N. 30 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 maggio 1989

                                 N. 30
           Ricorso depositato in cancelleria il 4 maggio 1989
                     (della regione Emilia-Romagna)
 Previdenza  - Prevista imposizione per le regioni a statuto ordinario
 di stipulare convenzioni ex art. 16,  terzo  comma,  della  legge  n.
 845/1978  -  Accantonamento  da  parte  del  Ministero del tesoro, in
 assenza di tali convenzioni, di somme, pari  all'importo  dovuto  per
 gli  anni  precedenti  dalle  singole regioni, da prelevarsi a favore
 degli istituti previdenziali dal fondo di cui all'art. 8 della  legge
 n.  291/1970  - Violazione dei principi di eguaglianza e di autonomia
 delle  regioni  -  Travalicamento  delle   competenze   regionali   -
 Illegittima  sottoposizione  di  tali  enti al controllo di un organo
 centrale - Illegittima reiterazione di un decreto-legge, gia'  emesso
 in assenza dei presupposti costituzionali che lo giustifichino e gia'
 impugnato  innanzi  alla  Corte  costituzionale  -   Regolamentazione
 retroattiva  dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito
 operata dal Governo anche in violazione dei principi  della  sentenza
 n.  307/1983  Surrettizia conversione di decreto-legge prodotta da un
 organo non abilitato.
 (D.-L. 28 marzo 1989, n. 110, art. 6).
 (Cost., artt. 5, 77, 117, 118, 119 e 125).
(GU n.21 del 24-5-1989 )
   Ricorso  per  la  regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
 pro-tempore della giunta regionale Luciano Guerzoni, rappresentata  e
 difesa  per  procura  a  margine  del presente atto dall'avv. Alberto
 Predieri e presso il suo studio elettivamente  domiciliata  in  Roma,
 via  Nazionale,  230, giusta deliberazione g.r. n. 1687 del 26 aprile
 1989,  contro  il  Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   per
 l'annullamento dell'art. 6 del d.-l. 28 marzo 1989, n. 110.
    1.  -  Il  d.-l. n. 110/1989 reitera il d.-l. 30 dicembre 1988, n.
 548, ad  onta  di  qualsiasi  monito  della  Corte,  a  testimonianza
 ulteriore   che   la  costituzione  materiale  (intesa  come  formula
 semantica dell'eufemismo con cui si indicano le violazioni  ripetute)
 prevale su quella formale.
    La  formula  dell'art.  6,  primo  comma,  del  d.-l.  n. 110/1989
 riproduce pari pari quella dell'art. 11 del d.-l. n. 548/1988; mentre
 il  secondo  comma  dell'art.  6  allunga un poco il periodo previsto
 nell'art. 11 predetto; cosi' come il  terzo  comma  dell'art.  6  del
 d.-l. n. 110/1989 riproduce l'art. 11 del d.-l. n. 548/1988 con poche
 modificazioni.  Il  quarto  comma  del  d.-l.  n.  110/1989,  infine,
 riproduce  l'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 11 del d.-l. n.
 548/1988.
    2.  -  Non  si puo tacere che lo strumento adoperato per sottrarre
 illegittimamente la  competenza  alle  regioni,  cioe'  il  d.-l.  n.
 110/1989,  e'  illegittimo  nella  sua  struttura,  oltre che nel suo
 contenuto invasivo della sfera regionale, sotto piu' profili, i quali
 tutti   concorrono   a  manifestare  l'illegittimita'  e'  rafforzano
 l'illegittimita' della  spoliazione  che  la  regione  Emilia-Romagna
 denuncia alla Corte.
    La  illegittima  normazione,  infatti,  e'  stata  assunta  con un
 decreto-legge  privo  dei  presupposti  costituzionali,  secondo  una
 deplorevole  tendenza, piu' e piu' volte stigmatizzata dai Presidenti
 delle Camere, dalle commissioni parlamentari, a  continuare  nell'uso
 perverso   del   decreto-legge,   privo   tanto  del  rispetto  della
 Costituzione e della legalita', quanto di efficacia e di  efficienza.
    3.  -  Va  sottolineato  che  il decreto-legge e' reiterato per la
 seconda volta, in violazione delle norme costituzionali.
