N. 6 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 febbraio 1989
N. 6 Ricorso depositato in cancelleria il 7 febbraio 1989 (della regione Veneto) Impiegati degli enti locali (regioni - u.s.l. - enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni) - Assunzioni in deroga da disporsi con provvedimento della giunta regionale Assoggettamento delle regioni all'obbligo di attivare procedure di mobilita' del personale sia in ambito regionale che interregionale - Illegittima sottoposizione delle stesse ad un potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri Imposizione di un regime di blocco, anche retroattivo, delle assunzioni nelle u.s.l. - Disconoscimento delle prove concorsuali iniziate dopo il 30 settembre 1988 e delle deroghe successive a tale data - Annullamento de facto di scelte programmatiche regionali - Lesione delle competenze normative ed amministrative delle regioni - Conseguente violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria - Imposizione di obblighi senza corrispettiva dotazione dei mezzi finanziari necessari. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, artt. 1, quarto, quinto e sesto comma, e 5, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma). (Cost., artt. 3, 81, 115, 117, 118, 119 e 123).(GU n.8 del 22-2-1989 )
Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, rappresentato e difeso per mandato a margine del presente atto dagli avvocati prof. Giuseppe Pericu e Ludovico Villani elettivamente domiciliato presso il secondo, in Roma, piazzale Clodio, 12, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 554, avente ad oggetto "disposizioni in materia di pubblico impiego". F A T T O La Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 1989 ha pubblicato il testo della legge 29 dicembre 1988, n. 554. Tale legge stabilisce tra l'altro alcune limitazioni alle assunzioni di personale presso un gran numero di strutture pubbliche, affermando in generale il principio della priorita' dell'attuazione della disciplina della mobilita' sancita dal d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325. In particolare, l'art. 1 della legge, dopo avere subordinato all'esperimento delle procedure di mobilita' le assunzioni consentite ad una serie di pubbliche amministrazioni, tra le quali quelle delle unita' sanitarie locali, stabilisce il termine ultimo del 30 settembre 1988 per l'utile inizio di prove concorsuali o l'utile rilascio di deroghe preordinnate ad assunzioni non subordinate alla previa attuazione delle procedure di mobilita'. L'art. 5 della legge, a sua volta, si occupa del personale delle regioni, delle unita' sanitarie locali e degli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni: piu' precisamente essa prescrive che le assunzioni in deroga siano disposte, per il personale sanitario e degli enti dipendenti, con provvedimento della giunta regionale (primo comma); che le unita' sanitarie locali e gli enti dipendenti dalle regioni abbiano l'obbligo di comunicare alle rispettive regioni le carenze di organico e gli esuberi con le modalita' di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sopra ricordato (secondo comma); che le regioni debbano provvedere ad attivare i processi di mobilita' tra il proprio personale, quello degli enti dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali sulla base della corrispondenza di cui all'art. 4, terzo comma, del gia' richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi del quale le corrispondenze sono dichiarate dal Dipartimento della funzione pubblica in sede di pubblicazione delle vacanze, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale (terzo comma); che l'elenco del personale esuberante non reimpiegato in ambito regionale per carenza di posti sia comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la ricollocazione a norma del d.P.C.M. n. 325/1988 (quarto comma); che i posti non coperti con i processi di mobilita' in ambito regionale siano comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l'eventuale copertura con personale di provenienza extraregionale ai sensi del d.P.C.M. n. 325/1988 (quinto comma). Le disposizioni il cui contenuto si e' sopra sintetizzato, approvate dal Parlamento nonostante i dubbi di illegittimita' costituzionale insorti in seno alla commissione per le questioni regionali del Senato, appaiono alla ricorrente