N. 1022 SENTENZA 26 ottobre - 9 novembre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Espropriazione per pubblica utilita' - Terreno coltivato Diritto
 dell'espropriando alla cessione volontaria e ad un prezzo non
 superiore del 50% all'indennita' provvisoriamente determinata -
 Diritto del coltivatore ad una indennita' aggiuntiva - Importo
 complessivo dell'indennita' di espropriazione superiore al valore
 venale del bene espropriato  Inapplicabilita' della norma impugnata
 all'espropriazione di immobili con destinazione edificatoria - Non
 fondatezza.  (Legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 12, primo comma, e
 17, secondo comma).  (Cost., art. 42, terzo comma)
(GU n.46 del 16-11-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 12 e 17,
 secondo comma, della legge 22 ottobre  1971,  n.  865  ("Programmi  e
 coordinamento   dell'edilizia   residenziale  pubblica;  norme  sulla
 espropriazione per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni  alle
 LL.  17  agosto  1942,  n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre
 1964, n. 847; ed autorizzazioni di spesa per interventi  straordinari
 nel  settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata"),
 promosso con ordinanza emessa il 30  aprile  1987  dal  Tribunale  di
 Milano nel procedimento civile vertente tra Monfrini Massimo ed altri
 e il C.I.M.E.P., iscritta al n. 114 del  registro  ordinanze  1988  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 14, prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
    Visti  l'atto di costituzione di Monfrini Massimo e del C.I.M.E.P.
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  27  settembre  1988 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Uditi  gli  avvocati Emilio Romagnoli per Monfrini Massimo e Mario
 Viviani per il C.I.M.E.P. e l'Avvocato dello  Stato  Luigi  Sicanolfi
 per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale di Milano, con ordinanza 30 aprile 1987 (R.O. n.
 114 del 1988), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost., degli artt. 12, primo
 comma (cosi' come mod. dal  D.L.  2  maggio  1974,  n.  115  e  dalla
 successiva  l.  28 gennaio 1977, n. 10) e 17, secondo comma, della l.
 22 ottobre 1971, n. 865, a norma dei quali  -  rispettivamente  -  il
 proprietario  espropriando ha diritto di convenire con l'espropriante
 la cessione volontaria degl'immobili per un prezzo non superiore  del
 50  per  cento  all'indennita' provvisoria determinata ai sensi degli
 artt. 16  e  17  e,  ove  l'espropriazione  "attenga  ad  un  terreno
 coltivato   da   fittavolo,   mezzadro,  colono  o  compartecipante",
 l'espropriante deve corrispondere a costoro un'indennita'  aggiuntiva
 pari a quella spettante al proprietario in base all'art. 16.
    L'ordinanza  e'  stata emessa nel corso di un giudizio promosso da
 taluni  proprietari  d'immobili  i  quali  avevano   concordato   con
 l'espropriante  la  cessione  volontaria  dei  terreni  espropriandi,
 ottenendo  la  maggiorazione  prevista  dall'art.  12  su   detto   e
 stabilendo  che  restasse  "salvo il conguaglio" di cui alla l n. 385
 del 1980, emanata al  fine  di  determinare  in  via  provvisoria  le
 indennita'     di     espropriazione     dopo     le     declaratorie
 d'incostituzionalita' contenute nella sentenza 30 gennaio 1980, n. 5.
 Detti  proprietari  chiedevano  che,  essendo  stata dichiarata anche
 l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della l. n.  385
 del  1980  (sentenza  19  luglio  1983,  n. 223), il conguaglio fosse
 liquidato secondo i criteri stabiliti dalla l. n. 2395 del 1865,  con
 la  maggiorazione  dovuta per la cessione volontaria e cio' anche per
 quanto riguardava l'indennita' di occupazione.
    L'espropriante  si  era  costituito  per  resistere  alla domanda,
 deducendo  che  i  terreni  avevano  una  destinazione  agricola   ed
 eccependo  che  la  richiesta  degli  attori  avrebbe  comportato  il
 pagamento di un'indennita' superiore al valore venale,  tenuto  conto
 che  era  dovuto anche l'indennizzo speciale di cui all'art. 17 della
 l. n. 865 del 1971.
    Il  Tribunale  di  Milano,  dopo  avere  preso  atto che i terreni
 espropriati, ancorche' non ricompresi nel perimetro  urbano,  avevano
 una destinazione edificatoria e che ne' la sentenza n. 5 del 1980 ne'
 la sentenza n. 223 del 1983 hanno inciso sugli artt. 12 e 17, secondo
 comma,  della  l.  n.  865  del  1971, ha affermato che il conguaglio
 andrebbe determinato - come richiesto  dagli  attori  -  in  base  ai
 criteri  stabiliti  dalla l. n. 2395 del 1865, con le "maggiorazioni"
 previste dai citati artt.  12  (per  la  cessione  volontaria)  e  17
 (indennita' "per i fondi coltivati") correlate ai "parametri previsti
 dalla l. n. 2395 del 1865".