    La  piaga dell'abuso o dell'uso disinvolto (per usare le parole di
 un giurista autorevole gia' presidente della Corte) dei decreti-legge
 e'  aggravata  quando  all'impiego  del  decreto-legge fuori dei casi
 straordinari previsti dalla Costituzione, si aggiunge la  prassi  del
 tutto  incostituzionale  delle  reiterazioni  a  catena  dello stesso
 decreto  che,  non  convertito,  viene  ritirato  e   contestualmente
 ripresentato via via.
    I   decreti   leggi   reiterati,   mai  apparsi  nelle  prime  tre
 legislature, comparsi con un primo caso nella quarta con il d.-l.  29
 ottobre  1964,  n.  1014, reiterato con il d.-l. 23 dicembre 1964, n.
 1351, successivamente convertito in legge il 19 febbraio, n. 28,  con
 quattro  casi  nella  quinta  (e  tre  dei  quattro decreti reiterati
 riguardavano provvedimenti urgenti in favore delle zone colpite dalle
 alluvioni  dell'autunno  1968)  e  cinque nella sesta, sono diventati
 otto nella settima, sessantanove nell'ottava, novantadue nella  nona.
    Un  decreto-legge  reiterato non e' solo illegittimo: e' anche una
 manifestazione, divenuta purtroppo istituzionale,  delle  istituzioni
 "materiali"   contrarie  alla  Costituzione,  all'unica  Costituzione
 normativa, e di discredito del diritto e della funzione  legislativa.
 Esso  sancisce,  visivamente  e simbolicamente, l'inadeguatezza di un
 congegno che non  produce  diritto,  cioe'  certezza,  ma  incertezza
 continuata,  con  una  sovrapposizione di precetti decaduti, talvolta
 poi  fatti  rivivere  in  qualche  modo,  oppure  mantenuti  in  vita
 sincronizzando   decadenze  e  riedizioni  del  decreto,  sempre  con
 stravolgimento delle norme costituzionali. Alla funzione  legislativa
 esercitata  dal  parlamento viene sostituita una funzione legislativa
 esercitata  indebitamente  e  illegittimamente   dal   governo,   con
 reiterazioni  che  assicurano  la continuita' della normativa stessa,
 sconvolgendo  i   termini   di   decadenza   posti   dall'ordinamento
 costituzionale.
   La  reiterazione  del  decreto-legge comporta sempre una violazione
 smaccata che rovescia il ruolo del governo, non piu'  operatore,  sia
 pur  principale,  nella  fase  dell'iniziativa,  ma  legislatore  che
 aggrega  la  domanda  e  ad  essa  risponde  con   una   legislazione
 frammentaria,  confusa, episodica. La reiterazione produce, di fatto,
 una convalidazione dei comportamenti che  la  decadenza  dei  decreti
 avrebbe  reso  contra  legem  in quanto le disposizioni contenute nel
 decreto non convertito perdono di efficacia giuridica  completamente,
 tanto  da  essere  considerate  tamquam non esset. Come bene e' stato
 scritto da un autorevole presidente della Corte "i decreti-legge sono
 gli  unici  atti normativi, previsti dal nostro sistema, suscettibili
 di trasformarsi - nel caso non vengano tempestivamente convertiti  da
 fonti  di  diritto in fonti di illecito, lasciando del tutto privi di
 fondamento i rapporti instauratisi ai sensi delle loro  prescrizioni.
 Di  piu':  nell'ipotesi  scolastica,  ma  non  irrealizzabile, di una
 sentenza non piu' impugnabile che sia stata emessa in applicazione di
 un  decreto legge destinato a decadere, ne deriva la possibilita' che
 venga meno la stessa autorita' della 'cosa giudicata',  al  di  fuori
 dei   casi  tassativamente  previsti  dalle  norme  processuali"  (L.
 Paladin, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1977, 165).  Cfm.
 in  giurisprudenza: "le disposizioni dei decreti-legge non convertite
 ovvero sostituite o  modificate  in  senso  sostanziale  in  sede  di
 conversione  perdono  ex  tunc  la  loro efficacia con la conseguente
 illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici sorti in base alle
 norme non convertite e sostituite") (Cass., 17 febbraio 1978, n. 781,
 in Giust. civ., 1978, I, 869). Sul punto la Corte si  e'  pronunciata
 con  chiarezza:  "la mancata conversione del decreto-legge produce la
 cessazione  dei  suoi  effetti  -  per   necessaria   ed   automatica
 conseguenza dell'inerzia del Parlamento - come non mai esistono quale
 fonte  di  diritto  a  livello  legislativo":   cosi'   le   testuali
 espressioni  della  sentenza  n. 307/1983 della Corte costituzionale,
 punto 7.
