N. 39 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 1988

                                 N. 39
    Ordinanza emessa il 20 settembre 1988 dalla Corte di cassazione
   nel procedimento civile vertente tra Cirino Filippo e l'A.T.M. di
                            Messina ed altro
 Autoferrotranvieri   -  Agente  sospeso  in  via  preventiva  perche'
 sottoposto a procedimento  penale  -  Dichiarazione  di  non  doversi
 procedere  in  sede  penale  per  estinzione del reato per amnistia -
 Conseguenze in sede disciplinare: revoca del provvedimento  cautelare
 e  mancato  inizio  del  procedimento; mancata previsione del diritto
 dell'interessato a che questo si svolga egualmente  e  ingiustificata
 esclusione   del   diritto  all'indennizzo  per  gli  emolumenti  non
 corrisposti durante la sospensione; ingiustificata imposizione,  allo
 stesso  interessato,  dell'onere, perche' i fatti siano accertati, di
 rinunciare all'amnistia - Disparita'  di  trattamento  rispetto  alla
 disciplina  del  pubblico impiego nonche' rispetto all'agente assolto
 con formula dubitativa - Richiamo alla sentenza n. 168/1973.
 (R.D.  8  gennaio  1931,  n. 148, regolamento all. a, art. 46, ultimo
 comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.7 del 15-2-1989 )
                         LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Cirino
 Filippo, elettivamente domiciliato  in  Roma  presso  la  cancelleria
 della  suprema  Corte  di cassazione rappresentato e difeso dall'avv.
 Giovanni  Codagnone  giusta  procura  speciale  atti  notar  Pasquale
 Contartese  del 1› settembre 1988 rep. n. 108729, unitamente all'avv.
 Lucio  Ricca  giusta  procura  speciale  a   margine   del   ricorso,
 ricorrente,  contro l'A.T.M. - Azienda trasposti municipalizzata - di
 Messina,  in   persona   del   legale   rappresentante   pro-tempore,
 elettivamente  domiciliata  in Roma, via Pierluigi da Palestrina, 48,
 presso l'avv. Gianguido Porcacchia, rappresentata e difesa  dall'avv.
 Martino Caminiti giusta procura speciale a margine del controricorso,
 controricorrente,   nonche'   contro   l'Istituto   nazionale   della
 previdenza   sociale   -   I.N.P.S.   -  in  persona  del  presidente
 pro-tempore, elettivamente domiciliato in roma, via della Frezza, 17,
 presso  gli  avvocati  Paolo  Boer, Giuseppe Pansarella e Giuseppe A.
 Gigante, che lo rappresentano e  difendono  giusta  procura  speciale
 atti  notar  Franco  Lupo del 21 luglio 1987 Rep. n. 9880, resistente
 con sola procura, per l'annullamento della sentenza del tribunale  di
 Messina  in  data  23  gennaio  1987,  dep. il 3 aprile 1987 (r.g. n.
 303/86);
    Udita  -  nella  pubblica  udienza tenutasi il giorno 20 settembre
 1988  -  la  relazione  della  causa  svolta  dal  cons.  rel.  dott.
 Pontrandolfi;
    Udito l'avv. Caminiti;
    Udito  il  p.m.  nella persona del sost. proc. gen. dott. Fabrizio
 Amirante che ha concluso per la rimessione atti Corte  costituzionale
 per  illegittimita'  art.  46 del r.d. n. 148/1931 nella parte in cui
 non prevede la corresponsione di  una  integrazione  dell'assegno  al
 dipendente  che  sospeso sia stato prosciolto nel procedimento penale
 per amnistia.
