N. 1012 SENTENZA 26 ottobre - 3 novembre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Impiego  pubblico - Regione Veneto - Assunzione di personale
 ex legge n. 285/1977 - Dipendenti del comune di  Piombino  Dese
 Licenziamento per motivi disciplinari - Estensione del trattamento
 giuridico dei dipendenti dello Stato non di ruolo fino alla
 immissione nei ruoli locali  - Procedimento disciplinare Violazione
 della riserva di legge statale a garanzia dell'autonomia comunale
 - Incompetenza legislativa regionale in materia - Discrezionalita'
 legislativa - Non fondatezza.
 (Legge  regione Veneto 30 aprile 1981, n. 16, art. 8, secondo comma).
 (Cost., artt. 117, primo e secondo comma, e 128).
(GU n.45 del 9-11-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele  PESCATORE,  prof.  Francesco  Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 8, secondo
 comma, della legge della Regione Veneto 30 aprile 1981,  n.  16,  dal
 titolo:  "Disciplina  per l'immissione nei ruoli della Regione, delle
 province, dei comuni e delle comunita' montane del Veneto dei giovani
 assunti  ai  sensi  delle  disposizioni  in  materia  di  occupazione
 giovanile, in attuazione della legge 29 febbraio 1980, n. 33,  e  del
 decreto legge 21 giugno 1980, n. 268. Proroga dei contratti stipulati
 dalla Regione, dalle province, dai comuni e dalle  comunita'  montane
 del  Veneto ai sensi della legge 1› giugno 1977, n. 285, e successive
 modificazioni e integrazioni", promosso con l'ordinanza emessa il  27
 ottobre  1983  dal T.A.R. per il Veneto sul ricorso proposto da Peron
 Federica ed altri contro il Comune di Piombino Dese, iscritta  al  n.
 1229   del  registro  ordinanze  1984  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 65- bis dell'anno 1985;
    Visto l'atto di intervento della Regione Veneto;
    Udito  nell'udienza pubblica del 22 marzo 1988 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Udito l'Avvocato Guido Viola per la Regione Veneto;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  davanti  al T.A.R. del Veneto
 promosso da alcune persone, gia' assunte in base alla legge 1› giugno
 1977,  n.  285  ("Provvedimenti  per  l'occupazione  giovanile"), per
 ottenere l'annullamento della deliberazione con la quale il Comune di
 Piombino  Dese  le  aveva  licenziate  per  motivi  disciplinari,  il
 predetto  giudice  amministrativo,   accogliendo   un'eccezione   dei
 ricorrenti,   ha   sollevato   questione   di  costituzionalita',  in
 riferimento agli artt. 128 e 117 Cost., dell'art. 8,  secondo  comma,
 della  legge della Regione Veneto 30 aprile 1981, n. 16, il quale nel
 disporre che ai giovani assunti ai sensi della legge n. 285 del  1977
 sia   attribuito,  fino  all'immissione  nei  ruoli,  il  trattamento
 giuridico dei dipendenti statali non di ruolo - estende  agli  stessi
 l'applicabilita'  del  d.l.  4 aprile 1947, n. 207 e, in particolare,
 dell'art. 4 del decreto stesso, che prevede, appunto, il procedimento
 disciplinare applicato ai ricorrenti.
    Ad  avviso del giudice a quo, non vi dovrebbero essere dubbi sulla
 rilevanza  della  questione  proposta,  poiche'  l'utilita'  di   una
 eventuale   dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  appare
 chiara  ove  si  tenga  presente  che  la  norma  impugnata  preclude
 l'applicabilita' nel giudizio principale del regolamento organico del
 personale del Comune di Piombino  Dese,  regolamento  che  si  assume
 essere  favorevole  ai  ricorrenti. Pertanto, egli conclude, "poiche'
 gli altri motivi di impugnativa non appaiono fondati, il ricorso (del
 giudizio  principale)  potrebbe  essere  accolto  solo  se  la  norma
 predetta  cadesse   a   seguito   della   dichiarazione   della   sua
 illegittimita' costituzionale".
