N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 1988- 2 marzo 1989
N. 141 Ordinanza emessa il 28 febbraio 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 2 marzo 1989) dal tribunale amministativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Lia Modesto contro il comune di Chiuro Impiegati enti locali - Condanna penale passata in giudicato - Destituzione di diritto senza procedimento disciplinare Negazione alla pubblica amministrazione dell'esercizio dei propri poteri discrezionali in ordine ad un'autonoma valutazione dei fatti ed in funzione del buon andamento della azione amministrativa - Negata possibilita' al dipendente destituito, di adire il giudice naturale del rapporto di impiego pubblico Mancata previsione della possibilita' che la Corte costituzionale, prima di procedere alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate, assegni un termine per il loro riesame da parte del legislatore, con conseguente declaratoria di illegittimita' costituzionale in caso di inerzia del legislatore stesso. (Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247). (Cost., artt. 2, 24, 35, 97 e 113).(GU n.13 del 29-3-1989 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1400/1984 proposto da Lia Modesto rappresentato e difeso dagli avvocati Saverio Venosta, Giorgio Tarabini e Aldo Politi ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Milano, via C. Battisti, 21, contro il comune di Chiuro (Sondrio), costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. G. Bonomo e dall'avv. S. Bonomo ed elettivamente domiciliato presso il primo in Milano, via Durini, 5, ricorso proposto per l'annullamento della deliberazione 24 aprile 1983, n. 29/1083 di destituzione dall'impiego; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste la memorie prodotte; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 18 febbraio 1988 il relatore, dott. Raffaele Potenza; Uditi, altresi', l'avv. A. Politi per il ricorrente e l'avv. Giudo Bonomo per la resistente amministrazione; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con provvedimento 24 aprile 1983, n. 29/1083 il consiglio comunale di Chiuro (Sondrio) richiamate le sentenze n. 5518 del 15 dicembre 1982 della corte d'appello di Milano e del 13 dicembre 1983 della Corte di cassazione in forza delle quali il sig. Modesto Lia e' stato condannato con sentenza passata in giudicato, alla pena di mesi otto e giorni quindici di reclusione, con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno per il reato di falsita' ideologica ex art. 479 del c.p. (con la sospensione condizionale della pena), disponeva la destituzione di diritto dell'interessato ai sensi dell'art. 247 del r.o. 3 marzo 1934, n. 383 (t.u. legge comunale e provinciale). Con ricorso notificato in data 8 maggio 1984 e depositato il 16 maggio 1984, il sig. Lia ha impugnato il predetto provvedimento di destituzione, deducendone l'illegittimita' per la sostenuta incostituzionalita' per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 247 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, prevedendo tale norma la massima sanzione disciplinare (la destituzione) in maniera automatica e rigida, senza alcun margine di discrezionalita' in ordine all'eventuale graduazione della sanzione in rapporto alla gravita' del fatto, alla sua incidenza sulla regolarita' del servizio prestato dal pubblico dipendente alla sua compatibilita' tra la fattispecie penale accertata a carico del medesimo ed il mantenimento in servizio nonche' con riguardo alla rilevanza degli eventuali benefici di legge riconosciuti e dei relativi effetti. Si e' costituito in giudizio il comune di Chiuro resistendo al ricorso. Con ordinanza n. 291 del 14 gugno 1984 il tribunale ha accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato. Nelle more anteriori all'udienza di discussione del gravame, e' intervenuta la sentenza 16 dicembre 1986, n. 270, della Corte costituzionale la quale in analogo ordine di fattispecie ad essa sottoposta, ha ritenuto inammissibile le questioni sollevate (anche con riferimento a norme costituzionali diverse dall'art. 3) rientrando nei compiti del legislatore la soddisfazione di quelle pur apprezzabili esigenze che sostanziavano la problematica giuridica ad essa proposta. All'udienza pubblica del 18 febbraio 1988 il ricorso e' stato posto in decisione. D I R I T T O 1. - Occorre innanziatutto premettere alcune osservazioni in ordine alla portata della pronuncia 16 dicembre 1986, n. 270, della Corte costituzionale. Il supremo Consesso ha in primo luogo riconosciuto l'applicabilita', anche nel campo amministrativo, del principio dell'esclusione di sanzioni rigide, non graduabili, come linea tendenziale dell'ordinamento vigente e