lesive della sfera di competenza ad essa riservata dalla Costituzione, per la manifesta ingerenza nell'ambito di autonomia organizzativa e finanziaria proprio di ciascuna regione. In realta' il legislatore nazionale sembra aver trattato le regioni alla stregua di un'amministrazione statale, addirittura sottoponendone la condotta al potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri (cfr. rinvio alle modifiche eventualmente introdotte al d.P.C.M. n. 325/1988) e comunque ignorando l'esistenza di qualsiasi contesto programmatico. Ma sotto un altro aspetto, le regioni sono state poste in una condizione persino deteriore rispetto a qualunque altra, giacche', mentre in favore degli enti locali di destinazione di procedimenti di mobilita' l'art. 1, quarto comma, prevede almeno l'assegnazione dei fondi necessari alla copertura degli oneri concernenti il trattamento economico del personale acquisito, nessuna analoga norma l'art. 5 introduce in favore delle regioni, che pertanto parrebbero condannate ad assumersi l'onere finanziario della sistemazione del personale esuberante di altre amministrazioni, oltre tutto assicurando un trattamento economico che esse non hanno concorso a definire. In un tale contesto i dubbi d'incostituzionalita' emersi in sede parlamentare risultano piu' che fondati e giustificano il presente ricorso, volto ad ottenere la dichiarazione d'illegittimita' delle norme impugnate, in virtu' delle seguenti considerazioni in D I R I T T O I Quanto all'art. 5, primo comma: violazione degli artt. 117 e 123 della Costituzione. Il primo comma dell'art. 5 della legge n. 554/1988, attribuendo la competenza a disporre le assunzioni in deroga nell'ambito delle unita' sanitarie locali e degli enti pubblici dipendenti dalle regioni a "provvedimenti della giunta regionale", esorbita dai limiti propri della legislazione di principio, sola spettante allo Stato nelle materie assoggettate a potesta' legislativa concorrente dall'art. 117 della Costituzione, ed invade la stessa materia statutaria (art. 123 della Costituzione). Ed infatti non spetta certamente al legislatore statale ripartire le attribuzioni tra gli organi regionali. In realta' sembra di comprendere che il legislatore ordinario abbia colto nell'insegnamento di codesta Corte, che ha risolto questioni analoghe con sentenze interpretative, non gia' l'invito ad adottare in futuro formulazioni rispettose del dettato costituzionale, ma anzi una sorta di autorizzazione a trascurare la precisione lessicale, generalizzando una prassi suscettibile di condurre a gravi problemi applicativi. Cio' premesso, poiche' oltre tutto appare discutibile che l'interpretazione conformatrice possa spingersi sino a postulare la soppressione di componenti inequivoche della proposizione normativa, sarebbe auspicabile che, onde dissuadere dalla perpetuazione della prassi instaurata, le precisazioni in merito agli organi regionali competenti, contenute in disposizioni legislative statali, fossero colpite con la piu' adeguata sanzione d'incostituzionalita'. I I Quanto all'art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma: 1) violazione degli artt. 115, 117, 118 della Costituzione: a) illegittimita' dell'assoggettamento delle regioni all'obbligo di attivare le procedure di mobilita'. L'art. 5 della legge n. 554/1988, al secondo, terzo, quarto e quinto comma, stabilisce l'obbligo delle regioni di attivare procedure di mobilita' tra il proprio personale, quello degli enti da esse dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali, dapprima in ambito regionale (comma terzo) e successivamente in ambito interregionale (quarto e quinto comma). Tali prescrizioni si pongono in palese contrasto con l'autonomia spettante alle regioni in materia di organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti. Gia' in passato codesta Corte ha avuto occasione di affermare e ribadire la competenza regionale a valutare, nel contesto della funzione di programmazione ed organizzazione dei rispettivi servizi, le esigenze di dotazione di personale delle unita' sanitarie locali (sentenza 11 ottobre 1983, n. 307) e degli enti dipendenti dalle regioni (sentenza 5 novembre 1984, n. 245), pervenendo a dichiarare la conseguente illegittimita' di norme che riservavano allo Stato l'adozione di provvedimenti derogatori del blocco degli organici. L'art. 5 