N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 giugno 1988

                                 N. 64
 Sentenza   emessa   il   29   giugno   1988   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 2 febbraio 1989) dal giudice istruttore  presso  il
 tribunale  di  Bologna  nel  procedimento  penale  a  carico di Conti
 Silvano ed altri
 Imposte  in genere - Infedele dichiarazione dei redditi - Alterazione
 rilevante   -   Indeterminatezza,   in   parte   qua,   della   norma
 incriminatrice  -  Violazione  del  principio  di  tassativita' della
 fattispecie penale.
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7).
 (Cost., art. 25, secondo comma).
(GU n.8 del 22-2-1989 )
                         IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza nel procedimento penale n.
 159/1986 g.i., contro:
      1)  Conti  Silvano,  nato  a  San Lazzaro di Savena il 15 agosto
 1932, ivi residente, via Della Pietra n. 11,  difeso  dagli  avvocati
 Roberto Landi e Achille Melchionda, entrambi di Bologna;
      2)  Masotti  Athos, nato a Bologna il 5 agosto 1925, residente a
 Bologna, via Bellombra n. 16, difeso dall'avv.  Francesco  Arnone  di
 Bologna;
      3)  Magagnoli Mario, nato a Bologna il 18 agosto 1926, residente
 a Bologna, via Bondi n. 23, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti,
 entrambi di Bologna;
      4)  Magagnoli  Maurizio,  nato  a  Bologna  il  15  luglio 1951,
 residente a Bologna, via Alessandra Bonci n. 2, difeso dagli avvocati
 Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna;
      5)  Magagnoli  Vittorio,  nato  a  Bologna  il  10  aprile 1916,
 residente a Bologna, via delle Rose  n.  30,  difeso  dagli  avvocati
 Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna;
      6)  Terzi Rosa, nata a Bologna il 26 settembre 1925, residente a
 Bologna, via Bondi n. 23, difesa dagli avvocati Insolera  e  Zanotti,
 entrambi di Bologna;
      7)  Terzi  Rina,  nata  a  San Giovanni in Persiceto il 2 giugno
 1920, residente a  Bologna,  via  Brugnoli  n.  6,  difesa  dall'avv.
 Antonio Tebano di Bologna;
      8)  Morelli  Alfredo,  nato  a  Firenze  il  30  novembre  1910,
 residente a Bologna, via Don Minzoni n. 4, difeso  dall'avv.  Antonio
 Tebano di Bologna;
      9) Boni Giovanna, nata a Bologna il 5 novembre 1952, residente a
 Bologna, via M.E. Lepido n. 18/2, difesa dagli  avvocati  Insolera  e
 Zanotti, entrambi di Bologna;
      10)  Boni  Luigi,  nato  a Bologna il 2 giugno 1950, residente a
 Bologna, via Guazzaloca n.  10,  difeso  dagli  avvocati  Insolera  e
 Zanotti, entrambi di Bologna;
      11) Resnati Bruno, nato a Sovico il 9 febbraio 1943, residente a
 Sovio (Milano), via Fiume n. 62, difeso  dagli  avvocati  Insolera  e
 Zanotti, entrambi di Bologna;
      12) Valentini Maria, nata a Ravena il 31 gennaio 1922, residente
 a Bologna, via Carlo Pepoli, 28, difesa  dagli  avvocati  Insolera  e
 Zanotti, entrambi di Bologna;
      13) Conti Maria, nata a Monterenzio il 20 aprile 1930, residente
 a Bologna, via Silvagni  n.  7,  difesa  dagli  avvocati  Insolera  e
 Zanotti, entrambi di Bologna;
      14) Scipioni Vincenzo, deceduto;
      15) Boni Pietro, deceduto,
 indiziati;
      16)  Traina Gregorio, nato a Palermo il 3 agosto 1952, residente
 a Palermo, via T. Natale, 80/B,  difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      17)  Sicari  Francesco,  nato  a  Bologna  il  24  giugno  1942,
 residente a Bologna, via Manin, 14;
      18)  Saporiti  Manuele, nato a Formignana (Ferrara), residente a
 Genova, via Capri, 4/19, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna;
      19)  Sacchetti  Giorgio,  nato  a  Milano  il  21  luglio  1950,
 residente a Chieve (Cremona), via Zanelli n. 9, difeso  dall'avv.  M.
 Cicognani di Bologna;
      20)  Ricci  Giovanni,  nato  a  Pescara  il  1›  dicembre  1947,
 residente  a  Pescara,  via  Tiburtina,  148,  difeso  dall'avv.   M.
