N. 10 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1988

                                 N. 10
  Ordinanza emessa il 27 settembre 1988 dal giudice istruttore presso
         il tribunale di Roma nel procedimento civile vertente
       tra Bontempo Eugenio e Cartiera di Arbatax S.p.a. ed altri
 Fallimento - Imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria Atti
 e provvedimenti di autorizzazione alla vendita di beni di  proprieta'
 delle  stesse  -  Ricorsi  -  Competenza  dei t.a.r. Giudizi pendenti
 innanzi all'a.g.o. in materia di controversie aventi  ad  oggetto  la
 vendita  dei  beni  -  Imposizione  a  quest'ultima  dell'obbligo  di
 dichiararne d'ufficio l'estinzione -  Cessazione  degli  effetti  dei
 relativi provvedimenti giurisdizionali con salvezza delle sentenze di
 merito pronunciate nel corso del  processo  -  Sottrazione  di  fatto
 dell'azione  dell'amministrazione  e del commissario straordinario ad
 ogni possibilita' di sindacato giurisdizionale -  Negazione  di  ogni
 possibilita' di tutela di posizioni giuridiche individuali di diritto
 soggettivo Violazione del principio  della  giurisdizione  unica  sui
 diritti  soggettivi  con spostamento della competenza giurisdizionale
 coinvolgente anche processi gia' in corso - Istituzione  surrettizia,
 nella  nuova  qualificazione del giudice amministrativo, di un vero e
 proprio giudice straordinario.
 (Legge 23 agosto 1988, n. 391, art. 1).
 (Cost., artt. 25, 102, 103 e 113).
(GU n.3 del 18-1-1989 )
                         IL GIUDICE ISTRUTTORE
   Nel  giudizio  iscritto al n. 9305/88 promosso da Buontempo Eugenio
 contro  la   Cartiera   di   Arbatax   S.p.a.,   in   amministrazione
 straordinaria,  ed  altri,  a  scioglimento della riserva che precede
 osserva: in pendenza del  presente  giudizio,  e'  stata  pubblicata,
 sulla  Gazzetta  Ufficiale  del  7 settembre 1988, la legge 23 agosto
 1988 recante "norme sull'amministrazione straordinaria",  entrata  in
 vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
    Detta legge, composta di un unico articolo, cosi' statuisce:
    1.  Sono  di  competenza  dei tribunali amministrativi regionali i
 ricorsi contro atti e provvedimenti di  autorizzazione  alla  vendita
 dei  beni  di  proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione
 straordinaria ai sensi d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito,  con
 modificazione,  dalla  legge  3 aprile 1979, n. 95, nonche' i ricorsi
 contro  atti  o  provvedimenti  adottati  nel  corso  della  suddetta
 procedura di vendita.
    2.  I giudizi pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria
 aventi ad oggetto la vendita dei beni di  cui  al  primo  comma  sono
 estinti  d'ufficio  e  cessano  di  produrre  effetti i provvedimenti
 giudiziali relativi ai suddetti beni, con salvezza delle sentenze  di
 merito pronunciate nel corso del processo.
    3.  Per  i  giudizi di cui al primo e secondo comma il termine per
 proporre eventuale ricorso al tribunale amministrativo regionale,  ai
 sensi  della  legge  6  dicembre 1971, n. 1034, decorre dalla data di
 entrata in vigore della presente legge.
    4.  Il  tribunale  amministrativo  regionale  provvede anche sulle
 spese del giudizio estinto.
    E'  dovere  del  giudice,  a  questo  punto, in applicazione della
 citata legge, dichiarare, di ufficio, l'estinzione del processo  -  a
 prescindere   dalla   istanza  di  parte  -  avendo  all'evidenza  il
 legislatore inteso, con la nuova legge, innovare, sul punto, all'art.
 307  del  c.p.c.,  che,  come  noto,  sottrae al giudice il potere di
 dichiarare, d'ufficio, l'estinzione del processo, per  farne  oggetto
 di  eccezione,  che la parte interessata deve sollevare prima di ogni
 altra difesa.
    Al  contrario,  con  l'entrata  in vigore della legge n. 391/1988,
 compete all'autorita' giudiziaria ordinaria, innanzi alla quale siano
 pendenti  giudizi  aventi ad oggetto la vendita di beni di proprieta'
 delle   imprese   sottoposte   ad   amministrazione    straordinaria,
 dichiararne   di  ufficio  l'estinzione.  il  legislatore,  in  altri
 termini, ha inteso con la nuova legge,  ripristinare,  nella  ipotesi
 che  qui  si considera, la rilevabilita' ex officio della estinzione,
 abrogata con la riforma del 1950 per gli altri casi di  cui  all'art.