    Ma  tutto  cio' viene nullificato dal decretatore, che continua ad
 applicare un qualche cosa che norma non  e';  che  anzi,  secondo  la
 dottrina  piu' autorevole, e' solo una fonte di illecito che di fatto
 regola la materia, come se non esistesse  l'ordine  delle  competenze
 sancito  dalla  costituzione; che sta in piedi perche', pur dopo ogni
 manifestazione  di  volonta'   del   Parlamento,   viene   perpetuato
 autoriproducendosi, in violazione di norme principi.
    Tutte  queste  violazioni e disfunzioni, che l'uso illegittimo del
 decreto  legge  fa  constatare  ogni  giorno,  vengono  continuamente
 rilevate,  nelle piu' autorevoli sedi dai Presidenti dei due rami del
 Parlamento dalla Corte dei conti,  dalle  commissioni,  degli  uffici
 studi, documentazione e ricerche.
    4.  - Ancora va detto che il decreto legge n. 110/1989 e' privo di
 motivazione,  che  per   questo   genere   di   atti   normativi   e'
 indispensabile.  Essa  sarebbe stata tanto piu' necessaria perche' il
 testo  della  disposizione  illegittima  mancava   nelle   precedenti
 versioni  e abbisognava, percio', di una sua autonoma motivazione che
 desse  ragione  della  esistenza  di  quel  caso   straordinario   di
 necessita'  e  di urgenza che l'art. 77 della Costituzione esige come
 presupposto per l'esercizio del potere di decretazione.
    La motivazione addotta (e che e' sempre la stessa in ogni decreto)
 e' pura tautologia.
    In  altre parole, la motivazione della straordinaria necessita' ed
 urgenza e' data dal dire che  c'e'  la  straordinaria  necessita'  ed
 urgenza. Questa e' una non-motivazione o, peggio, una irrisione.
    5.  - La regione Emilia-Romagna deve rilevare che l'illegittimita'
 della reiterazione e' rilevante sotto il profilo della lesione  delle
 sue   competenze,   perche'   si   ha   l'esercizio   di   un  potere
 illegittimamente esercitato da un organo diverso da quello a  cui  e'
 attribuito  costituzionalmente,  cioe'  il  Parlamento,  il  cui atto
 legislativo nel sistema e'  posto  in  posizione  di  supremazia  nei
 confronti  degli  atti legislativi regionali, se emanato nel rispetto
 delle competenze: mentre la formazione di un atto di altro organo, di
 per  se',  con  la sua produzione, indebita ed illegittima, invade la
 competenza  della  regione,  statuendo  su   materie   di   interesse
 regionale,  sulle  quali  nessuna statuizione e' possibile se non nel
 rispetto delle competenze  costituzionali  (sentenze  n.  154/1967  e
 191/1976).
    6.  -  Non si puo' tacere che e' piu' che dubbio che nella materia
 di competenza regionale, in cui al legislatore statale  e'  riservato
 il  livello,  o  la  submateria,  dei principi, che si impongono come
 limite alla legislazione regionale, possano  emanarsi  decreti  legge
 immediatamente  operativi.  Essi pretendono di abrogare, prima ancora
 della conversione, leggi regionali, e, per di piu',  leggi  regionali
 emanate  in  attuazione  di una norma interposta rispetto al precetto
 costituzionale. Se anche, pero', si ammettesse questo intervento  del
 decreto  legge  ad  effetti necessariamente precari o intermittenti e
 istituzionalmente  caduchi,  che  opera  una  abrogazione   anch'essa
 precaria  (o  una  sospensione,  non  prevista da alcuna norma) della
 legislazione regionale, il superamento dei limiti  di  tempo  imposti
 dalla   Costituzione  ad  una  normazione  straordinaria,  basata  su
 presupposti di straordinarieta' e di urgenza, perpetuando senza  fine
 gli  effetti  del  decreto  decaduto,  urta  contro norme tassative e
 contro  i  principi  che  connotano  il  sistema  parlamentare  e  le
 relazioni   fra   regioni   e  Stato,  fra  organi  costituzionali  e
 parlamento, governo, regioni.
