N. 31 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 maggio 1989
N. 31 Ricorso depositato in cancelleria il 6 maggio 1989 (della regione Piemonte) Previdenza - Prevista imposizione per le regioni a statuto ordinario di stipulare convenzioni ex art. 16, terzo comma, della legge n. 845/1978 con istituti previdenziali - Autoritativa determinazione del contenuto di tali convenzioni, effettuata con d.-l., secondo le pretese degli enti assicurativi in danno della regione Indebito accollo di oneri assicurativi e previdenziali senza corrispettivo trasferimento di fondi - Omesso coordinamento della finanza statale con quella regionale - Illegittima lesione dell'autonomia e delle competenze regionali - Abuso di uno strumento normativo (d.-l.) in assenza dei presupposti costituzionali che lo giustifichino ed in contrasto con l'art. 15 della legge n. 400/88 - In subordine: illegittima interferenza nelle funzioni dell'autorita' giudiziaria - Compressione del diritto alla tutela giudiziaria spettante alle regioni - Richiesta di ordinanza istruttoria. (D.-L. 28 marzo 1989, n. 110, art. 6). (Cost., artt. 77, 81, 117, 118, 119, anche in relazione all'art. 15 della legge n. 400/1988; in subordine: Cost., artt. 24, 101 e 113).(GU n.21 del 24-5-1989 )
Ricorso della regione Piemonte, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore Vittorio Beltrami, autorizzato con delibera n. 172/28324 del 26 aprile 1989, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, largo della Gancia, 1, come da procura speciale a rogito notar Morone di Torino, in data 26 aprile 1989, rep. n. 7451, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.-l. 28 marzo 1989, n. 110, recante "Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi nel Mezzogiorno"; F A T T O La legge 19 gennaio 1955, n. 25, recante "Disciplina dell'apprendistato", prevede per gli apprendisti, all'art. 21, l'assistenza sociale obbligatoria per gli infortuni sul lavoro, le malattie, l'invalidita' e vecchiaia, la TBC. I contributi dovuti per tali assicurazioni dovevano essere versati (art. 22) tramite acquisto di un'apposita marca settimanale. Al pagamento dei contributi in favore degli apprendisti artigiani provvedeva "senza onere e formalita' alcuna per gli imprenditori", il Fondo per l'addestramento professionale dei lavoratori (F.A.P.L.), istituito dall'art. 62 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (art. 28); l'erogazione delle somme avveniva con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, secondo contratti da stipularsi tra il Fondo e gli istituti previdenziali. Nel quadro della riforma della formazione professionale, attuata con la legge 21 dicembre 1978, n. 845, e della attribuzione alle regioni di competenze legislative e amministrative nella materia, l'art. 16 della stessa legge n. 845/1978 stabili' che "la regione, per i fini di cui all'art. 21 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento, a valere sui fondi di cui all'art. 22, primo comma" della medesima legge "delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani". A sua volta l'art. 22 della legge n. 845/ 1978 prevede che le attivita' promosse dalle regioni sono finanziate "nell'ambito del fondo comune di cui all'art. 8, della legge 16 maggio 1979, n. 281", al quale sono conferiti gli stanziamenti statali gia' attinenti alle attivita' trasferite nonche' la disponibilita' del F.A.P.L. per l'anno 1979. Nella stessa legge si prevede la soppressione del Fondo addestramento professionale lavoratori, la soppressione di tutti i contributi a carico di enti diversi previsti a favore del F.A.P.L. (art. 23), e l'abrogazione degli artt. 20 e 28 della legge n. 25/1955 (art. 16, ultimo comma). L'onere per il pagamento dei contributi a carico della regione scatta dunque, secondo il chiaro tenore dell'art. 16, solo con al stipulazione delle convenzioni, in base e nei limiti delle stesse. A tali convenzioni tra regioni e istituti assicurativi non si e' finora potuti addivenire sia per le pretese eccessive degli enti assicurativi (le stesse cifre sugli apprendisti artigiani fornite dall'I.N.P.S. non sono mai state univoche, essendosi talvolta scambiato il numero degli apprendisti artigiani con quello - chiaramente maggiore - di tutti gli apprendisti), sia per la sordita' del