                     RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
    Con ricorso depositato il 23 febbraio 1984 e diretto al pretore di
 Messina  quale  giudice  del  lavoro,  Filippo  Cirino  conveniva  in
 giudizio  la datrice di lavoro Azienda tranviaria municipale (A.T.M.)
 di Messina nonche' l'I.N.P.S., esponendo: che  tale  azienda  l'aveva
 cautelativamente  sospeso  dal  servizio  il  20  marzo 1978, essendo
 pendente  nei   suoi   confronti   un   procedimento   penale;   che,
 successivamente,   essendo   stato   prosciolto   per   amnistia,  il
 provvedimento era stato revocato  ed  egli  era  stato  riammesso  in
 servizio;  che  durante  il  periodo di sospensione non gli era stata
 corrisposta la retribuzione ma  gli  era  stato  versato  un  assegno
 alimentare   pari   alla   meta'   della  retribuzione  stessa;  che,
 relativamente a tale assegno, l'A.T.M. aveva omesso di  effettuare  i
 versamenti   contributivi;   che,   a   seguito  della  revoca  della
 sospensione cautelare dal lavoro, egli aveva diritto a  percepire  la
 differenza  tra  le  retribuzioni maturate nel periodo di sospensione
 (20 maggio 1978-11 gennaio 1983) e l'assegno  alimentare  mensilmente
 versato;  che  l'azienda  non  aveva adempiuto a tale suo obbligo ne'
 aveva versato i contributi per le assicurazioni sociali nel  suddetto
 periodo  scoperto  pevidenzialmente;  tutto  cio' premesso, il Cirino
 chiedeva  che,  dichiarata  l'efficacia  retroattiva  del  suindicato
 provvedimento   di  revoca  della  sospensione  cautelare,  l'azienda
 convenuta fosse condannata a pagargli  la  somma  di  L.  26.997.471,
 oltre   ad   interessi   e   rivalutazione  monetaria,  e  a  versare
 all'I.N.P.S.  i  contributi  previdenziali  dovuti  per  il   periodo
 suddetto.
    Costituitasi  in  giudizio,  l'azienda  convenuta  resisteva  alla
 domanda, invocando la discrezionalita', concessale  dalla  legge,  di
 adottare   e   revocare   la  sospensione  cautelare  del  dipendente
 sottoposto a procedimento penale,  senza  alcuna  condizione,  tranne
 l'obbligo di un indennizzo pari alle retribuzioni non corrisposte nel
 periodo di sospensione nella sola  ipotesi  in  cui  il  procedimento
 penale  si  concludesse  con ampia formula assolutoria. L'I.N.P.S. si
 rimetteva alla giustizia.
    Con  sentenza  18-19  aprile  1985,  l'adito  pretore rigettava la
 domanda, compensando tra le parti le spese processuali.
    Su  appello del Cirino, al quale resisteva l'A.T.M. chiedendone il
 rigetto (l'I.N.P.S. si limitava  a  chiedere  una  decisione  secondo
 giustizia  sulle  istanze formulate dall'appellante), il tribunale di
 Messina, con sentenza 23 gennaio-3 aprile 1987, rigettava il  gravame
 e  confermava  l'appellata  decisione,  condannando  l'appellante  al
 pagamento delle spese del giudizio d'appello in favore dell'A.T.M.  e
 compensando le spese giudiziali tra il Cirino e l'I.N.P.S.
    Ad avviso del tribunale, il pretore aveva esattamente applicato le
 vigenti disposizioni di legge.
    Il   Cirino,   legittimamente   sospeso   dal   servizio  e  dalla
 retribuzione ai sensi dell'art. 46 del regolamento allegato A al r.d.
 8  gennaio 1931, n. 148, dopo che il tribunale penale di Messina, con
 sentenza del 15 maggio 1978, lo aveva ritenuto colpevole dei reati di
 falso  e  peculato  continuati e aggravati e lo aveva condannato alla
 pena di anni  tre  e  mesi  quattro  di  reclusione,  era  stato  poi
 prosciolto,  in grado d'appello, dalla corte d'appello di Messina con
 sentenza del 27 ottobre 1982 per estinzione dei reati ascrittigli per
 intervenuta  amnistia.  A seguito di quest'ultima sentenza, l'azienda
 aveva ritenuto opportuno non promuovere nei confronti del  dipendente
 un   procedimento  disciplinare  e,  revocando  il  provvedimento  di
 sospensione,  lo  aveva  riammesso  in   servizio   "con   decorrenza
 immediata") (v. lettera 11 gennaio 1983).