 307  del  c.p.c.  Il  che  e', a ben considerare, logico, ove solo si
 rifletta che nel caso di specie, il fatto che determina  l'estinzione
 del  processo  non  va  identificato  nel  mancato  compimento di una
 attivita', comportamento sanzionato con l'estinzione del giudizio, ma
 con    la   sottrazione   al   giudice   ordinario   della   potesta'
 giurisdizionale su determinate controversie. Sicche' il lasciare alle
 parti  la possibilita' di far valere o meno l'estinzione del giudizio
 sarebbe un non senso.
    La  norma  di  cui  all'art.  1 della legge n. 398/1988 che impone
 all'autorita' giudiziaria ordinaria la declaratoria di estinzione del
 processo  pendente  innanzi  alla  stessa e avente ad oggetto beni di
 proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione  straordinaria
 appare,  tuttavia,  in  netto  contrasto  con gli artt. 24, 103 e 113
 nonche' con gli artt. 25 e 102 nonche' viziata per eccesso di  potere
 legislativo. E cio' per le seguenti ragioni:
    L'unico  articolo  di  cui  si compone la legge 23 agosto 1988, n.
 391,  al  primo  comma,  demanda  alla   competenza   dei   tribunali
 amministrativi   regionali   "i   ricorsi  atti  e  provvedimenti  di
 autorizzazione alla vendita dei  beni  di  proprieta'  delle  imprese
 sottoposte  ad  amministrazione  straordinaria  ai sensi del d.-l. 30
 gennaio 1979, n. 26, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  3
 aprile  1979,  n.  95,  nonche' i ricorsi contro atti o provvedimenti
 adottati nel corso della suddetta procedura di vendita";  il  secondo
 comma  dispone  invece  che  i giudizi pendenti innanzi all'autorita'
 giudiziaria ordinaria "aventi ad oggetto la vendita dei beni  di  cui
 al  primo comma" vengono dichiarati estinti d'ufficio, con cessazione
 degli effetti dei provvedimenti  relativi  ai  suddetti  beni  e  con
 salvezza delle "sentenze di merito gia' pronunciate".
    La  sottrazione  all'autorita'  giudiziaria  ordinaria dei giudizi
 "aventi ad oggetto la vendita dei beni"  delle  imprese  assoggettate
 all'amministrazione  straordinaria,  sottrae  pero'  la totalita' del
 contenzioso relativo alla procedura o comunque un ambito maggiore che
 non  quello  coincidente  con  i provvedimenti ed atti amministrativi
 adottati  nel  corso  della   procedura,   senza   che   cio'   trovi
 compensazione  nella  competenza che si intende trasferita al giudice
 amministrativo, ma che in realta' quest'ultimo ha sempre avuto.
    Occorre  infatti  considerare come, in realta', la legge non opera
 affatto un  trasferimento  di  competenza  giurisdizionale  circa  la
 materia  in oggetto dall'a.g.o. al giudice amministrativo, in quanto,
 anche prima della legge di cui si eccepisce  la  incostituzionalita',
 il  giudice  amministrativo  era  da  ritenere competente a conoscere
 delle impugnazioni avverso atti e provvedimenti amministrativi emessi
 nel  corso  della  procedura, e, per questo verso, il comma primo non
 avrebbe che un  efficacia  meramente  dichiarativa;  a  ben  guardare
 pero',  per effetto del secondo comma vengono sottratte all'a.g.o. le
 controversie "aventi ad oggetto la vendita dei beni" senza che queste
 possano  trovare,  nella  loro  interezza, una corrispondente, tutela
 innanzi al giudice amministrativo ove  non  concernano  l'impugnativa
 degli atti di cui al primo comma.
    Per convincersi di cio', e' sufficiente riassumere i fatti per cui
 e' causa.
    Con  atto di citazione del 19 marzo 1988 notificato il 22 marzo il
 Buontempo citava innanzi al tribunale di Roma la societa' CIR  S.p.a.
 CRDM  S.p.a. e la Cartiera di Arbatax S.p.a. tutte in amministrazione
 straordinaria per sentire accertare e  dichiarare  che  l'offerta  di
 acquisto  degli  stabilimenti  cartari,  di  cui sono proprietarie le
 societa'  convenute,  presentata  dal  Buontempo  insieme  ad   altri
 soggetti (Editrice del sud S.p.a., Serom S.r.l., Carlo Rinaldini) era
 la migliore presentata dalla procedura, secondo  gli  stessi  criteri
 nell'avviso  pubblico  di  vendita  e,  conseguentemente,  dichiarare
 concluso l'incontro dei consensi o, in subordine, accertare l'obbligo
 del  commissario straordinario delle societa' convenute di trasferire
 agli offerenti o  alla  societa'  che  essi  si  erano  riservati  di
 nominare,   alle   condizioni   indicate  nell'offerta,  i  complessi
 industriali di cui al  bando  di  vendita,  con  ogni  conseguenziale
 pronunzia.