 Cicognani di Bologna;
      21)  Posarelli  Mauro,  nato  a Castelfiorentino (Firenze) il 22
 luglio 1948, ivi residente, via Canonico Cioni n. 4;
      22)  Podesta'  Fabio,  nato a Caorso (Piacenza), residente a San
 Giorgio Piacentino (Piacenza), via S. Giuseppe, 30;
      23)  Rutigliano  Andrea, nato a Firenze il 6 settembre 1949, ivi
 residente, viale Don Minzoni n. 29, difeso dall'avv. M. Cicognani  di
 Bologna;
      24)  Nicolazzi Aldo, nato a Petilia Policastro (Catanzaro) il 24
 gennaio 1957, ivi residente, via Garibaldi, 46/h;
      25)  Mosca Bruno, nato a Triuggio (Milano) il 7 agosto 1952, ivi
 residente, via  Monterosa,  41,  difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      26)  Moriconi  Piero,  nato  a  Roma  il  4  dicembre  1947, ivi
 residente, via Vittorio Polacco, 21, elettivamente domiciliato presso
 lo  studio dell'avv. L. Strazziari, difeso dall'avv. L. Strazziari di
 Bologna;
      27)  Montanari Leo, nato a Forle' il 10 dicembre 1944, residente
 a Vicenza, via Monteverdi n. 9,  difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      28)  Mari  Antonietta,  nata a Roma il 24 aprile 1925, residente
 ivi, via Bradano, 6;
      29)  Licitri  Ugo,  nato  a  Roma  il  19  settembre  1921,  ivi
 residente, via Bradano n. 6;
      30)  Gregori  Giuseppe,  nato a Cupra Marittima (Ascoli Piceno),
 residente a Fermo, via Langlois, 23, difeso dagli avv.ti G.  Olivieri
 e L. Olivieri di San Benedetto del Tronto;
      31)  Gorla  Romeo, nato a Roma il 10 maggio 1950, ivi residente,
 via Baldo degli Ubaldi n. 250;
      32)  Fiore  Adriano,  nato  ad  Ancona  il 15 febbraio 1950, ivi
 residente, via Trieste, 34, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna;
      33)  Finardi  Gianluca,  nato  a Treviglio il 14 marzo 1962, ivi
 residente, via Buonarrotti s.n.;
      34)  Favini  Edmondo,  nato  a  Torino  il  3 dicembre 1943, ivi
 residente, corso Emilia n. 32, difeso dall'avv.  Giulio  Pronesti  di
 Torino;
      35)  Farina  Giuseppe,  nato  a  Taranto  il 19 aprile 1958, ivi
 residente, via Mazzini, 81, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna;
      36)  Fantini Nicola, nato a Firenze il 22 agosto 1960, residente
 a Sesto Fiorentino (Firenze), via Albericcio n. 3,  difeso  dall'avv.
 M. Cicognani di Bologna;
      37)  Duro  Salvatore,  nato  a  Catania  il  2  maggio 1956, ivi
 residente, via Aci Castello, 15, difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      38)  De  Vercelli  Emilio,  nato  a  Genova  il  18  marzo 1929,
 residente a Modena, fraz. Cognento, via Benzi n. 34, difeso dall'avv.
 M. Cicognani di Bologna;
      39)  De  Petrillo  Benedetto, nato a Napoli il 9 settembre 1959,
 ivi residente, via Cagnazzi, 31, difeso dall'avv. Antonio Di Tuoro di
 Napoli (via Nolana, 38);
      40)  Conti  Alberto,  nato  a  Bologna  il  6 febbraio 1964, ivi
 residente, via Ercole Lelli, 15, difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      41)  Buzzo  Danilo,  nato a Venezia Zelarino il 23 gennaio 1949,
 residente  a  Martellago  (Venezia),  via  Trento  n.  22/3,   difeso
 dall'avv. M. Cicognani di Bologna;
      42)  Braida  Franco, nato a Udine il 22 giugno 1948, residente a
 Monfalcone, via Aulo Manlio, 34, difeso dall'avv. Giulio Pronesti  di
 Torino (via Garibaldi, 31);
      43)  Borchi  Giorgio,  nato  a  Firenze  il  7 gennaio 1929, ivi
 residente, via P. Mascagni, 19,  difeso  dall'avv.  M.  Cicognani  di
 Bologna;
      44)   Bertani  Walter,  nato  a  Abbiategrasso  (Milano)  il  1›
 settembre 1955, ivi residente, via Galeazzo Sforza n. 68, imputati, i
 primi dieci:
       A)  del  delitto  p.p. dagli artt. 110, 112, n. 1, 81 cpv., del
 c.p. e 4, n. 7, del d.-l. 10 luglio 1982, n.  429,  convertito  nella
 legge 7 agosto 1982, n. 516, per avere:
       il  primo  -  Conti  Silvano - nella qualita' di amministratore
 unico della S.p.a. A.P.A.;
       Morelli  Alfredo,  Terzi Rina, Magagnoli Mario - nella qualita'
 di sindaci e  quest'ultimo  anche  di  socio  al  pari  di  Magagnoli
