N. 10 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1988
N. 10 Ordinanza emessa il 27 settembre 1988 dal giudice istruttore presso il tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Bontempo Eugenio e Cartiera di Arbatax S.p.a. ed altri Fallimento - Imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria Atti e provvedimenti di autorizzazione alla vendita di beni di proprieta' delle stesse - Ricorsi - Competenza dei t.a.r. Giudizi pendenti innanzi all'a.g.o. in materia di controversie aventi ad oggetto la vendita dei beni - Imposizione a quest'ultima dell'obbligo di dichiararne d'ufficio l'estinzione - Cessazione degli effetti dei relativi provvedimenti giurisdizionali con salvezza delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo - Sottrazione di fatto dell'azione dell'amministrazione e del commissario straordinario ad ogni possibilita' di sindacato giurisdizionale - Negazione di ogni possibilita' di tutela di posizioni giuridiche individuali di diritto soggettivo Violazione del principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi con spostamento della competenza giurisdizionale coinvolgente anche processi gia' in corso - Istituzione surrettizia, nella nuova qualificazione del giudice amministrativo, di un vero e proprio giudice straordinario. (Legge 23 agosto 1988, n. 391, art. 1). (Cost., artt. 25, 102, 103 e 113).(GU n.3 del 18-1-1989 )
IL GIUDICE ISTRUTTORE Nel giudizio iscritto al n. 9305/88 promosso da Buontempo Eugenio contro la Cartiera di Arbatax S.p.a., in amministrazione straordinaria, ed altri, a scioglimento della riserva che precede osserva: in pendenza del presente giudizio, e' stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale del 7 settembre 1988, la legge 23 agosto 1988 recante "norme sull'amministrazione straordinaria", entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Detta legge, composta di un unico articolo, cosi' statuisce: 1. Sono di competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti di autorizzazione alla vendita dei beni di proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria ai sensi d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazione, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, nonche' i ricorsi contro atti o provvedimenti adottati nel corso della suddetta procedura di vendita. 2. I giudizi pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria aventi ad oggetto la vendita dei beni di cui al primo comma sono estinti d'ufficio e cessano di produrre effetti i provvedimenti giudiziali relativi ai suddetti beni, con salvezza delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo. 3. Per i giudizi di cui al primo e secondo comma il termine per proporre eventuale ricorso al tribunale amministrativo regionale, ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge. 4. Il tribunale amministrativo regionale provvede anche sulle spese del giudizio estinto. E' dovere del giudice, a questo punto, in applicazione della citata legge, dichiarare, di ufficio, l'estinzione del processo - a prescindere dalla istanza di parte - avendo all'evidenza il legislatore inteso, con la nuova legge, innovare, sul punto, all'art. 307 del c.p.c., che, come noto, sottrae al giudice il potere di dichiarare, d'ufficio, l'estinzione del processo, per farne oggetto di eccezione, che la parte interessata deve sollevare prima di ogni altra difesa. Al contrario, con l'entrata in vigore della legge n. 391/1988, compete all'autorita' giudiziaria ordinaria, innanzi alla quale siano pendenti giudizi aventi ad oggetto la vendita di beni di proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, dichiararne di ufficio l'estinzione. il legislatore, in altri termini, ha inteso con la nuova legge, ripristinare, nella ipotesi che qui si considera, la rilevabilita' ex officio della estinzione, abrogata con la riforma del 1950 per gli altri casi di cui all'art. 307 del c.p.c. Il che e', a ben considerare, logico, ove solo si rifletta che nel caso di specie, il fatto che determina l'estinzione del processo non va identificato nel mancato compimento di una attivita', comportamento sanzionato con l'estinzione del giudizio, ma con la sottrazione al giudice ordinario della potesta' giurisdizionale su determinate controversie. Sicche' il lasciare alle parti la possibilita' di far valere o meno l'estinzione del giudizio sarebbe un non senso. La norma di cui all'art. 1 della legge n. 398/1988 che impone all'autorita' giudiziaria ordinaria la declaratoria di estinzione del processo pendente innanzi alla stessa e avente ad