N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 giugno 1988
N. 64 Sentenza emessa il 29 giugno 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 2 febbraio 1989) dal giudice istruttore presso il tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Conti Silvano ed altri Imposte in genere - Infedele dichiarazione dei redditi - Alterazione rilevante - Indeterminatezza, in parte qua, della norma incriminatrice - Violazione del principio di tassativita' della fattispecie penale. (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7). (Cost., art. 25, secondo comma).(GU n.8 del 22-2-1989 )
IL GIUDICE ISTRUTTORE Ha pronunciato la seguente sentenza nel procedimento penale n. 159/1986 g.i., contro: 1) Conti Silvano, nato a San Lazzaro di Savena il 15 agosto 1932, ivi residente, via Della Pietra n. 11, difeso dagli avvocati Roberto Landi e Achille Melchionda, entrambi di Bologna; 2) Masotti Athos, nato a Bologna il 5 agosto 1925, residente a Bologna, via Bellombra n. 16, difeso dall'avv. Francesco Arnone di Bologna; 3) Magagnoli Mario, nato a Bologna il 18 agosto 1926, residente a Bologna, via Bondi n. 23, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 4) Magagnoli Maurizio, nato a Bologna il 15 luglio 1951, residente a Bologna, via Alessandra Bonci n. 2, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 5) Magagnoli Vittorio, nato a Bologna il 10 aprile 1916, residente a Bologna, via delle Rose n. 30, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 6) Terzi Rosa, nata a Bologna il 26 settembre 1925, residente a Bologna, via Bondi n. 23, difesa dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 7) Terzi Rina, nata a San Giovanni in Persiceto il 2 giugno 1920, residente a Bologna, via Brugnoli n. 6, difesa dall'avv. Antonio Tebano di Bologna; 8) Morelli Alfredo, nato a Firenze il 30 novembre 1910, residente a Bologna, via Don Minzoni n. 4, difeso dall'avv. Antonio Tebano di Bologna; 9) Boni Giovanna, nata a Bologna il 5 novembre 1952, residente a Bologna, via M.E. Lepido n. 18/2, difesa dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 10) Boni Luigi, nato a Bologna il 2 giugno 1950, residente a Bologna, via Guazzaloca n. 10, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 11) Resnati Bruno, nato a Sovico il 9 febbraio 1943, residente a Sovio (Milano), via Fiume n. 62, difeso dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 12) Valentini Maria, nata a Ravena il 31 gennaio 1922, residente a Bologna, via Carlo Pepoli, 28, difesa dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 13) Conti Maria, nata a Monterenzio il 20 aprile 1930, residente a Bologna, via Silvagni n. 7, difesa dagli avvocati Insolera e Zanotti, entrambi di Bologna; 14) Scipioni Vincenzo, deceduto; 15) Boni Pietro, deceduto, indiziati; 16) Traina Gregorio, nato a Palermo il 3 agosto 1952, residente a Palermo, via T. Natale, 80/B, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 17) Sicari Francesco, nato a Bologna il 24 giugno 1942, residente a Bologna, via Manin, 14; 18) Saporiti Manuele, nato a Formignana (Ferrara), residente a Genova, via Capri, 4/19, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 19) Sacchetti Giorgio, nato a Milano il 21 luglio 1950, residente a Chieve (Cremona), via Zanelli n. 9, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 20) Ricci Giovanni, nato a Pescara il 1 dicembre 1947, residente a Pescara, via Tiburtina, 148, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 21) Posarelli Mauro, nato a Castelfiorentino (Firenze) il 22 luglio 1948, ivi residente, via Canonico Cioni n. 4; 22) Podesta' Fabio, nato a Caorso (Piacenza), residente a San Giorgio Piacentino (Piacenza), via S. Giuseppe, 30; 23) Rutigliano Andrea, nato a Firenze il 6 settembre 1949, ivi residente, viale Don Minzoni n. 29, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 24) Nicolazzi Aldo, nato a Petilia Policastro (Catanzaro) il 24 gennaio 1957, ivi residente, via Garibaldi, 46/h; 25) Mosca Bruno, nato a Triuggio (Milano) il 7 agosto 1952, ivi residente, via Monterosa, 41, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 26) Moriconi Piero, nato a Roma il 4 dicembre 1947, ivi residente, via Vittorio Polacco, 21, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. L. Strazziari, difeso dall'avv. L. Strazziari di Bologna; 27) Montanari Leo, nato