 Vittorio,  Terzi  Rosa,  Resnati  Bruno, Scipioni Enzo e Boni Pietro;
 Masotti - nella qualita' di rappresentante della societa',
 agendo  tutti  in  concerto  ed  in concorso tra loro con piu' azioni
 esecutive del medesimo  disegno  criminoso  al  fine  di  evadere  le
 imposte  sui  redditi,  redatto  le  scritture contabili obbligatorie
 omettendo di annotare:
      1) per l'anno 1982 ricavi per L. 126.922.698;
      2) per l'anno 1983 ricavi per L. 202.098.921;
      3) per l'anno 1984 ricavi per L. 207.082.921;
      4) per l'anno 1985 ricavi per L. 260.579.858;
      5) per l'anno 1986 ricavi per L. 18.186.402,
 corrispondenti  a  vendite  "in  nero" eseguite previa intesa con gli
 agenti di commercio ed i clienti, distruggendo poi di volta in  volta
 la  documentazione relativa alle commissioni ricevute e sostituendole
 in parte con  altra  recante  indicazioni  quantitative  inferiori  a
 quelle  reali;  emettendo  fatture  per  i minori equivalenti valori,
 eseguendo consegne di merci simulando  la  corrispondenza  di  quanto
 trasportato al contenuto delle, ideologicamente false, relative bolle
 di accompagnamento, inserendo in ciascun collo prodotti in  quantita'
 superiori   a   quella   esposta,   depositando  le  somme  incassate
 clandestinamente su libretti di risparmio al portatore, annotando nel
 giornale  mastro  fittizi  prestiti eseguiti dai soci in favore della
 societa' e quindi l'avvenuta parimenti  fittizia  restituzione  degli
 stessi  cosi'  legittimando  formalmente  la  distribuzione del nero,
 alterando i valori del magazzino  armonizzandoli  con  l'entita'  dei
 ricavi  occultati; redigendo, infine, in conformita' le dichiarazioni
 dei redditi relative agli anni 1982, 1983, 1984 e 1985,  dissimulando
 in  tal  modo  gli  indici componenti positivi del reddito d'impresa,
 cosi' da alterare in  misura  rilevante  il  risultato  di  ciascuna,
 risultando esposto per:
      1)  il  1982  un  reddito lordo pari a L. 298.583.000 invece del
 reale di L. 425.505.698;
      2)  il  1983  un  reddito lordo pari a L. 199.666.000 invece del
 reale di L. 401.764.747;
      3)  il  1984  un  reddito lordo pari a L. 184.504.000 invece del
 reale di L. 391.586.921, continuazione cessata il 30 maggio 1986;
 Conti, Morelli, Terzi e Magagnoli Mario:
       B)  del  delitto p.p. dagli artt. 110, 81 cpv., del c.p. e 2621
 del c.c. per avere in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo
 disegno  criminoso  il  Conti  quale amministratore unico dell'A.P.A.
 S.p.a. e gli altri  quali  sindaci  della  stessa  societa',  esposto
 fraudolentemente nei bilanci degli anni 1981, 1982, 1983, 1984 e 1985
 della societa' fatti non  corrispondenti  al  vero  sulle  condizioni
 economiche  della  stessa,  di cui al capo che precede. Continuazione
 cessata il 30 maggio 1986;
 Conti  Silvano,  Morelli,  Terzi  Rina,  Magagnoli  Mario,  Magagnoli
 Maurizio, Terzi Rosa, Resnati  Bruno,  Scipioni  Enzo,  Conti  Maria,
 Valentini Maria, Boni Luigi, Boni Giovanna:
       C)  della  contravvenzione p.p. dall'art. 1, secondo comma, nn.
 1, 2 e quarto comma, del d.-l. n. 429/1982  convertito  in  legge  n.
 516/1982 per avere:
       1)  Conti  Silvano nella qualita' di amministratore unico della
 A.P.A. S.p.a.;
       2)  Morelli, Terzi, Magagnoli Mario, nella qualita' di sindaci,
 e quest'ultimo anche socio al pari di Magagnoli Maurizio, Terzi Rosa,
 Resnati  Bruno,  Scipioni  Enzo,  Conti  Maria, Valentini Maria, Boni
 Luigi e Boni Giovanna, agendo tutti in concorso tra loro al  fine  di
 evadere le imposte sui redditi e l'Iva, avendo effettuato cessione di
 beni, indicato nella  fattura  i  relativi  corrispettivi  in  misura
 inferiore  a  quella reale risultando l'ammontare di essi inferiore a
 lire 300 milioni perche' pari a L. 260.597.858,  nonche'  per  l'anno
 1986  evadendo  Iva  per  lire 18 milioni, fatto accertato l'11 marzo
 1986;
       D)  del  delitto  di cui all'art. 1, punto 3, 81 cpv., del c.p.