    Esponeva   l'attore,   in  estrema  sintesi,  che  il  commissario
 straordinario, ignorando le risultanze di gara, dopo  aver  preferito
 soluzioni  di  alienazione  separata  delle  cartiere piu' appetibili
 sotto il profilo reddituale, avrebbe  instaurato  private  trattative
 per  addivenire  alla  cessione delle aziende rimaste invendute anche
 con soggetti assolutamenti estranei alla gara.
    Nel  corso  del  giudizio  veniva proposto dall'attore ricorso per
 sequestro giudiziario dei beni, oggetto della domanda e nelle more il
 Ministro  dell'industria,  con  decreto del 4 maggio 1988, dichiarava
 chiusa  la  gara  legittimando  ai  fini  della  cessione,   proposte
 intervenute  successivamente  al  termine  di  scadenza  della gara e
 trattative con soggetti estranei alla medesima.
    Detto provvedimento, in quanto assolutamente atipico, ed emesso in
 totale carenza di potere deve ritenersi non idoneo  ad  incidere  sui
 diritti soggettivi vantati dall'attore.
    Nelle  more, con ricorso del 9 maggio 1988, ritualmente notificato
 alle altre  parti  costituite  e  depositato  nella  cancelleria  del
 giudice  a quo veniva proposto, dalle societa' convenute, ricorso per
 regolamento preventivo di giurisdizione, con  il  quale  si  chiedeva
 alle  sezioni  unite  della  suprema Corte, dichiararsi il difetto di
 giurisdizione  del  giudice  ordinario  a  conoscere  delle   domande
 proposte, anche in via cautelare, dal Buontempo.
    Con  ordinanza  del  23  maggio  1988, in accoglimento del ricorso
 proposto dall'attore, veniva autorizzato il sequestro giudiziario dei
 complessi industriali per cui e' causa.
    E   cio'   sul   presupposto   che   in  sede  di  amministrazione
 straordinaria tutte le vendite anche di complessi aziendali avvengono
 secondo  procedure  negoziali  di  carattere  privatistico,  rilievo,
 questo, non infirmato certo dalla considerazione che detta  attivita'
 debba essere preceduta da atti amministrativi di controllo preventivo
 o successivo.
    Senza  dilungarsi  sulla  funzione  di dette autorizzazioni appare
 comunque innegabile che il provvedimento ministeriale, adottato nella
 fattispecie  (d.m.  4 maggio 1988) e' teso non gia' ad autorizzare la
 vendita di cespiti a trattativa privata, ma a  dichiarare  chiusa  la
 gara  indetta  dalla  procedura:  il  che  e'  del  tutto atipico non
 spettando certo all'autorita'  amministrativa  formulare  giudizi  di
 accertamento circa l'avvenuta conclusione di negozi privati.
    Per  convincersi  di cio' e' sufficiente riassumere quali siano le
 succitate autorizzazioni e gli  altri  provvedimenti  adottabili  nel
 corso  della  procedura e quali siano i soggetti abilitati a porli in
 essere.
    Nell'ambito  della  procedura sono prefigurati normativamente (dal
 d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile  1979,  n.
 95),  come  provvedimenti  amministrativi che possono essere adottati
 dal Ministro dell'industria, i seguenti  atti:  decreti  di  apertura
 della  procedura, di nomina e di revoca del commissario straordinario
 e  del  comitato  di  sorveglianza  (art.   1,   terzo   comma);   la
 autorizzazione  e  la revoca all'esercizio provvisorio (art. 2, primo
 comma); l'autorizzazione all'esecuzione del programma (art. 2,  primo
 comma);  la  liquidazione del compenso al commissario (art. 2, quinto
 comma); la cancellazione di  iscrizioni  ipotecarie  sui  beni  delle
 imprese  in  amministrazione  straordinaria  venduti  dal commissario
 (art. 6, secondo comma, primo periodo); l'autorizzazione alla vendita
 senza  incanto  o  trattativa  privata  di aziende (art. 6-bis, primo
 comma).
    Accanto  ai sovramenzionati atti possono essere ancora ricordati i
 pareri obbligatori e vincolanti che devono essere resi dal  CIPI,  il
 quale deve dare parere sia sulla revoca del commissario straordinario
 (art. 1, secondo comma), sia sull'autorizzazione  alla  continuazione
 dell'esercizio  dell'impresa,  e della esecuzione del programma (art.
 2, secondo comma).