    Ora - secondo il tribunale - non risultava dall'esame dell'art. 46
 del  suddetto  regolamento   (il   quale   testualmente   stabilisce,
 all'ultimo   comma,   che  "nel  caso  di  sospensione  disposta  per
 procedimento disciplinare o per arresto dovuto a cause  di  servizio,
 l'agente  ha  diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto
 della sospensione, sempreche' sia assolto per non  aver  commesso  il
 fatto,  per  inesistenza  di reato o perche' il fatto non costituisce
 reato",  e,  a  seguito  della  sentenza  n.  168/1973  della   Corte
 costituzionale, anche per insufficienza di prove) che, tutte le volte
 che al periodo di sospensione non avesse fatto seguito la  definitiva
 destituzione dal servizio del dipendente, quest'ultimo avrebbe dovuto
 essere reintegrato nel  rapporto  di  lavoro  con  effetto  ex  tunc;
 poteva,  anzi, desumersi il contrario, cioe' che soltanto nel caso di
 assoluzione con formula piena e,  dopo  la  suddetta  sentenza  della
 Corte  costituzionale,  anche  nel  caso  di  assoluzione con formula
 dubitativa, dovesse essere ripristinata la precedente situazione  del
 dipendente.
    Onde,  essendo  stato  il Cirino prosciolto soltanto per amnistia,
 giustamente era stata ritenuta inapplicabile nei suoi  confronti  dal
 primo giudice la suddetta disposizione.
    Sempre   per  il  tribunale,  vano  era  insistere  -  come  fatto
 dall'appellante  -  sulla  natura  interinale  del  provvedimento  di
 sospensione:  nella  specie,  la  sospensione  del Cirino era durata,
 conformemente al disposto del terzo comma del  citato  art.  46  ("La
 sospensione preventiva dura, di regola, finche' sia cessata o risolta
 la causa che la motivo'"), fino alla definizione del processo penale;
 ne'  poteva  condividersi  la  tesi  dell'appellante  secondo  cui la
 sospensione  cautelare  sarebbe  potuta  sboccare  soltanto  o  nella
 definitiva   dispensa   dal   ervizio  del  dipendente  o  nella  sua
 riammissione in servizio con effetto ex tunc".
    Diversamente  opinando  -  ad  avviso  del  tribunale - si sarebbe
 pervenuti ad un risultato non conforme  a  sostanziale  giustizia  ed
 equita' perche' il Cirino avrebbe finito col trarre dal comportamento
 eccessivamente  indulgente  dell'A.T.M.  (la  quale  aveva   ritenuto
 opportuno  non promuovere procedimento disciplinare nei confronti del
 dipendente ai fini della sua destituzione  dopo  la  definizione  per
 amnistia  del  procedimento penale) l'ulteriore vantaggio di ricevere
 l'intera retribuzione per il periodo  in  questione,  nel  quale  non
 aveva    prestato    attivita'    lavorativa.   Ne'   poteva   essere
 fondamentalmente  obiettata  l'ingiustizia  del  disconoscimento  del
 diritto  all'indennizzo  in difetto di una definitiva affermazione di
 responsabilita' del Cirino in ordine ai reati contestatigli, poiche',
 tenuto  conto  dei sopradetti limitati casi di diritto all'indennizzo
 previsti dalla norma (assoluzione con formula di merito),  il  Cirino
 avrebbe  potuto  rinunziare  all'amnistia  al  fine  di ottenere (nel
 concorso dei relativi presupposti) una sentenza assolutoria  tale  da
 consentirgli  di  conseguire  la  completa  ricostituzione  della sua
 carriera aconomica. Cio' induceva a ritenere, inoltre, l'infondatezza
 della  tesi  dell'incostituzionalita'  del  suddetto  art. 46, ultimo
 comma, nella parte in cui disciplinava il caso del lavoratore sospeso
 e  poi  assolto  con formula ampia e dubitativa diversamente dal caso
 del lavoratore sospeso e poi prosciolto per amnistia.