 della  legge  n.  516/1982  per  avere  omesso  di  denunziare  nelle
 rispettive  dichiarazioni  dei redditi sul modello 740, in esecuzione
 di  un  medesimo  disegno  criminoso,  i  redditi   derivanti   dalla
 distribuzione degli utili non contabilizzati per un importo superiore
 a lire 50 milioni nelle dichiarazioni dei redditi relative agli  anni
 1982,  1983,  1984,  1985  e 1986, continuazione cessata il 30 maggio
 1986;
 Conti Silvano inoltre:
       E)  del  reato  di cui all'art. 1, ultimo comma, della legge n.
 516/1982 per non aver tenuto in conformita' alla legge n. 600/1973 le
 scritture contabili obbligatorie della A.P.A. S.p.a. per l'anno 1986,
 accertato in Bologna l'11 marzo 1986;
    Letti gli atti;
    Viste le requisitorie del p.m.;
                             O S S E R V A
                                   I
    In  ordine  al  reato  di  cui  al  capo  A)  dell'imputazione  va
 preliminarmente risolta la questione di legittimita'  costituziomnale
 dell'art.  4,  n. 7, della legge n. 516/1982 congiuntamente sollevata
 dalla difesa e dal p.m.
    In  proposito,  pur  essendo  l'ammontare  delle somme indicate in
 imputazione di una certa entita', non puo' negarsi la rilevanza della
 questione  di  costituzionalita',  poiche', come gia' ha sostenuto in
 proposito la suprema Corte di cassazione, il  giudizio  di  rilevanza
 prescinde  dall'ammontare  delle somme evase. Infatti il merito della
 causa costituisce  sul  piano  logico  un  elemento  successivo  alla
 decisione sulla legittimita' delle norme applicate.
    Per  conseguenza  non puo' negarsi che sara' possibile definire il
 comportamento contestato agli imputati come  "alterazione  rilevante"
 del risultato della dichiarazione dei redditi solo se sia esattamente
 definita la portata della norma applicata.
     A.  -  Il  primo  profilo di illegittimita' viene ravvisato nella
 violazione  del  principio  costituzionale  di  eguaglianza  di   cui
 all'art. 3 della Costituzione.
    Esso  puo'  essere  cosi'  enunciato: "Poiche' sia l'art. 4, n. 7,
 della legge n. 516/1982 che l'art. 1,  secondo  comma,  n.  3,  della
 medesima  legge puniscono lo stesso fatto (infedele dichiarazione dei
 redditi) non e' ragionevole la notevole diversita' di disciplina  tra
 titolari  di  redditi  di  lavoro  autonomo  e di impresa rispetto ai
 percettori dei redditi da  capitali  o  fondiari.  Questa  disparita'
 viola il principio di eguaglianza stabilito dalla Costituzione".
    Senonche',   come   ha  gia'  esattamente  rilevato  il  p.m.,  la
 differenziazione di trattamento sanzionatorio riscontrabile nelle due
 ipotesi  criminose e' riconducibile ad esigenze di politica criminale
 non sindacabili in  sede  di  illegittimita'  costituzionale  perche'
 riconducibili a situazioni diverse.
    Da  un  lato  i  percettori  di  redditi  di  lavoro autonomo e di
 impresa, ritenuti non a  torto  dotati  di  piu'  alta  capacita'  di
 evasione,  dall'altro  i percettori di reddito di lavoro dipendente e
 di  reddito  fondiario  ragionevolmente  ritenuti  fiscalmente   meno
 pericolosi.
    Infatti  diverso  e'  il modo di produrre i redditi (da un lato vi
 sono redditi di  "formazione  complessa",  dall'altra  a  "formazione
 semplice";  diversa e' la trasparenza contabile e gestionale, diversa
 infine e' l'imposizione tributaria.
    La  stessa  Corte  costituzionale (sent. 8 luglio 1982, n. 123) ha
 ritenuto fondamentale la differenza di situazioni  esistente  tra  la
 gestione  economica di una attivita' che trova la sua espressione nel
 bilancio e nel rendiconto annuale e  la  gestione  economica  di  una
 attivita'   che  non  comporti  obblighi  generali  di  rendiconto  e
 documentazione.
    La diversita' delle situazioni rende pertanto non irragionevole la
 discriminazione sanzionatoria, a maggior ragione ove si consideri che
 gli  amministratori  di  societa'  di  capitali  non sono esclusi dal
 novero dei soggetti attivi previsti dall'art. 4, n. 7.