oggetto beni di proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria appare, tuttavia, in netto contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 nonche' con gli artt. 25 e 102 nonche' viziata per eccesso di potere legislativo. E cio' per le seguenti ragioni: L'unico articolo di cui si compone la legge 23 agosto 1988, n. 391, al primo comma, demanda alla competenza dei tribunali amministrativi regionali "i ricorsi atti e provvedimenti di autorizzazione alla vendita dei beni di proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria ai sensi del d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, nonche' i ricorsi contro atti o provvedimenti adottati nel corso della suddetta procedura di vendita"; il secondo comma dispone invece che i giudizi pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria "aventi ad oggetto la vendita dei beni di cui al primo comma" vengono dichiarati estinti d'ufficio, con cessazione degli effetti dei provvedimenti relativi ai suddetti beni e con salvezza delle "sentenze di merito gia' pronunciate". La sottrazione all'autorita' giudiziaria ordinaria dei giudizi "aventi ad oggetto la vendita dei beni" delle imprese assoggettate all'amministrazione straordinaria, sottrae pero' la totalita' del contenzioso relativo alla procedura o comunque un ambito maggiore che non quello coincidente con i provvedimenti ed atti amministrativi adottati nel corso della procedura, senza che cio' trovi compensazione nella competenza che si intende trasferita al giudice amministrativo, ma che in realta' quest'ultimo ha sempre avuto. Occorre infatti considerare come, in realta', la legge non opera affatto un trasferimento di competenza giurisdizionale circa la materia in oggetto dall'a.g.o. al giudice amministrativo, in quanto, anche prima della legge di cui si eccepisce la incostituzionalita', il giudice amministrativo era da ritenere competente a conoscere delle impugnazioni avverso atti e provvedimenti amministrativi emessi nel corso della procedura, e, per questo verso, il comma primo non avrebbe che un efficacia meramente dichiarativa; a ben guardare pero', per effetto del secondo comma vengono sottratte all'a.g.o. le controversie "aventi ad oggetto la vendita dei beni" senza che queste possano trovare, nella loro interezza, una corrispondente, tutela innanzi al giudice amministrativo ove non concernano l'impugnativa degli atti di cui al primo comma. Per convincersi di cio', e' sufficiente riassumere i fatti per cui e' causa. Con atto di citazione del 19 marzo 1988 notificato il 22 marzo il Buontempo citava innanzi al tribunale di Roma la societa' CIR S.p.a. CRDM S.p.a. e la Cartiera di Arbatax S.p.a. tutte in amministrazione straordinaria per sentire accertare e dichiarare che l'offerta di acquisto degli stabilimenti cartari, di cui sono proprietarie le societa' convenute, presentata dal Buontempo insieme ad altri soggetti (Editrice del sud S.p.a., Serom S.r.l., Carlo Rinaldini) era la migliore presentata dalla procedura, secondo gli stessi criteri nell'avviso pubblico di vendita e, conseguentemente, dichiarare concluso l'incontro dei consensi o, in subordine, accertare l'obbligo del commissario straordinario delle societa' convenute di trasferire agli offerenti o alla societa' che essi si erano riservati di nominare, alle condizioni indicate nell'offerta, i complessi industriali di cui al bando di vendita, con ogni conseguenziale pronunzia. Esponeva l'attore, in estrema sintesi, che il commissario straordinario, ignorando le risultanze di gara, dopo aver preferito soluzioni di alienazione separata delle cartiere piu' appetibili sotto il profilo reddituale, avrebbe instaurato private trattative per addivenire alla cessione delle aziende rimaste invendute anche con soggetti assolutamenti estranei alla gara. Nel corso del giudizio veniva proposto dall'attore ricorso per sequestro giudiziario dei beni, oggetto della domanda e nelle more il Ministro dell'industria, con decreto del 4 maggio 1988, dichiarava chiusa la gara legittimando ai fini della cessione, proposte intervenute successivamente al termine di scadenza della gara e trattative con soggetti estranei alla medesima. Detto provvedimento, in quanto assolutamente atipico, ed emesso in totale carenza di potere deve ritenersi non idoneo ad incidere sui diritti soggettivi vantati dall'attore. Nelle more, con ricorso del 9 maggio 1988, ritualmente notificato alle altre parti costituite e depositato nella cancelleria del giudice a quo veniva proposto, dalle societa' convenute, ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con il quale si chiedeva alle sezioni unite della suprema Corte, dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle domande proposte, anche in via cautelare, dal Buontempo. Con ordinanza del 23 maggio 1988, in accoglimento del ricorso proposto dall'attore, veniva autorizzato il sequestro giudiziario dei complessi industriali per cui e' causa. E cio' sul presupposto che in sede di amministrazione straordinaria tutte le vendite anche di complessi aziendali avvengono secondo procedure negoziali di carattere privatistico, rilievo, questo, non infirmato certo dalla considerazione che detta attivita' debba essere preceduta da atti amministrativi di controllo preventivo o successivo. Senza dilungarsi sulla funzione di dette autorizzazioni appare comunque innegabile che il provvedimento ministeriale, adottato nella fattispecie (d.m. 4 maggio 1988) e' teso non gia' ad autorizzare la vendita di cespiti a trattativa privata, ma a dichiarare chiusa la gara indetta dalla procedura: il che e' del tutto atipico non spettando certo all'autorita' amministrativa formulare giudizi di accertamento circa l'avvenuta conclusione di negozi privati. Per convincersi di cio' e' sufficiente riassumere quali siano le succitate autorizzazioni e gli altri provvedimenti adottabili nel corso della procedura e quali siano i soggetti abilitati a porli in essere. Nell'ambito della procedura sono prefigurati normativamente (dal d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95), come provvedimenti amministrativi che possono essere adottati dal Ministro dell'industria, i seguenti atti: decreti di apertura della procedura, di nomina e di revoca del commissario straordinario e del comitato di sorveglianza (art. 1, terzo comma); la autorizzazione e la revoca all'esercizio provvisorio (art. 2, primo comma); l'autorizzazione all'esecuzione del programma (art. 2, primo comma); la liquidazione del compenso al commissario (art. 2, quinto comma); la cancellazione di iscrizioni ipotecarie sui beni delle imprese in amministrazione straordinaria venduti dal commissario (art. 6, secondo comma, primo periodo); l'autorizzazione alla vendita senza incanto o trattativa privata di aziende (art. 6-bis, primo comma). Accanto ai sovramenzionati atti possono essere ancora ricordati i pareri obbligatori e vincolanti che devono essere resi dal CIPI, il quale deve dare parere sia sulla revoca del commissario straordinario (art. 1, secondo comma), sia sull'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, e della esecuzione del programma (art. 2, secondo comma). Questi e non altri sono gli atti e provvedimenti amministrativi che organi amministrativi (Ministero dell'industria e Comitato interministeriale programmazione economica) possono adottare nel corso della procedura, e non vi e' chi non veda come tali atti siano compiuti per lo piu' in funzione di integrare la capacita' negoziale del commissario ed in generale come esercizio di una funzione di vigilanza sull'operato del medesimo, come del resto afferma espressamente l'art. 1, ultimo comma, del d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26. E' evidente come, per il resto, l'attivita' di gestione della procedura, e segnatamente l'attivita' negoziale di cui all'art. 6-bis, sia posta in essere dal commissario straordinario, che e' nominato dal Ministero dell'industria, ma che di certo non e' un organo amministrativo. L'attivita' del commissario integra infatti gli estremi di una fattispecie in cui attivita' di diritto pubblico o, il che e' lo stesso, pubbliche potesta' vengono esercitate da soggetti estranei ai pubblici poteri in nome proprio, e quindi non in qualita' di organi amministrativi. Orbene, la sovrariportata ricostruzione del riparto di competenze tra organi pubblici e privati e' di per se' tale da mostrare come il potenziale contenzioso che puo' interessare una procedura di amministrazione straordinaria, e comunque il contenzioso per cui e' causa avente ad oggetto la vendita dei beni, non puo' essere interamente ridotto alla impugnazione di atti o provvedimenti amministrativi. Specie ove si consideri l'attivita' negoziale che il commissario puo' svolgere ai sensi dell'art. 6- bis della c.d. legge Prodi, in relazione alla quale tale legge prefigura unicamente una preventiva autorizzazione ministeriale in funzione legittimamente volta ad integrare la capacita' negoziale del commissario, si rende manifesto come a legittime aspettative dei privati, ben tutelati sotto forma di diritto soggettivo, verrebbe negata ogni possibilita' di