a Forle' il 10 dicembre 1944, residente a Vicenza, via Monteverdi n. 9, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 28) Mari Antonietta, nata a Roma il 24 aprile 1925, residente ivi, via Bradano, 6; 29) Licitri Ugo, nato a Roma il 19 settembre 1921, ivi residente, via Bradano n. 6; 30) Gregori Giuseppe, nato a Cupra Marittima (Ascoli Piceno), residente a Fermo, via Langlois, 23, difeso dagli avv.ti G. Olivieri e L. Olivieri di San Benedetto del Tronto; 31) Gorla Romeo, nato a Roma il 10 maggio 1950, ivi residente, via Baldo degli Ubaldi n. 250; 32) Fiore Adriano, nato ad Ancona il 15 febbraio 1950, ivi residente, via Trieste, 34, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 33) Finardi Gianluca, nato a Treviglio il 14 marzo 1962, ivi residente, via Buonarrotti s.n.; 34) Favini Edmondo, nato a Torino il 3 dicembre 1943, ivi residente, corso Emilia n. 32, difeso dall'avv. Giulio Pronesti di Torino; 35) Farina Giuseppe, nato a Taranto il 19 aprile 1958, ivi residente, via Mazzini, 81, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 36) Fantini Nicola, nato a Firenze il 22 agosto 1960, residente a Sesto Fiorentino (Firenze), via Albericcio n. 3, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 37) Duro Salvatore, nato a Catania il 2 maggio 1956, ivi residente, via Aci Castello, 15, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 38) De Vercelli Emilio, nato a Genova il 18 marzo 1929, residente a Modena, fraz. Cognento, via Benzi n. 34, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 39) De Petrillo Benedetto, nato a Napoli il 9 settembre 1959, ivi residente, via Cagnazzi, 31, difeso dall'avv. Antonio Di Tuoro di Napoli (via Nolana, 38); 40) Conti Alberto, nato a Bologna il 6 febbraio 1964, ivi residente, via Ercole Lelli, 15, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 41) Buzzo Danilo, nato a Venezia Zelarino il 23 gennaio 1949, residente a Martellago (Venezia), via Trento n. 22/3, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 42) Braida Franco, nato a Udine il 22 giugno 1948, residente a Monfalcone, via Aulo Manlio, 34, difeso dall'avv. Giulio Pronesti di Torino (via Garibaldi, 31); 43) Borchi Giorgio, nato a Firenze il 7 gennaio 1929, ivi residente, via P. Mascagni, 19, difeso dall'avv. M. Cicognani di Bologna; 44) Bertani Walter, nato a Abbiategrasso (Milano) il 1 settembre 1955, ivi residente, via Galeazzo Sforza n. 68, imputati, i primi dieci: A) del delitto p.p. dagli artt. 110, 112, n. 1, 81 cpv., del c.p. e 4, n. 7, del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, per avere: il primo - Conti Silvano - nella qualita' di amministratore unico della S.p.a. A.P.A.; Morelli Alfredo, Terzi Rina, Magagnoli Mario - nella qualita' di sindaci e quest'ultimo anche di socio al pari di Magagnoli Vittorio, Terzi Rosa, Resnati Bruno, Scipioni Enzo e Boni Pietro; Masotti - nella qualita' di rappresentante della societa', agendo tutti in concerto ed in concorso tra loro con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso al fine di evadere le imposte sui redditi, redatto le scritture contabili obbligatorie omettendo di annotare: 1) per l'anno 1982 ricavi per L. 126.922.698; 2) per l'anno 1983 ricavi per L. 202.098.921; 3) per l'anno 1984 ricavi per L. 207.082.921; 4) per l'anno 1985 ricavi per L. 260.579.858; 5) per l'anno 1986 ricavi per L. 18.186.402, corrispondenti a vendite "in nero" eseguite previa intesa con gli agenti di commercio ed i clienti, distruggendo poi di volta in volta la documentazione relativa alle commissioni ricevute e sostituendole in parte con altra recante indicazioni quantitative inferiori a quelle reali; emettendo fatture per i minori equivalenti valori, eseguendo consegne di merci simulando la corrispondenza di quanto trasportato al contenuto delle, ideologicamente false, relative bolle di accompagnamento, inserendo in ciascun collo prodotti in quantita' superiori a quella esposta, depositando le somme incassate clandestinamente su libretti di risparmio al portatore, annotando nel giornale mastro fittizi prestiti eseguiti dai soci in favore della societa' e quindi l'avvenuta parimenti fittizia restituzione degli stessi cosi' legittimando formalmente la distribuzione del nero, alterando i valori del magazzino armonizzandoli con l'entita' dei ricavi occultati; redigendo, infine, in