N. 1023 SENTENZA 26 ottobre - 9 novembre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Pena -
 Delinquenza mafiosa - Appalti degli enti pubblici - Pena pecuniaria
 proporzionale al valore complessivo dell'appalto Graduazione anche in
 relazione alla personalita' del reo Esclusione - Discrezionalita'
 legislativa - Razionalita' Medesima questione gia' dichiarata non
 fondata (sentenza n.  281/1987) - Non fondatezza.  (Legge 13
 settembre 1982, n. 646, art. 21, cosi' come sostituito  dall'art. 1
 della legge 12 ottobre 1982, n. 726).  (Cost., artt. 3 e 27, terzo
 comma)
(GU n.46 del 16-11-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: Prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 21 della legge
 13 settembre 1982, n. 646  (Disposizioni  in  materia  di  misure  di
 prevenzione  di  carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27
 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962,  n.57  e  31  maggio  1965,
 n.575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della
 mafia),  come  sostituito  dalla  legge  12   ottobre   1982,   n.726
 (Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto  legge  6
 settembre 1982, n.629, recante misure urgenti  per  il  coordinamento
 della  lotta  contro  la  delinquenza  mafiosa),  di  conversione del
 decreto  legge  6  settembre  1982,  n.629  (Misure  urgenti  per  il
 coordinamento  della  lotta  contro la delinquenza mafiosa), promosso
 con ordinanza emessa il 9 dicembre 1987 dal Pretore di Poggibonsi nel
 procedimento  penale  a carico di Fioravanti Paolo ed altri, iscritta
 al n. 65 del registro ordinanze  1988  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  11, prima serie speciale, dell'anno
 1988;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                            Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza 9 dicembre 1987, il Pretore di Poggibonsi sollevava
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21 l. 13 settembre
 1982  n.  646  (come  sostituito dall'art. 1 della l. 12 ottobre 1982
 n.726), con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
    Il  giudice a quo e' ben consapevole che questa Corte, con sent. 7
 luglio 1987 n. 281, aveva gia' dichiarata non fondata  questa  stessa
 questione,  proposta  da  varie  magistature di merito in riferimento
 all'art. 3 Cost. Egli ritiene, tuttavia, di riproporla anche sotto il
 profilo   dell'art.   27,   terzo   comma,   Cost.,   rilevando  che,
 nell'impugnata  fattispecie,  la  pena  da  infliggere  in   concreto
 verrebbe a dipendere esclusivamente dalla concreta gravita' oggettiva
 del  fatto,  e  non  anche  dalle   considerazioni   concernenti   la
 personalita'   del   reo.   Essa   svolgerebbe,   percio',  un  ruolo
 diseducativo anziche' - come dovrebbe per il disposto  costituzionale
 -  risocializzante: e cio' sopratutto perche' una pena cosi' elevata,
 in quanto commisurata al valore complessivo  dell'appalto,  impedisce
 la  concessione  della  sospensione  condizionale e l'applicazione di
 pene sostitutive.
    E  poiche'  tutto  cio'  sarebbe  anche  privo di razionalita', ne
 resterebbe offeso, sotto questo profilo, anche il  principio  di  cui
 all'art.3 Cost.
    2.  -  Si  e'  costituita  in giudizio l'Avvocatura Generale dello
 Stato in rappresentanza del Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,
 che   ha  chiesto  la  declaratoria  d'infondatezza  della  sollevata
 questione,  richiamando  l'introduzione   nell'ordinamento   (l.   24
 novembre  1981  n. 689) dell'art. 133- bis cod. pen., che consente al
 giudice di ridurre la  pena  pecuniaria  fino  ad  un  terzo,  se  lo
 consigliano  le  condizioni  economiche  del reo. Per il resto, si e'
 riferita alla citata  sentenza  di  questa  Corte  che,  in  tema  di
 adeguamento  della  pena alla personalita' del reo, ha anche indicato
 la possibilita' di calibrare la pena detentiva.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  ragionamento  del giudice a quo e' suggestivo ma non e'
 fondato. Affermare che la pena da irrogare in concreto, limitatamente
 alle  ipotesi  di  elevato  valore dell'appalto, sarebbe diseducativa
 perche' tale da  non  consentire  la  concessione  della  sospensione
 condizionale  e  l'applicazione  di  sanzioni sostituitive, e percio'
 impeditiva della commisurazione in relazione anche alla  personalita'
 del  reo,  significa  in sostanza pur sempre criticare l'eccessivita'
 della pena pecuniaria comminata in astratto dalla norma.