tutela. La impugnativa delle autorizzazioni ministeriali legittimanti, preventive rispetto alla stipulazione dei negozi, non e' infatti in grado di fornire la benche' minima tutela a situazioni giuridiche lese (che si assumono lese), proprio da scelte negoziali operate dal commissario straordinario. Se ne ha la dimostrazione proprio nel caso di specie in cui - (a prescindere dalla fondatezza o meno dell'azione proposta, valutazione questa, che non compete al legislatore) - l'attore lamenta la lesione di una posizione giuridica di diritto soggettivo sorta a seguito di un avviso pubblico di vendita (pubblicato dal commissario a cio' debitamente autorizzato dal Ministro), e dal successivo illecito comportamento degli organi della procedura. Detto comportamento, stando al disposto della legge 23 agosto 1988, n. 392, che consente di fatto di tutelare unicamente situazioni giuridiche soggettive correlate ad atti o provvedimenti amministrativi, e quindi soltanto interessi legittimi, con esclusione di situazioni di diritto soggettivo, non correlate ne' rapportabili ad atti amministrativi di sorta ma unicamente all'attivita' negoziale del commissario straordinario sfuggirebbe, dunque, ad ogni sindacato giurisdizionale. Il che, conduce a ritenere violato innanzi tutto l'art. 24, primo comma, della Costituzione, il quale si preoccupa di garantire a tutti la possibilita' di agire in giudizio a tutela tanto degli interessi legittimi, quanto dei diritti soggettivi. La legge 23 agosto 1988, n. 392, nel prevedere l'estinzione di ufficio dei giudizi gia' pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria senza alcuno spostamento di competenza giurisdizionale in favore dei tribunali amministrativi che continuano a conoscere delle controversie gia' pacificamente devolute alla loro cognizione prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, viene in ultima analisi a creare una zona franca per i commissari di grandi aziende in crisi e, correlativamente lascia del tutto prive di tutela, situazioni soggettive di diritto, quali quelle fatte valere, in questa sede, dall'attore. E che questo sia l'intento neanche troppo volutamente perseguito dal legislatore e' dimostrato dalla stessa relazione al disegno di legge presentata alla Camera dei deputati. Si legge in esso che le nuove norme sarebbero tese ad evitare "l'aggravamento dell situazione di gestione delle liquidazioni" disposte in base alla legge Prodi "dipeso dal ricorso, da parte dei privati, anche all'autorita' ordinaria con l'intento di sovrapporre loro esigenze individuali a quelle di carattere collettivo che l'autorita' di vigilanza e' tenuta a tutelare...". Ancora: si afferma, nella stessa relazione, che la nuova legge tenderebbe ad evitare che "anche nelle sole ipotesi in cui e' configurabile l'esistenza di posizioni soggettive di privati, le stesse possano dar luogo a provvedimenti giudiziali che interferiscono con le decisioni dell'autorita' governativa volte al risanamento della aziende in crisi". Si teorizza, in altri termini, la possibilita' di legiferare in violazione dell'art. 24 della Costituzione in nome di presunte esigenze collettive, che non potrebbero essere perseguite ove venisse dato ai privati, che assumono la titolarita' di posizioni di diritto soggettivo perfetto, la possibilita' di ricorrere all'autorita' giudiziaria ordinaria. Per analogo ordine di considerazioni devono ritenersi violati anche gli artt. 103 e 114 della Costituzione. Tali articoli specificano il disposto dell'art. 24, primo comma, con riferimento alla tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione. L'art. 103 costituzionalizza il principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi, gia' espresso dall'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo (legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E) con la devoluzione alla giurisdizione ordinaria di tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorche' siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorita' amministrativa. L'art. 103 della Costituzione ha dunque riconosciuto tale principio; sottolineando che gli organi di giustizia amministrativa non sono il giudice naturale dei diritti soggettivi, ma possono conoscere di questi ultimi solo qualora cio' sia espressamente previsto dalla legge, in deroga al principio generale. La costituzionalizzazione del principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi conferisce al principio medesimo una valenza che lo impone come criterio informatore del riparto delle competenze giurisdizionali e