N. 139 SENTENZA 8 - 21 marzo 1989
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati militari - Diserzione - Istigazione - Applicazione di una pena in misura inferiore alla meta' di quella stabilita per il reato cui si riferisce l'istigazione - Mancata previsione Necessita' di una commisurazione limitativa - Illegittimita' costituzionale parziale. Cod. pen., art. 266)(GU n.13 del 29-3-1989 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Giovanni CONSO; Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 266 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1988 dalla Corte d'assise di Roma nel procedimento penale a carico di De Luca Athos, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1988; Visto l'atto di costituzione di De Luca Athos, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Giovanni Conso; Udito l'avv. Mauro Mellini per De Luca Athos; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 10 giugno 1988 nel corso del procedimento penale a carico di De Luca Athos, imputato di istigazione alla diserzione, la Corte d'assise di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 266 del codice penale, "nella parte in cui non prevede quale limite massimo di pena irroganda per la istigazione una pena inferiore alla meta' di quella prevista per il reato istigato". Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata, nel disciplinare l'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, senza prevedere alcuna limitazione di pena in relazione al reato oggetto dell'istigazione, introdurrebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento fra le condotte previste dall'art. 266 del codice penale e quelle richiamate dagli artt. 212 (Istigazione a commettere reati militari) e 213 (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi) del codice penale militare di pace, nonche' dall'art. 302 (Istigazione a commettere alcuni dei delitti preveduti dai capi primo e secondo) del codice penale. Infatti, da queste disposizioni si evincerebbe l'esistenza nel nostro ordinamento del principio "che l'istigazione a commettere un reato non consenta una pena superiore alla meta' della pena prevista per il reato istigato". La norma denunciata contrasterebbe con tale principio senza alcuna apprezzabile ragione giustificatrice. 2. - L'imputato del procedimento a quo, Athos De Luca, si e' costituito nel giudizio davanti alla Corte costituzionale con memoria del proprio difensore avv. Mauro Mellini, sostenendo la fondatezza della questione per le stesse ragioni indicate nell'ordinanza di rimessione. 3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri e' intervenuto nel giudizio tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Secondo l'Avvocatura, il parallelismo instaurato dalla Corte d'assise tra la fattispecie di cui all'art. 266 del codice penale e quella di cui all'art. 212 del codice penale militare di pace non puo' essere condiviso, poiche' l'esatto corrispondente della norma denunciata andrebbe individuato nell'art. 213 del codice penale militare di pace, che sanziona, appunto, l'istigazione di militari a disobbedire alle leggi e prevede una pena anche piu' grave rispetto alla norma di diritto penale comune, senza enunciare alcuna clausola limitativa. Invece, l'art. 212 del codice penale militare di pace e l'art. 302 del codice penale, invocati come termini di raffronto, sanzionerebbero, analogamente all'art. 115 c.p., non un generico fatto di istigazione, bensi' l'istigazione "propedeutica alla commissione di un reato concorsuale". In questi casi e' il collegamento dell'istigazione con la commissione di un reato a rendere necessaria la parametrazione della pena, onde evitare che l'istigazione non accolta possa essere sanzionata piu' gravemente del reato, mentre, nelle ipotesi di generica istigazione a disobbedire alle leggi, la parametrazione non e' possibile, "in quanto l'istigazione non attiene necessariamente alla commissione di fatti reati". La differenziazione del trattamento sanzionatorio sarebbe, quindi, assistita da un'adeguata ragione giustificatrice, tenendo anche conto della circostanza che la misura delle pene previste dagli artt. 266 c.p. e 213 c.p.m.p. non appare tale da travalicare i limiti della ragionevolezza. 