    Nel  merito,  lo  stesso  giudice  a  quo  sostiene  che  la norma
 impugnata contrasterebbe, innanzitutto,  con  l'art.  128  Cost.,  in
 quanto  non rispetterebbe la riserva di legge statale ivi stabilita a
 protezione dell'autonomia comunale. In secondo luogo, la stessa norma
 violerebbe  sia  il  primo  comma  dell'art.  117 Cost., in quanto la
 materia "lavoro" non e' ricompresa nell'elenco di  quelle  attribuite
 alla competenza regionale, sia il secondo comma dello stesso art. 117
 Cost., in quanto l'art. 26-septies del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663,
 convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nel
 demandare alle regioni il compito di disciplinare, con propria legge,
 l'istituzione  di  graduatorie uniche regionali per i giovani assunti
 ex legge n.  285  del  1977  e  la  loro  immissione  in  ruolo,  non
 comprenderebbe nella delega il potere di stabilire lo stato giuridico
 degli stessi giovani anche in difformita' con  quello  stabilito  per
 gli impiegati non di ruolo degli enti locali dai regolamenti organici
 di tali enti (che, nel caso, e' piu' favorevole ai ricorrenti).
    2.  - La Regione Veneto, costituitasi regolarmente in giudizio, ha
 innanzitutto  eccepito   l'inammissibilita'   della   questione   per
 irrilevanza.  La  difesa  della  Regione  osserva  in  proposito che,
 poiche' la questione relativa all'art. 8, comma secondo, della  legge
 impugnata  e'  stata  sollevata  soltanto  a condizione che risultino
 infondate le censure non  strettamente  dipendenti  dall'applicazione
 del  regolamento  comunale  che si assume illegittimamente scavalcato
 dal legislatore regionale, appare evidente che  la  stessa  questione
 non  presenterebbe  alcuna utilita' per la definizione del giudizio a
 quo,  visto  che  questo  potrebbe  essere  tranquillamente   risolto
 applicando   la  legge  comunale  e  provinciale,  per  la  quale  il
 segretario comunale, non essendo organo esterno del Comune, non aveva
 competenza   a   contestare   gli   addebiti  che  hanno  portato  al
 licenziamento dei ricorrenti.
    Ad  ogni  modo,  la  Regione ritiene che la questione proposta sia
 infondata, in quanto l'interpretazione suggerita dal giudice a quo  a
 proposito  dell'art.  26-septies del d.l. n. 663 del 1979, convertito
 con legge n. 33 del 1980, non sembrerebbe  conforme  alla  ratio  del
 complesso  normativo in cui quell'articolo si inserisce. Se, infatti,
 la Regione e' abilitata a disciplinare  la  graduatoria  dei  giovani
 sino  al  momento della loro immissione in ruolo e ad effettuare tale
 immissione, essa  stessa  non  puo'  non  essere  anche  abilitata  a
 stabilire  in  via  generale  lo stato giuridico dei giovani inseriti
 nella graduatoria medesima. E', insomma,  la  stessa  unicita'  della
 graduatoria  a  pretendere  che, ovviamente con effetti provvisori, i
 giovani non abbiano trattamenti differenziati in  attesa  della  loro
 immissione  nei  ruoli,  immissione  che puo' avvenire presso l'uno o
 l'altro dei vari enti locali. In definitiva, dall'art. 26-septies del
 d.l.  n.  663  del  1979  si  ricava  il  principio dell'unicita' del
 trattamento  giuridico  per  i  giovani  inseriti  in  una   medesima
 graduatoria.  E, a questo principio che lo stesso articolo 26-septies
 impone espressamente all'osservanza delle regioni, la  resistente  si
 e' rigorosamente attenuta con la legge impugnata.
    3.  -  In prossimita' dell'udienza la Regione Veneto ha presentato
 una breve memoria,  nella  quale  insiste  per  l'infondatezza  della
 questione   con   argomenti   analoghi,   anche  se  piu'  ampiamente
 sviluppati,  rispetto  a  quelli  formulati  nel  precedente  scritto
 difensivo.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata, con
 l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dal  Tribunale   Amministrativo
 Regionale  per  il  Veneto,  concerne  l'art. 8, secondo comma, della
 legge della Regione Veneto 30 aprile 1981,  n.  16  ("Disciplina  per
 l'immissione  nei  ruoli  della Regione, delle province, dei comuni e
 delle comunita' montane del Veneto dei giovani assunti ai sensi delle
 disposizioni in materia di occupazione giovanile, in attuazione della
 legge 29 febbraio 1980, n. 33, e del decreto legge 21 giugno 1980, n.