    L'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra i comportamenti
 incriminati dall'art. 4, n. 7,  della  legge  n.  516/1982  e  quelli
 incriminati  dall'art. 1, secondo comma, n. 3, della stessa legge non
 e'  ipotizzabile  del  resto,  non  solo  perche'  diverse  sono   le
 situazioni  oggettive  prese  in  considerazione  dalle due norme, ma
 anche  perche'  a  diverso  trattamento  sono  sottoposti  l'elemento
 psicologico   del   reato,  la  configurabilita'  del  tentativo,  la
 possibilita' di estinguere il reato mediante oblazione.
    In  conclusione,  quanto  alla  ipotizzata violazione del precetto
 costituzionale di eguaglianza,  e'  pienamente  giustificato  che  il
 legislatore  nell'ambito  del  proprio  potere  discrezionale,  abbia
 differenziato il trattamento di fattispecie diverse: da  un  lato  la
 semplice   infedele  dichiarazione,  dall'altra  una  attivita'  piu'
 complessa  qual'e'  l'infedelta'   della   dichiarazione   realizzato
 mediante  occultamento  e/o  simulazione  da  parte di chi sia tenuto
 all'obbligo delle scritture contabili.
     B. - Il secondo profilo di illegittimita' costituzionale consiste
 nella violazione del principio di determinatezza della fattispecie di
 cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, essendo rimesso a
 discrezionale valutazione del giudice  l'elemento  costitutivo  della
 rilevante misura dell'alterazione.
    Il  principio  costituzionale  stabilisce  infatti  il  dovere del
 legislatore di procedere, al momento della creazione della norma,  ad
 una   precisa  determinazione  della  fattispecie  legale,  affinche'
 risulti chiaramente distinto cio' che e' penalmente  lecito  da  cio'
 che e' penalmente illecito.
    Tale  principio,  quindi,  assicura  la  certezza della legge, per
 evitare  l'arbitrio  del   giudice,   garantendo,   di   conseguenza,
 l'eguaglianza  dei  cittadini a parita' di condotta e la possibilita'
 per questi di conoscere cio' che penalmente e' vietato,  al  fine  di
 decidere  consapevolmente il proprio comportamento, nonche' lo stesso
 diritto di difesa.
    Nella   sua   applicazione   concreta,   problema  centrale  della
 tassativita' e' l'individuazione del grado  di  determinatezza  della
 fattispecie,  necessario  e  sufficiente perche' tale principio possa
 ritenersi  soddisfatto,  non  esistendo  la  certezza  assoluta   del
 diritto.
    Si  afferma  in  dottrina  che tale principio e' violato quando la
 norma, per la indeterminatezza dei suoi connotati,  non  consente  di
 individuare,  nonostante il massimo sforzo interpretativo, il tipo di
 fatto disciplinato, cosi' da indurre il  giudice  a  fare  ricorso  a
 fonti extragiuridiche.
    La Corte costituzionale nelle diverse pronunce in materia, ritiene
 rispettato  il  principio  costituzionalmente   quando   vi   e'   la
 possibilita' di determinare la fattispecie in sede di interpretazione
 giudiziale, sulla scorta della tradizione e  dell'elaborazione  della
 dottrina e della giurisprudenza.
    La  Corte  ha ritenuto che pur di fronte a indicazioni estensive o
 esemplificative, l'interprete della legge e' chiamato ad  attuare  il
 procedimento  ordinario  di  interpretazione,  anche  se  diretto  ad
 operare l'inserzione del caso concreto in una fattispecie molto ampia
 e di non agevole interpretazione.
    Cio'  premesso  occorre  dunque  verificare  se  l'elemento  della
 "alterazione in misura rilevante" previsto dall'art.  4,  n.  7,  non
 "consente    di    individuare,    nonostante   il   massimo   sforzo
 interpretativo, il fatto disciplinato" inducendo il  giudice  a  fare
 ricorso a "fonti extragiuridiche".
    Occorre  in  altre  parole  (quelle  della  Corte  costituzionale)
 stabilire  se  l'indiscussa  elasticita'  dell'elemento  "alterazione
 rilevante"  puo'  eseere  sufficientemente  circoscritta,  in modo da
 raggiungere un'accettabile  grado  di  determinatezza  "sulla  scorta
 della   tradizione   e   dell'elaborazione  della  dottrina  e  della
 giurisprudenza".
    Copiosa  giurisprudenza oltre che autorevole dottrina ha delineato
 due criteri - contrapposti - atttraverso cui determinare la rilevanza
 dell'alterazione.
    Il   primo   criterio  (c.d.  "oggettivo")  ritiene  doversi  dare
 rilevanza alla lesione subita dall'Erario, per cui vi deve essere una
 evasione  sostanziosa proprio dal punto dii vista oggettivo, onde non
 far innescare il meccanismo repressivo per evasioni  di  poco  conto,
 ancorche',  con  riferimento  al  singolo  contribuente  ci  sia  una
 differenza notevole tra il dichiarato e l'accertato.