    Cio',  peraltro,  secondo  il  Tribunale,  comporterebbe che dette
 "maggiorazioni" rendano  l'indennizzo  di  ammontare  di  gran  lunga
 superiore  al  valore  venale del bene espropriato. Ne deriverebbe il
 sopravvenuto contrasto degli artt. 12,  primo  comma  e  17,  secondo
 comma, della l. n. 865 del 1971, nelle parti impugnate, con l'art. 42
 Cost. che non  consentirebbe  d'imporre  all'espropriante  di  pagare
 un'indennita'  di  valore  superiore  al  valore  di mercato del bene
 espropriato.
    2.  -  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  e' intervenuto il
 Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione  sia
 dichiarata non fondata.
    Nell'atto   di   costituzione   si  osserva  che  le  declaratorie
 d'illegittimita'  costituzionale  pronunciate  con  le  sentenze   30
 gennaio  1980, n. 5 e 19 luglio 1983, n. 223 non hanno toccato l'art.
 17 della l. n. 865 del 1971 ne'  direttamente  ne'  di  riflesso,  in
 quanto   la   commisurazione   dell'indennita'  aggiuntiva,  da  esso
 prevista, ai valori agricoli medi ed astratti, non sarebbe "vulnerata
 dalla  riconosciuta inadeguatezza degli stessi a costituire legittima
 base di determinazione della indennita' dovuta  al  proprietario  per
 l'espropriazione".   Pertanto,   detta  indennita'  andrebbe  tuttora
 calcolata secondo i criteri dettati dalla l. n. 865 del  1971.  Cio',
 tuttavia,  non  renderebbe particolarmente gravosa per l'espropriante
 la misura complessiva delle indennita' di  espropriazione,  giacche',
 nella   determinazione   dell'indennita'   dovuta   al   proprietario
 espropriato, deve tenersi conto che trattasi di un terreno pur sempre
 oggetto di contratti agrari.
    3.  - Dinanzi a questa Corte si e' costituito pure l'espropriante,
 chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  irrilevante   o,   in
 subordine, che gli artt. 12, primo comma e 17, secondo comma della l.
 n. 865 del 1971 siano dichiarati costituzionalmente illegittimi  "per
 la   parte   in   cui   prevedono   la   maggiorazione  fino  al  50%
 dell'indennita' di espropriazione  calcolata  secondo  il  valore  di
 mercato,  nonche'  l'ulteriore  corresponsione  di  un'indennita'  al
 fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il
 terreno espropriando".
    A  sostegno  dell'irrilevanza  della  questione  l'espropriante ha
 allegato  -  in  contrasto  con  quanto   affermato   dal   Tribunale
 nell'ordinanza  di rimessione - la natura agricola e non edificatoria
 dei terreni espropriati, con la conseguente  non  riferibilita'  alla
 fattispecie  della l. n. 2395 del 1865, essendo restato integralmente
 applicabile all'espropriazione dei terreni agricoli  -  pur  dopo  la
 sentenza  n. 5 del 1980 - il regime dettato dalla l. n. 865 del 1971,
 come modificata dalla l. n. 10 del 1977.
    Si  e'  costituito  pure  uno dei proprietari esproprati (Monfrini
 Massimo), chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
 infondata.
    Nelle  note  da  questo  depositate  si  afferma genericamente, in
 relazione alla richiesta di  una  pronuncia  d'inammissibilita',  che
 sussistono  dubbi  sulla  rilevanza  della  questione  sollevata. Nel
 merito si deduce che l'indennita'  aggiuntiva  di  cui  all'art.  17,
 secondo comma, della l. n. 865 del 1971 non va liquidata in base alla
 l. n. 2395 del 1865 ma secondo i parametri dettati dalla  l.  n.  865
 del  1971,  come  modificata  dalla  l. n. 10 del 1977. Si sottolinea
 inoltre che questa Corte si e' gia'  pronunciata  sulla  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  17,  secondo  comma, con ordinanza 3 marzo
 1988, n. 262, disattenendo la fondatezza di una questione  analoga  a
 quella  in  esame. Si sostiene, infine, che il legislatore, nella sua
 discrezionalita', per il caso di terreni oggetto di contratti agrari,
 puo'  legittimamente  prevedere indennita' di espropriazione che, nel
 loro complesso, superino il valore venale dei beni espropriati.
    Dinanzi  a  questa  Corte si e' costituito anche l'affittuario dei
 terreni espropriati (Regazzetti  Angelo),  proponendo  conclusioni  e
 difese in tutto analoghe a quelle anzidette.