4. - Alla pubblica udienza del 10 gennaio 1989 la difesa del De Luca ha insistito per l'accoglimento delle proprie tesi e conclusioni. Considerato in diritto 1. - La Corte d'assise di Roma dubita che l'art. 266 del codice penale, "nella parte in cui non prevede quale limite massimo di pena irroganda per la istigazione una pena inferiore alla meta' di quella prevista per il reato istigato", sia conforme all'art. 3 della Costituzione. Sollevata nel corso di un procedimento penale per istigazione di militari alla diserzione, instaurato, ex art. 266 del codice penale (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi), nei confronti di un imputato "non militare", in quanto "permanentemente non idoneo al servizio militare", la questione proposta prende le mosse dalla disparita' di trattamento ravvisabile "tra le condotte previste dall'art. 266 e quelle richiamate dall'art. 212 e 213 c.p.m.p. nonche' dall'art. 302 c.p.", sotto il particolare profilo che queste ultime, a differenza delle prime, comportano "l'applicazione di una pena inferiore alla meta' di quella stabilita per il reato istigato". Se ne "evince che e' principio del nostro ordinamento positivo penale e militare che l'istigazione a commettere un reato non consenta una pena superiore alla meta' della pena prevista per il reato istigato" e se ne deduce che la mancata estensione di tale principio alla pena contemplata dall'art. 266 del codice penale sarebbe priva di giustificazione, in quanto le "fattispecie" ivi "indicate" risulterebbero di gravita' minore "o, almeno, pari" a quelle "indicate" negli artt. 212 e 213 del codice penale militare di pace e nell'art. 302 del codice penale. 2. - In realta', delle molteplici "fattispecie" alternativamente "indicate" nell'art. 266 del codice penale (istigare i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato oppure far loro apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari) viene qui in discussione soltanto la prima, con ancor piu' particolare riguardo all'ipotesi costituita dall'istigazione di militari a disobbedire alle leggi penali, anzi ad una singola legge penale, come, appunto, nel caso dell'istigazione a disertare: un'ipotesi che il giudice a quo riconduce nell'ambito dell'art. 266, secondo l'insegnamento della piu' autorevole dottrina, da sempre in linea con la Relazione ministeriale al progetto preliminare del codice penale (Lavori preparatori, vol. II, p. 44), senza che questa Corte abbia motivo di discostarsene (v. gia' la sentenza n. 16 del 1973, in risposta a piu' ordinanze di rimessione, una delle quali relativa proprio ad un'ipotesi di istigazione a disertare). Del resto, a ricondurre la dedotta questione nei limiti indicati non sono soltanto le esigenze sottostanti al requisito della rilevanza, strettamente correlate all'addebito contestato nel procedimento principale. Non minore peso riveste la considerazione evidenziata dall'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, la' dove si sottolinea come, unicamente con riguardo alle fattispecie di istigazione a commettere un reato, esista la possibilita' di commisurare la pena per l'istigatore alla pena concernente il reato al quale si riferisce l'istigazione. 3. - Nel merito la questione e' fondata. Peraltro, delle due argomentazioni prospettate nell'ordinanza di rimessione non puo' essere condivisa quella, piu' generale, secondo cui dagli artt. 212 (Istigazione a commettere reati militari) e 213 (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi) del codice penale militare di pace, nonche' dall'art. 302 (Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo) del codice penale, si evincerebbe "che e' principio comune del nostro ordinamento positivo penale e militare che l'istigazione a commettere un reato non consenta una pena superiore alla meta' della pena prevista per il reato istigato" tutte le volte che l'istigazione venga incriminata dal legislatore di per se stessa, in deroga all'art. 115, terzo e quarto comma, del codice penale, dove l'istigazione non seguita dalla commissione del reato e' configurata semplicemente come ipotesi di quasi reato, passibile soltanto di una misura di sicurezza. Tale argomentazione non e' confortata dall'analisi della normativa vigente in materia di istigazione. In primo luogo, si rivela addirittura controproducente l'inserimento dell'art. 213 del codice penale militare di pace fra le norme in cui troverebbe estrinsecazione il preteso principio generale. Poiche' tale disposizione - nell'incriminare "il militare che commette alcuno dei fatti d'istigazione o di apologia indicati nell'art. 266 del codice penale" (con l'ovvia eccezione del fatto del "militare che istiga uno o piu' militari in servizio alle armi a commettere un reato militare", fattispecie oggetto di apposita, autonoma previsione ad opera dell'art. 212 del codice penale militare di pace) - prende a base proprio le pene "stabilite" dall'art. 266, resta a priori escluso che in essa si possa ritrovare traccia di un qualsiasi riferimento alla pena prevista per il reato istigato. Ma - anche a prescindere dall'art. 213 del codice penale militare di pace, che, a causa dell'inclusione nell'art. 212 dell'ipotesi di istigazione a commettere reati militari, rimane comunque estraneo alla tematica in esame - non si puo' affermare che la commisurazione della pena applicabile per l'istigatore alla pena prevista per il reato istigato (nel senso che la prima dev'essere sempre applicata non gia', come asserisce il giudice a quo, "in misura non superiore", bensi' "in misura inferiore alla