    Infatti,  se  il  giudice  non  riesce  a  rendere  operativi quei
 benefici  non  dipende  dall'impossibilita'  di  tenere  conto  della
 personalita'  dell'autore  del  reato  - come sostiene l'ordinanza -,
 perche' nulla impedisce  al  giudicante  di  apportare  tutte  quelle
 diminuzioni  che la legge consente, in relazione alle circostanze che
 concernono la personalita', ivi compresa quella  di  cui  all'art.133
 bis  ricordata  dall'Avvocatura,  che  pure  riguarda  la persona del
 colpevole. Vero e', invece, che alla concessione dei citati  benefici
 il  giudice  non  puo' giungere nei casi in cui, a causa dell'elevato
 valore dell'appalto, la pena pecuniaria si  presenta  di  particolare
 gravita',  in  quanto si tratta di pena proporzionale. Questa, pero',
 non  e'  situazione  eccezionale  e  particolare   alla   fattispecie
 impugnata,   ma   e'   effetto  conseguente  ad  ogni  reato  che  il
 legislatore, avendolo ritenuto di particolare gravita', abbia  punito
 con  sanzioni  elevate.  Sono,  infatti, numerose le fattispecie che,
 contemplando conseguenze sanzionatorie elevate,  non  consentono  ne'
 l'applicazione  di  sanzioni  sostituitive  ne'  la concessione della
 sospensione  condizionale  della  pena,  senza  che,  percio'   solo,
 quest'ultima dimetta la funzione risocializzante.
    E',  quindi,  in  definitiva, pur sempre all'astratta misura della
 pena che la doglianza s'appunta, e sempre limitatamente alle  ipotesi
 di elevato valore dell'appalto, dato che per i casi di scarsa entita'
 gli effetti auspicati dal Pretore potrebbero rendersi possibili.
    Il legislatore, pero', comminando, oltre a quella detentiva, anche
 una pena pecuniaria proporzionale, ha inteso proprio colpire il grave
 illecito  nel  suo  contenuto  patrimoniale,  in  quanto  e'  proprio
 l'intento   economico   alla   base   di    quella    pericolosissima
 organizzazione  criminale  che  alligna  e  s'infiltra  attorno  agli
 appalti degli enti pubblici: innescando spesso anche  una  perniciosa
 catena  di  delitti  dei pubblici ufficiali (corruzioni, abusi, falsi
 etc...) e di altri  delitti  della  stessa  organizzazione  criminosa
 (estorsioni,  violenze,  intimidazioni,  delitti  contro  la  vita  o
 l'incolumita' personale).
    Non  e',  quindi,  per  nulla irrazionale che il legislatore abbia
 avuto particolare riguardo a questo profilo del reato, che e'  quello
 fondamentale  ai  fini  della  tutela  che,  mediante la fattispecie,
 intendeva apprestare.
    2.  -  Tutto  questo  s'e'  voluto chiarire per non lasciare senza
 risposta le preoccupazioni espresse dall'ordinanza.
    Va  ricordato,  pero', che, fino a questo momento, per consolidata
 giurisprudenza di questa Corte i  principi  di  cui  al  terzo  comma
 dell'art.  27  Cost.  non  riguardano  il  processo  di  cognizione e
 l'applicazione della pena da parte del giudice del  dibattimento.  La
 Corte  ha  sempre  ritenuto che quei principi si riferiscano, invece,
 all'esecuzione della pena, come sarebbe dimostrato dalla menzione del
 "trattamento" che e' espressione tecnica della materia penitenziaria.
    Inoltre, poi, non puo' essere esaltata la funzione risocializzante
 fino   al   punto   da   mortificare,   e   pressocche'   vanificare,
 l'imprescindibile   funzione   afflittiva  che  l'istituto  deve  pur
 conservare.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 21 della l. 13 settembre  1982,  n.  646  (Disposizioni  in
 materia  di  misure  di prevenzione di carattere patrimoniale), cosi'
 come  sostituito  dall'art.  1  della  l.  12  ottobre  1982  n.  726
 (Conversione  in legge con modificazioni del d.l. 6 settembre 1982 n.
 629, recante misure urgenti per il coordinamento della  lotta  contro
 la  delinquenza  mafiosa),  sollevata  dal  Pretore di Poggibonsi con
 ordinanza 9 settembre 1987 in riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo
 comma, Cost.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta il 26 ottobre 1988.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 9 novembre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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