N. 400 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1988
N. 400 Ordinanza emessa il 15 marzo 1988 dalla corte d'appello di Milano nel procedimento penale a carico di Pasquali Guido ed altri Imposta - Infedele dichiarazione dei redditi - Alterazione rilevante - Indeterminatezza, in parte qua, della norma incriminatrice - Violazione del principio di tassativita' della fattispecie penale. (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7). (Cost., artt. 3 e 25, secondo comma).(GU n.1 del 4-1-1989 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro Pasquali Guido + 36; Esaminati gli atti; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott. Cerqua; Udito, per la parte civile, l'avvocato dello Stato Orlando; Udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale dott. De Palma; Uditi i difensori avvocati Giordanengo, De Nignis Siniscalchi e Chiaraviglio; O S S E R V A Pasquali Guido, Garavaglia Claudio, Cereda Sergio, Motta Ferdinando, Michetti Bruna, Ronchi Clemente, Fusco Antonio, Garilli Romana, Bosisio Amelia, Guerresco Vittorio Rino, Galli Giuseppe, Rinaldi Cesare, Volponi Mauro, Botteri Romano, Russo Giuseppe, Maiello Maria Pia, Mainardi Clelia e Combi Gian Luigi, con sentenza del tribunale di Milano di data 17 ottobre 1985, sono stati ritenuti responsabili, oltre che del reato previsto dall'art. 4, n. 1, della legge 7 agosto 1982, n. 516 (per il quale sono stati condannati anche altri imputati, tra cui Rossini Roberto e Molteni Antonio Salvatore), anche del reato previsto dall'art. 4, n. 7, della medesima legge, perche', al fine di evadere le imposte sui redditi e l'imposta sul valore aggiunto, utilizzavano numerose bolle di accompagnamento dei beni viaggianti alterate in modo tale da far apparire in esse indicata una quantita' di merce (calzature) inferiore a quella effettivamente compravenduta, e, essendo titolari di redditi d'impresa, redigevano le scritture contabili obbligatorie e la dichiarazione annuale dei redditi del 1984 dissimulando, con il predetto artifizio, componenti positivi, si' da alterare in misura rilevante il risultato della dichiarazione stessa. In primo grado, il tribunale di Milano riteneva irrilevanti le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 4, n. 7, della legge anzidetta, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sul presupposto che l'art. 1, in tema di contravvenzione di omessa dichiarazione dei redditi, equipara irragionevolmente redditi di natura diversa, e l'art. 4, n. 7, del pari irragionevolmente, prevede un reato proprio dei titolari di redditi di lavoro autonomo e di impresa, escludendo i titolari dei restanti redditi, che compilino fraudolentemente una dichiarazione infedele. Il tribunale, inoltre, riteneva manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 4, n. 7, nella parte in cui prevede l'alterazione in misura rilevante della dichiarazione, quale elemento costitutivo del reato di frode fiscale ivi previsto, sollevata in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per violazione del principio di tassativita' delle fattispecie penali, osservando che la condotta incriminata e' "esattamente individuata e qualificata sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo". In sede di appello i difensori di Garavaglia Claudio, Maiello Maria Pia, Russo Giuseppe e Combi Gian Luigi hanno riproposto le stesse questioni di legittimita' costituzionale, mentre i difensori di Rossini Roberto e Molteni Antonio Salvatore hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge anzidetta, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, assumendo che la norma, in tema di pene accessorie, equiparerebbe irragionevolmente la posizione di chi ha commesso fatti oggettivamente gravi a quella di chi ha commesso fatti di lieve entita'. A) La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516, in tema di omessa dichiarazione dei redditi, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' irrilevante, non essendo stata contestata ad alcun imputato l'ipotesi contravvenzionale prevista dalla norma citata. B) La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' manifestamente infondata. La scelta normativa di fare della frode fiscale prevista da tale norma un reato proprio di soggetti particolarmente qualificati, coerente