    7. - Il decreto-legge reiterato pone norme illegittime per il loro
 contenuto, come meglio si vedra', che non sono norme, a  ben  vedere.
 La  reiterazione  comporta  che  nella  sostanza  e' sempre la stessa
 disposizione che viene riprodotta pari pari: ma mentre la prima aveva
 forza  e  valore  di  legge  le altre sono disposizioni o sequenze di
 parole, prive di effetti normativi. La norma del primo decreto  legge
 della  catena non convertita e' decaduta. "La mancata conversione del
 decreto-legge produce la cessazione dei suo effetti - per  necessaria
 ed  automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento - come non mai
 esistito quale fonte di diritto  a  livello  legislativo":  cosi'  le
 testuali   espressioni   della   sentenza  n.  307/1983  della  Corte
 costituzionale,  punto  7.  Ne  deriva  che  "le   disposizioni   dei
 decreti-legge  non convertite ovvero sostituite o modificate in senso
 sostanziale in sede di conversione perdono ex tunc la loro  efficacia
 con la conseguente illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici
 sorti in base alle norme non  convertite  e  sostituite"  (Cass.,  17
 febbraio 1978 n. 781, in Giust. civ. 1978, I, 869).
    La  reiterazione della identica disposizione decaduta altro non e'
 se non una conversione sostanziale illegittima, perche'  pretende  di
 avere  ed  ha,  di  fatto,  gli  stessi  effetti  che  avrebbe ove la
 conversione non fosse stata rifiutata e avvesse avuto luogo. Infatti,
 conversione  significa dare in via definitiva forza e valore di legge
 a disposizione che tale forza e valore avevano in via transitoria,  a
 tempo  determinato,  decorso  il quale o la conversione attribuiva la
 forza e il valore ricordato o la disposizione  perdeva  ogni  effetto
 normativo e giuridico, se non quello produttivo di illeciti.
    Orbene  la  norma successiva al decreto decaduto che, riproducendo
 il  testo  delle  sue  disposizioni  divenute  "mai   esistite",   ne
 costituisce   una   reale  conversione  prodotta  da  un  organo  non
 abilitato, e cioe' il governo che si sostituisce al Parlamento,  solo
 abilitato  alla  conversione,  e'  illegittima,  anzi inesistente. Il
 governo puo' produrre norme con i  presupposti  che  la  costituzione
 circoscrive,  con  forza e con valore di legge nelle forme e nei modi
 previsti  dall'art.  77,  con  gli  effetti  limitati  nel  tempo   e
 condizionati  alla conversione. Ma il governo non puo' procedere alla
 conversione. Che tale conversione avvenga in modo ostentato (si hanno
 purtroppo  rischi  di  casi in cui il d.-l. convalida gli effetti del
 decreto decaduto, mentre l'art. 77 della Costituzione, ultimo  comma,
 ultimo  inciso,  dice che, pur avendo il decreto non convertito perso
 ogni efficacia, le Camere  possono  con  legge  regolare  i  rapporti
 giuridici  sorti sulla base del decreto non convertito. Non e' facile
 trovare una disposizione costituzionale di cosi' piana  lettura:  per
 questo,  pero',  non  e'  neppure facile comprendere come la' dove il
 testo della costituzione dice le Camere si possa leggere il  governo,
 e  dove  il  testo dice con legge si possa leggere con decreto-legge:
 invero la costituzione  nell'art.  77,  ultimo  comma  introduce  una
 riserva  qualificata,  che non consente che essa venga coperta con un
 decreto-legge  o  legislativo,  proprio  perche'   impone   in   modo
 inequivocabile  che  l'atto  sia  formato,  prodotto  dalle  Camere e
 imputato ad esse), o che tale conversione  avvenga  in  modo  coperto
 (come  avviene  nei  nostri  cinque casi) la sostanza non cambia. Una
 norma che in difetto di conversione e' stata espunta come inesistente
 dall'ordinamento  (salvo  il  salvataggio  deciso  del Parlamento non
 della norma ne dell'atto ma di taluni suoi  effetti  fattuali)  resta
 insesistente  e  improduttiva  di  effetti,  anche se la disposizione
 illegittimamente viene  riprodotta  in  un  contenitore  qual  e'  il
 decreto-legge  che potra' anche contenere norme aventi forza e valore
 di  legge,  purche'  nuove  e  non  reiterate,  ma  che  per   quelle
 disposizioni  identiche  a  quelle decadute (a loro volta identiche a
 quelle del precedente decreto e cosi' via via percorrendo  a  ritroso
 questa  genesi  perversa)  non  e'  abilitato  a dare ad esse forza e
 valore di legge.