conformita' le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1982, 1983, 1984 e 1985, dissimulando in tal modo gli indici componenti positivi del reddito d'impresa, cosi' da alterare in misura rilevante il risultato di ciascuna, risultando esposto per: 1) il 1982 un reddito lordo pari a L. 298.583.000 invece del reale di L. 425.505.698; 2) il 1983 un reddito lordo pari a L. 199.666.000 invece del reale di L. 401.764.747; 3) il 1984 un reddito lordo pari a L. 184.504.000 invece del reale di L. 391.586.921, continuazione cessata il 30 maggio 1986; Conti, Morelli, Terzi e Magagnoli Mario: B) del delitto p.p. dagli artt. 110, 81 cpv., del c.p. e 2621 del c.c. per avere in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso il Conti quale amministratore unico dell'A.P.A. S.p.a. e gli altri quali sindaci della stessa societa', esposto fraudolentemente nei bilanci degli anni 1981, 1982, 1983, 1984 e 1985 della societa' fatti non corrispondenti al vero sulle condizioni economiche della stessa, di cui al capo che precede. Continuazione cessata il 30 maggio 1986; Conti Silvano, Morelli, Terzi Rina, Magagnoli Mario, Magagnoli Maurizio, Terzi Rosa, Resnati Bruno, Scipioni Enzo, Conti Maria, Valentini Maria, Boni Luigi, Boni Giovanna: C) della contravvenzione p.p. dall'art. 1, secondo comma, nn. 1, 2 e quarto comma, del d.-l. n. 429/1982 convertito in legge n. 516/1982 per avere: 1) Conti Silvano nella qualita' di amministratore unico della A.P.A. S.p.a.; 2) Morelli, Terzi, Magagnoli Mario, nella qualita' di sindaci, e quest'ultimo anche socio al pari di Magagnoli Maurizio, Terzi Rosa, Resnati Bruno, Scipioni Enzo, Conti Maria, Valentini Maria, Boni Luigi e Boni Giovanna, agendo tutti in concorso tra loro al fine di evadere le imposte sui redditi e l'Iva, avendo effettuato cessione di beni, indicato nella fattura i relativi corrispettivi in misura inferiore a quella reale risultando l'ammontare di essi inferiore a lire 300 milioni perche' pari a L. 260.597.858, nonche' per l'anno 1986 evadendo Iva per lire 18 milioni, fatto accertato l'11 marzo 1986; D) del delitto di cui all'art. 1, punto 3, 81 cpv., del c.p. della legge n. 516/1982 per avere omesso di denunziare nelle rispettive dichiarazioni dei redditi sul modello 740, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, i redditi derivanti dalla distribuzione degli utili non contabilizzati per un importo superiore a lire 50 milioni nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1982, 1983, 1984, 1985 e 1986, continuazione cessata il 30 maggio 1986; Conti Silvano inoltre: E) del reato di cui all'art. 1, ultimo comma, della legge n. 516/1982 per non aver tenuto in conformita' alla legge n. 600/1973 le scritture contabili obbligatorie della A.P.A. S.p.a. per l'anno 1986, accertato in Bologna l'11 marzo 1986; Letti gli atti; Viste le requisitorie del p.m.; O S S E R V A I In ordine al reato di cui al capo A) dell'imputazione va preliminarmente risolta la questione di legittimita' costituziomnale dell'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982 congiuntamente sollevata dalla difesa e dal p.m. In proposito, pur essendo l'ammontare delle somme indicate in imputazione di una certa entita', non puo' negarsi la rilevanza della questione di costituzionalita', poiche', come gia' ha sostenuto in proposito la suprema Corte di cassazione, il giudizio di rilevanza prescinde dall'ammontare delle somme evase. Infatti il merito della causa costituisce sul piano logico un elemento successivo alla decisione sulla legittimita' delle norme applicate. Per conseguenza non puo' negarsi che sara' possibile definire il comportamento contestato agli imputati come "alterazione rilevante" del risultato della dichiarazione dei redditi solo se sia esattamente definita la portata della norma applicata. A. - Il primo profilo di illegittimita' viene ravvisato nella violazione del principio costituzionale di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Esso puo' essere cosi' enunciato: "Poiche' sia l'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982 che l'art. 1, secondo comma, n. 3, della medesima legge puniscono lo stesso fatto (infedele dichiarazione dei redditi) non e' ragionevole la notevole diversita' di disciplina tra titolari di redditi di lavoro autonomo e di impresa rispetto ai percettori dei redditi da capitali o