    La  tesi  che  segue il cosiddetto criterio "soggettivo", ritiene,
 viceversa, doversi fare un raffronto comparativo tra  quello  che  e'
 l'oggetto,  il  valore  dell'evasione,  e la natura, l'importanza del
 contribuente (rectius: della sua capacita' contributiva),  rinvenendo
 nell'art.   53   della   Costituzione  un  criterio  fondamentale  di
 riferimento.
    In particolare, si e' autorevolmente rilevato che, proprio perche'
 la individuazione concreta della rilevanza dell'alterazione e' basata
 sul   criterio  della  capacita'  contributiva,  essa  doveva  essere
 necessariamente rimessa al giudice.
    Una  parte della giurisprudenza, ha ritenuto doversi agganciare la
 "rilevante alterazione" ai valori assoluti previsti dall'art. 1 della
 legge  n.  516/1982, che altri, invece, ritengono essere un parametro
 indicativo ed eventualmente sussidiario che deve essere integrato con
 il criterio del riferimento alla capacita' contributiva.
    Da   ultimo  e'  necessario  ricordare,  per  completezza,  quelle
 decisioni dei giudici di merito che  chiamati  a  pronunciarsi  sulla
 stessa  censura di legittimita' costituzionale, hanno individuato tre
 diversi   criteri   utilizzabili   per    valutare    la    rilevanza
 dell'alterazione,   che   qui  si  richiamano  in  sintesi:  criterio
 proporzionale; valore assoluto della differenza; entita' dell'imposta
 evitata o evitabile.
    Si  e' ritenuto che l'applicazione congiunta di tali criteri possa
 fer cadere i rischi di  violazione  del  principio  di  tassativita',
 essendo  criteri  di  natura  oggettiva, suscettibili di applicazione
 caso per caso.
    La   dottrina   e   la  giurisprudenza  dunque,  hanno  ampiamente
 analizzato  e  delineato  la  nozione  di  "alterazione   rilevante",
 tentendo   di  individuare  criteri  e  parametri  di  riferimenti  e
 valutazione  mediante  i  quali,   fermo   restando   l'ineliminabile
 soggettivismo  nell'interpretare  ed  applicare  la  legge  si  possa
 elidere il pericolo maggiore che il principio di tassativita' e' teso
 ad evitare, vale a dire l'impossibilita' di stabilire "a priori" cio'
 che e' comandato o vietato.
    Senonche'  non  sembra  che  tali  tentativi  siano sufficienti ad
 impedire proprio quella elasticita'  ed  incertezza  di  applicazione
 della legge penale che il principio di predeterminazione legale vuole
 evitare.
    Il criterio percentualistico infatti, seppure e' soddisfacente sul
 piano del rapporto tra contribuente e fisco considerato di  per  se',
 non  lo  e'  altrettanto  sul  piano  generale  potendo  dar  luogo a
 sensibili differenze  di  trattamento  tra  evasioni  percentualmente
 elevate,  ma assai modeste in assoluto, ed altre di rilevante importo
 anche se di minimo rilievo percentuale.
    Il  criterio  del  valore  assoluto  dell'evasione,  ovvero quello
 dell'entita' del  danno  recato  all'erario,  a  sua  volta  potrebbe
 determinare  la  punibilita'  di  evasioni  pur  rilevanti  quanto ad
 ammontare, ma di minimo valore percentuale o, viceversa, escludere la
 punibilita' di evasioni percentuali molto elevate anche se di modesto
 ammontare.
    Ora  e'  possibile  che  un  uso  oculato  e  coerente  di criteri
 interpretativi omogenei da parte di tutti i giudici  possa  eliminare
 gli  inconvenienti  di  incertezza e disparita' di trattamento che un
 siffatto meccanismo potrebbe produrre, ma e' pur vero (e l'esperienza
 lo  dimostra)  che  e'  probabile  anche  una profonda difformita' di
 trattamento  di  casi  simili   con   margini   di   discrezionalita'
 nell'applicazione  della  norma  che  in materia penale sono estranei
 alla nostra tradizione.
    La verita' e' che le carenze strutturali della fattispecie penale,
 ed in particolare quelli relativi alla  individuazione  dell'elemento
 materiale  (la  corretta  classificazione  dogmatica  della rilevante
 alterazione e' controversa poiche' secondo alcuni essa va  ricondotta
 alla   nozione  di  evento,  secondo  altri  a  quella  di  condotta)
 comportano  la  necessita'  per  il  giudice  di   colmare   in   via
 interpretativa tale lacuna e cio' non e' sicuramente accettabile.
    Non  si  puo'  infattti sostenere che l'incertezza che ne consegue
 possa essere superata facendo  ricorso  a  criteri  desumibili  dalla
 normale esperienza ovvero a giudizi di valore di altro genere.