    Avverso  la suddetta sentenza Filippo Cirino proponeva ricorso per
 cassazione  affidato  ad  un  solo  motivo.  L'A.T.M.  resisteva  con
 controricorso.  L'intimato  I.N.P.S.  si  costituiva con sola procura
 speciale.
    Con  l'unico  motivo  del  ricorso,  il Cirino deduce violazione e
 falsa applicazione dell'art. 46 del regolamento allegato A al r.d.  8
 gennaio   1931,   n.   148,   nonche'   motivazione  insufficiente  e
 contraddittoria, in relazione all'art. 360, pp.nn. 3 e 5, del c.p.c.,
 dolendosi  che  il  tribunale,  come  gia'  il  pretore,  sull'errata
 premessa che il provvedimento di sospensione  cautelare  disposto  ex
 art.  46  del  regolamento  citato  non  abbia  natura  interinale  e
 provvisoria, abbia negato che la revoca di tale  provvedimento  e  la
 riammissione  in  servizio di esso ricorrente potessero comportare la
 ricostituzione del rapporto di lavoro a tutti gli  effetti,  compreso
 l'obbligo contributivo-previdenziale a carico dell'azienda; e che, in
 particolare, abbia negato il  diritto  del  dipendente  al  pagamento
 delle   retribuzioni  maturate  nel  periodo  della  sospensione  poi
 revocata dall'azienda, per il solo  fatto  che  di  tale  effetto  il
 citato  art.  46 non fa menzione nella specifica ipotesi qui presa in
 considerazione. Si duole poi il Cirino che il tribunale abbia  negato
 ingresso alla tesi secondo cui la sospensione cautelare puo' sboccare
 soltanto o nella definitiva dispensa dal servizio  del  dipendente  o
 nella  sua  riammissione in servizio con effetto ex tunc; e che abbia
 ignorato i principi,  affermati  da  questa  Corte,  secondo  cui  la
 sosppensione  cautelare  del  dipendente  sottoposto  a  procedimento
 penale non costituisce una sanzione  disciplinare  ma  ha  natura  di
 provvedimento  cautelare  provvisorio  e  preparatorio alla eventuale
 procedura  del  licenziamento,  con  la  conseguenza   che,   se   il
 procedimento  disciplinare  o  penale si conclude in senso favorevole
 all'inquisito o all'imputato, il rapporto di lavoro riprende  il  suo
 corso  a tutti gli effetti dal momento in cui e' stato sospeso, e con
 l'ulteriore conseguenza che il datore di lavoro, sul quale ricadono i
 rischi  del  provvedimento  cautelare,  e'  tenuto a corrispondere le
 retribuzioni arretrate.
    Da  tali principi si desumono - secondo il ricorrente - i seguenti
 corollari:
      1)  data  la sua natura di misura cautelare, il provvedimento di
 sospensione e' soggetto a  canvalida  definitiva  in  relazione  alla
 causa  per  cui fu disposto, sicche' l'effetto sospensivo restera' in
 ogni caso revocato con efficacia  retroattiva  quando  sia  accertata
 l'insussistenza del fatto che vi ha dato luogo;
      2)   poiche'   il  provvedimento  di  sospensione  cautelare  e'
 facoltativo e non obbligatorio, costituendo una rinuncia  del  datore
 di  lavoro  alle prestazioni del lavoratore sottoposto a procedimento
 penale, e' evidente  che,  una  volta  revocata  la  sospensione,  il
 provvedimento  di  revoca acquisita efficacia normalmente retroattiva
 sia in quanto ha  valore  di  riconoscimento  dell'inesistenza  delle
 cause  che  hanno  determinato  la  misura  cautelare sia perche', in
 relazione alla sua natura di provvedimento cautelare, la  sospensione
 in  tanto  si  giustifica  in  quanto  e' seguita da un provvedimento
 definitivo di conferma (risoluzione del rapporto);
      3)  resta  fermo l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere
 la retribuzione  al  lavoratore  sospeso  per  tutto  il  periodo  di
 sospensione  in quanto, con la conclusione del procedimento penale in
 esso favorevole all'imputato o all'inquisito  e  con  la  revoca  del
 provvedimento  cautelare, il rapporto di lavoro riprende il suo corso
 a tutti gli effetti dal momento in cui e' stato sospeso.