    8.  -  Perche'  non  ogni  atto  normativo  o  norma di produzione
 governativa ha forza e valore di legge: lo hanno  solo  quelle  norme
 che  sono contenute in un atto-fonte e che, di per se', possono avere
 forza e valore di legge.  In  altre  parole,  per  una  disposizione,
 l'essere   contenuta  in  un  contenitore  o  atto-fonte  elencato  o
 abilitato, qual e' il decreto-legge)  non  comporta  di  per  se'  il
 costituire   norma   avente  forza  e  valore  di  legge  se  mancano
 presupposti e condizioni che, secondo la costituzione,  consentono  a
 quella disposizione di acquistare quella forza e quel valore.
    Disposizione  (o struttura semantica o sequenza di parole), norma,
 atto o contenitore, hanno ciascuna una loro identita' e diversita'  e
 un   loro   ruolo,   interconnesso,  ma  non  per  questo  confuso  o
 intercambiabile. Sarebbe  superfluo  insistere  su  constatazioni  di
 questo genere rese definitive dall'insegnamento di Crisafulli. Ci sia
 consentito solo di ricordare che proprio la materia dei decreti-legge
 ha  dimostrato  nelle  controversie  sulla  data di entrata in vigore
 degli emendamenti aggiuntivi, integrativi o sostitutivi apportati  al
 disegno  di  legge  nel provvedimento di conversione la scissione fra
 disposizioni e norme e atto, con la diversa efficacia ex nunc  ed  ex
 tunc  su cui la giurisprundenza si e' soffermata e consolidata (e che
 in precedenza abbiamo ricordato.
    In  conclusione,  non  solo  una  disposizione puo' contenere piu'
 disposizioni e norme; ma un atto puo' contenere piu' norme, un atto o
 un  insieme di disposizioni puo' contenere norme di effetti diversi o
 addirittura non norme, disposizioni insuscettibili di produrre norme.
    9.  - Questo e' il nostro caso. Quando la disposizione ha prodotto
 una norma decaduta non puo' piu' produrre, perche' l'atto con forza e
 valore  di  legge  non puo' essere reiterato ne' la disposizione puo'
 essere utilmente inserita in un atto che  non  puo'  produre  effetti
 normativi,  perche' non e' piu' abilitata a produrre una nuova norma.
    Se  a  quel determinato contenuto sostanziale si vuol dare forza e
 valore di legge, c'e' un  solo  metodo  se  si  vuol  rimanere  nella
 Costituzione:  la  presentazione di un disegno o di progetto di legge
 come atto di impulso di  un  procedimento  legislativo  in  cui  atto
 terminale  produca  l'atto  e la norma legislativa, nei modi statuiti
 dalla legge e dai regolamenti parlamentari.
    I  quali  - possiamo aggiungere - non consentono la riproposizione
 di disposizioni o strutture  semantiche  gia'  inseriti  in  progetti
 presentati e non accolti se non dopo un determinato periodo.
    Le  ricordate  norme dei regolamenti parlamentari costituiscono un
 parametro che testimonia  l'estraneita'  al  nostro  sistema  di  una
 reiterazione.
    Resta  fermo peraltro che altro e' la reiterazione illegittima per
 i regolamenti parlamentari e altro e' quella illegittima per le norme
 costituzionali; l'illegittimita' nei confronti di queste e del chiaro
 inequivocabile precetto dell'art. 77 e  dell'interpretazione  che  la
 Corte  ne  ha  dato,  rendono  superfluo  passare ad esaminare se, in
 ipotesi, la reiterazione dei decreti decaduti urti  contro  le  norme
 dei regolamenti parlamentari.