sottolineando di conseguenza l'obiettiva esigenza di introdurre in esso specifici provvedimenti valutativi che consentano alla pubblica amministrazione di graduare le sanzioni amministrative conseguenti alle sentenze irrevocabili di condanna penale. La Corte non ha pero' potuto trarre da tale principio le auspicate conseguenze, pronunziando l'incostituzionalita' dell'art. 247 del predetto t.u., poiche' tale conclusione avrebbe determinato unicamente una lacuna legis senza per contro condurre all'effettiva introduzione nell'ordinamento del cennato principio, spettando tale funzione alle valutazioni articolate del legislatore, Ne e' cosi' derivata una puntuale quanto inevitabile declaratoria di inammissibilita' della questione proposta. 2. - Ritiene, tuttavia, il collegio che tale conclusione, se da un lato e' imposta dal sistema dei rapporti tra giurisdizione costituzionale e funzione legislativa, essa certamente non risolve alcuno dei problemi (che pur molto precisamente la Corte ha riconosciuto) sollevati, nella specie, anche dal ricorso in decisione; quest'ultimo dovrebbe dunque concludersi, previa dichiarazione di infondatezza della questione in argomento, con un accertamento (suscettibile di passare in giudicato) della legittimita' della destituzione disposta dall'amministrazione in applicazione del predetto art. 247, della cui costituzionalita' "sostanziale" invece questo collegio continua legittimamente a dubitare, suffragato a fortiori dalle cennate considerazioni svolte dalla Corte stessa ove essa acutamente si richiama all'oggettiva necessita' di risoluzione normativa del problema mediante "omogenei e ben identificati rimedi esaustivi". A cio' deve aggiungersi che a tale compito non risulta abbia prestato attenzione alcuna il legislatore (per verita' non nuovo a comportamenti sia omissivi che oppositivi rispetto alle posizioni della Corte) successivamente alla pubblicazione della sentenza 6 dicembre 1986, il che consente al tribunale la riproposizione delle questioni gia' insorte. 2.1. - Alla loro risoluzione sostanziale ritiene, allora, il collegio che la Corte possa comunque pervenire prefissando al legislatore un congruo termine, previa sospensione del giudizio incidentale in corso, per lo svolgimento della funzione di sua spettanza, finalizzata a consentire un giusto contemperamento tra le esigenze del pubblico interesse e la tutela del pubblico dipendente. A tale scopo deve, tuttavia, preventivamente sollevarsi d'ufficio questione di costituzionalita' in ordine ad altra norma, costituita dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui non prevede che la Corte costituzionale, nell'ipotesi di questione di legittimita' ritenuta fondata ma risolvibile unicamente con un intervento normativo articolato, possa assegnare un termine al legislatore, decorso inutilmente il quale consegna l'annullamento delle norme impugnate. 2.2. - Puo', subordinatamente, riproporsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 247 del t.u. 3 marzo 1934, per contrasto con agli artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione, atteso che detta norma appare in contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3), con il diritto al lavoro ed alla sua tutela (artt. 4 e 35), con l'effettivo diritto di difesa e tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113), anche a fronte di provvedimenti amministrativi sanzionatori, ed infine con il principio di legalita' dell'azione amministrativa ( ex art. 97). 2.3. - A giudizio del collegio, infatti, le norme denunciate, in combinazione tra loro impediscono all'ordinamento di consentire e prevedere un argine di discrezionalita' in ordine all'eventuale graduazione della sanzione destitutiva (conseguente a condana penale) in rapporto alla gravita' del fatto commesso, alla sua incidenza sul servizio prestato dal pubblico dipendente, alla compatiblita' tra eventuali precedenti penali e mantenimento in servizio dell'impiegato, nonche' con riguardo alla rilevanza dei benefici di legge riconosciuti e dei relativi effetti. 3. - In forza delle considerazioni teste' svolte, ritenuta la non manifesta infondatezza delle cennate questioni, appare necessario rimettere al giudizio della Corte costituzionale, gli artt. 27 della legge 11 marzo 1987, n. 87, e 247 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, per contrasto con le citate norme costituzionali.
P. Q. M. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per il giudizio sulla legittimita' degli art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 247 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, in relazione agli artt. 2, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Milano il 28 febbraio 1988. (Seguono le firme) 89C0294