 268.  Proroga  dei contratti stipulati dalla Regione, dalle province,
 dai comuni e dalle comunita' montane del Veneto ai sensi della  legge
 1›  giugno 1977, n. 285, e successive modificazioni e integrazioni"),
 che, per il periodo intercorrente fino alla loro immissione in ruolo,
 estende ai giovani temporaneamente assunti dalla Regione e dagli enti
 locali sub-regionali in base  alla  legge  1›  giugno  1977,  n.  285
 ("Provvedimenti   per   l'occupazione   giovanile"),   e   successive
 modificazioni, il trattamento giuridico dei dipendenti non  di  ruolo
 dello Stato. L'articolo impugnato e' sospettato d'incostituzionalita'
 da parte del giudice a quo sotto tre distinti profili:
       a)  per  violazione  della  riserva  di legge statale stabilita
 dall'art. 128 Cost. a garanzia dell'autonomia comunale;
       b)  per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in quanto
 disciplina una materia,  il  lavoro,  non  affidata  alla  competenza
 legislativa delle regioni a statuto ordinario;
       c)  per  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma, Cost., in
 quanto  l'art.  26-septies  del  d.l.  30  dicembre  1979,  n.   663,
 convertito  con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, di
 cui la legge impugnata e' attuazione, non prevederebbe fra  i  propri
 oggetti  la  disciplina  dello  stato  giuridico dei giovani assunti,
 anche in difformita' con quello stabilito  a  favore  dei  dipendenti
 degli enti in cui prestano lavoro.
    2.   -   In   via   preliminare   la   Regione   Veneto  eccepisce
 l'inammissibilita', per  irrilevanza,  della  questione  prospettata.
 L'eccezione, tuttavia, non puo' essere accolta.
    Secondo  la  Regione, il giudice a quo ha subordinato la rilevanza
 della  questione  a  una  sua  valutazione,  espressamente  formulata
 nell'ordinanza  di  rimessione, relativa a una presunta inconsistenza
 di ogni altro motivo addotto dai ricorrenti a propria difesa, di modo
 che  l'interesse di questi ultimi potrebbe esser soddisfatto soltanto
 ove  la   norma   impugnata   fosse   dichiarata   costituzionalmente
 illegittima.  Ma,  argomenta  la  Regione,  poiche' la condizione che
 sorregge il ragionamento del giudice a quo non sembra corretta - dato
 che,  a  suo  avviso, non mancano, gia' allo stato, validi motivi per
 l'accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio principale -  si
 dovrebbe   supporre   che   la   risoluzione   della   questione   di
 costituzionalita' sollevata con l'ordinanza  di  rimessione  non  sia
 necessariamente  pregiudiziale ai fini della definizione del giudizio
 a quo.
    Non  v'e'  dubbio  che  la valutazione della rilevanza operata dal
 T.A.R. per il Veneto desti notevoli perplessita',  sia  perche'  tale
 requisito   viene  puramente  interpretato  in  termini  di  utilita'
 soggettiva che i ricorrenti in  sede  amministrativa  possono  trarre
 dall'eventuale pronunzia d'incostituzionalita' della norma impugnata,
 sia perche', conseguentemente, la sussistenza della  rilevanza  viene
 basata su una valutazione di certezza o di necessarieta' di influenza
 del giudizio di costituzionalita' sul  processo  principale.  D'altra
 parte, anche l'eccezione della Regione Veneto si colloca sullo stesso
 piano, tanto che  l'irrilevanza  della  questione  viene  basata  sul
 presupposto   che   i  ricorrenti  hanno  la  possibilita'  di  veder
 soddisfatte le proprie pretese per altri motivi,  indipendenti  dalla
 risoluzione della questione di costituzionalita'.
    In  contrario,  va affermato che la valutazione della rilevanza da
 parte del giudice a quo non puo' essere compiuta in termini  di  mera
 utilita'   che  le  parti  del  giudizio  principale  possano  trarre
 dall'eventuale annullamento della disposizione  impugnata  denotando,
 piuttosto,  la  rilevanza,  un  legame  di carattere obiettivo tra il
 giudizio  di  costituzionalita'  e  quello  principale,   commisurato
 all'interesse  dell'ordinamento  di prevenire ogni possiblita' che il
 giudice    applichi    nel    processo    principale    una     norma
 anticostituzionale.  Ne',  di conseguenza, la valutazione del giudice
 rimettente sulla rilevanza puo'  spingersi  fino  a  precorrere  o  a
 percorrere gli itinerari dell'esame del merito della causa principale
 - itinerari sui  quali  questa  Corte,  in  sede  di  verifica  della
 sussistenza  della  rilevanza  non  puo'  minimamente  entrare con le
 proprie valutazioni,  a  pena  di  trasfigurare  il  significato  del
 proprio  giudizio  -  essendo sufficiente che ricorra una ragionevole
 possibilita', valutata a priori in limine litis, che la  disposizione
 contestata  sia  applicabile ai fini della definizione del giudizio a
 quo.