fondiari. Questa disparita' viola il principio di eguaglianza stabilito dalla Costituzione". Senonche', come ha gia' esattamente rilevato il p.m., la differenziazione di trattamento sanzionatorio riscontrabile nelle due ipotesi criminose e' riconducibile ad esigenze di politica criminale non sindacabili in sede di illegittimita' costituzionale perche' riconducibili a situazioni diverse. Da un lato i percettori di redditi di lavoro autonomo e di impresa, ritenuti non a torto dotati di piu' alta capacita' di evasione, dall'altro i percettori di reddito di lavoro dipendente e di reddito fondiario ragionevolmente ritenuti fiscalmente meno pericolosi. Infatti diverso e' il modo di produrre i redditi (da un lato vi sono redditi di "formazione complessa", dall'altra a "formazione semplice"; diversa e' la trasparenza contabile e gestionale, diversa infine e' l'imposizione tributaria. La stessa Corte costituzionale (sent. 8 luglio 1982, n. 123) ha ritenuto fondamentale la differenza di situazioni esistente tra la gestione economica di una attivita' che trova la sua espressione nel bilancio e nel rendiconto annuale e la gestione economica di una attivita' che non comporti obblighi generali di rendiconto e documentazione. La diversita' delle situazioni rende pertanto non irragionevole la discriminazione sanzionatoria, a maggior ragione ove si consideri che gli amministratori di societa' di capitali non sono esclusi dal novero dei soggetti attivi previsti dall'art. 4, n. 7. L'ingiustificata disparita' di trattamento tra i comportamenti incriminati dall'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982 e quelli incriminati dall'art. 1, secondo comma, n. 3, della stessa legge non e' ipotizzabile del resto, non solo perche' diverse sono le situazioni oggettive prese in considerazione dalle due norme, ma anche perche' a diverso trattamento sono sottoposti l'elemento psicologico del reato, la configurabilita' del tentativo, la possibilita' di estinguere il reato mediante oblazione. In conclusione, quanto alla ipotizzata violazione del precetto costituzionale di eguaglianza, e' pienamente giustificato che il legislatore nell'ambito del proprio potere discrezionale, abbia differenziato il trattamento di fattispecie diverse: da un lato la semplice infedele dichiarazione, dall'altra una attivita' piu' complessa qual'e' l'infedelta' della dichiarazione realizzato mediante occultamento e/o simulazione da parte di chi sia tenuto all'obbligo delle scritture contabili. B. - Il secondo profilo di illegittimita' costituzionale consiste nella violazione del principio di determinatezza della fattispecie di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, essendo rimesso a discrezionale valutazione del giudice l'elemento costitutivo della rilevante misura dell'alterazione. Il principio costituzionale stabilisce infatti il dovere del legislatore di procedere, al momento della creazione della norma, ad una precisa determinazione della fattispecie legale, affinche' risulti chiaramente distinto cio' che e' penalmente lecito da cio' che e' penalmente illecito. Tale principio, quindi, assicura la certezza della legge, per evitare l'arbitrio del giudice, garantendo, di conseguenza, l'eguaglianza dei cittadini a parita' di condotta e la possibilita' per questi di conoscere cio' che penalmente e' vietato, al fine di decidere consapevolmente il proprio comportamento, nonche' lo stesso diritto di difesa. Nella sua applicazione concreta, problema centrale della tassativita' e' l'individuazione del grado di determinatezza della fattispecie, necessario e sufficiente perche' tale principio possa ritenersi soddisfatto, non esistendo la certezza assoluta del diritto. Si afferma in dottrina che tale principio e' violato quando la norma, per la indeterminatezza dei suoi connotati, non consente di individuare, nonostante il massimo sforzo interpretativo, il tipo di fatto disciplinato, cosi' da indurre il giudice a fare ricorso a fonti extragiuridiche. La Corte costituzionale nelle diverse pronunce in materia, ritiene rispettato il principio costituzionalmente quando vi e' la possibilita' di determinare la fattispecie in sede di interpretazione giudiziale, sulla scorta della tradizione e dell'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza. La Corte ha ritenuto che pur di fronte a indicazioni estensive