Governo di fronte all'esigenza di trovare soluzioni ragionevoli alla vicenda. Le ragionevoli richieste regionali sono cosi' sintetizzabili: a) una convenzione-tipo valida per tutte le regioni, da determinarsi negli stessi termini in cui vigeva il rapporto tra enti e Stato; b) un criterio, riconosciuto valido da tutte le parti, di certezza statistica sul numero degli apprendisti artigiani; c) una definizione univoca delle tariffe; d) procedure atte a garantire una semplificazione dei sistemi di conteggio. Tali richieste non sono mai state ascoltate, e si e' lasciato che il problema diventasse incandescente, specie tenendo conto che il fondo comune regionale, in cui confluirono le disponibilita' del F.A.P.L. per il 1979, e' andato col tempo decurtato in termini nominali (art. 2 primo comma del d.-l. n. 677/1981), e che quindi le risorse a disposizione della regione sono andate in sostanza diminuendo nel tempo. Per tutta risposta il Governo ha iniziato ad utilizzare l'arma impropria della decretazione di urgenza: dopo un primo tentativo effettuato con il d.-l. 20 novembre 1985, n. 649 (art. 3), il Governo e' tornato alla carica con il "decretone" del 31 dicembre 1988 (art. 11), e infine, adesso - nonostante le contestazioni regionali - con il d.-l. impugnato, il cui art. 6 recita: "1. - Le regioni a statuto ordinario comunicano, entro il mese di giugno 1989, ai Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro la stipula delle convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845. 2. - Le convenzioni di cui al comma 1 stabiliscono anche il pagamento in cinque annualita' costanti dei contributi per gli anni 1988 e precedenti, senza gravami di interessi ed oneri accessori per i contributi e la rateizzazione. Il limite massimo di dette annualita' e' fissato, per ogni regione e per ciascuno degli anni interessati alla rateizzazione, al 4% della quota del fondo comune ad essa spettante, ai sensi dell'art. 1 della legge 1 febbraio 1989, n. 40, al netto delle somme di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, a carico delle singole regioni. In ogni caso di insufficienza della rateizzazione rispetto ai contributi dovuti, il numero di annualita' e', con i suddetti criteri, automaticamente aumentato. 3. - In mancanza della stipula delle convenzioni il Ministero del tesoro provvede ad accantonare, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli anni 1989 e successivi, ai sensi dell'art. 8 della lege 16 maggio 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli dovuti in forza del comma secondo. Le somme accantonate vengono calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro il 31 luglio 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e vengono corrisposte agli istituti assicuratori entro il termine di ogni esercizio. 4. - Fino all'intervenuta stipula delle convenzioni, i contributi dovuti da ogni regione per gli anni 1989 e successivi verranno trattenuti sulle quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo comune sulle base dei crediti annualmente comunicati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori". Cosi' facendo, il Governo ha inopinatamente abbracciato le tesi degli istituti assicuratori, facendo proprie incondizionatamente le pretese da essi sostenute circa l' an ed il quantum delle somme richieste alle regioni, e scaricando su queste ultime oneri insopportabili (ad esempio per la Lombardia si parla di oltre 150 miliardi, per le Marche di oltre 30 miliardi), a cui non corrisponde nessun contributo statale, e per di piu' oneri attinenti a materia (la previdenza sociale) in cui non vi e' nessuna competenza regionale; anticipando altresi' e anzi sostituendo con il decreto-legge le soluzioni giudiziarie che l'I.N.P.S. e l'I.N.A.I.L. avevano piu' volte prospettato di voler promuovere. L'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 e' peraltro gravemente illegittimo e lesivo dell'autonomia regionale per le seguenti ragioni: D I R I T T O 1. - Violazione dell'art. 77 della costituzione. Come si e' ricordato, la vicenda relativa ai contributi assicurativi per gli apprendisti artigiani si trascina dal 1979: gia' si era tentato di intervenire nel dicembre 1988; l'urgenza dell'intervento normativo e' dunque totalmente assente, e difettano i presupposti costituzionali per il ricorso al deceto-legge. Di fronte al problema dell' an e del quantum dei contributi per gli apprendisti artigiani, sarebbe stato a dir poco ben piu' corretto che l'intervento seguisse l'ordinario procedimento legislativo, nell'ambito del quale, fra l'altro, le regioni potessero esporre compiutamente le proprie ragioni. Sotto altro profilo, non si puo' non sottolineare come il d.