    Aggiunge  il  ricorrente  che  l'ulteriore  spiegazione datata dal
 giudice a quo al diniego del diritto alla retribuzione  e'  priva  di
 valore  giuridico  in  quanto il non avere esso ricorrente rinunziato
 all'amnistia ha finito, per lo stesso giudice, col dar luogo  ad  una
 sorta di prosecuzione di colpevolezza o, quanto meno, di acquiescenza
 al  provvedimento  cautelare  in  oggetto.  Ne'   il   tribunale   ha
 considerato  che  l'azienda  datrice  di  lavoro  non  ha  tenuto  un
 comportamento neutrale, ma ha posto in essere una revoca espressa del
 provvedimento  di sospensione cautelare, cosi' manifestando, in forma
 non equivoca, la propria volonta' di  porre  fine  agli  effetti  del
 provvedimento  di  sospensione  cautelare, provvedimento che, essendo
 per sua natura provvisoria, lo era anche nella sua efficacia; con  la
 conseguenza  che la revoca di un provvedimento provvisorio non poteva
 determinare altro effetto se non il ripristino definitivo, cioe', con
 efficacia  retroattiva,  della  situazione  giuridica precedente alla
 sospensione.
    In via del tutto subordinata, il ricorrente ripropone la questione
 di  legittimita'  costituzionale,   disattesa   dal   tribunale   per
 infondatezza,  dell'art.  46  del  regolamento  allegato A al r.d. n.
 148/1931, nella parte in cui  non  prevede  la  revoca,  con  effetti
 pienamente ripristinatori, del provvedimento di sospensione cautelare
 in caso di proscioglimento del dipendente per amnistia, per  asserito
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in relazione agli artt. 96
 e 97 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e 141, 144, 146,  147,  148  e
 150 della legge 26 marzo 1958, n. 425.
   Cio' premesso, la Corte condivide la tesi principale del ricorrente
 secondo cui la revoca del provvedimento cautelare  della  sospensione
 provvisoria  dal  soldo  e  dal  servizio, ex art. 46 del regolamento
 allegato A al r.d. 8 gennaio 1931, n.  148,  che  faccia  seguito  al
 proscioglimento  dell'agente per estinzione del reato ascrittogli per
 amnistia da parte del giudice penale, comporterebbe  di  per  se'  il
 diritto  dell'agente  stesso  alla  corresponsione della retribuzione
 maturata durante la sospensione  sul  rilievo  che  la  revoca  della
 misura  cautelare  farebbe  riprendere  il  suo  corso al rapporto di
 lavoro dal momento in cui questo e' stato sospeso.
    In  contrario  si  osserva  che,  come  correttamente ritenuto dal
 tribunale alla stregua della sopradetta norma del  regolamento  sullo
 stato  giuridico degli autoferrotranvieri, il provvedimento cautelare
 di sospensione dell'agente, se ha una durata limitata nel tempo,  non
 postula  necessariamente  che  tutte  le  volte  che  al  periodo  di
 sospensione  non  segua  la  definitiva   destituzione   dell'agente,
 quest'ultimo  deve  essere  reintegrato  nel  servizio con effetto ex
 tunc.