meta' della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce l'istigazione") assurga a principio generale per i reati di istigazione. Vi fa ostacolo la constatazione che, per quanto riguarda l'ordinamento penale comune, tale limite, pur previsto nel codice penale dall'art. 302, secondo comma, e, in forma diversa, dall'art. 322 (Istigazione alla corruzione), e' assente non solo nell'art. 266, ma anche nell'art. 303 (Pubblica istigazione e apologia), nell'art. 327 (Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi e degli atti dell'Autorita') e nell'art. 414 (Istigazione a delinquere), per tacere dell'art. 415 (Istigazione a disobbedire alle leggi), i cui rapporti con l'art. 414 non sono dissimili da quelli tra l'art. 213 e l'art. 212 del codice penale militare di pace. Per quanto riguarda, poi, l'ordinamento militare, il limite, pur presente nell'art. 212, non figura ne' nell'art. 78 n. 1 (Istigazione all'alto tradimento) ne' nell'art. 98 (Istigazione od offerta) del codice penale militare di pace. 4. - Resta da considerare l'altra argomentazione del giudice a quo: quella secondo cui, indipendentemente dall'esistenza del principio ora confutato, l'art. 266 del codice penale violerebbe l'art. 3 della Costituzione perche' la fattispecie in esame, pur rivestendo minore o, almeno, pari gravita', non fruirebbe della commisurazione limitativa riconosciuta a chi deve rispondere di una delle fattispecie previste o dall'art. 302 del codice penale o dall'art. 212 del codice penale militare di pace. Per quanto accomunate dall'ordinanza di rimessione, le situazioni sottostanti ai rapporti che intercorrono, da un lato, fra l'art. 266 e l'art. 302 del codice penale e, dall'altro, fra lo stesso art. 266 e l'art. 212 del codice penale militare di pace vanno prese in esame separatamente, in ragione della non omogenea fisionomia delle due fattispecie (artt. 302 e 212) assunte come tertia comparationis. 5. - Le differenze fra l'art. 266 e l'art. 302 del codice penale risultano troppo marcate perche' la disparita' di trattamento riscontrabile a proposito del limite di pena posto dal secondo comma dell'art. 302, e non contemplato dall'art. 266, possa apparire priva di ogni razionale giustificazione. Soprattutto il fatto che tra i comportamenti contemplati dall'art. 302 figuri pure l'istigazione a commettere il delitto previsto dall'art. 266 e, quindi, l'istigazione all'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, sta a dimostrare non solo come le due norme operino su piani diversi, ma anche come la condotta nei riguardi della quale il legislatore ha posto il limite di pena (cioe', l'istigazione all'istigazione) si presenti di minor gravita' rispetto alla condotta rappresentata dall'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, essendo la prima piu' lontana della seconda dal perseguito obiettivo di far disobbedire alle leggi uno o piu' militari. 6. - Del tutto corrispondenti sono, invece, le fattispecie (istigazione a commettere reati militari ed istigazione di militari a commettere un reato militare) che vengono in esame quando il confronto si instaura tra l'art. 212 del codice penale militare di pace e la parte impugnata dell'art. 266 del codice penale. Appare, pertanto, priva di razionale giustificazione la disparita' di trattamento riscontrabile a proposito del limite di pena posto dal secondo comma dell'art. 212 del codice militare di pace ("la pena e' sempre applicata in misura inferiore alla meta' della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione") e non previsto dall'art. 266 del codice penale. Fatta eccezione per la diversa qualifica del soggetto agente (militare nel primo caso, non militare nel secondo), la ragion d'essere delle due norme a confronto sostanzialmente coincide. Ne' rileva in contrario che l'art. 212 del codice penale militare di pace, pur comminando "la stessa pena", dedichi il primo comma all'ipotesi del "militare, che istiga uno o piu' militari in servizio alle armi a commettere un reato militare" ed il secondo comma all'ipotesi del militare che istiga "un militare in congedo illimitato, e l'istigazione si riferisca ad uno dei reati per i quali, secondo l'art. 7 di questo Codice, ai militari in congedo illimitato e' applicabile la legge penale militare". Entrambe le ipotesi, se realizzate da un non militare, rientrano, infatti, nella piu' generica previsione dell'art. 266 del codice penale.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 266 del codice penale, nella parte in cui non prevede che per l'istigazione di militari a commettere un reato militare la pena sia "sempre applicata in misura inferiore alla meta' della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione". Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1989. Il Presidente e redattore: CONSO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 21 marzo 1989. Il direttore della cancelleria: MINELLI 89C0324