    Con   successiva   memoria   l'espropriante  ha  svolto  ulteriori
 considerazioni a sostegno dell'irrile vanza delle questioni sollevate
 e,  in  subordine,  della  illegittimita'  costituzionale delle norme
 impugnate. In particolare, ha rilevato  che  il  Regazzetti  non  era
 parte   del  giudizio  a  quo  ed  ha  insistito  sul  carattere  non
 edificatorio  dei  terreni  oggetto  dell'espropriazione.  Ha   anche
 sostenuto  che,  se le aree avevano vocazione edificatoria, gli artt.
 12 e 17 della l.  n.  865  del  1971  non  sarebbero  stati  comunque
 applicabili,  dovendosi  ritenere la fattispecie regolata dalle leggi
 n. 2359 del 1865 o n. 2892 del 1885.
                         Considerato in diritto
    1.  -  In via pregiudiziale va dichiarata l'inammissibilita' della
 costituzione  di  Regazzetti  Angelo  -   affittuario   dei   terreni
 espropriati - in quanto egli non era parte nel giudizio a quo, mentre
 questa Corte ha costantemente affermato (cfr. da ultimo  sentenze  25
 febbraio 1988, n. 220; 7 aprile 1988, n. 412; 12 maggio 1988, n. 531)
 che, nei giudizi di legittimita' costituzionale in  via  incidentale,
 le  parti private legittimate a costituirsi sono soltanto quelle che,
 al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione,  avevano  la
 qualifica di parte nel giudizio a quo.
    Cio'  si  evince  dall'art.  25,  secondo comma, della l. 11 marzo
 1953, n. 87, il quale attribuisce  la  facolta'  di  costituirsi  nei
 giudizi  di legittimita' costituzionale in via incidentale alle parti
 destinatarie della  notificazione  dell'ordinanza  di  rimessione  ai
 sensi dell'art. 23: parti che sono, appunto, solo le "parti in causa"
 del giudizio a quo. Inoltre, gli artt. 23 e  25  della  l.  11  marzo
 1953,  n.  87,  nonche' gli artt. 2 e 3 delle Norme integrative per i
 giudizi  davanti  alla  Corte   costituzionale   -   disponendo   che
 l'ordinanza  di  rimessione  deve  essere  notificata  alle parti del
 giudizio a quo, ove non sia  stata  letta  in  dibattimento,  che  la
 regolarita'   della   notificazione   deve   essere  controllata  dal
 Presidente  della  Corte   prima   di   disporre   la   pubblicazione
 dell'ordinanza   nella   Gazzetta   Ufficiale   e   che   dall'ultima
 notificazione decorre il termine (perentorio) di venti giorni per  la
 costituzione  -  regolano  la  costituzione  delle parti davanti alla
 Corte, e gli adempimenti connessi, in modo tale da essere applicabili
 solo  alle  parti  del  giudizio  a  quo  al momento della emanazione
 dell'ordinanza di rimessione. Il  che  rende  manifesta  la  voluntas
 legis  di  attribuire  soltanto  a  quelle  parti la legittimazione a
 costituirsi dinanzi alla Corte costituzionale.
    2.  -  Il  giudice  a  quo  ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 12, primo comma (cosi' come mod. dal  d.l.
 2 maggio 1974, n. 115 e dalla successiva l. 28 gennaio 1977, n. 10) e
 17, secondo  comma  della  l.  22  ottobre  1971,  n.  865,  i  quali
 prevedono,  rispettivamente,  che  il  proprietario  espropriando  ha
 diritto  di  convenire  con  l'espropriante  la  cessione  volontaria
 degl'immobili   per   un  prezzo  non  superiore  del  50  per  cento
 all'indennita' provvisoria determinata ai sensi degli artt. 16 e 17 e
 che, ove l'espropriazione riguardi un terreno coltivato da fittavolo,
 mezzadro, colono o  compartecipante,  costretto  ad  abbandonarlo,  a
 costui deve essere corrisposta un'indennita' aggiuntiva pari a quella
 spettante al proprietario a norma dell'art. 16. Tali norme, in quanto
 tuttora   applicabili  alle  procedure  espropriative  di  terreni  a
 destinazione  edificatoria,   secondo   l'ordinanza   di   rimessione
 contrasterebbero  con  l'art. 42 Cost.: infatti le "maggiorazioni" da
 esse  previste,   dovendo   essere   calcolate   su   indennita'   di
 espropriazione  da liquidarsi - dopo le declaratorie d'illegittimita'
 costituzionale pronunciate con le sentenze 30 gennaio 1980, n. 5 e 21
 luglio  1983,  n.  223  -  in  base  alla l. 25 giugno 1865, n. 2359,
 renderebbero l'importo complessivo delle indennita' di  esproriazione
 di gran lunga superiore al valore del bene espropriato.
    3.  -  All'esame  di  tali  questioni  vanno  premesse le seguenti
 considerazioni.
    L'art.  16  della l. 22 ottobre 1971, n. 865 (modificato dall'art.