    Il  richiamo  del ricorrente ai principi affermati da questa Corte
 in materia di  sospensione  cautelare  nell'ambito  del  procedimento
 disciplinare  per i lavoratori in genere non appare conferente, posta
 la specialita' della disciplina relativa al rapporto di lavoro  degli
 autoferrotranvieri,  il  quale - ancorche' inquadrato nell'ambito del
 diritto privato - presenta connotazioni  particolari  correlate  alle
 esigenze di pubblico interesse che presiedono ai servizi di trasporto
 cui sono addetti quelle categorie di lavoratori.
    Il  citato  art. 46 del regolamento, infatti, prevede, al sesto ed
 ultimo comma, che "nel caso di sospensione disposta per  procedimento
 disciplinare  o  per arresto dovuto a cause di servizio" (sospensione
 che, ai sensi del primo comma,  e'  facoltativa  perche'  disposta  a
 giudizio    insindacabile    dell'amministrazione),   all'agente   va
 corrisposto l'indennizzo di  quanto  ha  perduto  per  effetto  della
 sospensione  (in  pratica,  la  differenza tra l'importo dell'assegno
 alimentare erogato durante la sospensione e quello dello stipendio  o
 paga  maturato  nello  stesso  periodo)  solo ove l'agente stesso sia
 assolto in sede penale con formula ampia (per non avere  commesso  il
 fatto, o per inesistenza di reato, o perche' il fatto non costituisce
 reato). A tale previsione deve  aggiungersi  quella  derivante  dalla
 sentenza 28 novembre 1973, n. 168, della Corte costituzionale, che ha
 dichiarato costituzionalmente illegittima la norma  in  esame  "nella
 parte  in  cui  esclude  in ogni caso dal diritto all'indennizzo" (in
 essa previsto) "l'agente sospeso in via preventiva e  successivamente
 assolto in sede di procedimento penale per insufficienza di prove"; e
 cio' in riferimento al principio di eguaglianza  di  cui  all'art.  3
 della Costituzione.
    In tale decisione la Corte costituzionale, dopo avere rilevato che
 il c.d. "equo  trattamento"  stabilito  dalla  normativa  di  cui  al
 regolamento  allegato  A  al  regio decreto n. 148/1931 nei confronti
 degli autoferrotranvieri, se pure concernente un rapporto  di  lavoro
 inquadrato  nell'ambito  del  diritto  privato, attese le esigenze di
 pubblico  interesse  soddisfatte  dai  servizi   ferrotranviari,   e'
 informato  "a  criteri  posti  a  base  dell'ordinamento del pubblico
 impiego", e che anche  "in  siffatta  prospettiva  e'  ricondotta  al
 sistema  del  pubblico  impiego  l'intera  materia disciplinare", ivi
 compresa la struttura dell'istituto della  sospensione  preventiva  o
 cautelare  (art.  46  del  citato  regolamento)  siccome correlata al
 settore disciplinare, ha  osservato  che  l'assoluzione  con  formula
 piena   del   dipendente   in   sede   penale  comporta  l'automatica
 reintegrazione dello stesso di quanto ha perduto  per  effetto  della
 sospensione  cautelare,  mentre la sentenza penale di proscioglimento
 con contenuto diverso  dall'assoluzione  con  formula  piena,  e,  in
 particolare,   quella   per  insufficienza  di  prove,  non  preclude
 all'amministrazione  l'accertamento  di   eventuali   responsabilita'
 disciplinari del dipendente.