-l. impugnato difetti, in contrasto con l'art. 15 della legge n. 400/1988 e quindi con l'art. 77 della Costituzione, di un contenuto specifico, omogeneo, e corrispondente al titolo. Queste violazioni dell'art. 77, come risultera' anche da quanto si esporra' in seguito, si riverberano immediatamente in una lesione delle competenze regionali. 2. - Violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione. L'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 accolla alle regioni oneri previdenziali ed assicurativi la cui corresponsione le regioni stesse hanno sempre contestato, non corrispondendo tale obbligo ad alcuna competenza regionale in materia, e traducendosi in una fiscalizzazione di oneri sociali operata in danno delle finanze regionali, con palese violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione. Alle regioni infatti non spetta alcuna competenza in materia previdenziale e tanto meno spettano competenze in ordine alla fissazione della misura dei contributi, che rimane affidata, ai sensi della legge n. 100/1975, a decreti del Ministro del lavoro: ora, la fiscalizzazione degli oneri sociali per gli apprendisti artigiani e' sicuramente misura legittima e ammissibile, ma deve essere sopportata dalla collettivita' generale e comunque dal soggetto in grado di manovrare le misure degli oneri, non certo dalle regioni che hanno solo limitate competenze in materia di finanza, e nessuna in materia previdenziale. 3. - Violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre ritenuto che l'art. 81, quarto comma, trovi applicazione anche per le leggi che pongono nuove spese a carico di enti pubblici diversi dallo Stato, e in particolare delle regioni: una legge non puo' accollare nuovi oneri alle regioni, senza fornire ad esse gli strumenti finanziari per farvi fronte. Cio' invece e' quanto succede con il d.-l. n. 110/1989, che accolla ex lege alle finanze regionali conributi assicurativi e previdenziali, il cui pagamento - comunque contestato nell' an e nel quantum - avrebbe dovuto essere disciplinato da appositte convenzioni (si noti che cio' avrebbe consentito fra l'altro alle regioni di poter quantificare e programmare il numero delle persone interessate e le modalita' di erogazione delle somme). Da una situazione in cui l'obbligo del versamento e la sua misura dipendevano dalla stipula di apposite convenzioni tra regioni ed enti assicuratori, e quindi dalla libera volonta' contrattuale delle parti, si pretende di passare ad una imposizione ex lege dell'obbligo di pagamento, in misura unilateralmente determinata dagli istituti assicuratori, addebitando direttamente alle regioni le quote comunicate dal Ministero del lavoro. A tale obbligo di pagamento, precedentemente non esistente, sia perche' contestato nell' an e nel quantum, sia perche' derivante eventualmente solo dalle convenzioni, non fa riscontro alcuna corresponsione di mezzi da parte dello Stato: alle regioni viene imposto, per un numero di anni indeterminato, di rinunziare al 4% della propria quota del fondo comune per coprire l'onere dei contributi presuntivamente dovuti per gli anni passati, oltre che ad una ulteriore quota percentuale del fondo, totalmente sconosciuta perche' l'I.N.P.S. e l'I.N.A.I.L. non sono in grado di calcolarla, per i contributi futuri. La disposizione cosi' congegnata comporta per la regione un onere cospicuo e non esattamente quantificabile (se non a posteriori), di fronte al quale non sussiste un adeguato trasferimento di risorse per il passato, ne' una garanzia di accrescimento del fondo comune per gli esercizi futuri. In ogni caso, sarebbe stato corretto, quanto meno, prima determinare l'entita' dell'onere addossato alla regione e confrontarlo con le somme trasferite dallo Stato per la formazione professionale. E' vero che, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 845/1978, al