    Questi  e  non  altri sono gli atti e provvedimenti amministrativi
 che  organi  amministrativi  (Ministero  dell'industria  e   Comitato
 interministeriale  programmazione  economica)  possono  adottare  nel
 corso della procedura, e non vi e' chi non veda come tali atti  siano
 compiuti  per lo piu' in funzione di integrare la capacita' negoziale
 del commissario ed in generale come  esercizio  di  una  funzione  di
 vigilanza   sull'operato   del   medesimo,  come  del  resto  afferma
 espressamente l'art. 1, ultimo comma, del d.-l. 30 gennaio  1979,  n.
 26.
    E'  evidente  come,  per  il  resto, l'attivita' di gestione della
 procedura, e  segnatamente  l'attivita'  negoziale  di  cui  all'art.
 6-bis,  sia  posta  in  essere  dal commissario straordinario, che e'
 nominato dal Ministero dell'industria, ma che  di  certo  non  e'  un
 organo amministrativo.
    L'attivita'  del  commissario  integra  infatti gli estremi di una
 fattispecie in cui attivita' di diritto pubblico  o,  il  che  e'  lo
 stesso, pubbliche potesta' vengono esercitate da soggetti estranei ai
 pubblici poteri in nome proprio, e quindi non in qualita'  di  organi
 amministrativi.
    Orbene,  la sovrariportata ricostruzione del riparto di competenze
 tra organi pubblici e privati e' di per se' tale da mostrare come  il
 potenziale   contenzioso   che  puo'  interessare  una  procedura  di
 amministrazione straordinaria, e comunque il contenzioso per  cui  e'
 causa  avente  ad  oggetto  la  vendita  dei  beni,  non  puo' essere
 interamente  ridotto  alla  impugnazione  di  atti  o   provvedimenti
 amministrativi.
    Specie  ove  si consideri l'attivita' negoziale che il commissario
 puo' svolgere ai sensi dell'art. 6- bis della c.d.  legge  Prodi,  in
 relazione  alla  quale tale legge prefigura unicamente una preventiva
 autorizzazione  ministeriale  in  funzione  legittimamente  volta  ad
 integrare  la capacita' negoziale del commissario, si rende manifesto
 come a legittime aspettative dei privati, ben tutelati sotto forma di
 diritto soggettivo, verrebbe negata ogni possibilita' di tutela.
    La  impugnativa  delle  autorizzazioni  ministeriali legittimanti,
 preventive rispetto alla stipulazione dei negozi, non e'  infatti  in
 grado  di  fornire  la  benche' minima tutela a situazioni giuridiche
 lese (che si assumono lese), proprio da scelte negoziali operate  dal
 commissario straordinario. Se ne ha la dimostrazione proprio nel caso
 di specie in cui - (a prescindere dalla fondatezza o meno dell'azione
 proposta,  valutazione  questa,  che  non  compete  al legislatore) -
 l'attore lamenta la lesione di una  posizione  giuridica  di  diritto
 soggettivo   sorta  a  seguito  di  un  avviso  pubblico  di  vendita
 (pubblicato  dal  commissario  a  cio'  debitamente  autorizzato  dal
 Ministro), e dal successivo illecito comportamento degli organi della
 procedura.
    Detto  comportamento,  stando  al  disposto  della legge 23 agosto
 1988, n. 392, che consente di fatto di tutelare unicamente situazioni
 giuridiche    soggettive    correlate   ad   atti   o   provvedimenti
 amministrativi, e quindi soltanto interessi legittimi, con esclusione
 di  situazioni  di diritto soggettivo, non correlate ne' rapportabili
 ad atti amministrativi di sorta ma unicamente all'attivita' negoziale
 del  commissario straordinario sfuggirebbe, dunque, ad ogni sindacato
 giurisdizionale. Il che, conduce a  ritenere  violato  innanzi  tutto
 l'art.  24, primo comma, della Costituzione, il quale si preoccupa di
 garantire a tutti la possibilita' di agire in giudizio a tutela tanto
 degli interessi legittimi, quanto dei diritti soggettivi.
    La  legge  23  agosto  1988, n. 392, nel prevedere l'estinzione di
 ufficio dei giudizi gia' pendenti innanzi  all'autorita'  giudiziaria
 ordinaria  senza  alcuno spostamento di competenza giurisdizionale in
 favore dei tribunali amministrativi che continuano a conoscere  delle
 controversie  gia'  pacificamente devolute alla loro cognizione prima
 dell'entrata in vigore delle nuove norme, viene in ultima  analisi  a
 creare una zona franca per i commissari di grandi aziende in crisi e,
 correlativamente  lascia  del  tutto  prive  di  tutela,   situazioni
 soggettive  di  diritto,  quali  quelle fatte valere, in questa sede,
 dall'attore.
