N. 103 SENTENZA 22 febbraio - 9 marzo 1989
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Attribuzione al dipendente privato, a parita' di mansioni, di un inquadramento di diverso livello retributivo Possibilita' di differenziazioni di trattamento se giustificate e ragionevoli - Non fondatezza. Cod. civ., artt. 2086, 2087, 2095, 2099 e 2103). Cost., art. 41)(GU n.11 del 15-3-1989 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2086, 2087, 2095, 2099, 2103 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 18 novembre 1986 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Martucci Aniello ed altri e la S.p.a. Alfa Romeo Auto, iscritta al n. 370 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale dell'anno 1988. Visto l'atto di costituzione della S.p.a. Credito Italiano (gia' Alfa Romeo Auto) nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Uditi gli avv.ti Arturo Maresca e Carlo Miletto per la S.p.a. Credito Italiano e l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - In un giudizio civile promosso da taluni dipendenti dell'Alfa Romeo, per ottenere l'inquadramento della quarta (in luogo che nella terza) categoria retributiva (di cui al C.C.N.L. 16 luglio 1979 dei metalmeccanici), l'adito Pretore di Napoli, rilevato che i ricorrenti non risultavano adibiti ad attivita' proprie della categoria rivendicata e pur tuttavia, nell'ambito di un gruppo integrato non omogeneo (Gino), svolgevano gli stessi compiti assegnati ad altri lavoratori inquadrati nella predetta categoria quarta, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, onde ha sollevato, con ordinanza del 18 novembre 1986 (pervenuta alla Corte il 5 luglio 1988), in riferimento all'art. 41 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2086, 2087, 2095, 2096 e 2103 del codice civile "nella parte in cui consentono all'imprenditore di attribuire ai dipendenti, a parita' di mansioni e nello stesso reparto, diversi livelli o categorie generali di inquadramento retributivo". E cio' in contrasto con il principio di rispetto della "dignita' umana" del lavoratore. Nel quale, appunto, si rifletterebbe - secondo il giudice a quo - l'esigenza della "uguale retribuzione per uguale lavoro", "alla stregua dei valori etici e politici vigenti nella societa', desumibili anche dalle scelte normative interne ed internazionali, assunte ai vertici dello Stato". 2. - Nel giudizio innanzi alla Corte, si e' costituito il Credito Italiano (nella sua qualita' di successore per incorporazione dell'Alfa Romeo S.p.a.) eccependo l'inammissibilita' della questione per carenza di motivazione in ordine alla sua rilevanza nel giudizio a quo (atteso che il Pretore avrebbe omesso di valutare la pur decisiva circostanza che "gli altri dipendenti, di quarta categoria, avevano ottenuto il correlativo inquadramento prima di essere adibiti allo stesso reparto in cui operavano i ricorrenti"). E, in subordine, ha contestato il fondamento dell'impugnativa. Analoga conclusione di infondatezza della questione ha rassegnato anche l'Avvocatura per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, all'uopo osservando: che "l'eventuale ed ipotetica situazione svantaggiosa del lavoratore dipende esclusivamente dall'autonomia dell'imprenditore e dall'incontro delle volonta' contrattuali e non invece dal complesso delle disposizioni denunziate, che, dal canto loro, consentono e non vietano (sono cioe' di natura ampliativa e non restrittiva della sfera giuridica dei destinatari) un diverso trattamento a parita' di mansioni"; che, comunque, non potrebbe farsi discendere dall'art. 41 della Costituzione il preteso divieto all'attribuzione, non in funzione discriminatoria, di diversi livelli di inquadramento retributivo a parita' di mansioni, "atteso che la tutela della dignita' del lavoratore non postula l'imposizione di una parita' di trattamento stipendiale". Considerato in diritto 1. - Il Pretore di Napoli dubita della legittimita' costituzionale degli artt. 2086, 2087, 2095, 2099, 2103 del codice civile nella parte in cui consentono all'imprenditore di attribuire ai dipendenti, a parita' di mansioni, diversi livelli o categorie generali di inquadramento retributivo, in quanto risulterebbe violato l'art. 41 della Costituzione perche' sarebbe compresso il diritto dei lavoratori al rispetto della loro dignita' umana, in ispregio dei limiti che il richiamato precetto costituzionale impone alla liberta' di iniziativa economica. 