 14 della l. 28 gennaio 1977, n.  10)  ha  previsto  l'istituzione  di
 commissioni  provinciali  aventi il compito di stabilire (entro il 31
 gennaio di ogni anno),  nell'ambito  delle  singole  regioni  agrarie
 delimitate   dall'I.S.T.A.T.,   il  valore  agricolo  medio,  per  il
 precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di
 contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati.
 L'indennita' di espropriazione, secondo  quanto  disposto  dai  commi
 quinto,  sesto  e  settimo  di  detto art. 16, per le aree esterne ai
 centri edificati, doveva essere commisurata al valore agricolo  medio
 anzi  detto,  corrispondente  al tipo di coltura in atto nell'area di
 espropriazione. Per le aree comprese  nei  centri  edificati  invece,
 l'indennita'  di  espropriazione  doveva essere commisurata al valore
 agricolo medio della coltura piu' redditizia tra  quelle  che,  nella
 regione  agraria  in cui ricadeva l'area da espropriare, coprisse una
 superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata nella regione
 agraria stessa, moltiplicata per determinati coefficienti.
    Tali  criteri  di  calcolo  delle  indennita'  di espropriazione -
 originariamente  applicabili  alle  sole  espropriazioni   d'immobili
 disposte  per  le  finalita' indicate dall'art. 9 della l. n. 865 del
 1971 - furono estesi dalla l. 27 giugno  1974,  n.  247  a  tutte  le
 espropriazioni  comunque  preordinate  alla  realizzazione di opere o
 d'interventi da parte dello Stato, delle  Regioni,  delle  Provincie,
 dei  Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non
 territoriali.
    Questa  Corte,  peraltro,  con  la sentenza 30 gennaio 1980, n. 5,
 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dei commi quinto,  sesto  e
 settimo  della l. n. 865 del 1971, come modificati dall'art. 14 della
 l. n. 10 del  1977,  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  42  della
 Costituzione.
    A  seguito  di  tale  pronuncia,  la  l.  29  luglio 1980, n. 385,
 stabili' che le indennita' di  espropriazione,  gia'  regolate  dalle
 disposizioni   dichiarate   illegittime,   fossero   provvisoriamente
 liquidate secondo i criteri previsti dalla l. n 865  del  1971,  come
 modificati  dalla  l. n. 10 del 1977, salvo il conguaglio che sarebbe
 stato stabilito da apposita legge, da emanarsi entro un anno (termine
 poi  prorogato  dal  d.l.  29  maggio 1982, n. 298, conv. nella l. 29
 luglio 1982, n. 481 e dalla l. 23 dicembre 1982, n. 943).
    Anche  queste  norme,  pero',  furono  poi  dichiarate illegittime
 perche' in contrasto con gli artt. 42 e 136 della Costituzione (Corte
 cost. 21 luglio 1983, n. 223).
   Va  infine precisato che, in relazione alle anzi dette declaratorie
 d'illegittimita' costituzionale,  costitusce  ormai  ius  receptum  -
 secondo quanto emerge dalla successiva giurisprudenza di questa Corte
 (sentenza 21 dicembre 1985, n. 355; 30 luglio  1984  n.  231)  e  dal
 costante  indirizzo  della  Corte di Cassazione - che esse riguardano
 solo i criteri di determinazione delle indennita'  per  le  aree  con
 destinazione edificatoria.
    Le   norme   in   discorso  sono,  pertanto,  tuttora  applicabili
 all'espropriazione di aree con destinazione  agricola,  in  relazione
 alle  quali  non  e'  stato  riconosciuto  sussistente  alcun profilo
 d'incostituzionalita',  stante  il  collegamento  della  liquidazione
 dell'indennita'   con   le   effettive   caratteristiche   e  con  la
 destinazione economica del bene.
    E'   parimenti  ius  receptum  che  per  le  aree  a  destinazione
 edificatoria,  in  conseguenza  delle  declaratorie  d'illegittimita'
 costituzionale  della normativa su riferita, l'indennita' deve essere
 liquidata - in mancanza di una  disciplina  sostitutiva  delle  norme
 caducate  -  sulla  base  del valore venale o di scambio del bene, ai
 sensi dell'art. 39 della l. 25 giugno 1865,  n.  2359,  che  non  era
 stata  abrogata,  ma  solo  derogata  dalla  l.  n.  865 del 1971. In
 particolare,  l'indennita'  va  liquidata  in  base  alla   normativa
 generale della l. n. 2359 del 1865 anche riguardo alle espropriazioni
 di aree edificabili per l'attuazione di piani di edilizia economica e
 popolare,  disposte ai sensi della l. n. 865 del 1971: infatti l'art.