    Nonostante cio', dal contesto dell'ordinanza di rimessione risulta
 chiaramente  la  sussistenza  della  rilevanza  in   relazione   alla
 questione  oggetto del presente giudizio. Risulta, infatti, con tutta
 evidenza che,  come  precisa  il  giudice  a  quo,  il  provvedimento
 impugnato  in  sede  amministrativa  in  tanto  e' stato adottato dal
 Comune di Piombino Dese in quanto proprio l'art.  8,  comma  secondo,
 della  legge  della  Regione  Veneto  n.  16 del 1981, qui impugnato,
 estende ai ricorrenti lo stato giuridico del personale statale non di
 ruolo. Cio' significa che la norma impugnata costituisce un parametro
 che il giudice a quo  deve  necessariamente  tener  presente  per  la
 definizione  del  giudizio  principale.  E  tanto  basta  perche' sia
 riconosciuta  la  rilevanza  della  questione  di   costituzionalita'
 sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    3. - La questione non e' fondata.
     Come  e' espressamente enunciato nel titolo della legge regionale
 del Veneto oggetto del  presente  giudizio,  le  norme  ivi  previste
 provvedono  a  regolare  l'immissione in ruolo dei giovani assunti in
 base alla legge n. 285 del 1977 (e  successive  modificazioni).  Piu'
 precisamente,  esse  sono il frutto dell'esercizio di una particolare
 competenza di attuazione che il legislatore  nazionale  ha  demandato
 alle  regioni  con  il  d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con
 modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33.
    Con  il  decreto  appena  richiamato,  il legislatore nazionale ha
 provveduto a prorogare i contratti di assunzione temporanea stipulati
 dalle  pubbliche  amministrazioni  ai  sensi  della  ricordata  legge
 sull'occupazione giovanile fino all'espletamento di appositi esami di
 idoneita', superati i quali i giovani cosi' reclutati sarebbero stati
 immessi nei ruoli dello Stato, delle  regioni,  delle  province,  dei
 comuni  e  delle comunita' montane. A tal fine, l'art. 26-septies del
 citato decreto obbliga le regioni a disciplinare, con propria  legge,
 l'istituzione  di  graduatorie  uniche  regionali  e l'ammissione dei
 giovani anche in enti diversi  da  quelli  presso  i  quali  avessero
 prestato  la  loro attivita'. La legge regionale del Veneto n. 16 del
 1981 e' vo'lta  a  dare  attuazione  a  tale  impegno  istituendo  le
 graduatorie  uniche regionali, disciplinando gli esami di idoneita' e
 stabilendo, proprio con la disposizione impugnata  (art.  8,  secondo
 comma),  lo  stato giuridico e il trattamento economico assicurati ai
 giovani durante il periodo di  iscrizione  nelle  graduatorie  uniche
 regionali  fino alla loro immissione in ruolo in uno degli enti sopra
 menzionati.
    Il   giudice   a   quo  dubita  della  costituzionalita'  di  tale
 disposizione, in quanto, a suo  giudizio,  il  legislatore  nazionale
 avrebbe  demandato  a  quello  regionale soltanto l'istituzione delle
 graduatorie uniche regionali e l'immissione in ruolo dei giovani, non
 gia'  la  determinazione  dello  stato giuridico degli iscritti nelle
 graduatorie, tanto piu' ove questo, come nel caso,  sia  difforme  da
 quello  stabilito per i dipendenti degli enti in cui prestano lavoro.
 In realta' i dubbi manifestati dal giudice  a  quo  non  hanno  alcun
 fondamento,  poiche'  la  norma  impugnata  ha una precisa base nella
 legge statale di cui quella regionale ora considerata e'  attuazione.
    Il   ricordato  art.  26-septies,  nel  demandare  al  legislatore
 regionale   l'istituzione   di   graduatorie   uniche   regionali   e
 l'immissione  in  ruolo  dei  giovani,  precisa  espressamente che le
 regioni,  nel  disciplinare  tali  aspetti,  debbono  attenersi  alle
 disposizioni  comprese  negli  artt.  26- ter e seguenti del medesimo
 decreto-legge, le quali "hanno valore di  norme  di  principio  e  di
 indirizzo per le regioni". E, per l'appunto, proprio l'art. 26-quater
 dello stesso decreto stabilisce, al terzo comma, che ai  giovani  che
 abbiano   superato  l'esame  di  idoneita'  e  siano  iscritti  nelle
 graduatorie  "e'  attribuito,  fino  all'immissione  nei  ruoli,   il
 trattamento  giuridico  dei  dipendenti  civili  non  di  ruolo dello
 Stato". A questa prescrizione della legge  statale  si  e'  attenuta,
 pressoche'  alla  lettera,  la norma impugnata, che pertanto non puo'
 essere sospettata di  difformita'  rispetto  alla  legge  di  cui  e'
 attuazione.