della legge n. 554/1988 formalmente ostenta di rispettare l'insegnamento giurisprudenziale, con il comma introduttivo che (a prescindere dalla precisazione censurata nel precedente paragrafo del presente atto) riconosce la competenza regionale a disporre le assunzioni in deroga negli enti dipendenti e nelle unita' sanitarie locali. Tuttavia, nelle successive proposizioni, l'apparente osseguio viene annichilito con l'imposizione dei processi di mobilita' persino al personale regionale. Ne' ad attenuare la gravita' della lesione dell'autonomia cosi' prodotta vale il fatto che, per quanto concerne il personale delle regioni, sono queste ultime a determinare, con il riscontro di situazioni di esubero o di carenza, la premessa dell'attivazione delle procedure. Anche la decisione di far luogo ad un'assunzione in deroga e' infatti necessariamente preceduta dal riconoscimento di una condizione di carenza; ma tale riconoscimento e' solo l'antecedente logico di quel giudizio di comparazione con altre esigenze (da cui scaturisce la decisione in merito all'assunzione) che, secondo l'insegnamento di codesta Corte, non puo' essere sottratto alla regione. Per contro le norme impugnate pretendono di sottrarre alle regioni il dominio dell'organizzazione del proprio personale, ricollegando alla semplice ricognizione di situazioni obiettive di carenza o di esubero l'avvio di movimenti di personale svincolati da ulteriori valutazioni regionali. Del resto l'elusione del principio di autonomia concretata dalle suddette norme si rivela con chiarezza nel caso del personale degli enti dipendenti e delle unita' sanitarie locali, per il quale l'attivazione dei processi di mobilita' viene fatta dipendere unicamente da un accertamento degli enti interessati, soltanto "comunicato" alle regioni (secondo comma). In tal modo diviene evidente ed innegabile che le regioni, a dispetto del loro irrisorio potere di sindacare le assunzioni in deroga, sono destinate a perdere il controllo degli organici degli enti dipendenti e delle unita' sanitarie locali. In altri termini, poiche' ai fini dell'alterazione degli assetti interni degli enti nessuna differenza sussiste tra l'assunzione di personale in deroga al blocco e l'immissione di personale proveniente da altri enti, occorre concludere che tali assetti, in forza delle norme impugnate, sfuggono a qualunque programmazione regionale della ripartizione delle risorse disponibili; ma non solo, poiche' l'apertura dei processi di mobilita' ad ambiti ultraregionali (quarto e quinto comma) impedisce alle regioni persino il controllo dell'importo globale della spesa per il personale: enti dipendenti ed unita' sanitarie locali potranno liberamente incrementare le rispettive dotazioni di personale attingendo ad altre amministrazioni, senza che le regioni siano in grado di opporvisi. Le considerazioni sin qui svolte sono sufficienti a porre in risalto l'illegittimita' delle norme impugnate. Il ricorso alla mobilita' e' un criterio di condotta che potrebbe essere suggerito alle regioni, ma che non puo' validamente tradursi in procedure imposte. Le decisioni in merito all'assunzione o all'allontanamento di personale delle regioni o delle strutture dalle stesse dipendenti non spettano allo Stato, come mostrano invece di intendere le norme in esame; b) illegittimita' dell'assoggettamento delle regioni a procedure disciplinate per intero dallo Stato e dallo stesso governate. Come ha sottolineato anche codesta Corte nelle sentenze gia' ricordate, e' indubbio che le norme impugnate abbiano ad oggetto una materia di competenza "propria" delle regioni. Conseguentemente al legislatore statale non sono riconoscibili margini esorbitanti dalla prefissione di norme di principio. Viceversa nella fattispecie e' accaduto che le norme impugnate abbiano disciplinato, soprattutto mediante il rinvio al d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, l'intera materia dei processi di mobilita', senza lasciare spazi alla normazione regionale. Il risultato cui le norme impugnate approdano non differisce pertanto sostanzialmente da quello prefigurato dall'originaria formulazione dell'art. 10, ultimo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, norma dichiarata notoriamente illegittima dalla sentenza 25 luglio 1984, n. 219: in quel caso l'illegittimita' derivava dalla pretesa di escludere