N. 109 SENTENZA 6 - 16 marzo 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Previdenza e assistenza sociale - Previdenza forense - Titolari di
 pensione di invalidita' che continuano l'esercizio della professione
 - Obbligo di contribuzione piena alla Cassa di previdenza - Omesso
 esonero o riduzione del carico contributivo - Inammissibilita'.   2
 maggio 1983, n. 175).  (Cost., artt. 3 e 38).  Previdenza e
 assistenza sociale - Previdenza forense Agevolazione contributiva
 alla Cassa di previdenza accordata ai pensionati per vecchiaia -
 Titolari di pensione d'invalidita' Omessa estensione del beneficio -
 Infondatezza.  Legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 10, terzo comma,
 secondo periodo, modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n.
 175).  (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma)
(GU n.12 del 22-3-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10, terzo
 comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576,  dell'art.  10,  quarto
 comma,  della  stessa legge, introdotto dalla legge 2 maggio 1983, n.
 175 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica
 della  legge  20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della
 previdenza forense) promosso con ordinanza emessa il  9  giugno  1988
 dal  Pretore  di  Roma nel procedimento civile vertente tra Amorosino
 Elia  e  Cassa  Nazionale  di  Previdenza  e  Assistenza  Avvocati  e
 Procuratori,  iscritta  al  n.  677  del  registro  ordinanze  1988 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  48,  prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
    Visti gli atti di costituzione della Cassa Nazionale di Previdenza
 ed Assistenza Avvocati e Procuratori  e  di  Amorosino  Elia  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  febbraio  1989  il Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avv.ti  Maurizio  Cinelli  per  la  Cassa Nazionale di
 Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori  e  Sandro  Amorosino
 per  Amorosino  Elia  e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso di un giudizio promosso dall'avv. Elia Amorosino,
 titolare di pensione di invalidita' dal 1› febbraio 1981,  contro  la
 Cassa   nazionale   di  previdenza  e  assistenza  degli  avvocati  e
 procuratori legali, per ottenere una sentenza che la dichiara "tenuta
 a  corrispondere  alla  Cassa  il contributo in misura pari al 3% del
 reddito con esclusione del contributo soggettivo minimo previsto  dal
 terzo comma dell'art. 10 della legge n. 576 del 1980" a decorrere dal
 compimento del quinquennio successivo alla data del pensionamento, il
 Pretore  di  Roma,  con ordinanza del 9 giugno 1988, ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione,  due  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 10, terzo comma, della legge n.
 576 del 1980, l'una concernente il primo periodo, l'altra il  secondo
 periodo  (erroneamente  indicato nell'ordinanza come "quarto comma"),
 aggiunto dalla legge 2 maggio 1983, n. 175.
    Ad  avviso  del  giudice  remittente, la norma contenuta nel primo
 periodo  del  comma  in  esame  violerebbe  i   richiamati   principi
 costituzionali  nella  parte  in cui assoggetta a contribuzione anche
 gli avvocati e i procuratori legali che continuano l'esercizio  della
 professione  dopo  il pensionamento per invalidita', o comunque nella
 parte in cui li assoggetta all'obbligazione  contributiva  in  misura
 non  inferiore  a  quella  prevista  per  i  titolari  di pensione di
 vecchiaia.
    In  subordine  il  giudice  a  quo  impugna la norma contenuta nel
 secondo periodo, la quale riduce al solo contributo  di  solidarieta'
 del 3% del reddito professionale l'obbligazione contributiva a carico
 dei titolari di pensione  di  vecchiaia  che  continuano  l'attivita'
 professionale,  quando  sia  trascorso  un quinquennio dalla data del
 pensionamento. La mancata  previsione  di  tale  beneficio  anche  in
 favore  dei titolari di pensioni di invalidita' e' ritenuta contraria
 sia al principio  di  uguaglianza,  sia  al  precetto  dell'art.  38,
 secondo comma, della Costituzione.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si  sono costituite la
 ricorrente e  la  convenuta  Cassa  di  previdenza,  chiedendo  l'una
 l'accoglimento, l'altra il rigetto delle questioni.
    La  ricorrente  -  dopo  avere  aderito  in  via  principale  alle
 argomentazioni  svolte   nell'ordinanza   di   rimessione   e   avere
 sottolineato  che  la  lamentata  disparita' di trattamento delle due
 categorie di pensionati appare ancora piu' evidente dopo la  sentenza
 n.  1008 del 1988 di questa Corte - prospetta in via subordinata (ma,
 in  verita',  l'ordine  logico  delle  due  istanze  dovrebbe  essere
 invertito)   la  possibilita'  di  una  interpretazione  adeguatrice,
 secondo cui la riduzione dell'onere contributivo previsto dalla norma
 in esame sarebbe applicabile anche ai pensionati per invalidita'.
    La  Cassa  eccepisce  anzitutto  l'inammissibilita' di entrambe le
 questioni:  della  prima  perche'  eccedente  l'oggetto  del  petitum
 dedotto  nel  giudizio  a quo; della seconda per difetto di interesse
 attuale  della  ricorrente,  non  essendo  essa  in  possesso   delle
 condizioni  di eta' previste dalla norma di cui chiede l'applicazione
 in suo favore.