    Del resto, questa scelta legislativa non e' priva di razionalita',
 poiche' la previsione di uno stato giuridico uniforme  -  in  ipotesi
 quello  dei dipendenti non di ruolo dello Stato - appare coerente con
 il disegno complessivo della legge,  vo'lto  a  definire  graduatorie
 uniche  regionali  e  a  consentire l'immissione in ruolo dei giovani
 iscritti nelle stesse anche presso enti diversi da quelli  nei  quali
 avevano  prestato  fino  ad  allora  la propria attivita' lavorativa,
 compresi coloro che non avessero usufruito affatto della legge n. 285
 del  1977.  La  scelta  in  questione,  in  altri  termini,  tende ad
 assicurare uno stato giuridico  uniforme  a  giovani  che  potrebbero
 trovarsi a svolgere il loro lavoro precario in piu' enti, comportanti
 discipline diversificate del personale,  e  che,  in  mancanza  della
 norma  contestata,  sarebbero  andati incontro, irragionevolmente, al
 rischio di avere stati giuridici diversi ed estremamente mutevoli.
    4.  -  Del  pari  non  fondata e' la censura relativa alla pretesa
 violazione della riserva di legge  statale,  prevista  dall'art.  128
 Cost. a garanzia dell'autonomia comunale.
    Come  si  e'  precisato  nel punto precedente, la norma impugnata,
 nell'attuare l'art. 26-septies del decreto-legge  n.  663  del  1979,
 come  modificato  dalla  legge  di  conversione  n.  33  del 1980, ha
 ripreso, pressoche' letteralmente, una norma contenuta  nel  predetto
 decreto, al cui rispetto era espressamente tenuta. Cio' significa che
 la disciplina che si assume lesiva della riserva di legge statale e',
 in  realta',  posta  da  un  atto  legislativo  dello  Stato,  che il
 legislatore regionale era obbligato semplicemente ad attuare.
    In  ogni  caso,  anche  se  cosi' non fosse, resta il fatto che la
 norma impugnata non incide sull'autonomia comunale e, in particolare,
 sulla  potesta'  dei  comuni  di  disciplinare autonomamente lo stato
 giuridico dei propri dipendenti (tanto se di ruolo, quanto se non  di
 ruolo).  Il  giudice  a  quo,  infatti,  non  tiene  conto che quello
 stabilito  dalla  norma  impugnata  e'   un   trattamento   giuridico
 provvisorio,  che  viene assicurato ai giovani dal momento della loro
 iscrizione nelle graduatorie uniche  regionali  (dopo  aver  superato
 l'esame  d'idoneita') fino alla loro immissione in ruolo, vale a dire
 per un periodo in cui non e' ancora certa la destinazione finale  dei
 giovani  stessi, i quali si trovano (eventualmente) legati con l'ente
 da  un   rapporto   assolutamente   precario   e   provvisorio,   non
 riconducibile   alla  sfera  che  legittimamente  definisce  e  fonda
 l'autonomia comunale garantita dall'art. 128 della Costituzione.
    5.  -  Del tutto non fondata e' anche la censura che viene rivolta
 alla norma impugnata per un suo preteso  contrasto  con  l'art.  117,
 primo  comma,  Cost.,  che,  tra  le materie attribuite alla potesta'
 legislativa delle regioni  a  statuto  ordinario,  non  comprende  il
 "lavoro". L'infondatezza di tale censura appare evidente sulla scorta
 delle argomentazioni gia' svolte, con le quali si  e'  precisato  che
 qui  e' in discussione la c.d. potesta' legislativa attuativa, il cui
 fondamento costituzionale e' dato dall'art. 117, secondo comma, della
 Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 8, comma secondo,  della  legge  della  Regione  Veneto  30
 aprile  1981,  n.  16  ("Disciplina  per l'immissione nei ruoli della
 Regione, delle province, dei comuni e  delle  comunita'  montane  del
 Veneto  dei giovani assunti ai sensi delle disposizioni in materia di
 occupazione giovanile, in attuazione della legge 29 febbraio 1980, n.
 33, e del decreto legge 21 giugno 1980, n. 268. Proroga dei contratti
 stipulati dalla Regione, dalle province, dai comuni e dalle comunita'
 montane  del  Veneto  ai  sensi della legge 1› giugno 1977, n. 285, e
 successive modificazioni e integrazioni"), sollevata, in  riferimento
 agli  artt. 117, primo e secondo comma, e 128 della Costituzione, dal
 Tribunale Amministrativo Regionale  per  il  Veneto  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 3 novembre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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