2. - La questione non e' fondata. In base all'art. 2095 del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 13 maggio 1985, n. 190, i lavoratori subordinati si classificano in quattro categorie: dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Le leggi speciali e i contratti collettivi (ora anche i contratti aziendali) determinano i requisiti di appartenenza alle dette categorie in relazione a ciascun ramo della produzione e alla particolare struttura dell'impresa. Ma la contrattazione collettiva, stabilendo i detti requisiti, ha creato, a volte, altre categorie (c.d. contrattuali) che si pongono accanto a quelle legali. Essa e, dopo lo Statuto dei lavoratori, la contrattazione aziendale, consentono di tenere conto delle situazioni aziendali, alcune volte complesse, e delle situazioni e delle condizioni dei lavoratori (eta', anzianita' di lavoro ecc...). Sono poste anche delle tecniche di classificazione, quali le declaratorie generali, le definizioni generali delle posizioni dei lavoratori, i profili professionali ecc.... All'interno delle categorie, comunque, si da' rilievo precipuo, specie ai fini retributivi, alle mansioni svolte di fatto dal lavoratore, in base alle quali si determinano le qualifiche professionali ed ora i livelli retributivi. Ormai, pero', si tende a superare la rigida distinzione in categorie, ad avvicinare, per esempio, gli operai agli impiegati e ai quadri che hanno una posizione intermedia. Per quanto riguarda le mansioni, l'art. 2103 del codice civile, sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori), prevede l'obbligo del datore di lavoro di destinare il lavoratore alle mansioni per cui lo ha assunto o a mansioni equivalenti, senza, pero', diminuzione di retribuzione, o alla categoria superiore successivamente acquisita. Sicche' puo' affermarsi che nella determinazione delle mansioni e dei conseguenti livelli retributivi, l'autonomia del datore di lavoro, cui spetta l'organizzazione dell'azienda, e' fortemente limitata dal potere collettivo, ossia dai contratti collettivi e dai contratti aziendali. Tali contratti, quali estrinsecazioni del potere delle associazioni sindacali, sono frutto e risultato di trattative e patteggiamenti e costituiscono una regolamentazione che, in una determinata situazione di mercato, e' il punto di incontro, di contemperamento e di coordinamento dei confliggenti interessi dei lavoratori e degli imprenditori. Ma per tutte le parti, anche quelle sociali, vige il dovere di rispettare i precetti costituzionali. Essi assicurano, in via generale, la tutela del lavoro (art. 35 della Costituzione); l'elevazione morale e professionale dei lavoratori; la proporzionalita' tra retribuzione e quantita' e qualita' di lavoro e la sufficienza, in ogni caso, di essa perche' sia assicurata al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa; e, in via piu' specifica, la pari dignita' sociale anche dei lavoratori; pongono il divieto di effettuare discriminazioni per ragioni di sesso, di razza, di lingua e di religione (art. 3 della Costituzione), anche se sono tollerabili e possibili disparita' e differenziazioni di trattamento, sempre che siano giustificate e comunque ragionevoli. Alla donna lavoratrice si devono assicurare gli stessi diritti dei lavoratori e, a parita' di lavoro, le stesse retribuzioni; i minori, a parita' di lavoro, hanno diritto alla parita' di retribuzione (art. 37 della Costituzione). I principi costituzionali di tutela della dignita' sociale e di divieto di discriminazioni nel campo del lavoro sono stati testualmente trasfusi nello Statuto dei lavoratori. Gli artt. 15 e 16 sanciscono espressamente il divieto di atti discriminatori, ivi compresi i trattamenti di maggior favore, nell'impiego del lavoratore, nell'organizzazione del lavoro e nella gestione del rapporto da parte del datore di lavoro e, specificamente, nell'assegnazione di qualifiche e mansioni. Il datore di lavoro deve astenersi dal compiere atti che