    E  che  questo sia l'intento neanche troppo volutamente perseguito
 dal legislatore e' dimostrato dalla stessa relazione  al  disegno  di
 legge presentata alla Camera dei deputati.
    Si  legge  in  esso  che  le nuove norme sarebbero tese ad evitare
 "l'aggravamento  dell  situazione  di  gestione  delle  liquidazioni"
 disposte  in  base alla legge Prodi "dipeso dal ricorso, da parte dei
 privati, anche all'autorita' ordinaria con l'intento  di  sovrapporre
 loro  esigenze  individuali  a  quelle  di  carattere  collettivo che
 l'autorita' di vigilanza e' tenuta a tutelare...".
    Ancora:  si  afferma,  nella  stessa relazione, che la nuova legge
 tenderebbe ad evitare  che  "anche  nelle  sole  ipotesi  in  cui  e'
 configurabile  l'esistenza  di  posizioni  soggettive  di privati, le
 stesse   possano   dar   luogo   a   provvedimenti   giudiziali   che
 interferiscono  con  le decisioni dell'autorita' governativa volte al
 risanamento della aziende in crisi".
    Si  teorizza,  in  altri termini, la possibilita' di legiferare in
 violazione dell'art.  24  della  Costituzione  in  nome  di  presunte
 esigenze collettive, che non potrebbero essere perseguite ove venisse
 dato ai privati, che assumono la titolarita' di posizioni di  diritto
 soggettivo  perfetto,  la  possibilita'  di  ricorrere  all'autorita'
 giudiziaria ordinaria.
    Per  analogo  ordine  di  considerazioni  devono ritenersi violati
 anche gli artt. 103 e 114 della Costituzione.
    Tali  articoli  specificano il disposto dell'art. 24, primo comma,
 con riferimento  alla  tutela  giurisdizionale  nei  confronti  della
 pubblica amministrazione.
    L'art.  103  costituzionalizza  il  principio  della giurisdizione
 unica sui diritti soggettivi, gia' espresso dall'art. 2  della  legge
 abolitiva  del  contenzioso  amministrativo  (legge 20 marzo 1865, n.
 2248, all. E) con la  devoluzione  alla  giurisdizione  ordinaria  di
 tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile
 o  politico,  comunque  vi  possa  essere  interessata  la   pubblica
 amministrazione  e  ancorche'  siano emanati provvedimenti del potere
 esecutivo o dell'autorita' amministrativa.
    L'art.   103   della  Costituzione  ha  dunque  riconosciuto  tale
 principio; sottolineando che gli organi di  giustizia  amministrativa
 non  sono  il  giudice  naturale  dei  diritti soggettivi, ma possono
 conoscere di  questi  ultimi  solo  qualora  cio'  sia  espressamente
 previsto dalla legge, in deroga al principio generale.
    La  costituzionalizzazione del principio della giurisdizione unica
 sui diritti soggettivi conferisce al principio medesimo  una  valenza
 che  lo impone come criterio informatore del riparto delle competenze
 giurisdizionali e che  consente  che  i  diritti  soggettivi  possano
 essere   sottratti  al  proprio  giudice  naturale  solo  quando,  in
 particolari  materie,  sia  estremamente  difficile  discernere   tra
 diritto  soggettivo  ed  interesse  legittimo  (circostanza  che  non
 ricorre nel caso di  specie),  e  sempre  che  la  creazione  di  una
 giurisdizione esclusiva sia espressamente prevista dalla legge.
    L'art.  113  della  Costituzione  presuppone invece la vigenza del
 principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi; specifica
 che   la  tutela  giurisdizionale  tanto  dei  diritti  quanto  degli
 interessi legittimi deve essere sempre consentita anche  "contro  gli
 atti  della  pubblica  amministrazione",  e  precisa  che  la  tutela
 giurisdizionale complessiva del cittadino  a  fronte  della  pubblica
 amministrazione  non puo' mai essere esclusa o limitata a particolari
 mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
    Dal  combinato  disposto  delle menzionate norme costituzionali si
 evince con assoluta certezza che, nel vigente ordinamento, la  tutela
 del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, ancorche'
 ripartita   e   concorrente   tra   giudice   ordinario   e   giudice
 amministrativo, deve risultare pur sempre generale e completa: non e'
 ammissibile una  sottrazione  di  competenza  giurisdizionale  ad  un
 giudice  senza  che  vi  sia  un  corrispondente  accrescimento delle
 funzioni dell'altro; la fungibilita' dei due giudici  in  determinate
 materie  non  deve  cioe' significare una diminuzione oggettiva della
 tutela complessiva del cittadino. Il che e', invece,  quanto  dispone
 nei  fatti  la legge 23 agosto 1988, n. 391, che, in nome di presunte
 esigenze di carattere  pubblicistico,  viene  di  fatto  a  sottrarre
 l'azione  dell'amministrazione  e  dello  stesso commissario, ad ogni
 possibilita' di sindacato giurisdizionale.