 39 di quest'ultima legge - che aveva espressamente abrogato le  norme
 speciali  in materia di espropriazione per la realizzazione dei piani
 di edilizia residenziale pubblica (art. 12 l. 18 aprile 1962, n. 167,
 mod.  dall'art.  1  della  l.  21 luglio 1965, n. 904), che rendevano
 applicabili a tali espropriazioni  i  criteri  d'indennizzo  previsti
 dall'art. 13 della l. 15 gennaio 1885, n. 2892 - non e' stato toccato
 dalle  su  dette  declaratorie  d'illegittimita'  costituzionale.  Ne
 consegue che, per l'abrogazione operata dall'art. 39 cit., anche tali
 espropriazioni finiscono con l'essere regolate, quanto ai criteri  di
 liquidazione  delle indennita', dalla disciplina generale della l. n.
 2359 del 1865.
    4.  -  Il  quadro  giurisprudenziale  e  normativo  ora  disegnato
 consente di precisare il contenuto "attuale" della  disciplina  della
 l.  n.  2359 del 1865, per i riflessi che su essa possono esplicare i
 relitti  ancora  vigenti  -  in  tema  di  espropriazione   di   aree
 edificatorie - della l. n. 865 del 1971 (artt. 12 e 17), che, come si
 e' gia' detto, non sono stati caducati dalle ricordate  dichiarazioni
 di illegittimita' costituzionale.
    L'indennizzo dell'espropriato, che e' costituzionalmente garantito
 (art. 42, terzo comma Cost.) e che si configura come  presupposto  di
 legittimita'  del provvedimento di espropriazione (cfr. art. 48 l. n.
 2359 del 1865), deve  assumere  il  carattere  di  un  serio  ristoro
 (sentt.  n.  5  del 1980 e n. 223 del 1983 citt.); esso si pone, alla
 stregua della ripresa di operativita' della l. n. 2359 del 1865, come
 diritto dell'espropriato al valore venale o di scambio del bene (art.
 39 l. n. 2359 cit.).
    All'ammontare,   in   tal  senso  determinato,  va  aggiunto,  ove
 ricorrano le circostanze previste dagli artt. 64 e  segg.  di  questa
 legge,  l'indennizzo  per  occupazione  temporanea;  circostanza che,
 secondo  un  accenno  dell'ordinanza   di   rimessione,   sembrerebbe
 ricorrere  nella  fattispecie,  ma  che  non spetta a questa Corte di
 acclarare, non essendo, tra  l'altro,  compresa  nelle  ipotesi  alle
 quali   si   riferiscono   le   norme  sospettate  di  illegittimita'
 costituzionale.
    5.   -   Com'e'  noto,  carattere  distintivo  dell'indennita'  di
 espropriazione, nel sistema "puro" della l.  n.  2359  del  1865,  e'
 quello della sua unicita'. Anche se sull'immobile coesistano, insieme
 con il diritto del proprietario, diritti di altri soggetti  (ad  es.,
 usufrutto,  uso,  servitu', dominio diretto), l'indennita', nei detti
 limiti  massimi  del  valore  di   scambio,   e'   unica   e   spetta
 esclusivamente  al  proprietario (art. 27, primo comma). Fa eccezione
 l'ipotesi di enfiteusi, nella quale "l'indennita' sara'  accettata  o
 pattuita,  anziche' dal proprietario, dagli enfiteuti che trovansi in
 possesso del fondo" (art. 27, secondo comma).
    "Pronunciata   l'espropriazione,  tutti  i  diritti  anzidetti  si
 possono far valere non piu' sul fondo espropriato, ma sull'indennita'
 che lo rappresenta" (art. 52, secondo comma, l. cit.).
    In   questa   posizione   si  trovavano  originariamente  anche  i
 conduttori degli immobili oggetto  di  espropriazione,  immobili  che
 l'art.  27 l. n. 2359 del 1865 designa, nel primo comma, come "fondi"
 e,  nel  terzo,  come  "stabili";  termini  che  sono  manifestamente
 comprensivi sia dei beni immobili urbani che di quelli rustici.
    La  questione,  sulla  quale  e'  chiamata  a  decidere  la Corte,
 comporta che sia esaminata in primo  luogo  la  posizione  di  questi
 soggetti,   titolari   di   rapporti   obbligatori   insieme  con  il
 proprietario  del  fondo,  del  quale  sono  coltivatori  (fittavolo,
 mezzadro,  colono  o  compartecipante). La censura di illegittimita',
 per violazione del terzo comma  dell'art.  42  Cost.,  si  riferisce,
 infatti,  fra  l'altro,  al  secondo comma dell'art. 17 l. n. 865 del
 1971, nel caso in  cui  intervenga  cessione  volontaria  del  fondo;
 secondo   l'ordinanza   di  rimessione,  se  si  dovesse  riconoscere
 all'espropriato un indennizzo pari al valore  venale  o  di  scambio,
 sulla   base   del   quale   deve  essere  ulteriormente  commisurata
 l'indennita' aggiuntiva attribuita ai  sopra  detti  coltivatori,  si
 verrebbe  a  determinare  un  indennizzo  "estremamente  superiore al
 valore venale del  fondo",  con  la  conseguente  incostituzionalita'
 della disciplina.