    Sempreche'  -  sempre secondo la Corte costituzionale - mentre nel
 settore del pubblico impiego  l'amministrazione,  in  conseguenza  di
 detto  tipo  di  pronunzia  penale,  ha  la  facolta' di promuovere o
 proseguire - entro termini perentori - il procedimento  disciplinare,
 con  l'effetto  di  far  permanere legittimamente la misura cautelare
 della  sospensione,  di  cui  continua  la  funzione  in  riferimento
 all'eventuale sanzione disciplinare alla quale essa e' preordinata in
 via interinale, onde, se il procedimento penale non viene promosso  o
 proseguito,  la  sospensione  cessa  e  il dipendente ha diritto alla
 reintegrazione patrimoniale di quanto non ha percepito per la  durata
 della sospensione medesima (in questi sensi dispongono gli artt. 96 e
 97 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, sullo  statuto  degli  impiegati
 civili dello Stato, e in modo analogo gli artt. 141 e 150 della legge
 26 marzo 1958, n. 425, sullo  stato  giuridico  del  personale  delle
 Ferrovie  dello Stato), nel settore degli autoferrotranvieri, invece,
 stante il disposto dell'art. 46, ultimo comma,  del  regolamento  del
 1931,   l'agente  sospeso  cautelarmente  e  prosciolto  in  sede  di
 procedimento penale dalle imputazioni ascittegli per insufficienza di
 prove  e' escluso dal diritto a percepire gli emolumenti non riscossi
 per la durata della sospensione  "a  prescindere  da  ogni  ulteriore
 esame in sede disciplinare dei fatti addebitatigli ed anche quanto il
 procedimento disciplinare si sia concluso... con  il  proscioglimento
 pieno dell'agente".
    Da  cio', appunto, l'illegittimita' constituzionale della suddetta
 norma del regolamento per contrasto con l'art. 3 della  Costituzione,
 in  conseguenza  della irrazionale disparita' di trattamento che essa
 crea tra gli agenti autoferrotranvieri e i pubblici impiegati  "nella
 parte in cui esclude in ogni caso dal diritto all'indennizzo, in essa
 previsto,  l'agente  sospeso  in  via  preventiva  e  successivamente
 assolto in sede di procedimento penale per insufficienza di prove".
   Orbene,   tutto  cio'  premesso,  proprio  l'innovazione  apportata
 all'art. 46, ultimo comma, del  regolamento  allegato  A  al  r.d.  8
 gennaio  1931,  n.  148,  dalla  sentenza  n.  169/1973  della  Corte
 costituzionale consente di individuare un ulteriore dubbio in  ordine
 alla legittimita' costituzionale della suddetta norma, in riferimento
 al principio di cui all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui
 si perpetua una irrazionale disparita' di trattamento con il pubblico
 impiego perche' all'agente ferrotranviere sospeso in via preventiva e
 prosciolto in sede penale con sentenza irrevocabile di estinzione del
 reato per amnistia viene ad essere negato in ogni caso il  diritto  a
 percepire   gli   emolumenti   non   riscossi  per  la  durata  della
 sospensione,  a  prescindere  da  ogni  ulteriore   esame   in   sede
 disciplinare  dei  fatti  addebitatigli,  e,  cioe',  non solo quando
 successivamente al proscioglimento penale non venga attivato nei suoi
 confronti  (come nella specie) il procedimento disciplinare, ma anche
 quando  questo,  se  iniziato  o  proseguito,  si  concluda  con   la
 discriminazione piena dell'agente stesso.
    Nel settore del pubblico impiego, invece, se il proedimento penale
 si conclude con sentenza irrevocabile di proscioglimento  per  motivi
 diversi  dall'assoluzione  con  formula  piena, e quindi non solo per
 insufficienza di prove, ma anche per amnistia o altra causa estintiva
 del  reato,  l'impiegato  ha diritto agli emolumenti non percepiti se
 nei suoi confronti non viene attivato  il  provedimento  disciplinare
 entro  un termine perentorio (che solo consente il mantenimento della
 sospensione) ovvero se, a seguito di procedimento disciplinare,  egli
 viene  prosciolto  anche  in  tale  sede (artt. 96 e 97 del d.P.R. n.
 3/1957).