    In  secondo  luogo,  ad  avviso  della resistente, la questione e'
 infondata. Il differenziato regime contributivo delle  due  categorie
 di  pensionati  e'  giustificato  dalla  diversita'  delle rispettive
 fattispecie, la quale si traduce in una  articolata  differenziazione
 di  disciplina  giuridica,  di  cui quella attinente all'obbligazione
 contributiva e' soltanto un aspetto. Per i titolari  di  pensione  di
 vecchiaia   ultrasettantenni   vengono  in  considerazione  peculiari
 criteri di valutazione sia in ordine alla riduzione  della  capacita'
 di   lavoro,   sia   in   ordine   al  proporzionamento  dell'obbligo
 contributivo secondo il principio di corrispettivita'.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato   dall'Avvocatura   dello   Stato,   concludendo    per
 l'infondatezza  della  questione,  con  argomenti  analoghi  a quelli
 svolti  dalla   Cassa.   L'Avvocatura   sottolinea   soprattutto   la
 giustificatezza  del  diverso regime contributivo delle due categorie
 di pensionati dal punto di vista del principio di corrispettivita'.
                         Considerato in diritto
    1.  -  In  linea  principale  il  Pretore  di  Roma  dubita  della
 legittimita', in riferimento agli artt. 3 e  38  della  Costituzione,
 dell'art. 10, terzo comma, primo periodo, della legge n. 576 del 1980
 sulla previdenza forense, in  quanto  assoggetta  indiscriminatamente
 all'obbligo  di  contribuzione  piena  alla Cassa anche i titolari di
 pensione di invalidita' che continuano l'esercizio della professione,
 anziche' esonerarli o almeno ridurne il carico contributivo in misura
 superiore alla riduzione poi concessa, con la  disposizione  aggiunta
 dalla  legge n. 175 del 1983, ai titolari di pensione di vecchiaia: e
 cio' perche' gli invalidi meriterebbero  maggiore  considerazione  ai
 fini di un alleggerimento dell'obbligo di contribuzione, essendo "per
 definizione costretti a una produttivita' massima pari a meno  di  un
 terzo del normale".
   La  questione e' irrilevante per la decisione del giudizio a quo, e
 pertanto inammissibile. La ricorrente non e' andata oltre la  domanda
 di  una  riduzione  della  contribuzione  alla  Cassa  pari  a quella
 prevista nel secondo periodo del comma  sotto  esame  in  favore  dei
 pensionati per vecchiaia.
    2.  -  In  linea  subordinata  l'art.  10,  terzo comma, citato e'
 ritenuto  censurabile  dal  giudice  remittente  almeno  nel  secondo
 periodo, in quanto non estende ai titolari di pensione di invalidita'
 l'agevolazione contributiva accordata ai pensionati per vecchiaia,  i
 quali,  dopo  cinque  anni  di attivita' professionale dalla data del
 pensionamento, sono esonerati dal pagamento del contributo soggettivo
 di  cui  ai primi due comma dell'art. 10, restando obbligati a pagare
 solo un contributo di solidarieta' nella misura del 3%  del  reddito.
 Sarebbero  violati  il  principio  di  eguaglianza  e il principio di
 adeguatezza della tutela previdenziale alle esigenze di vita,  atteso
 che la ratio della riduzione contributiva, individuata "nella ridotta
 capacita'  produttiva  e  di  reddito   del   pensionato",   inerisce
 all'invalidita' non meno che all'eta' avanzata.
    3. - Occorre preliminarmente esaminare due eccezioni opposte l'una
 dalla Cassa, l'altra dalla ricorrente.
    A   giudizio  della  Cassa,  pure  la  seconda  questione  sarebbe
 irrilevante, e quindi inammissibile, mancando  un  interesse  attuale
 della  ricorrente.  Il  regime contributivo privilegiato, di cui essa
 lamenta il rifiuto di applicazione in suo  favore,  e'  riservato  ai
 professionisti  pensionati  da  piu'  di  cinque  anni,  che  abbiano
 compiuto i settant'anni, mentre la ricorrente e' ancora  lontana  dal
 raggiungimento  di  tale  eta'.  L'eccezione  non  ha pregio. La sola
 condizione di ordine temporale,  cui  e'  assoggettata  la  riduzione
 contributiva  prevista  dalla  norma  impugnata,  e' il compimento di
 cinque anni di attivita' professionale dopo  il  conseguimento  della
 pensione.  Per  i  titolari di pensione di vecchiaia, con riguardo ai
 quali la  disposizione  e'  stata  introdotta,  la  detta  condizione
 implica  che essi devono avere compiuto il settantesimo anno di eta';
 questa specifica condizione, essendo una conseguenza del requisito di
 eta'  pensionabile  fissato  dall'art. 2, primo comma, della legge n.
 576 del 1980, non potrebbe riproporsi, in caso di accoglimento  della
 questione, per i titolari di pensione di invalidita'.