    Chiarita,  in generale, l'attuale posizione del proprietario circa
 l'indennizzo - ed a parte il problema  della  maggiorazione  ad  esso
 spettante  in  base  al primo comma degli artt. 12 e 17 l. n. 865 del
 1971, in caso di cessione volontaria di fondo edificatorio, che sara'
 esaminato  in  seguito - e' da vedere come vi incida la posizione dei
 su menzionati titolari di rapporti obbligatori.
    E' al riguardo tuttora operante l'art. 17, secondo, terzo e quarto
 comma della l. n. 865 del 1971, che non e' stato toccato  dalle  piu'
 volte menzionate declaratorie di illegittimita' costituzionale.
    Da questa norma si ricavano tre principii:
      1)  il  fittavolo,  il mezzadro, il colono e il compartecipante,
 costretti ad abbandonare il  fondo  coltivato,  sono  titolari  (cfr.
 Corte   cost.  3  marzo  1988,  n.  262)  di  uno  specifico  diritto
 all'indennita' di espropriazione, il cui  contenuto  sara'  tra  poco
 precisato;
      2)  essi  sono autonomamente legittimati alla percezione di tale
 indennita' e all'azione per conseguirla;
      3)  l'indennita'  ad  essi  dovuta  e'  da  detrarre  da  quella
 spettante al proprietario (cfr. Corte cost. 12 maggio 1988,  n.  530,
 anche  se relativa a fattispecie normativa regionale), determinata in
 base al valore venale del bene espropriato.
    La  consistenza oggettiva dell'indennizzo dei predetti soggetti e'
 chiaramente desumibile dall'art. 17 terzo comma l. n. 865 cit.:  essa
 consiste  in  una  somma  pari al valore agricolo medio, indicato dal
 primo comma dell'articolo 16 l. n. 865 cit., corrispondente  al  tipo
 di  coltura  effettivamente  praticato,  anche  se  si tratti di aree
 comprese nei centri edificati o delimitati come centri storici.
    La  norma  reca  un autonomo riferimento al valore agricolo medio,
 che  le  consente  di  rendere  applicabile  il  criterio  anzidetto,
 indipendentemente   dallo   specifico  richiamo,  che  pur  contiene,
 all'art. 16. Questo richiamo rafforza la validita'  e  l'operativita'
 del  criterio  del  valore  agricolo  medio,  perche' l'art. 16 e' un
 precetto rimasto pienamente operante rispetto ai fondi a destinazione
 agricola  (cfr. Corte cost. 21 dicembre 1985, n. 355; 30 luglio 1984,
 n. 231 cit.).
    Ed e' indubbio che un fondo, oggetto di contratto di affitto (come
 si verifica nella fattispecie, di cui e' causa) o di mezzadria  o  di
 colonia,  ecc.,  e' naturaliter agricolo, anche se inerisce ad area a
 destinazione edificatoria.
    Ha  rilevato  il Presidente del Consiglio, attraverso l'Avvocatura
 generale dello Stato, che della presenza del  coltivatore,  rilevante
 per   l'ordinamento,   non   possa  non  tenersi  conto  in  sede  di
 determinazione  del  valore  venale  rappresentante  l'indennita'  di
 esproprio  dovuta  al  proprietario, posto che la stima non potrebbe,
 correttamente, essere riferita ad un terreno "considerato  libero  da
 vincoli di contratti agrari", nel momento stesso in cui, in base alla
 legge, l'esistenza del contratto di affitto assume autonoma rilevanza
 sul piano giuridico.
    Nel  riferire  tale esatta considerazione, la Corte osserva che se
 ne deve spostare l'angolo di incidenza.
    Pare  piu' coerente, stante l'autonomia del diritto all'indennizzo
 del coltivatore (art. 17, ultimo comma, l. 865  cit.),  compiere  una
 distinta  operazione  di determinazione di tale indennizzo, calcolato
 in base al valore agricolo medio del fondo e dovuto  direttamente  al
 coltivatore,  ai  sensi  del  terzo  comma di quest'ultima norma, nel
 limite massimo del valore venale del fondo stesso.
    Si  tratta  di una precisazione di carattere non soltanto formale,
 in  quanto  risponde  meglio  alla  titolarita'   del   diritto   del
 coltivatore,  sancito  dalla  norma  ora  richiamata,  titolarita' ed
 autonomia rispetto all'indennizzo del proprietario, che non sarebbero
 poste  nella  giusta  luce qualora il valore agricolo, corrispondente
 alla perdita determinata dall'"abbandono del terreno", dovesse essere
 affidato ad un'operazione unica, congiunta a quella di determinazione
 dell'indennizzo del proprietario. Fermo il valore venale del  terreno
 come   limite   massimo   complessivo   del   prezzo  dell'operazione
 espropriativa, l'autonoma  valutazione,  entro  detto  limite,  e  la
 diretta  corresponsione  al coltivatore della somma corrispondente al
 valore  agricolo  medio,  realizzano,  per  effetto   della   lettura
 congiunta  della  l. 2359 del 1865 e dell'art. 17 della l. n. 865 del
 1971, una deroga  al  principio  innanzi  richiamato  della  unicita'
 dell'indennizzo.