che consente che i diritti soggettivi possano essere sottratti al proprio giudice naturale solo quando, in particolari materie, sia estremamente difficile discernere tra diritto soggettivo ed interesse legittimo (circostanza che non ricorre nel caso di specie), e sempre che la creazione di una giurisdizione esclusiva sia espressamente prevista dalla legge. L'art. 113 della Costituzione presuppone invece la vigenza del principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi; specifica che la tutela giurisdizionale tanto dei diritti quanto degli interessi legittimi deve essere sempre consentita anche "contro gli atti della pubblica amministrazione", e precisa che la tutela giurisdizionale complessiva del cittadino a fronte della pubblica amministrazione non puo' mai essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Dal combinato disposto delle menzionate norme costituzionali si evince con assoluta certezza che, nel vigente ordinamento, la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, ancorche' ripartita e concorrente tra giudice ordinario e giudice amministrativo, deve risultare pur sempre generale e completa: non e' ammissibile una sottrazione di competenza giurisdizionale ad un giudice senza che vi sia un corrispondente accrescimento delle funzioni dell'altro; la fungibilita' dei due giudici in determinate materie non deve cioe' significare una diminuzione oggettiva della tutela complessiva del cittadino. Il che e', invece, quanto dispone nei fatti la legge 23 agosto 1988, n. 391, che, in nome di presunte esigenze di carattere pubblicistico, viene di fatto a sottrarre l'azione dell'amministrazione e dello stesso commissario, ad ogni possibilita' di sindacato giurisdizionale. Il secondo comma dell'articolo unico della legge dispone poi che "i giudizi pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria aventi ad oggetto la vendita dei beni di cui al primo comma sono estinti d'ufficio e cessano di produrre effetti i provvedimenti giudiziali relativi ai suddetti beni, con salvezza delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo". Secondo la legge, dunque, la sottrazione di competenza giurisdizionale all'autorita' giudiziaria, opererebbe anche con riferimento ai giudizi tutt'ora pendenti innanzi al giudice ordinario. Privare l'autorita' giudiziaria del potere di decidere non solo con riguardo a giudizi futuri, ma anche con riferimento a quelli gia' ritualmente instaurati innanzi ad essa, significa avere conferito alla legge de qua efficacia retroattiva, in quanto il giudice competente viene individuato non in base alla normativa vigente al tempo di proposizione della domanda giurisdizionale ma in base alla normativa posta in essere successivamente. Orbene, cio' avviene non solo in spregio di un principio generale dell'ordinamento, codificato nell'art. 11 delle preleggi per il quale "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo", ma, data la particolarita' della materia (individuazione del giudice competente), siffatta previsione deve ritenersi incostituzionale per violazione dell'art. 25 della Costituzione, primo comma, il quale richiede che il giudice competente per una qualsiasi controversia debba essere quello naturale e precostituito dalla legge "nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge". Per l'esattezza, dal citato primo comma sono enucleabili due norme, la prima consistente nel porre una riserva assoluta di legge in materia; la seconda, che sancisce l'esigenza della precostituzione del giudice. Per comprendere l'illegittimita' costituzionale della legge in oggetto, l'attenzione va posta su quest'ultima disposizione. Con molta probabilita', proprio in ragione della sua palmare chiarezza (in claris non fit interpretatio) tale norma non risulta essere stata oggetto di cospicuo interessamento da parte della dottrina, eccezion fatta per pochi cenni contenuti nelle trattazioni generali di diritto costituzionale e processuale e per studi specifici di diritto processuale penale. Laddove pero' autorevole dottina si e' occupata della norma in via generale, essa e' giunta ad affermare che la portata complessiva della formula stia essenzialmente nella enunciazione di una regola d'irretroattivita' della legge non dissimile da quella stabilita per la legge penale sostanziale dal comma successivo, e tendente a tutelare soprattutto lo specifico valore che consiste nella certezza del giudice che deve pronunciarsi su un determinato fatto. Diverse sono invece le pronunce della Corte costituzionale che si registrano sul tema. Nella decisione