    Non  e' invero applicabile la soglia di punibilita' fissata per le
 contravvenzioni  di  cui   all'art.   1   della   legge   in   esame,
 insuscettibile di applicazione analogica.
    Non  possono  essere  utilizzati valori morali o sociali, i quali,
 per la peculiarita' stessa  della  materia  tributaria,  appartengono
 concettualmente a sfere di interessi del tutto diverse.
    Sarebbe  anzi  estremamente  pericoloso  trasportare  (cosi'  come
 alcuni giudici hanno piu'  o  meno  consapevolmente  fatto)  concetti
 etico-sociali  al  campo  degli  interessi  finanziari  dello  Stato,
 introducendo una concezione etica dello  Stato  (che  francamente  si
 aveva  ragione di ritenere superata) oltre che una configurazione dei
 compiti del giudice  penale  piu'  vicina  a  quelli  dei  funzionari
 dell'Amministrazione finanziaria che della magistratura.
    Non  resta  dunque  che rimettere al legislatore la disciplina del
 caso il quale, del resto, puo' essere facilmente risolto.
    Volendo  tener  conto  tanto  degli  interessi del fisco che della
 capacita' contributiva del cittadino si potra' invero prevedere  come
 criterio  assoluto  una  soglia  di  punibilita'  e  come criterio un
 elemento percentualistico.
    La  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita', come si e'
 detto all'inizio, e'  fuori  discussione  ponendosi  la  stessa  come
 pregiudiziale alla decisione di merito.
                                  I I
    Non  puo'  invece  trovare  accoglimento  la  tesi difensiva della
 necessita' di immediato proscioglimento degli imputati Boni  Giovanna
 e  Luigi,  Valentini,  Resnati,  Magagnoli Maurizio e Vittorio, Conti
 Maria e Terzi Rosa.
    Non  e'  possibile infatti sostenere che manchi nei loro confronti
 ogni elemento di prova in ordine  alla  partecipazione  a  titolo  di
 concorso nel reato di frode fiscale.
    Il  concorso di persone nel reato puo' concretarsi invero anche in
 forme diverse dalla materiale esecuzione della condotta punibile.
    Nel caso in esame, diversamente da quanto mostra di ritenere anche
 il rappresentante dell'accusa, il  meccanismo  della  frode  fiscale,
 fondato  su  un  complesso  sistema  di vendite "in nero" e di doppia
 contabilita',  ed  il  tipo  di  distribuzione  degli   utili   cosi'
 realizzati,  non  potevano  avvenire  se non previo concerto e con il
 contributo intellettuale di tutti i soci.
    E'  provato  infatti  che,  seppure  erano  gli  amministratori  a
 redigere le scritture contabili depositando le somme sui libretti  di
 risparmio  al portatore, ai soci venivano distribuiti utili "in nero"
 secondo un sistema di contabilizzazione che prevedeva necessariamente
 il consapevole contributo di tutti coloro che ne beneficiavano.
    Basti   dire  che  gli  utili  distribuiti  sotto  banco  venivano
 contabilizzati secondo le percentuali di  partecipazione  di  ciascun
 socio.   Ognuno  aveva  pertanto  controllo  e  quindi  accesso  alla
 contabilita' nera. Tutti necessariamente hanno  posto  in  essere  un
 accordo  criminoso  avente  quale  finalita' l'evasione fiscale ed il
 riparto delle quote di reddito occultate al fisco.
    Gli  stessi legami di parentela tra amministratori, sindaci e soci
 solo elemento indiziario da valutare. A  tutti,  per  conseguenza  va
 attribuita la responsabilita' delle relative condotte.
    Non  va  dimenticato  del  resto  che  in  questa sede deve essere
 accertata l'esistenza di "prove sufficienti" al  rinvio  a  giudizio,
 condizione  questa  che  ad  avviso  di questo g.i. appare pienamente
 realizzata.
    Si   deve   pertanto   respingere   la   richiesta   di  immediato
 proscioglimento  presentata  nell'interesse  degli   imputati   sopra
 indicati, la cui posizione non puo' essere stralciata.
    Neppure puo' trovare accoglimento la tesi del p.m. secondo cui gli
 imputati debbono rispondere  del  delitto  di  ricettazione.  Invero,
 oltre  che  incompatibile  con  il  ritenuto concorso con il reato di
 frode fiscale, tale tesi appare inaccettabile poiche' si  risolve  in
 un'ammissibile  rovesciamento logico degli elementi della fattispecie
 penale dell'art. 648 del c.p.
    E' pacifico infatti che il denaro sottratto al fisco avesse lecita
 provenienza perche' frutto di attivita' d'impresa.