qualunque ambito di autonomia legislativa regionale in sede di approvazione degli accordi sindacali; nella fattispecie in esame, la medesima esclusione viene realizzata per il tramite dell'interposizione di atti normativi statali tali da esaurire la disciplina attuativa di un accordo sindacale nei confronti della quale avrebbe dovuto essere salvaguardato il margine di autonoma valutazione delle regioni. Ma v'e' di piu'; poiche' il richiamo al d.P.C.M. n. 325/1988 viene costantemente completato con il richiamo a "successive eventuali modificazioni dello stesso", cosi' concretando un autentico rinvio formale il cui effetto consiste nella permanente sottoposizione delle regioni ad un potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri tanto privo di limiti quanto sfornito del benche' minimo fondamento giuridico. D'altro canto le norme di cui si tratta non si limitano neanche ad esautorare il legislatore regionale, ma anzi, attraverso l'attribuzione di significativi poteri amministrativi ad organi statali (cfr. il potere di collocare il personale non sistemato in ambito regionale con processi di mobilita' infraregionali, assegnato dal quarto e dal quinto comma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; cfr. altresi' il potere di determinazione della corrispondenza dei profili professionali, conferito dal terzo comma al Dipartimento della funzione pubblica, mediante il richiamo all'art. 4, terzo comma, del d.P.C.M. n. 325/1988). Tali previsioni determinano dunque anche una sottrazione di competenze amministrative regionali incompatibile con l'art. 118 della Costituzione; 2) violazione degli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione. Gia' si e' osservato come le norme impugnate perseguano l'obiettivo di imporre alle regioni movimenti di personale nelle strutture dalle stesse dipendenti e si e' denunciata la lesione delle competenze normative ed amministrative insita in simile imposizione. Ora e' necessario rilevare la violazione dell'autonomia regionale che le stesse norme producono sotto l'ulteriore profilo delle scelte nell'allocazione delle risorse finanziarie. In realta' disporre in merito all'entita' delle dotazioni di personale di strutture pubbliche equivale ad operare scelte nella destinazione di mezzi finanziari: tanto manifesto ed indiscutibile appare tale assunto, che la stessa legge n. 554/1988 ha avvertito l'esigenza di assicurare agli enti locali destinatari di personale sottoposto a mobilita' i fondi relativi al corrispondente trattamento economico (art. 2, quarto comma). Ma, come si e' del pari sottolineato, nella fattispecie le norme impugnate non si sono neppure limitate ad ingerirsi nelle decisioni sulla distribuzione delle disponibilita' finanziarie delle regioni (risultato di per se' precluso al legislatore statale, secondo il consolidato insegnamento di codesta Corte: cfr. sentenze nn. 307/1983 e 245/1984), ma si sono spinte sino a predisporre le condizioni di un incremento dell'importo globale delle spese per personale a carico delle regioni, senza dotare le stesse regioni dei mezzi finanziari conseguentemente necessari. Ed invero e' indubitabile che i processi di mobilita' delineati dal legislatore statale rechino insita la possibilita' di un bilancio finanziario negativo per le regioni, che possono ben vedere accresciuto l'onere per spese relative a personale pubblico sia per effetto di flussi di personale provenienti da comparti extraregionali sia per l'obbligo di assicurare ai singoli dipendenti l'eventuale trattamento di maggior favore da ciascuno conseguito nell'ente di provenienza. In conclusione le norme impugnate costituiscono l'ennesima dimostrazione della difficolta' del legislatore statale di resistere alla tentazione di trasferire sulle regioni porzioni piu' o meno consistenti del deficit nazionale, vincolando quote dei gia' insufficienti cespiti regionali. Piu' precisamente, nella fattispecie l'intento perseguito e' manifestamente quello di costringere le regioni, indipendentemente da qualunque valutazione di priorita' dalle stesse formulata, ad impegnare mezzi finanziari propri al fine di ridurre l'onere per spese di personale gravante sul bilancio dello Stato. In altri termini, l'obiettivo di un apparente risparmio viene coltivato con l'artificio di distogliere parti delle risorse regionali da differenti destinazioni