con la volonta', diffusa nel testo di legge, vo'lta a perseguire una linea di minor rigore nei confronti dei percettori di redditi di lavoro dipendente o di altri redditi, non appare irrazionale ne' arbitraria. Invero, la ragionevolezza della scelta, fondata sulla maggiore potenzialita' offensiva o sulla maggiore "pericolosita' fiscale" dei contribuenti individuati nella fattispecie criminosa in esame, rispetto ai titolari di redditi diversi da quelli indicati nella norma, puo' giustificare, sul piano costituzionale, una discriminazione, quanto a responsabilita' penale, fondata sul tipo di reddito sottratto a contribuzione e sulla sua maggiore facilita' di occultamento. C) La questione di legittimita' dell'art. 6 della legge 7 agosto 1982, n. 516, del pari sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' manifestamente infondata. Il legislatore, nella previsione delle pene accessorie, non e' costituzionalmente vincolato alla gravita' del reato. Per scelta discrezionale, immune da vizi di arbitrarieta' e irragionevolezza, esse si possono ricollegare anche a forme qualificate di pericolosita' sociale ed alla specificita' degli interessi tutelati, a prescindere dalla gravita' del reato. Non va dimenticato, inoltre, che se l' an della loro applicazione e' previsto automaticamente dal legislatore, il quantum della loro durata e' rimesso il piu' delle volte alla valutazione discrezionale del giudice. D) Infine, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516, nella parte in cui prevede l'alterazione in misura rilevante della dichiarazione, quale elemento costitutivo del reato di frode fiscale ivi previsto, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione, appare rilevante e non manifestamente infondata. Per quanto riguarda il primo aspetto, l'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma farebbe venir meno l'ipotizzabilita' dell'ipotesi di frode fiscale di cui trattasi, per difetto di uno dei suoi elementi costitutivi. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione, si osserva che il principio di tassativita' delle fattispecie penali, ricavabile dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, impone che la norma determini la fattispecie criminosa con connotati precisi, in modo che il giudice, nel ricondurre un'ipotesi concreta alla norma di legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da un fondamento controllabile (Corte costituzionale 8 giugno 1981, n. 96). L'individuazione da parte del giudice del risultato rilevante della dichiarazione, in assenza di parametri di riferimento, legislativamente predeterminati, compromette il carattere di determinatezza della fattispecie, in quanto la rilevanza penale del fatto, come e' stato osservato, viene ad essere condizionata all'opinione che il giudice avra' in concreto circa la misura rilevante o meno dell'alterazione: in tal modo egli e' chiamato a decidere sulla sussistenza penale del fatto a livello di previsione normativa, ed a compiere non gia' un'opera di interpretazione in sede di applicazione della norma, ma una vera e propria integrazione di quest'ultima, svolgendo cosi' un'attivita' creativa nell'individuazione dei contenuti della fattispecie legale, sulla base di elementi non ricavabili dalla stessa disposizione di legge, e neppure in via sistematica, in quanto, non essendo prevista alcuna soglia di punibilita', la soluzione non sembra possa essere trovata nei valori assoluti indicati nell'art. 1 della legge n. 516/1982. Non e' irrilevante aggiungere che, trattandosi di un reato doloso, l'elemento soggettivo deve investire tutti gli elementi essenziali e indispensabili per l'integrazione della fattispecie, mentre la mancata determinazione legislativa dell'alterazione rilevante esclude che la coscienza e volonta' possa estendersi anche a tale elemento costitutivo del reato di frode fiscale. Non si puo', inoltre, escludere che l'indeterminatezza della norma si possa tradurre in una ineluttabile disparita' della sua applicazione, e quindi in concreta diseguaglianza (art. 3 della Costituzione), imputabile alla norma stessa (v. Corte Costituzionale 14 aprile 1980, n. 49). L'esame delle varie e contrastanti interpretazioni giurisprudenziali evidenzia l'incertezza che deriva dall'espressione