n. 88 del 7 luglio 1962, la Corte costituzionale ha interpretato il primo comma dell'art. 25 nel senso che esso impone un "divieto della costituzione del giudice a posteriori"; il concetto di precostituzione del giudice equivarrebbe a "previa determinazione della competenza, con riferimento a fattispecie astratte realizzabili in futuro, non gia', a posteriori, in relazione, come si dice, ad una regiudicanda gia' insorta". Anteriormente alla citata decisione n. 88/1962 anche la sentenza n. 29 dell'8 aprile 1958, dopo avere affermato la corrispondenza della nozione di giudice naturale con quella di giudice precostituito, aveva gia' chiarito che tale nozione andava intesa come "giudice istituito in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di determinate controversie". Alla luce delle suesposte considerazioni si puo', quindi, affermare, unitamente alla piu' accorta dottrina, che l'esigenza posta a base dell'art. 25, primo comma, e' quella che consiste nel dare a ciascuno la certezza che il giudice che lo deve giudicare non verra' scelto in modo a lui sfavorevole, ma lo sara' in base a regole obiettive e soprattutto fissate in precedenza. Per converso, la legge di cui si sospetta la incostituzionalita', privando l'autorita' giudiziaria del potere di decidere anche con riferimento ai giudizi ritualmente instaurati innanzi ad essa ed onerando le parti di iniziare ex novo i giudizi innanzi al giudice amministrativo, viene a determinare il giudice competente non solo in relazione alle fattispecie astratte realizzabili in futuro ma anche a posteriori, in relazione alle regiudicande gia' insorte; il che e' proprio quanto la Corte costituzionale ha gia' riconosciuto illegittimo nelle decisioni sovra citate per contrasto con l'art. 25, primo comma, della Costituzione. Si deve inoltre ritenere che la determinazione a posteriori, a regiudicanda gia' insorta, del giudice competente avviene in violazione non solo dell'art. 25, ma anche dell'art. 102, secondo comma, per il medesimo ordine di ragioni sin qui esposto. Il secondo comma dell'art. 102 della Costituzione vieta infatti in maniera tassativa la istituzione di giudici straordinari. Secondo la comuna interpretazione dottrinale, tali sarebbero appunto i giudici non precostituiti, formati in correlazione a singoli giudizi riguardanti determinati soggetti derogando al principio del giudice naturale, e si distinguerebbero dai giudici speciali in quanto questi ultimi, pur se competenti solo per talune materie, sarebbero pur sempre precostituiti. Per converso, la legge sospettata di incostituzionalita', al secondo comma dell'unico articolo di cui si compone, introduce una deroga al principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi operando uno spostamento della competenza giurisdizionale che coinvolgerebbe anche i processi gia' in corso; in tal modo, con riferimento ai processi gia' pendenti innanzi all'autorita' giudiziaria, il giudice amministrativo finisce con il qualificarsi non tanto come giudice speciale, quanto come vero e proprio giudice straordinario, ed in questi termini va ravvisata anche la violazione dell'art. 102, secondo comma, della Costituzione. Ne' puo' essere sottaciuta una ulteriore grave irrazionalita' del disposto della nuova legge, laddove dispone l'inefficacia dei "provvedimenti giudiziali relativi ai suddetti beni". A voler essere precisi, anzi, l'inefficacia di detti provvedimenti consegue non tanto alla espressa previsione della legge, ma alla stessa declaratoria di estinzione del processo comminata senza concedere alle parti nessuna possibilita' di riassumere il giudizio di merito innanzi al giudice speciale. La parte che ha tempestivamente agito a tutela dei suoi diritti e' - in altri termini - costretta a teiterare - se ed in quanto possibile - l'azione innanzi al giudice speciale, con potenziale pregiudizio per lo stesso diritto fatto valere (si pensi, ad esempio, agli effetti sostanziali della domanda) e con l'onere di riproporre (ai sensi dell'art. 672 del c.p.c.) eventuali istanze cautelari al giudice civile, a seguito del venir meno degli effetti di quelle eventualmente autorizzate nel corso del processo estinto. Il che non sembra - sia pure sotto altro profilo - al dettato dell'art. 24 della Costituzione. Sotto ulteriore profilo occorre evidenziare che la legge 23 agosto 1988, n. 391, si compone di un unico articolo che attribuisce alla competenza del giudice amministrativo i ricorsi contro atti e provvedimenti amministrativi adottati nel corso della procedura di vendita dei beni di