    10.- Una disposizione o struttura semantica che e' stata dotata di
 effetti normativi e ha prodotto una norma ed effetti normativi e  che
 non  li  puo'  piu' produrre se non viene incanalata nel procedimento
 legislativo ordinario, come abbia detto, non e' una  norma,  perche',
 e' divenuta "non esistente" e non puo' essere richiamata in vita.
    Se  il  ragionamento  dev'essere portato alle conseguenze estreme,
 l'avvocatura potrebbe dire che una invasione di  competenze  con  una
 non   norma  e'  un'invasione  impossibile  (modellandola  sul  reato
 impossibile). Se - proseguendo nella  sequenza  -  da  questo  se  ne
 dovesse trarre la conclusione che il ricorso e' inammissibile perche'
 l'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 e' sprovvisto di  forza  e  valore  di
 legge,    la    regione    dovrebbe   concordare   con   l'Avvocatura
 sull'inammissibilita' del suo ricorso.
    Sotto  questo  profilo,  fermo  restando  che  la difesa delle sue
 competenze ha abilitato la regione ad adire la Corte per  far  valere
 il  suo  interesse  a  far  dichiarare  che  quella  preudo-norma  ha
 l'aspetto di disposizione normativa perche' si trova  scritta  in  un
 numero  della  Gazzetta  Ufficiale,  va sottolineato che, al di sotto
 dell'apparenza o della species, la disposizione censurata  non  habet
 cerebrum, avrebbe detto Fedro o non ha Nerves of Governement, direbbe
 Karl Deutsch; non ha, diciamo  conclusivamente,  forza  e  valore  di
 legge.
    Se   cosi'   non   fosse,  e  se  le  norme  reiterate  denunziate
 esistessero, esse sarebbere illegittime in quanto non  e'  consentita
 una  reiterazione che altro non e' se un artificio di basso conio per
 superare l'insuperabile barriera  posta  dal  termine  entro  cui  la
 conversione dev'essere approvata.
    11. - Il cercare di dire che la regione non puo' far valere queste
 illeggittimita' perche' essa  puo'  far  valere  solo  le  violazioni
 dell'ordine  delle  competenze  a  lei attribuite, non e' persuasivo.
 Innanzi tutto, la norma illegittima in tanto invade in  quanto  posta
 con  un  decreto-legge, atto che acquista effetti immediati; e contro
 questi effetti se vi e'  invasione  di  competenza  la  Regione  deve
 difendersi, evitando la invasione, difendendo la sua sfera; cosicche'
 se la difesa della  sfera  di  competenza  si  attua  facendo  valere
 l'illegittimita' costituzionale del mezzo usato, questo rientra nelle
 competenze e nella legittimazione regionale.
    Il  ricorso  alla Corte e' dato per evitare invasioni illegittime:
 se, in radice, viene fatta valere l'illegittimita'  non  puo'  essere
 applicata quella giurisprudenza che in altri casi puo' avere limitato
 il  petitum  delle  regioni  alle  invasioni  di   competenza   senza
 consentire  alle  regioni  medesime  di far valere vizi della legge o
 degli atti aventi farza e valore di legge di per se; e  resta  sempre
 fondamentale  la  considerazione che la Corte e' giudice a quo e come
 tale  puo'  essa  sollevare  e  decidere   qualunque   questione   di
 legittimita' relativa all'atto che la Corte deve giudicare.
    12.   -  Indipendentemente  dai  vizi  ora  denunciati,  la  norma
 dell'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 "Disposizioni urgenti in materia di
 evasione  contributiva,  di fiscalizzazione di oneri sociali e sgravi
 contributivi al Mezzogiorno") (il  solo  titolo  denuncia  subito  la
 violazione  dell'art.  15,  terzo  comma,  della  legge  n. 400/1988)
 introduce  un  meccanismo  a  piu'  titoli  lesivo  della  competenza
 regionale,  perche'  impone  alle regioni un comportamento, statuendo
 che esse debbono provvedere a stipulare convenzioni, e  qualora  tali
 convenzioni  non  vengano stipulate, il Ministero del tesoro disponga
 delle  somme  pari  al  contributo  dovuto  per  l'anno   precedente,
 bloccandole prima nel fondo di cui all'art. 8 della legge n. 291/1970
 e pagandole poi agli istituti previdenziali.