    A  parte  la  rilevata  disparita'  di  trattamento  rispetto alla
 normativa del pubblico  impiego,  una  irrazionale  sperequazione  di
 trattamento si ravvisa anche nell'ambito dello stesso art. 46, ultimo
 comma, del regolamento allegato A al r.d. n.   148/1931  nella  veste
 assunta   a   seguito   della   sentenza   n.  168/1973  della  Corte
 costituzionale, tra l'agente prosciolto con  formula  dubitativa,  il
 quale  non perde, sia pure a certe condizioni, il diritto a percepire
 gli emolumenti non  riscossi  durante  la  sospensione  cautelare,  e
 l'agente  prosciolto  per estinzione del reato per amnistia, il quale
 si vede escluso in ogni caso dal suddetto diritto.
    Tale sperequazione non sembra giustificata dal rilievo - fatto dal
 giudice a quo - che l'agente sospeso cautelarmente dal  soldo  e  dal
 servizio  potrebbe  rinunziare in sede penale all'amnistia al fine di
 ottenere (ove ricorrano i presupposti) una  sentenza  assolutoria  di
 merito,  tale  da consentirgli di ottenere la completa ricostituzione
 della sua carriera economica: non appare logico, infatti, far  carico
 al  cittadino di rinunziare all'applicazione dell'amnistia al fine di
 ottenere un'assoluzione di merito in sede  penale,  finalizzata  alla
 sua  reintegra  nella  posizione  lavorativa  anche  sotto il profilo
 economico; tanto piu' nell'ambito di un sistema  penale  che  e'  pur
 sempre informato al principio costituzionale della presunzione di non
 colpevolezza (art. 27, secondo comma, della Costituzione).
    Ne  deriva  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  che,  sebbene   prospettata   in   via
 estremamente sintetica e del tutto subordinata dal ricorrente, questa
 Corte  ritiene  di  sollevare  d'ufficio,  previa   sospensione   del
 giudizio,  dell'art.  46, ultimo comma, del regolamento allegato A al
 r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, nel testo gia' emendato  dalla  sentenza
 n. 168/1973 della Corte costituzionale, in relazione all'art. 3 della
 Costituzione, nella parte in cui esclude in  ogni  caso  dal  diritto
 all'"indennizzo",   in   esso   previsto,  l'agente  sospeso  in  via
 preventiva e  successivamente  prosciolto  in  sede  di  procedimento
 penale per amnistia.
    Nessun  dubbio sussiste, peraltro, sulla rilevanza della questione
 come sopra prospettata: il  Cirino,  infatti,  nonostante  sia  stato
 prosciolto  per  amnistia  in  sede  penale  e sia stato riammesso in
 servizio, previa revoca del provvedimento cautelare della sospensione
 dal  saldo  e dal servizio, in precedenza nei suoi confronti adottato
 dall'azienda,  senza  che  sia  stato   poi   attivato   procedimento
 disciplinare  per laccertamento in tale sede dei fatti comportanti la
 destituzione od altra grave sanzione disciplinare, si  vede  precluso
 in  ogni  caso  il  diritto  all'indennizzo  di quanto ha perduto per
 effetto della sospensione in virtu' della norma qui  censurata.  Onde
 ricorre    la    pregiudiziale    della    enunciata   questione   di
 costituzionalita' in funzione della decisione della causa.
    I provvedimenti conseguenziali vanno dati in dispositivo.
                                P. Q. M.
    Sospende il giudizio;
    Rimette  gli atti alla Corte costituzionale per la decisione della
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 46, ultimo  comma,
 del  regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, nel testo
 gia' emendato dalla sentenza n. 168/1973 della Corte  costituzionale,
 in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte in cui
 esclude in ogni caso dal diritto all'"indennizzo", in esso  previsto,
 l'agente  sospeso  in  via preventiva e successivamente prosciolto in
 sede di procedimento penale per amnistia;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza sia notificata alle parti in
 causa  e  al  procuratore  generale  di  questa  suprema   Corte   di
 cassazione,  nonche'  al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia
 comunicata al Presidente della Camera dei deputati  e  al  Presidente
 del Senato della Repubblica.
     Roma, addi' 20 settembre 1988
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 89C0069