giudicate prioritarie dalle competenti regioni (e' ovvio infatti che condizione d'operativita' della norma impositiva di un obbligo e' che, senza di esse, le regioni preferiscano utilizzare diversamente le proprie disponibilita'). L'illegittimita' delle norme che tale scopo si prefiggono si rivela pertanto nella sua reale dimensione. I I I Quanto all'art. 1, quarto, quinto e sesto comma: violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione anche in relazione all'art. 3 della Costituzione. Strettamente riconnesse alle previsioni dell'art. 5 sono alcune disposizioni contenute nell'art. 1: il quarto comma, nella parte in cui subordina le assunzioni consentite alle unita' sanitarie locali (menzionate dal primo comma, coinvolto nella generica formula d'esordio del quarto: "tutte le predette assunzioni") alla previa attuazione della disciplina della mobilita'; il quinto comma, che vieta le assunzioni conseguenti a concorsi le cui prove siano iniziate dopo il 30 settembre 1988; il sesto comma, che priva di efficacia le autorizzazioni ad assunzioni in deroga rilasciate alle unita' sanitarie locali dopo la medesima scadenza del 30 settembre 1988. Tutte le suddette norme sono ovviamente destinate ad essere travolte dalla caducazione delle norme impositive dell'obbligo di attivare le procedure di mobilita' cui esse sono dichiaratamente funzionali. E' opportuno peraltro soggiungere che le stesse norme sarebbero ugualmente risultate illegittime, per propri autonomi vizi, anche quando non fosse stata illegittima la disciplina contenuta nell'art. 5. Ed infatti occorre rilevare che l'imposizione di un regime di blocco delle assunzioni inderogabile a carico delle unita' sanitarie locali, fino all'espletamento di procedure particolarmente complesse, in un contesto contraddistinto da un generale riconoscimento di un potere di deroga per speciali necessita', appare irragionevole ed indebitamente limitativa delle competenze regionali: se per un verso il meccanismo di mobilita' delineato dal legislatore statale appare suscettibile di incrementare oltre il dovuto e contro ogni scelta programmatica regionale le dotazioni di personale, per un altro verso la sostra prescritta in attesa del compimento delle relative procedure impedisce persino il soddisfacimento delle esigenze di particolare urgenza che abbiano a manifestarsi nel periodo transitorio. Ma ancor piu' irragionevole deve ritenersi la retroattivita' attribuita all'irrigidimento del blocco con il disconoscimento sancito dal quinto e dal sesto comma del medesimo art. 1 nei riguardi delle prove concorsuali iniziate dopo il 30 settembre 1988 e delle deroghe rilasciate dopo la stessa data. Ed invero simili previsioni si dimostrano ingiustamente penalizzatrici proprio nei confronti delle regioni che, come quella ricorrente, hanno avuto cura di adeguare la loro condotta ad una prudente programmazine delle assunzioni. La regione Veneto ha adottato un piano socio-sanitario in data di molto antecedente a quella del 30 settembre 1988 ed all'attuazione delle relative scelte programmatorie ha ricollegato la scansione delle assunzioni nel tempo. La paralisi cui le norme impugnate pretendono di costringere, a salvaguardia della maggior proficuita' dell'azione di recupero di situazioni di esubero provocate da amministrazioni meno avvedute, comporta l'illogico rifiuto di assicurare il tempestivo soddisfacimento di obiettive esigenze (e quindi l'imposizione di disfunzioni) solo perche' gli atti destinati a porvi rimedio hanno potuto essere cronologicamente dislocati, nella prospettiva di un'ottimale gestione delle risorse, in un momento successivo al 30 settembre 1988. L'inasprimento retroattivo del blocco delle assunzioni, comportando l'annullamento di scelte programmatorie regionali che gia' avevano ricevuto esecuzione, si pone quindi in irriducibile contrasto con l'autonomia organizzativa che la giurisprudenza di codesta Corte ha ripetutamente riconosciuta alle regioni in materia sanitaria.
P. Q. M. Piaccia all'ecc.ma Corte dichiarare costituzionalmente illegittimi il primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'art. 5 ed il quarto, quinto e sesto comma, nelle parti sopra indicate, dell'art. 1, della legge 29 dicembre 1988, n. 554. Con ogni ulteriore conseguenza di legge. Milano, addi' 31 gennaio 1989 Prof. avv. PERICU - Avv. VILLANI 89C0115