    Il  secondo  comma dell'articolo unico della legge dispone poi che
 "i  giudizi  pendenti  innanzi  all'autorita'  giudiziaria  ordinaria
 aventi  ad  oggetto  la  vendita  dei beni di cui al primo comma sono
 estinti d'ufficio e  cessano  di  produrre  effetti  i  provvedimenti
 giudiziali  relativi ai suddetti beni, con salvezza delle sentenze di
 merito pronunciate nel corso del processo".
    Secondo   la   legge,   dunque,   la   sottrazione  di  competenza
 giurisdizionale  all'autorita'  giudiziaria,  opererebbe  anche   con
 riferimento   ai   giudizi   tutt'ora  pendenti  innanzi  al  giudice
 ordinario.
    Privare  l'autorita'  giudiziaria  del potere di decidere non solo
 con riguardo a giudizi futuri, ma anche con riferimento a quelli gia'
 ritualmente  instaurati  innanzi  ad  essa, significa avere conferito
 alla legge  de  qua  efficacia  retroattiva,  in  quanto  il  giudice
 competente  viene  individuato  non in base alla normativa vigente al
 tempo di proposizione della domanda giurisdizionale ma in  base  alla
 normativa posta in essere successivamente.
    Orbene,  cio' avviene non solo in spregio di un principio generale
 dell'ordinamento, codificato nell'art. 11 delle preleggi per il quale
 "la  legge  non  dispone  che  per  l'avvenire:  essa  non ha effetto
 retroattivo",   ma,   data   la    particolarita'    della    materia
 (individuazione  del  giudice  competente),  siffatta previsione deve
 ritenersi  incostituzionale  per  violazione   dell'art.   25   della
 Costituzione,   primo   comma,  il  quale  richiede  che  il  giudice
 competente  per  una  qualsiasi  controversia  debba  essere   quello
 naturale  e  precostituito  dalla legge "nessuno puo' essere distolto
 dal giudice naturale precostituito per legge".
    Per  l'esattezza,  dal  citato  primo  comma  sono enucleabili due
 norme, la prima consistente nel porre una riserva assoluta  di  legge
 in materia; la seconda, che sancisce l'esigenza della precostituzione
 del giudice.
    Per  comprendere  l'illegittimita'  costituzionale  della legge in
 oggetto, l'attenzione va posta su quest'ultima disposizione.
    Con  molta  probabilita',  proprio  in  ragione  della sua palmare
 chiarezza (in claris non fit interpretatio) tale  norma  non  risulta
 essere  stata  oggetto  di  cospicuo  interessamento  da  parte della
 dottrina, eccezion fatta per pochi cenni contenuti nelle  trattazioni
 generali   di  diritto  costituzionale  e  processuale  e  per  studi
 specifici di diritto processuale penale.
    Laddove pero' autorevole dottina si e' occupata della norma in via
 generale, essa e' giunta ad  affermare  che  la  portata  complessiva
 della  formula  stia  essenzialmente nella enunciazione di una regola
 d'irretroattivita' della legge non dissimile da quella stabilita  per
 la  legge  penale  sostanziale  dal  comma  successivo,  e tendente a
 tutelare soprattutto lo specifico valore che consiste nella  certezza
 del giudice che deve pronunciarsi su un determinato fatto.
    Diverse  sono invece le pronunce della Corte costituzionale che si
 registrano sul tema. Nella decisione n. 88  del  7  luglio  1962,  la
 Corte  costituzionale ha interpretato il primo comma dell'art. 25 nel
 senso che esso impone un "divieto della costituzione  del  giudice  a
 posteriori";  il concetto di precostituzione del giudice equivarrebbe
 a  "previa  determinazione  della  competenza,  con   riferimento   a
 fattispecie  astratte realizzabili in futuro, non gia', a posteriori,
 in relazione, come  si  dice,  ad  una  regiudicanda  gia'  insorta".
 Anteriormente  alla citata decisione n.  88/1962 anche la sentenza n.
 29 dell'8 aprile 1958, dopo avere affermato la  corrispondenza  della
 nozione  di  giudice  naturale  con  quella di giudice precostituito,
 aveva gia' chiarito che tale  nozione  andava  intesa  come  "giudice
 istituito  in  base  a  criteri generali fissati in anticipo e non in
 vista di determinate controversie".
