanto definiti tra il Presidente del Consiglio ed i sindacati. Con riferimento a questa fase del procedimento non sembra, dunque, potersi individuare - secondo l'impianto adottato dalla legge n. 93 del 1983 (che in questa sede non viene in contestazione) - una sfera di attribuzioni regionali suscettibili di manifestarsi attraverso poteri diversi dall'esercizio di un'attivita' consultiva espressa attraverso pareri obbligatori, ma non vincolanti: attivita' che, nella specie, e' stata puntualmente espletata dalla Regione Lombardia mediante il parere espresso nei confronti dell'accordo del 21 dicembre 1984 con la deliberazione del Consiglio regionale in data 27 marzo 1985 n. III/2087. Sotto il profilo in esame si deve, dunque, escludere la possibilita' di riferire al decreto impugnato una potenzialita' lesiva, diretta e immediata, della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente. 4.- Resta, peraltro, da valutare - ed e' questo l'oggetto proprio della controversia - se una lesione, nella specie, possa essersi determinata in via indiretta e mediata, attraverso l'esercizio concreto del potere che ha condotto alla configurazione del comparto, dal momento che questo, per non essere stato riservato esclusivamente al personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, potrebbe aver determinato una limitazione ed un condizionamento illegittimi nella sfera della competenza costituzionale spettante alla Regione in materia di ordinamento dei propri uffici e del proprio personale. Questo aspetto del problema impone di tener presenti, insieme con i criteri fissati nell'ultimo comma dell'art. 5 ("il comparto comprende, nel rispetto delle autonomie costituzionalmente garantite, i dipendenti di piu' settori della pubblica amministrazione omogenei e affini"), i principi informatori che hanno ispirato la legge quadro sul pubblico impiego. In proposito va ricordato come nella giurisprudenza di questa Corte siano state sottolineate, con la natura di legge di riforma economico-sociale, le profonde novita' introdotte dalla legge n. 93 del 1983: novita' che, attraverso la definizione di un particolare meccanismo di contrattazione collettiva in materia di pubblico impiego, si sono venute a riflettere anche nel quadro costituzionale dei rapporti tra Stato e Regioni, modificando alcuni dei suoi termini di riferimento tradizionali (sent. n. 219 del 1984). Questa giurisprudenza ha, altresi', rilevato il "delicato bilanciamento" che, attraverso la stessa legge, si e' inteso realizzare tra diversi interessi costituzionali "quali il principio della contrattazione collettiva, il principio dell'autonomia legislativa regionale (e conseguente riserva di legge statale e regionale) e il principio del coordinamento nazionale delle legislazioni delle Regioni, se pure per via cooperativa" (sent. n. 217 del 1987): principi che hanno condotto a delineare nella legge una serie di garanzie e di procedure rigorose dirette a conferire agli accordi collettivi maturati tra amministrazioni pubbliche e sindacati "un particolare valore ed una specifica efficacia direttiva", consentendo agli stessi "di assolvere alla complessa funzione politica e costituzionale loro demandata". Ora, se valutiamo la complessa procedura destinata a condurre - secondo il disegno tracciato nella legge n. 93 - alla formazione della disciplina concernente l'impiego regionale, possiamo rilevare come ciascuna Regione sia stata legittimata dalla stessa legge a partecipare, in piena autonomia, ad ambedue le fasi fondamentali di tale procedimento: sia alla fase contrattuale, mediante la presenza di un proprio rappresentante nella delegazione di parte pubblica costituita per la stipula degli accordi (art. 10, primo comma); sia alla fase normativa, mediante l'approvazione con provvedimento regionale degli accordi stipulati, approvazione cui la legge subordina l'operativita' degli stessi accordi nell'ambito regionale (art. 10, terzo comma). Con riferimento al caso in esame non sembra, dunque, che la contestata violazione delle regole poste dalla legge n. 93 per la procedura di definizione dei comparti possa essere, di per se', considerata idonea e sufficiente a determinare una lesione, per quanto indiretta e mediata, della sfera costituzionalmente garantita alla Regione in materia di ordinamento del proprio personale: e questo in relazione tanto al carattere preliminare di tale procedura rispetto alla stipula dei successivi accordi sindacali, quanto all'ampiezza dei poteri riconosciuti alla Regione in sede di recepimento degli stessi accordi. In questo quadro, l'effetto lesivo per la sfera delle competenze regionali non potra', dunque, manifestarsi, nei suoi termini concreti, indipendentemente dai contenuti specifici di tali accordi, contenuti ne' definiti ne' pregiudicati al momento della conclusione della procedura di determinazione del comparto tracciata nell'art. 5 della legge n. 93. Quanto precede conduce, pertanto, a negare l'attualita' di una lesione concernente la sfera costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente in materia di disciplina del proprio personale, conseguente all'eventuale illegittimita' del decreto di cui e' causa: dal che l'inammissibilita' della doglianza in sede di conflitto di attribuzione.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto con il ricorso di cui in epigrafe dalla Regione Lombardia in relazione agli artt. 1 n. 3, 4 e 10 del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68, concernente "Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93", con riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost. ed agli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge 29 marzo 1983 n. 93. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: CHELI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 27 ottobre 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C1641