    6.  -  E' tempo di prendere in esame la posizione del proprietario
 nell'ipotesi  di  cessione  volontaria;  per  essa  il  primo   comma
 dell'art.  12  della  l.  n.  865  del 1971 prevede una maggiorazione
 dell'indennita' "determinata ai sensi dei successivi artt. 16 e  17".
    E'  da  premettere  che  e'  fuori discussione la vigenza di tutte
 queste norme nel caso che si tratti di  terreno  agricolo;  si  pone,
 invece, il problema della disciplina applicabile nella fattispecie di
 terreno edificatorio.
    Nel  primo caso, infatti, non essendo operanti le dichiarazioni di
 illegittimita' costituzionale, la normativa della l.  n. 865 del 1971
 si  esplica  in  tutta  la sua pienezza; diversamente si prospetta la
 questione nel secondo caso (fondo edificatorio), che contrassegna  la
 fattispecie in esame.
    Anche  il  giudice  a quo, nel formulare la questione, parte dalla
 constatazione che la  sentenza  n.  5  del  1980  non  ha  dichiarato
 illegittimo l'art. 12 della l. n. 865 del 1971.
    In  mancanza di tale declaratoria, l'ordinanza reputa che la norma
 sia  tuttora  operante,   perdendo   pero'   l'originario   contenuto
 precettivo   in  relazione  alla  sopravvenuta  applicabilita',  alle
 espropriazioni di aree a destinazione edificatoria, del  criterio  di
 liquidazione  dell'indennita' di espropriazione costituito dal valore
 venale del suolo, secondo la previsione della l. n. 2359 del 1865.  A
 parere,del  giudice  a  quo,  la fattispecie normativa, in precedenza
 integrata dal richiamo al disposto dell'art. 16 della  stessa  l.  n.
 865  del  1971  per  la  determinazione  dell'indennita'  sulla quale
 calcolare  la  maggiorazione  massima,  ora  andrebbe  integrata  col
 disposto  dell'art.  39 della l. n. 2359 del 1865, il quale commisura
 l'indennita' al valore venale del bene.
    Siffatta   strutturazione   del   quadro   normativo  va  peraltro
 disattesa, essendo in contrasto sia con  l'interpretazione  letterale
 che con quella sistematica dell'art. 12 della l. n. 865.
    Va  preliminarmente  rilevato che tale norma, mentre nel suo testo
 originario prevedeva  che  "i  proprietari,  entro  30  giorni  dalla
 notificazione  dell'avviso  di  cui  al  quarto  comma  dell'art. 11,
 possono convenire con l'espropriante  la  cessione  volontaria  degli
 immobili, per un prezzo non superiore del 10 per cento all'indennita'
 provvisoria", nel testo risultante dalle modificazioni apportate  dal
 d.l.  2 maggio 1974, n. 115 e dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10 dispone
 che  "il  proprietario  espropriando,  entro  trenta   giorni   dalla
 notificazione  dell'avviso  di  cui  al quarto comma dell'art. 11, ha
 diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria  degli
 immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento dell'indennita'
 provvisoria, determinata ai sensi degli articoli 16 e 17".
    In  tale  formulazione viene fatto specifico e vincolante richiamo
 all'art. 16 quale norma determinativa dei criteri  di  commisurazione
 dell'indennita' di riferimento per il calcolo della maggiorazione del
 50 per cento. Il testuale, esplicito richiamo all'art.  16  non  puo'
 essere  sostituito  dall'interprete con il riferimento al criterio di
 calcolo previsto dall'art. 39 l. n. 2359 del 1865.  A  differenza  di
 quanto  questa  Corte  ha  affermato circa i terreni agricoli ed alle
 ipotesi in  cui  debba  essere  preso  in  considerazione  il  valore
 agricolo del terreno, rispetto alle quali l'art. 16 opera secondo una
 normativa che conserva intatta la sua  efficacia,  per  i  terreni  a
 destinazione    edificatoria    le    ricordate    dichiarazioni   di
 incostituzionalita' impediscono l'applicabilita' di  tale  disciplina
 nell'ipotesi  di  cessione volontaria, per il computo dell'indennita'
 aggiuntiva spettante al proprietario. In tal  caso,  il  legislatore,
 attraverso  il rinvio operato dal primo comma dell'art. 12 l. n. 865,
 impone un quantum indennitario  secondo  la  determinazione  prevista
 nella  fattispecie  espropriativa  tipica  dell'art.  16. Venuta meno
 questa norma  rispetto  alla  determinazione  dell'indennizzo  per  i
 terreni  edificatori,  viene  a cessare, per la mancanza del supporto
 della  disciplina  principale  (determinazione  dell'indennizzo),  il
 funzionamento  della norma dipendente (maggiorazione di questo stesso
 indennizzo in caso di cessione volontaria).  Non  e'  da  trascurare,
 infatti,  che l'art. 12 opera in un sistema nel quale l'indennita' di
 espropriazione  dei   suoli   a   destinazione   edificatoria   viene
 determinata  in  base a criteri del tutto differenziati da quello del
 valore venale del bene; una volta  inficiato  per  detti  terreni  il
 criterio  determinativo dell'indennizzo, posto dall'art. 16, si priva
 automaticamente  l'art.  12  di  un  elemento  qualificante  del  suo
 contenuto  precludendo  il  funzionamento  del  meccanismo,  da  esso
 azionato per determinare la maggiorazione dell'indennizzo stesso.