    Alla   luce   delle  suesposte  considerazioni  si  puo',  quindi,
 affermare, unitamente alla  piu'  accorta  dottrina,  che  l'esigenza
 posta  a  base  dell'art. 25, primo comma, e' quella che consiste nel
 dare a ciascuno la certezza che il giudice che lo deve giudicare  non
 verra' scelto in modo a lui sfavorevole, ma lo sara' in base a regole
 obiettive e soprattutto fissate in precedenza.
    Per  converso, la legge di cui si sospetta la incostituzionalita',
 privando l'autorita' giudiziaria del potere  di  decidere  anche  con
 riferimento  ai  giudizi  ritualmente  instaurati  innanzi ad essa ed
 onerando le parti di iniziare ex novo i giudizi  innanzi  al  giudice
 amministrativo, viene a determinare il giudice competente non solo in
 relazione alle fattispecie astratte realizzabili in futuro ma anche a
 posteriori,  in  relazione  alle regiudicande gia' insorte; il che e'
 proprio  quanto  la  Corte  costituzionale   ha   gia'   riconosciuto
 illegittimo nelle decisioni sovra citate per contrasto con l'art. 25,
 primo comma, della Costituzione.
    Si  deve  inoltre  ritenere  che la determinazione a posteriori, a
 regiudicanda  gia'  insorta,  del  giudice  competente   avviene   in
 violazione  non  solo  dell'art.  25, ma anche dell'art. 102, secondo
 comma, per il medesimo ordine di ragioni sin qui esposto.
    Il secondo comma dell'art. 102 della Costituzione vieta infatti in
 maniera tassativa la istituzione di giudici straordinari.
    Secondo  la  comuna  interpretazione  dottrinale,  tali  sarebbero
 appunto i  giudici  non  precostituiti,  formati  in  correlazione  a
 singoli   giudizi   riguardanti  determinati  soggetti  derogando  al
 principio del giudice naturale, e  si  distinguerebbero  dai  giudici
 speciali  in  quanto questi ultimi, pur se competenti solo per talune
 materie, sarebbero pur sempre precostituiti.
    Per  converso,  la  legge  sospettata  di  incostituzionalita', al
 secondo comma dell'unico articolo di cui si  compone,  introduce  una
 deroga  al principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi
 operando  uno  spostamento  della  competenza   giurisdizionale   che
 coinvolgerebbe  anche  i  processi  gia'  in  corso; in tal modo, con
 riferimento  ai  processi   gia'   pendenti   innanzi   all'autorita'
 giudiziaria,  il  giudice  amministrativo finisce con il qualificarsi
 non tanto come giudice speciale, quanto come vero e  proprio  giudice
 straordinario,  ed in questi termini va ravvisata anche la violazione
 dell'art. 102, secondo comma, della Costituzione.
    Ne'  puo' essere sottaciuta una ulteriore grave irrazionalita' del
 disposto  della  nuova  legge,  laddove  dispone  l'inefficacia   dei
 "provvedimenti giudiziali relativi ai suddetti beni".
    A voler essere precisi, anzi, l'inefficacia di detti provvedimenti
 consegue non tanto alla espressa  previsione  della  legge,  ma  alla
 stessa  declaratoria  di  estinzione  del  processo  comminata  senza
 concedere alle parti nessuna possibilita' di riassumere  il  giudizio
 di merito innanzi al giudice speciale.
    La parte che ha tempestivamente agito a tutela dei suoi diritti e'
 - in altri termini  -  costretta  a  teiterare  -  se  ed  in  quanto
 possibile  -  l'azione  innanzi  al  giudice speciale, con potenziale
 pregiudizio per lo stesso diritto fatto valere (si pensi, ad esempio,
 agli  effetti  sostanziali della domanda) e con l'onere di riproporre
 (ai sensi dell'art. 672 del c.p.c.) eventuali  istanze  cautelari  al
 giudice  civile,  a  seguito  del  venir meno degli effetti di quelle
 eventualmente autorizzate nel corso del processo estinto. Il che  non
 sembra - sia pure sotto altro profilo - al dettato dell'art. 24 della
 Costituzione.
    Sotto ulteriore profilo occorre evidenziare che la legge 23 agosto
 1988, n. 391, si compone di un unico articolo  che  attribuisce  alla
 competenza  del  giudice  amministrativo  i  ricorsi  contro  atti  e
 provvedimenti amministrativi adottati nel corso  della  procedura  di
 vendita   dei   beni   di  proprieta'  delle  imprese  sottoposte  ad
 amministrazione straordinaria, e che impone all'autorita' giudiziaria
 di  dichiarare  l'estinzione  dei  processi  aventi  ad  oggetto tali
 vendite.
    Intento  del  legislatore parrebbe essere quindi quello di operare
 chiarezza in ordine al riparto di giurisdizione in una materia in cui
 dovrebbe  essere  estremamente  difficile discernare le situazioni di
 interesse legittimo da quelle di diritto soggettivo.