    Il  suo  ricevimento  non  puo' di per se' costituire reato e, per
 conseguenza, il reato fiscale commesso si pone come un  comportamento
 successivo  al  momento  produttivo  del  reddito e dotato di una sua
 autonoma previsione penale.
                                 I I I
    In  ordine  ai capi B) e C) dell'imputazione si impone il rinvio a
 giudizio degli imputati dinnanzi  al  tribunale  di  Bologna,  previa
 separazione  degli  atti  relativi  esistendo  prove  sufficienti  di
 colpevolezza  desunti:  dagli  accertamenti  di  polizia  giudiziaria
 compiuti  dalla  guardia  di  finanza; dalla perizia contabile; dalla
 consulenza contabile disposta in sede  civile;  dalle  testimonianze;
 dagli stessi interrogatori degli imputati.
    Quanto  alla  posizione  dei  sindaci va considerato che Magagnoli
 Mario oltre che sindaco era anche socio.  Non  si  vede  dunque  come
 possa  negarsi  che anche i sindaci fossero pienamente consapevoli di
 tutti gli illeciti commessi.
    Del resto lo stesso meccanismo utilizzato per riciclare "il nero",
 non poteva essere attuato senza la complicita'  dei  sindaci.  Veniva
 infatti  utilizzato  il  sistema di sottoscrivere aumenti di capitale
 facendo figurare come provenienti dai soci le relative somme le quali
 poi venivano rimborsate quale restituzione di finanziamenti ricevuti.
                                  I V
    Non e' ipotizzabile il concorso nei reati di frode fiscale in capo
 a tutti gli agenti di commercio.
    Nei loro confronti si pone il problema di procedere singolarmente,
 da parte delle competenti autorita', in ordine ai  reati  fiscali  da
 loro commessi in sede di denuncia dei redditi.
                                P. Q. M.
    Dichiara    non   manifestamente   infondata   la   questione   di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, n.  7,  della
 legge  7  agosto  1982,  n.  516, in riferimento all'art. 25, secondo
 comma, della Costituzione nella parte in cui  prevede  come  elemento
 costitutivo  del  reato  la rilevante alterazione del risultato della
 dichiarazione dei redditi;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la
 decisione della questione, previo stralcio degli  atti  limitatamente
 al capo A) dell'imputazione;
    Visto l'art. 374 del c.p.p.;
    Dichiara chiusa la formale istruzione;
    Ordina  il  rinvio  a  giudizio di Conti Silvano, Morelli Alfredo,
 Terzi Rina, Magagnoli Mario, Magagnoli Maurizio, Terzi Rosa,  Resnati
 Bruno,  Conti  Maria,  Valentini  Maria,  Boni  Luigi,  Boni Giovanna
 dinnanzi al tribunale di Bologna perche' ivi rispondano dei reati  di
 cui ai capi B), C), D) ed E) loro rispettivamente ascritti;
    Visto l'art. 74 del c.p.p.;
    Dichiara  non  doversi promuovere l'azione penale nei confronti di
 tutti gli indiziati in relazione alla ipotesi di concorso  nel  reato
 di frode fiscale;
    Visto l'art. 378 del c.p.p.;
    Dichiara  non  doversi  procedere nei confronti di Scipioni Enzo e
 Boni Pietro per essere il reato loro ascritto estinto per morte degli
 imputati.
      Bologna, addi' 29 giugno 1988
                     Il giudice istruttore: ZINCANI
                                 -----
                          TRIBUNALE DI BOLOGNA
                           UFFICIO ISTRUZIONE
    Il giudice istruttore, dott. Vito Zincani;
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale contro Conti Silvano ed
 altri imputati di frode fiscale ed altro;
    Vista la propria sentenza 29 giugno 1988;
    Ritenuto  che  per  mero  errore  materiale dovuto a difetto della
 strascrizione dattilografica alla pagina n. 7 della  sentenza  citata
 figura   la   scritta  "I  primi  dieci"  in  relazione  al  capo  A)
 dell'imputazione, anziche' la scritta "I numeri 1), 2), 3),  5),  6),
 7), 8), 11), 14) e 15)";
      che  tale  errore  non  comporta  alcuna  nullita' e puo' essere
 corretto mediante procedimennto per correzione di errore materiale;
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 149 del c.p.p.;
    Ordina  la correzione dell'errore materiale contenuto nel foglio 7
 della sentenza 29 giugno 1988 contro Conti Silvano ed altri  mediante
 sostituzione  della  scritta:  "I  primi  dieci"  che segue la parola
 "Imputati" e precede la lettera A) delle imputazioni, con la scritta:
 "I numeri 1), 2), 3), 5), 6), 7), 8), 11), 14) e 15)".
      Bologna, addi' 11 agosto 1988
                     Il giudice istruttore: ZINCANI

 89C0102