    A  sua  volta,  la  ricorrente  obietta  che la questione dovrebbe
 essere respinta sulla base di una interpretazione "adeguatrice"  che,
 diversamente   da   quella  accolta  dal  giudice  a  quo,  riconosca
 l'applicabilita' della  norma  denunziata  anche  ai  pensionati  per
 invalidita'.  Ma  la lettera della legge segna un limite invalicabile
 delle    possibilita'    di    interpretazione:     l'interpretazione
 antiletterale  e'  ammissibile solo quando sia evidente, alla stregua
 dell'interpretazione   storica   e/o   logico-sistematica,   che   il
 legislatore  e'  caduto  in  un  errore  di linguaggio o in una falsa
 demonstratio.  Nella  disposizione  aggiunta  dalla  legge  del  1983
 all'art.  10,  terzo  comma,  della  legge  sulla  previdenza forense
 l'esplicito richiamo dell'art. 2, ottavo comma, limita  il  campo  di
 applicazione ai titolari di pensione di vecchiaia.
    3.  -  Due  ragioni,  peculiari  a questa categoria di pensionati,
 spiegano la mancata previsione di analogo  beneficio  in  favore  dei
 titolari   di   pensione   di  invalidita',  e  al  tempo  stesso  la
 giustificano alla stregua  di  entrambi  i  parametri  costituzionali
 indicati  dal  giudice  remittente, onde la questione da lui proposta
 deve essere dichiarata non fondata.
    La   prima  ragione  deriva  dal  principio  di  corrispettivita',
 rivalutato dalla riforma del  1980,  ma  incoerentemente  pretermesso
 nell'originario  terzo  comma  dell'art. 10, in relazione all'ipotesi
 dell'art. 2, ottavo comma.  Poiche'  questa  norma  concede  un  solo
 supplemento  di  pensione  di vecchiaia, rapportato al quinquennio di
 attivita' professionale successivo alla  maturazione  del  diritto  a
 pensione,  la legge del 1983, appunto in applicazione del criterio di
 correlazione  tra  contribuzione  e  prestazione  previdenziale,   ha
 soppresso  per gli avvocati ultrasettantenni, che abbiano ottenuto la
 liquidazione definitiva  della  pensione,  l'obbligo  del  contributo
 soggettivo,  da essi precedentemente versato a fondo perduto, e li ha
 assoggettati soltanto a un contributo di solidarieta'  del  3%  (cfr.
 Corte cost. n. 1008 del 1988).
    Questa   ratio   non   ricorre  per  i  titolari  di  pensione  di
 invalidita'. La contribuzione piena alla Cassa, alla quale  rimangono
 obbligati  senza  limiti  di  tempo  qualora  proseguano  l'attivita'
 professionale, trova un corrispettivo nella  progressiva  maturazione
 del  diritto  alla pensione di vecchiaia (art. 5, quinto comma, della
 legge n. 576 del 1981), tenuto presente che, per ipotesi,  essi  sono
 iscritti   alla  Cassa  da  una  data  anteriore  al  compimento  del
 quarantesimo anno di  eta'.  D'altra  parte,  non  va  trascurato  il
 rilievo  che,  per  il  fatto  stesso  di  essere  beneficiari di una
 pensione di invalidita', essi godono, a loro  volta,  di  una  tutela
 previdenziale  privilegiata,  sia  sotto  il profilo del requisito di
 anzianita' contributiva (dieci o anche solo  cinque  anni,  a  fronte
 dell'anzianita'  trentennale richiesta per la pensione di vecchiaia),
 sia sotto il profilo della durata media della pensione.
    4.   -   L'altra  ragione  giustificativa  della  limitazione  dei
 destinatari della norma impugnata  ai  pensionati  per  vecchiaia  si
 coglie  nel  fatto  del  "naturale regresso della capacita' di lavoro
 produttivo per l'avanzare dell'eta'" (cfr. sent. n. 62 del 1977).  Al
 contrario,  la  residua  capacita'  dell'invalido all'esercizio della
 professione (capacita' specifica) e'  stabile,  e  anzi,  negli  anni
 immediatamente successivi al pensionamento, puo' incrementarsi grazie
 a  cure  appropriate  o  anche  per  spontanea   ripresa   di   forze
 dell'organismo  o  per capacita' di adattamento; tant'e' che la legge
 prevede  due  revisioni  triennali  per  accertare   la   persistenza
 dell'invalidita',  prima di ammettere la concessione definitiva della
 pensione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10, terzo comma, primo periodo, della  legge  20  settembre
 1980,  n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), modificato
 dall'art. 2 della  legge  2  maggio  1983,  n.  175  (Interpretazione
 autentica  dell'art.  24  e  integrazione  e  modifica della legge 20
 settembre 1980, n.  576,  concernente  la  riforma  della  previdenza
 forense),   sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  dal  Pretore  di  Roma  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10, terzo comma, secondo periodo, della legge  n.  576  del
 1980   citata,   sollevata  dal  nominato  Pretore  con  la  medesima
 ordinanza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 marzo 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 16 marzo 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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