fondo comune fu conferito "l'importo corrispondente alla disponibilita' del fondo addestramento professionale lavoratori per l'anno 1979": ma tale somma gia' nel 1979 era assolutamente insufficiente a coprire i contributi che ogni regione avrebbe dovuto pagare, e inoltre - soppresso il fondo e soppressi i contributi a favore di esso - non e' stata in seguito accresciuta. Su questo punto fondamentale della controversia, sulla congruita', cioe', delle risorse assegnate alle regioni e con le quali esse dovrebbero far fronte ai pagamenti dei contributi per gli apprendisti artigiani, ben potrebbe la Corte, se del caso, utilizzare lo strumento dell'ordinanza istruttoria, al fine di ottenere dalle competenti amministrazioni statali e regionali dati certi e attendibili su cui fondare le successive valutazioni. E' comunque certo, come si e' accennato, che l'entita' delle somme confluite nel fondo a seguito della soppressione del F.A.P.L non e' mai stata rivalutata dopo il 1979. Cio' e' tanto piu' grave se si tiene conto che e' il Ministro del lavoro a determinare, con proprio decreto, l'entita' dei contributi (che sono aumentati da L. 920 nel 1976 a L. 2.846 nel 1986): il Ministro puo' quindi rincarare annualmente le spese considerate obbligatorie per le regioni, ma lo Stato non provvede ad aumentare le risorse trasferite! Cio' che stupisce, poi, e' che il Governo abbia sposato in pieno il punto di vista degli enti assicuratori: di fronte alla contestazione regionale sull' an e soprattutto sul quantum del dovuto, lo Stato ha deciso che le somme dovute dalle regioni sono "calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro il 31 luglio 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale..."! Si tratta di una tecnica singolare: contestandosi un credito, nella sua esistenza e nella sua quantita', invece che perseguire le normali vie giudiziarie, si e' ritenuto miglior partito (piu' rapido e piu' sicuro) quello di ottenenere dal Governo un decreto-legge col quale si impone che le somme contestate siano in via autoritativa trattenute nella misura vantata dal presunto creditore, sulle somme spettanti al presunto debitore. Evidente e' la violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione: ma questo modo di agire, che accolla alle regioni il carico contributivo, si concreta anche una violazione dell'art. 119 della Costituzione che impone alla legge di coordinare la finanza regionale con quella statale. 4. - Violazione degli artt. 24, 101 / 113 della Costituzione. Come si e' accennato, la disposizione impugnata viene in sostanza a regolare autoritativamente un rapporto fra regioni e istituti assicurativi, definendone il contenuto in confromita' alle pretese di questi ultimi e a danno delle regioni. Ora, se si riconosce - come deve riconoscersi - che l'obbligo corrispondente alle somme che oggi si vorrebbero trattenere alle regioni in precedenza non sussisteva, almeno nella misura oggi imposta, e' inevitabile constatare la violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione. Ma se, in denegata ipotesi, dovesse ritenersi che tale obbligo, benche' contestato, gia' sussistesse, egualmente la disposizione impugnata sarebbe illegittima, in quanto essa avrebbe la portata e l'effetto di sostituire unilateralmente e autoritativamente una determinazione legislativa ad un accertamento, effettuato nella competente sede giurisdizionale e sulla base di una corretta ricognizione dei presupposti, dell'esistenza e dell'entita' del presunto obbligo. In tal modo l'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 verrebbe a violare palesemente gli artt. 24, 101, e 113 della Costituzione, traducendosi in una indebita interferenza nella funzioni dell'autorita' giudiziaria nonche' in una illegittima comprensione del diritto, spettante alle regioni, alla tutela giudiziaria nei confronti delle pretese degli istituti assicurativi.
P. Q. M. La regione Piemonte chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.-l. 28 marzo 1989, n. 110, in riferimento agli artt. 77, 81, 117, 118 e 119 della Costituzione, e anche in relazione all'art. 15 della legge n. 400/1986, nonche', in subordine, in riferimento agli artt. 24, 101 e 113 della Costituzione. Milano, addi' 26 aprile 1989 Avv. prof. Valerio ONIDA 89C0534