    Si  e'  infatti in precedenza ricordato che, stante la vigenza del
 principio (costituzionalizzato) della giurisdizione unica sui diritti
 soggettivi,  e'  necessario che ricorra una siffatta esigenza perche'
 possa  essere  derogato  il  suddetto  principio,   che   e'   canone
 informatore dei criteri che attendono al riparto delle giurisdizioni.
    In  realta', come risulta dalla esposizione dei precedenti motivi,
 e'  proprio  e  soltanto   la   legge   di   cui   si   sospetta   la
 incostituzionalita'  a creare problemi non lievi in ordine al riparto
 della giurisdizione in una materia che fino  ad  ora  non  presentava
 problemi in tal senso.
    Come  si  e'  detto,  infatti,  il primo comma dell'articolo unico
 della legge in  oggetto  non  attribuisce  alcunche'  di  nuovo  alla
 giurisdizione amministrativa, limitandosi a dichiarare quanto e' gia'
 nella realta' dei fatti e del diritto, mentre per converso il secondo
 comma  del  medesimo  articolo  sottrae  all'autorita' giudiziaria la
 naturale competenza in materia senza che la stessa risulti trasferita
 ad altro giudice.
    L'effetto  che si raggiunge, in tal modo, non e' quello di operare
 un piu' compiuto e corretto riparto della giurisdizione, ma quello di
 menomare  la  completezza e la generalita' della tutela del cittadino
 nei confronti della pubblica amministrazione in una  materia  per  la
 quale  non  si  pongono  particolari  problemi  per  il riparto della
 giurisdizione.
    Non  si  intende  infatti  perche' mai l'autorita' giudiziaria non
 possa conoscere delle controversie aventi ad oggetto negozi stipulati
 da  un  soggetto  che  non e' un organo amministrativo (e se anche lo
 fosse non cambierebbe nulla in punto  di  diritto  circa  il  giudice
 competente),   e   perche'   mai  situazioni  giuridiche  di  diritto
 soggettivo perfetto debbano rimanere del  tutto  prive  di  tutela  o
 comunque vedere limitata la loro tutela.
    Il  reale  intento  del  legislatore  e'  del  resto espressamente
 dichiarato dalla relazione introduttiva al disegno di legge  n.  2888
 (poi  divenuto  legge  23 agosto 1988, n. 391) presentato alla camera
 dei deputati il 16 giugno 1988.
    In  essa  si  afferma  espressamente che il disegno di legge viene
 presentato per rimediare ad  un  "aggravamento  della  situazione  di
 gestione delle liquidazioni", disposte in base alla c.d. legge Prodi,
 e che "tale aggravamento e' dipeso dal  ricorso  in  alcuni  casi  da
 parte dei privati anche all'autorita' giudiziaria ordinaria".
    Pertanto,   consistendo   il   reale   intento   del   legislatore
 nell'istituire un giudice straordinario,  nel  senso  che  si  e'  in
 precedenza  precisato,  e  nel  limitare  la  tutela  complessiva del
 cittadino verso la pubblica amministrazione per  le  controversie  in
 materia  di  amministrazione  straordinaria, e non gia' di operare un
 piu' chiaro e lineare riparto  della  giurisdizione  in  materia,  si
 rende  evidente  l'eccesso  di potere che inficia l'atto legislativo:
 sia in quanto l'atto persegue una finalita' diversa da quella cui  e'
 formalmente indirizzato: sia per illogicita' e contraddittorieta' con
 i presupposti, non sussistendo le condizioni obiettive per introdurre
 deroghe   al   principio   della   giurisdizione  unica  sui  diritti
 soggettivi.
    La rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate appare
 manifesta ove si consideri che il giudizio non puo'  essere  definito
 indipendentemente dalla risoluzione delle questioni medesime.
    In   applicazione   della   nuova  legge  e'  dovere  del  giudice
 dichiarare, d'ufficio, l'estinzione del processo, apparendo superate,
 per  assorbimento,  tutte  le altre questioni, sollevate dalle parti,
 sulle quali questo giudice era chiamato a provvedere.
    E   la   declaratoria   di   estinzione   del  processo  non  puo'
 all'evidenza, essere pronunciata ove non venga previamente risolta la
 questione di legittimita' costituzionale della norma de qua.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23  agosto  1988,
 n.  391,  dettante  norme  sulla  amministrazione  straordinaria  per
 contrasto con gli artt. 24, 25, 102, 103 e 113 della Costituzione;
    Dispone   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, copia dell'ordinanza sia
 notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e che di essa sia data comunicazione ai Presidenti delle due
 camere del Parlamento.
      Roma, addi' 27 settembre 1988
                      Il giudice istruttore: IZZO

 89C0012