    7.    -    Da    quanto    precede,    emerge   l'inaccettabilita'
 dell'interpretazione  dell'art.  12   sostenuta   nell'ordinanza   di
 rimessione.
    Questa  Corte  ha  gia'  dichiarato  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15 della stessa l.
 n.  865  del  1971,  in quanto tale norma, facendo riferimento per la
 determinazione dell'indennita'  di  espropriazione  dei  terreni  con
 destinazione edificatoria all'art. 16 - dichiarato costituzionalmente
 illegittimo - "non puo' piu' trovare applicazione, una  volta  venuta
 meno  la  norma  base  alla quale si riferiva" (Corte cost. 11 giugno
 1980, n. 84).
    La vicenda in esame e' del tutto omogenea a questa ora ricordata e
 si ispira a un sicuro orientamento della  Corte,  relativo  alla  non
 operativita'  di  norme strutturalmente e/o funzionalmente collegate,
 nel caso di invalidazione di una di esse a seguito della pronuncia di
 illegittimita'  costituzionale (cfr. al riguardo Corte cost. 26 marzo
 1980, n. 42; 7 luglio 1976, n. 164).
    Va  pertanto affermato che l'art. 12, primo comma, della l. n. 865
 del  1971   (concernente   la   cessione   volontaria   dell'immobile
 espropriando)   in   seguito   alle   declaratorie   d'illegittimita'
 costituzionale anzidette, non e' piu' applicabile  all'espropriazione
 d'immobili  con  destinazione  edificatoria,  essendo  venuto meno un
 elemento intrinseco della fattispecie normativa,  essenziale  al  suo
 funzionamento.
    D'altra   parte,   in   un  sistema,  nel  quale  l'indennizzo  e'
 commisurato a valori medi e  astratti,  avulsi  dalla  consistenza  e
 dall'attitudine  concreta  del bene, la maggiorazione per la cessione
 volontaria da parte del proprietario ha una  sua  peculiare  funzione
 nel  senso che la spinta della valutazione verso valori piu' vicini a
 quelli reali  contribuisce  ad  accelerare  l'acquisizione  del  bene
 espropriando.
    Riportato,  per  i  terreni  edificatori,  l'indennizzo  al valore
 venale o di scambio, siffatta giustificazione perde  gran  parte  del
 suo  contenuto.  Ne'  e'  ipotizzabile  una maggiorazione che conduca
 l'indennizzo al di la'  del  valore  venale,  nel  caso  di  cessione
 volontaria, non soltanto perche' lo impedisce l'art. 42, terzo comma,
 Cost.,  ma  anche  perche'  viene  a   mancare   un   interesse   del
 proprietario, costituzionalmente rilevante. Il proprietario non puo',
 infatti,  pretendere  dall'espropriante  (normalmente,  una  pubblica
 amministrazione,  che  deve  valutare adeguatamente anche gli aspetti
 economici e finanziari dell'operazione: Corte cost. 3 marzo 1988,  n.
 262  cit.)  un  prezzo maggiore del valore di scambio del bene in una
 vendita tra privati.
    Per  le ragioni sopra esposte, entrambe le questioni sollevate dal
 giudice a quo vanno dichiarate non fondate.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni
 di legittimita' costituzionale degli artt.  12,  primo  comma  e  17,
 secondo  comma,  della  l.  22  ottobre  1971,  n.  865 ("Programmi e
 coordinamento  dell'edilizia  residenziale  pubblica;   norme   sulla
 espropriazione  per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni alle
 LL. 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962,  n.  167;  29  settembre
 1964,  n. 847; ed autorizzazioni di spesa per interventi straordinari
 nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e  convenzionata"),
 sollevate  dal Tribunale di Milano con ordinanza 30 aprile 1987 (R.O.
 n. 114 del 1988), in riferimento al l'art. 42, terzo comma, Cost.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta il 26 ottobre 1988.
                          Il Presidente: CONSO
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 9 novembre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 88C1721