o esemplificative, l'interprete della legge e' chiamato ad attuare il procedimento ordinario di interpretazione, anche se diretto ad operare l'inserzione del caso concreto in una fattispecie molto ampia e di non agevole interpretazione. Cio' premesso occorre dunque verificare se l'elemento della "alterazione in misura rilevante" previsto dall'art. 4, n. 7, non "consente di individuare, nonostante il massimo sforzo interpretativo, il fatto disciplinato" inducendo il giudice a fare ricorso a "fonti extragiuridiche". Occorre in altre parole (quelle della Corte costituzionale) stabilire se l'indiscussa elasticita' dell'elemento "alterazione rilevante" puo' eseere sufficientemente circoscritta, in modo da raggiungere un'accettabile grado di determinatezza "sulla scorta della tradizione e dell'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza". Copiosa giurisprudenza oltre che autorevole dottrina ha delineato due criteri - contrapposti - atttraverso cui determinare la rilevanza dell'alterazione. Il primo criterio (c.d. "oggettivo") ritiene doversi dare rilevanza alla lesione subita dall'Erario, per cui vi deve essere una evasione sostanziosa proprio dal punto dii vista oggettivo, onde non far innescare il meccanismo repressivo per evasioni di poco conto, ancorche', con riferimento al singolo contribuente ci sia una differenza notevole tra il dichiarato e l'accertato. La tesi che segue il cosiddetto criterio "soggettivo", ritiene, viceversa, doversi fare un raffronto comparativo tra quello che e' l'oggetto, il valore dell'evasione, e la natura, l'importanza del contribuente (rectius: della sua capacita' contributiva), rinvenendo nell'art. 53 della Costituzione un criterio fondamentale di riferimento. In particolare, si e' autorevolmente rilevato che, proprio perche' la individuazione concreta della rilevanza dell'alterazione e' basata sul criterio della capacita' contributiva, essa doveva essere necessariamente rimessa al giudice. Una parte della giurisprudenza, ha ritenuto doversi agganciare la "rilevante alterazione" ai valori assoluti previsti dall'art. 1 della legge n. 516/1982, che altri, invece, ritengono essere un parametro indicativo ed eventualmente sussidiario che deve essere integrato con il criterio del riferimento alla capacita' contributiva. Da ultimo e' necessario ricordare, per completezza, quelle decisioni dei giudici di merito che chiamati a pronunciarsi sulla stessa censura di legittimita' costituzionale, hanno individuato tre diversi criteri utilizzabili per valutare la rilevanza dell'alterazione, che qui si richiamano in sintesi: criterio proporzionale; valore assoluto della differenza; entita' dell'imposta evitata o evitabile. Si e' ritenuto che l'applicazione congiunta di tali criteri possa fer cadere i rischi di violazione del principio di tassativita', essendo criteri di natura oggettiva, suscettibili di applicazione caso per caso. La dottrina e la giurisprudenza dunque, hanno ampiamente analizzato e delineato la nozione di "alterazione rilevante", tentendo di individuare criteri e parametri di riferimenti e valutazione mediante i quali, fermo restando l'ineliminabile soggettivismo nell'interpretare ed applicare la legge si possa elidere il pericolo maggiore che il principio di tassativita' e' teso ad evitare, vale a dire l'impossibilita' di stabilire "a priori" cio' che e' comandato o vietato. Senonche' non sembra che tali tentativi siano sufficienti ad impedire proprio quella elasticita' ed incertezza di applicazione della legge penale che il principio di predeterminazione legale vuole evitare. Il criterio percentualistico infatti, seppure e' soddisfacente sul piano del rapporto tra contribuente e fisco considerato di per se', non lo e' altrettanto sul piano generale potendo dar luogo a sensibili differenze di trattamento tra evasioni percentualmente elevate, ma assai modeste in assoluto, ed altre di rilevante importo anche se di minimo rilievo percentuale. Il criterio del valore assoluto dell'evasione, ovvero quello dell'entita' del danno recato all'erario, a sua volta potrebbe determinare la punibilita' di evasioni pur rilevanti quanto ad ammontare, ma di minimo valore percentuale o, viceversa, escludere la punibilita' di evasioni percentuali molto elevate anche se di modesto ammontare. Ora e' possibile che un uso oculato e coerente di