possano produrre danni e svantaggi ai lavoratori, cioe' lesioni di interessi economici, professionali e sociali; in particolare, dell'interesse allo sviluppo professionale (riferito sia alla carriera che alla valorizzazione delle relative capacita'). La vasta serie di interessi dei quali e' portatore il lavoratore e' protetta anche per la sfera esterna all'azienda: sono protetti non solo gli interessi di natura economico-professionale ma altresi' quelli personali e sociali. La dignita' sociale del lavoratore e' tutelata contro discriminazioni che riguardano non solo l'area dei diritti di liberta' e l'attivita' sindacale finalizzata all'obiettivo strumentale dell'autotutela degli interessi collettivi, ma anche l'area dei diritti di liberta' finalizzati allo sviluppo della personalita' morale e civile del lavoratore. La dignita' e' intesa sia in senso assoluto che relativo, cioe' per quanto riguarda la posizione sociale e professionale occupata dal cittadino nella qualita' di prestatore di lavoro dipendente. Risulta notevolmente limitato lo ius variandi del datore di lavoro, mentre, proprio in virtu' del precetto costituzionale di cui all'art. 41 della Costituzione, il potere di iniziativa dell'imprenditore non puo' esprimersi in termini di pura discrezionalita' o addirittura di arbitrio, ma deve essere sorretto da una causa coerente con i principi fondamentali dell'ordinamento ed in ispecie non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta' ed alla dignita' umana. Le norme richiamate sono, peraltro, anche attuazione dei principi contenuti in vari atti e convenzioni internazionali. E cioe' della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, secondo cui ogni individuo, senza discriminazioni, ha diritto a uguale retribuzione per uguale lavoro; della Convenzione Generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro del 6/22 giugno 1962, ratificata con legge 13 luglio 1966, n. 657 (art. 14) secondo cui uno degli scopi della politica sociale degli Stati stipulanti o aderenti deve essere quella di sopprimere ogni discriminazione basata sulla razza, il colore, il sesso, la fede, l'appartenenza ad un gruppo tradizionale o alla iscrizione sindacale: e cio' con specifico riguardo, tra l'altro, alla materia dei tassi di salario, i quali dovranno essere stabiliti in conformita' del principio "a lavoro uguale salario uguale" in uno stesso processo produttivo ed in una stessa impresa; e, all'identificazione di tale scopo, si aggiunge l'impegno ad adottare ogni misura pratica per ridurre tutte le differenze retributive nascenti da discriminazioni del tipo suddetto ed a migliorare il trattamento economico dei lavoratori meno retribuiti. Principi analoghi sono contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, adottato a New York il 16 e 19 dicembre 1966, ratificato dall'Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, secondo cui al lavoratore deve essere assicurato un salario equo ed una remunerazione eguale per lavoro di valore eguale, senza alcuna distinzione. E' demandato al giudice l'accertamento e il controllo dell'inquadramento dei lavoratori nelle categorie e nei livelli retributivi in base alle mansioni effettivamente svolte, con osservanza della regolamentazione apprestata sia dalla legge, sia dalla contrattazione collettiva ed aziendale, e con il rispetto dei richiamati precetti costituzionali e dei principi posti in via generale dall'ordinamento giuridico vigente, ispirato, come si e' detto, anche ai principi contenuti nelle convenzioni e negli atti internazionali regolarmente ratificati. Il giudice deve provvedere alle necessarie verifiche ed ha il potere di correggere eventuali errori, piu' o meno volontari, perche' il lavoratore riceva l'inquadramento che gli spetta nella categoria o nel livello cui ha diritto.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2086, 2087, 2095, 2099, 2103 del codice civile, in riferimento all'art. 41 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Napoli con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1989. Il Presidente: SAJA Il redattore: GRECO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 9 marzo 1989. Il direttore della cancelleria: MINELLI 89C0242