normativa. Cosi', ad esempio, il tribunale di Milano, nell'impugnata sentenza, ha ritenuto che per determinare l'alterazione rilevante del risultato della dichiarazione, ci si debba riferire, in primo luogo, al parametro quantitativo, tenendo conto, quale criterio complementare, dell'attitudine della dissimulazione ad eludere eventuali controlli. Altri giudici hanno fatto ricorso congiuntamente a tre criteri di natura obiettiva: un criterio proporzionale, il valore assoluto della differenza, l'entita' dell'imposta evitata o evitabile (Trib. Torino 13 luglio 1985, in Foro it. 1986, II, c. 101); mentre altri hanno ritenuto che il superamento della soglia di cui all'art. 1 della legge n. 516/1982 renderebbe comunque obiettivamente rilevante l'alterazione del risultato della dichiarazione (Corte d'appello Firenze 9 novembre 1987, in il Fisco 1988, p. 953). Infine, a giudizio della Corte di cassazione, l'alterazione dovrebbe essere valutata in se stessa e, secondariamente, in proporzione al reddito complessivo effettivo (Cass. 11 marzo 1987, in il Fisco 1987, p. 5251). Si rileva, inoltre, che l'ipotesi delittuosa in esame non puo' essere assimilata ad altre figure di reato c.d. "a forma libera", come ad esempio quelle previste dagli artt. 527 e 528 del c.p. e dall'art. 403 stesso codice, ritenuti costituzionalmente legittimi: la peculiarita' del sistema penale tributario non consente di ritenere che l'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione sia una nozione propria del linguaggio e dell'intelligenza comuni (Corte costituzionale 16 dicembre 1970, n. 191), o un valore etico-sociale oggettivamente accertabile dall'interprete (Corte costituzionale 8 luglio 1975, n. 188). L'alterazione in misura rilevante non costituisce neppure un concetto di comune esperienza o desumibile da altre fonti legislative e dalla pregressa elaborazione giurisprudenziale (Corte costituzionale 14 aprile 1980, n. 49). Ne' ha pregio il richiamo alle circostanze previste dagli artt. 61, n. 7, 62, n. 4 e 648 cpv., del c.p. e dall'art. 219, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in quanto, come e' stato osservato, la loro indeterminatezza, riflettendosi solo sul quantum della punibilita', non appare incompatibile con l'esigenza di tassativita'. Infine, il riferimento alla normativa sugli stupefacenti, nel quadro della quale la determinazione della modica quantita' sarebbe rimessa al giudice in termini non dissimili da quanto dispone l'art. 4, n. 7, per l'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione, appare privo di fondamento, per l'assimilazione di fenomeni normativi eterogenei. Come e' stato osservato, la non omogeneita' delle due situazioni poste a confronto risulta dalla circostanza che nella fattispecie tributaria il limite tra tipico e non tipico e' individuato dal giudice; mentre in tema di stupefacienti, la punibilita' e' gia' stabilita in via di principio dal legislatore ed al giudice viene attribuita la potesta' di non punire un fatto comunque antigiuridico. Invero, l'art. 80 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, qualifica illeciti la detenzione e l'acquisto di stupefacenti, dei quali e' obbligatoria la confisca, disponendo la non punibilita' ove concorrano i requisiti della modica quantita' e della direzione soggettiva della condotta (uso terapeutico o personale). Per le esposte ragioni, l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione, non appare manifestamente infondata. Della questione, pertanto, deve essere investita la Corte costituzionale.
P. Q. M. In applicazione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge 7 agosto 1982, nn. 516, nella parte in cui prevede come elemento costitutivo del reato di frode fiscale "l'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione", sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio nei confronti di tutti gli appellanti, non apparendo opportuno sotto il profilo dell'economia processuale la separazione nei confronti degli altri imputati che non vengono chiamati rispondere del reato di cui all'art. 4, n. 7, della legge citata; Ordina che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordina, a cura della cancelleria, venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 15 marzo 1988 (Seguono le firme) 88C2005