criteri interpretativi omogenei da parte di tutti i giudici possa eliminare gli inconvenienti di incertezza e disparita' di trattamento che un siffatto meccanismo potrebbe produrre, ma e' pur vero (e l'esperienza lo dimostra) che e' probabile anche una profonda difformita' di trattamento di casi simili con margini di discrezionalita' nell'applicazione della norma che in materia penale sono estranei alla nostra tradizione. La verita' e' che le carenze strutturali della fattispecie penale, ed in particolare quelli relativi alla individuazione dell'elemento materiale (la corretta classificazione dogmatica della rilevante alterazione e' controversa poiche' secondo alcuni essa va ricondotta alla nozione di evento, secondo altri a quella di condotta) comportano la necessita' per il giudice di colmare in via interpretativa tale lacuna e cio' non e' sicuramente accettabile. Non si puo' infattti sostenere che l'incertezza che ne consegue possa essere superata facendo ricorso a criteri desumibili dalla normale esperienza ovvero a giudizi di valore di altro genere. Non e' invero applicabile la soglia di punibilita' fissata per le contravvenzioni di cui all'art. 1 della legge in esame, insuscettibile di applicazione analogica. Non possono essere utilizzati valori morali o sociali, i quali, per la peculiarita' stessa della materia tributaria, appartengono concettualmente a sfere di interessi del tutto diverse. Sarebbe anzi estremamente pericoloso trasportare (cosi' come alcuni giudici hanno piu' o meno consapevolmente fatto) concetti etico-sociali al campo degli interessi finanziari dello Stato, introducendo una concezione etica dello Stato (che francamente si aveva ragione di ritenere superata) oltre che una configurazione dei compiti del giudice penale piu' vicina a quelli dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria che della magistratura. Non resta dunque che rimettere al legislatore la disciplina del caso il quale, del resto, puo' essere facilmente risolto. Volendo tener conto tanto degli interessi del fisco che della capacita' contributiva del cittadino si potra' invero prevedere come criterio assoluto una soglia di punibilita' e come criterio un elemento percentualistico. La rilevanza della questione di costituzionalita', come si e' detto all'inizio, e' fuori discussione ponendosi la stessa come pregiudiziale alla decisione di merito. I I Non puo' invece trovare accoglimento la tesi difensiva della necessita' di immediato proscioglimento degli imputati Boni Giovanna e Luigi, Valentini, Resnati, Magagnoli Maurizio e Vittorio, Conti Maria e Terzi Rosa. Non e' possibile infatti sostenere che manchi nei loro confronti ogni elemento di prova in ordine alla partecipazione a titolo di concorso nel reato di frode fiscale. Il concorso di persone nel reato puo' concretarsi invero anche in forme diverse dalla materiale esecuzione della condotta punibile. Nel caso in esame, diversamente da quanto mostra di ritenere anche il rappresentante dell'accusa, il meccanismo della frode fiscale, fondato su un complesso sistema di vendite "in nero" e di doppia contabilita', ed il tipo di distribuzione degli utili cosi' realizzati, non potevano avvenire se non previo concerto e con il contributo intellettuale di tutti i soci. E' provato infatti che, seppure erano gli amministratori a redigere le scritture contabili depositando le somme sui libretti di risparmio al portatore, ai soci venivano distribuiti utili "in nero" secondo un sistema di contabilizzazione che prevedeva necessariamente il consapevole contributo di tutti coloro che ne beneficiavano. Basti dire che gli utili distribuiti sotto banco venivano contabilizzati secondo le percentuali di partecipazione di ciascun socio. Ognuno aveva pertanto controllo e quindi accesso alla contabilita' nera. Tutti necessariamente hanno posto in essere un accordo criminoso avente quale finalita' l'evasione fiscale ed il riparto delle quote di reddito occultate al fisco. Gli stessi legami di parentela tra amministratori, sindaci e soci solo elemento indiziario da valutare. A tutti, per conseguenza va attribuita la responsabilita' delle relative condotte. Non va dimenticato del resto che in questa sede deve essere accertata l'esistenza di "prove sufficienti" al rinvio a giudizio, condizione questa che ad avviso di questo g.i. appare pienamente