    Viene  introdotto  un congedo sanzionatorio ai danni delle regioni
 alla cui disponibilita' vengono sottratte le somme ricordate anche se
 la  convenzione  non  venisse  stipulata per fatto o colpa degli enti
 previdenziali,  con  manifesta  irragionevolezza  e  violazione   dei
 principi  di  eguaglianza e di autonomia e delle competenze garantite
 dagli artt. 117 e 118.
    Per  di  piu' si realizza un controllo anomalo, non previsto dalla
 costituzione, affidandolo ad un organo centrale violando il combinato
 degli   artt.   117,   118,  119  e  125,  e  violando  il  principio
 dell'autonomia posto  dall'art.  119,  in  quanto  il  fondo  di  cui
 all'art.  8  della  legge  n.  291/1970 costituito allo scopo di dare
 attuazione alla norma di autonomia viene  posto  a  disposizione  del
 Ministro  del  tesoro  che  puo'  disporre di somme in esso affluite,
 distrarle  e  impiegarle  per  pagamenti  a  terzi  che  esso  decide
 disponendo  in modo autoritativo del fondo destinato nella intenzione
 del legislatore a garantire l'esplicazione dell'autonomia finanziaria
 regionale.
    13.  -  E'  prevedibile che il Presidente del Consiglio obiettera'
 che le regioni non hanno alcuna competenza  in  materia,  perche'  la
 "materia"   della   previdenza  ed  assistenza  sociale  obbligatoria
 (assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contro  le  malattie,
 l'invalidita'  e  vecchiaia,  etc.)  non  e'  contempleta  fra quelle
 demandate  alla  potesta'  legislativa  concorrente   delle   regioni
 dall'art. 117 della Costituzione e perche' la materia non puo' essere
 ricompresa nell'ambito della "istruzione artigiana e professionale  e
 assistenza  scolastica",  ovvero  nell'ambito  dell'"artigianato"  in
 quanto l'art. 35 del d.P.R. n. 616/1977  ha  assegnato  alle  regioni
 solo  "i  servizi  e  le  attivita'  destinate  alla  formazione,  al
 perfezionamento,   alla    riqualificazione    ed    all'orientamento
 professionale,  per qualsiasi attivita' professionale e per qualsiasi
 finalita', compresa la formazione continua, permanente, ricorrente  a
 quella  conseguente  a  riconversione  di  attivita'  produttive,  ad
 esclusione di quelle dirette al conseguimento di un titolo di  studio
 o   diploma  di  istruzione  secondaria  superiore,  universitaria  o
 post-universitaria; la vigilanza sull'attivita' privata di istruzione
 artigiana   e   professionale",   con   un  quadro  confermato  dalla
 legge-quadro in materia di formazione professionale 21 dicembre 1978,
 n.  845,  i  cui  artt.  2  e  3 forniscono un quadrro degli spazi di
 intervento riservati alle regioni, ed in cui non vi  e'  alcun  cenno
 alle assicurazioni sociali degli apprendisti artigiani.
    Tutto cio' e' non fondato e contraddetto dalla stessa legge-quadro
 21 dicembre 1978, n. 845, il cui art.  16  e'  richiamato  dal  primo
 comma   dell'art.  6  denunciato.  Detto  art.  16  prevede,  fra  le
 competenze proprie delle regioni  per  la  formazione  professionale,
 quelle  relative alla formazione degli apprendisti, nel cui quadro lo
 stesso art. 16 prevede, a carico delle regioni, obblighi dipendenti e
 connessi  all'esercizio  dei  poteri-doveri ad esse attribuiti per la
 formazione professionale.
    Nelle competenze delle regioni si inquadrano, dunque, le previsoni
 legislative;  e  quelle   competenze   in   materia   di   formazione
 professionale  che  debbono essere esercitate nell'ambito delle norme
 costituzionali sull'autonomia regionale poste dagli artt. 117, 118  e
 119 sono invase dall'art. 6 del d.-l. n. 110/1989.
    14.  -  Ne'  puo'  sostenersi  che si tratti di funzioni delegate,
 perche' una tal delega sarebbe ravvisabile nel tezo  comma  dell'art.