proprieta' delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, e che impone all'autorita' giudiziaria di dichiarare l'estinzione dei processi aventi ad oggetto tali vendite. Intento del legislatore parrebbe essere quindi quello di operare chiarezza in ordine al riparto di giurisdizione in una materia in cui dovrebbe essere estremamente difficile discernare le situazioni di interesse legittimo da quelle di diritto soggettivo. Si e' infatti in precedenza ricordato che, stante la vigenza del principio (costituzionalizzato) della giurisdizione unica sui diritti soggettivi, e' necessario che ricorra una siffatta esigenza perche' possa essere derogato il suddetto principio, che e' canone informatore dei criteri che attendono al riparto delle giurisdizioni. In realta', come risulta dalla esposizione dei precedenti motivi, e' proprio e soltanto la legge di cui si sospetta la incostituzionalita' a creare problemi non lievi in ordine al riparto della giurisdizione in una materia che fino ad ora non presentava problemi in tal senso. Come si e' detto, infatti, il primo comma dell'articolo unico della legge in oggetto non attribuisce alcunche' di nuovo alla giurisdizione amministrativa, limitandosi a dichiarare quanto e' gia' nella realta' dei fatti e del diritto, mentre per converso il secondo comma del medesimo articolo sottrae all'autorita' giudiziaria la naturale competenza in materia senza che la stessa risulti trasferita ad altro giudice. L'effetto che si raggiunge, in tal modo, non e' quello di operare un piu' compiuto e corretto riparto della giurisdizione, ma quello di menomare la completezza e la generalita' della tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione in una materia per la quale non si pongono particolari problemi per il riparto della giurisdizione. Non si intende infatti perche' mai l'autorita' giudiziaria non possa conoscere delle controversie aventi ad oggetto negozi stipulati da un soggetto che non e' un organo amministrativo (e se anche lo fosse non cambierebbe nulla in punto di diritto circa il giudice competente), e perche' mai situazioni giuridiche di diritto soggettivo perfetto debbano rimanere del tutto prive di tutela o comunque vedere limitata la loro tutela. Il reale intento del legislatore e' del resto espressamente dichiarato dalla relazione introduttiva al disegno di legge n. 2888 (poi divenuto legge 23 agosto 1988, n. 391) presentato alla camera dei deputati il 16 giugno 1988. In essa si afferma espressamente che il disegno di legge viene presentato per rimediare ad un "aggravamento della situazione di gestione delle liquidazioni", disposte in base alla c.d. legge Prodi, e che "tale aggravamento e' dipeso dal ricorso in alcuni casi da parte dei privati anche all'autorita' giudiziaria ordinaria". Pertanto, consistendo il reale intento del legislatore nell'istituire un giudice straordinario, nel senso che si e' in precedenza precisato, e nel limitare la tutela complessiva del cittadino verso la pubblica amministrazione per le controversie in materia di amministrazione straordinaria, e non gia' di operare un piu' chiaro e lineare riparto della giurisdizione in materia, si rende evidente l'eccesso di potere che inficia l'atto legislativo: sia in quanto l'atto persegue una finalita' diversa da quella cui e' formalmente indirizzato: sia per illogicita' e contraddittorieta' con i presupposti, non sussistendo le condizioni obiettive per introdurre deroghe al principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi. La rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate appare manifesta ove si consideri che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni medesime. In applicazione della nuova legge e' dovere del giudice dichiarare, d'ufficio, l'estinzione del processo, apparendo superate, per assorbimento, tutte le altre questioni, sollevate dalle parti, sulle quali questo giudice era chiamato a provvedere. E la declaratoria di estinzione del processo non puo' all'evidenza, essere pronunciata ove non venga previamente risolta la questione di legittimita' costituzionale della norma de qua.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23 agosto 1988, n. 391, dettante norme sulla amministrazione straordinaria per contrasto con gli artt. 24, 25, 102, 103 e 113 della Costituzione; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, copia dell'ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e che di essa sia data comunicazione ai Presidenti delle due camere del Parlamento. Roma, addi' 27 settembre 1988 Il giudice istruttore: IZZO 89C0012