realizzata. Si deve pertanto respingere la richiesta di immediato proscioglimento presentata nell'interesse degli imputati sopra indicati, la cui posizione non puo' essere stralciata. Neppure puo' trovare accoglimento la tesi del p.m. secondo cui gli imputati debbono rispondere del delitto di ricettazione. Invero, oltre che incompatibile con il ritenuto concorso con il reato di frode fiscale, tale tesi appare inaccettabile poiche' si risolve in un'ammissibile rovesciamento logico degli elementi della fattispecie penale dell'art. 648 del c.p. E' pacifico infatti che il denaro sottratto al fisco avesse lecita provenienza perche' frutto di attivita' d'impresa. Il suo ricevimento non puo' di per se' costituire reato e, per conseguenza, il reato fiscale commesso si pone come un comportamento successivo al momento produttivo del reddito e dotato di una sua autonoma previsione penale. I I I In ordine ai capi B) e C) dell'imputazione si impone il rinvio a giudizio degli imputati dinnanzi al tribunale di Bologna, previa separazione degli atti relativi esistendo prove sufficienti di colpevolezza desunti: dagli accertamenti di polizia giudiziaria compiuti dalla guardia di finanza; dalla perizia contabile; dalla consulenza contabile disposta in sede civile; dalle testimonianze; dagli stessi interrogatori degli imputati. Quanto alla posizione dei sindaci va considerato che Magagnoli Mario oltre che sindaco era anche socio. Non si vede dunque come possa negarsi che anche i sindaci fossero pienamente consapevoli di tutti gli illeciti commessi. Del resto lo stesso meccanismo utilizzato per riciclare "il nero", non poteva essere attuato senza la complicita' dei sindaci. Veniva infatti utilizzato il sistema di sottoscrivere aumenti di capitale facendo figurare come provenienti dai soci le relative somme le quali poi venivano rimborsate quale restituzione di finanziamenti ricevuti. I V Non e' ipotizzabile il concorso nei reati di frode fiscale in capo a tutti gli agenti di commercio. Nei loro confronti si pone il problema di procedere singolarmente, da parte delle competenti autorita', in ordine ai reati fiscali da loro commessi in sede di denuncia dei redditi.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede come elemento costitutivo del reato la rilevante alterazione del risultato della dichiarazione dei redditi; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione, previo stralcio degli atti limitatamente al capo A) dell'imputazione; Visto l'art. 374 del c.p.p.; Dichiara chiusa la formale istruzione; Ordina il rinvio a giudizio di Conti Silvano, Morelli Alfredo, Terzi Rina, Magagnoli Mario, Magagnoli Maurizio, Terzi Rosa, Resnati Bruno, Conti Maria, Valentini Maria, Boni Luigi, Boni Giovanna dinnanzi al tribunale di Bologna perche' ivi rispondano dei reati di cui ai capi B), C), D) ed E) loro rispettivamente ascritti; Visto l'art. 74 del c.p.p.; Dichiara non doversi promuovere l'azione penale nei confronti di tutti gli indiziati in relazione alla ipotesi di concorso nel reato di frode fiscale; Visto l'art. 378 del c.p.p.; Dichiara non doversi procedere nei confronti di Scipioni Enzo e Boni Pietro per essere il reato loro ascritto estinto per morte degli imputati. Bologna, addi' 29 giugno 1988 Il giudice istruttore: ZINCANI ----- TRIBUNALE DI BOLOGNA UFFICIO ISTRUZIONE Il giudice istruttore, dott. Vito Zincani; Letti gli atti del procedimento penale contro Conti Silvano ed altri imputati di frode fiscale ed altro; Vista la propria sentenza 29 giugno 1988; Ritenuto che per mero errore materiale dovuto a difetto della strascrizione dattilografica alla pagina n. 7 della sentenza citata figura la scritta "I primi dieci" in relazione al capo A) dell'imputazione, anziche' la scritta "I numeri 1), 2), 3), 5), 6), 7), 8), 11), 14) e 15)"; che tale errore non comporta alcuna nullita' e puo' essere corretto mediante procedimennto per correzione di errore materiale; P. Q. M. Visto l'art. 149 del c.p.p.; Ordina la correzione dell'errore materiale contenuto nel foglio 7 della sentenza 29 giugno 1988 contro Conti Silvano ed altri mediante sostituzione della scritta: "I primi dieci" che segue la parola "Imputati" e precede la lettera A) delle imputazioni, con la scritta: "I numeri 1), 2), 3), 5), 6), 7), 8), 11), 14) e 15)". Bologna, addi' 11 agosto 1988 Il giudice istruttore: ZINCANI 89C0102