 16  della  legge  n. 845/1978. Il tentativo di sottrarsi al controllo
 della Corte non puo' essere spinto sino al punto di affermare che  lo
 Stato  ha delegato alle regioni la facolta' di stipulare contratti al
 cui pagamento deve provvedere il fondo delle regioni.  Lo  Stato,  in
 altre parole, delegherebbe le regioni a pagare con i loro fondi.
    15.  -  L'art. 6 nel terzo comma, come gia' l'art. 11 del d.-l. n.
 548/1988, introduce un controllo anomalo che viola l'art.  125  della
 Costituzione.
    Dire  che  si  tratta di controllo sotitutivo in materia delegata,
 innanzi tutto urta contro la  considerazione  che  non  v'e'  nessuna
 delega;  ma,  comunque,  urta  contro  gli  insegnamenti  della Corte
 sanciti dalla sentenza n. 177/1988. Il potere sostitutivo puo' essere
 esercitato  solo dal governo nello specifico senso dell'art. 92 della
 Costituzione con le  garanzie  sostanziali  e  procedurali,  comprese
 l'esigenza  del  rispetto  della  regola  di  proporzionalita'  e con
 esclusione di attribuzione di controllo ad un organo che, sempre  per
 insegnamento della Corte costituzionale, non si identifica in nessuno
 degli organi che l'art. 92 comprende nel concetto di governo.
    La  Corte  ha  statuito  "che forme di controllo sostitutivo siano
 imputabili  dalla  legge   soltanto   ad   organi   che   per   poter
 legittimamente   adottare   indirizzi  od  esercitare  controlli  nei
 confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza  di
 vertice (la giunta) non possono essere che organi di governo".
    "E'  solo  su questo piano, infatti che operano organi in grado di
 vigilare sull'unitarieta' e  sul  buon  andamento  della  complessiva
 amministrazione  pubblica  e che possono intervenire nei confronti di
 autonomie costituzionalmente tutelate  con  poteri  cosi'  penetranti
 come  quelli  sostitutivi  nel  rispetto  delle garanzie fondamentali
 proprie del nostro sistema costituzionale, prima fra tutte quella  di
 doverne rispondere al parlamento nazionale".
    16.  -  L'art.  6  prevede  invece  che  "il  Ministero del tesoro
 provvede ad accantonare, a valere  sulle  erogazioni  spettanti  alle
 regioni  per  gli  anni 1989 e successivi, ai sensi dell'art. 8 della
 legge 16 maggio 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli
 dovuti  in  forza  del  secondo  comma.  Le somme accantonate vengono
 calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del  tesoro,
 entro  il 31 luglio 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza
 sociale e vengono corrisposte agli  istituti  assicuratori  entro  il
 termine di ogni esercizio.
    "Fino  all'intervenuta  stipula  delle  convenzioni,  i contributi
 dovuti da ogni regione  per  gli  anni  1989  e  successivi  verranno
 trattenuti  sulle  quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo
 comune sulla base dei crediti annualmente  comunicati  dal  Ministero
 del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  ai  fini della successiva
 erogazione a favore degli istituti assicuratori".  Si  tratta  di  un
 controllo  sostitutivo  affidato  ad  un  solo  Ministro,  che agisce
 inaudita  altera  parte  corrispondendo  direttamente  con  un  altro
 Ministro e sostituendosi nella erogazione a terzi soggetti privati in
 violazione  dei  principi  di  autonomia  contrattuale   riconosciuti
 dall'art.  41 della Costituzione ad ogni soggetto pubblico o privato,
 e che a maggior ragione debbono essere garantiti alle regioni a norma
 degli  artt.  5, 117, 118 e 119 della Costituzione. Queste invece, da
 organi costituzionali vengono ridotte al rango di incapaci i cui atti
 e rapporti vengono sostituiti da interventi di organi statali.
                                P. Q. M.
    Si   conclude  chiedendo  che  la  Corte  costituzionale  dichiari
 l'illegittimita' dell'art. 6 del d.-l.  n.  110/1989  per  violazione
 degli artt. 5, 77, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione.
      Roma, addi' 26 aprile 1989
                           (Seguono le firme)

 89C0533