N. 37 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 maggio 1989

                                 N. 37
           Ricorso depositato in cancelleria l'11 maggio 1989
                     (della regione Emilia-Romagna)
 Urbanistica  e  viabilita'  - Programmazione di una rete di parcheggi
 demandata a quindici comuni - Individuazione da parte  della  regione
 di  altri  comuni  tenuti  a tale attivita' - Programmi da approvarsi
 dalla regione entro trenta e sessanta giorni - Prevista realizzazione
 anche  in contrasto con gli strumenti urbanistici Automatica variante
 ai  piani  regolatori  generali  -  Possibilita'  per  i  privati  di
 realizzare  nel  sottosuolo dei propri immobili parcheggi - Lamentata
 eccessiva brevita' del termine per esercitare la  funzione  regionale
 di  controllo-valutazione Violazione delle competenze regionali e del
 principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
 (Legge 24 marzo 1989, n. 122, artt. 3, secondo comma, 6, sesto comma,
 e 9).
 (Cost., artt. 3, 9, 97, 117, e 118).
(GU n.22 del 31-5-1989 )
    Ricorso  per  la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
 pro-tempore, rappresentata  e  difesa,  per  mandato  a  margine  del
 presente   atto,   dall'avv.   Alberto   Predieri   ed  elettivamente
 domiciliata presso il suo studio in Roma, via Nazionale, 230,  giusta
 delibera  giunta  regionale  n.  1708  del  2  maggio 1989, contro il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di
 illegittimita'  costituzionale degli artt. 3, secondo comma, 6, sesto
 comma, 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 "Disposizioni  in  materia
 di  parcheggi,  programma  triennale  per le aree urbane maggiormente
 popolate, nonche' modificazioni di alcuni norme del testo unico sulla
 disciplina  della  circolazione  stradale,  approvato con decreto del
 Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393".
    1.1.  - La legge n. 122/1989 nell'art. 3, primo comma, prevede che
 la regione individui i comuni che sono tenuti "alla realizzazione del
 programma  urbano  dei  parcheggi.  Tale  programma  deve tra l'altro
 indicare le localizzazioni ed  i  dimensionamenti,  le  priorita'  di
 intervento  ed  i tempi di attuazione, privilegiando le realizzazioni
 volte a favorire il decongestionamento dei centri urbani mediante  la
 creazione  di  parcheggi  finalizzati all'interscambio con sistemi di
 trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli  a
 due ruote, nonche' le disposizioni necessarie per la regolamentazione
 della circolazione e  dello  stazionamento  dei  veicoli  nelle  aree
 urbane".
    A  norma  dell'art.  3,  settimo  comma,  "il programma approvato,
 qualora contenga disposizioni in contrasto con quelle contenute negli
 strumenti  urbanistici  vigenti, costituisce variante degli strumenti
 stessi. L'atto di approvazione  del  programma  costituisce  altresi'
 dichiarazione di pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' delle
 opere da realizzare".
    1.2.  -  Norma  analoga  a quella ora citata e' posta dall'art. 6,
 sesto comma, della legge n. 122/1989 per i comuni che,  invece,  sono
 tenuti a formare i programmi dei parcheggi in forza di precetto posto
 direttamente dal legislatore nel primo comma del predetto art. 6,  il
 quale prevede che "il programma deve essere redatto tenendo conto del
 decreto di cui al terzo comma dell'art. 2 indicando, tra l'altro,  le
 localizzazioni, i dimensionamenti, le priorita' di intervento nonche'
 le opere e gli interventi da realizzare in ciascun anno; il programma
 dovra'   privilegiare   le   realizzazioni   piu'   urgenti   per  il
 decongestionamento  dei  centri  urbani  mediante  la  creazione   di
 parcheggi  finalizzati  all'interscambio  con  sistemi  di  trasporto
 collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote.
 L'inserimento nel programma di parcheggi finalizzati all'interscambio
 con sistemi di trasporto collettivo situati anche sul  territorio  di
 comuni limitrofi puo' essere disposto su iniziativa dei comuni di cui
 al primo periodo del presente comma, sentite le aziende di  trasporto
 pubblico   e   previa   intesa  con  i  comuni  interessati  promossa
 dall'amministrazione provinciale".
    1.3.  -  In  relazione  alle  norme  ricordate  i  comuni  debbono
 trasmettere alla regione i  programmi;  la  regione  deve  deliberare
 entro  trenta  (o  sessanta)  giorni,  a  seconda che si tratti delle
 ipotesi di cui all'art. 3 o all'art. 6. Decorso il termine senza  che
 sia   intervenuta   una   deliberazione   di  rigetto,  si  forma  il
 provvedimento di  approvazione  in  forza  di  silenzio  accoglimento
 esplicitamente  disposto  nel  secondo comma dell'art. 3 e nel quarto
 comma dell'art. 6.
    2.1.  -  Il  breve  termine  posto  dalla  legge  e'  lesivo delle
 competenze regionali  in  materia  di  urbanistica  e  di  trasporti,
 disciplinate  dagli  artt.  117  e 118 della Costituzione, per la sua
 irragionevolezza che, impedendo di fatto l'esercizio delle competenze
 regionali  in  tema di assetto del territorio, priva le regioni di un
 potere di particolare importanza.
    2.2.  -  I  programmi dei parcheggi costituiscono, per esplicita e
 chiara disposizione  della  legge  n.  122/1989,  varianti  al  piano
 regolatore generale e agli altri strumenti urbanistici.
    2.3.  -  L'approvazione del piano regolatore generale (e delle sue
 varianti e modificazioni) costituisce competenza regionale  peculiare
 e  qualificante,  secondo  i principi fondamentali della legislazione
 urbanistica. Altrettanto lo  e'  quella  degli  strumenti  attuativi,
 quando  la regione individui le aree come aventi interesse regionale.
 Comunque, poiche' la legge n. 122/1989 dispone l'effetto di  variante
 in  relazione  ai  p.r.g.,  oltre  che  agli  strumenti attuativi, le
 considerazioni che possono farsi per la prima ipotesi hanno sempre la
 loro validita'.
    I  piani  regolatori,  nell'insegnamento  della Corte (sentenza n.
 286/1985 punto 6 di diritto) e  nel  diritto  vivente  (per  costante
 interpretazione  delle  supreme magistrature e dei giudici di merito)
 sono atti complessi, ma a complessita' ineguale, che si  formano  per
 il  concorso  delle  volonta'  degli organi comunali e della regione,
 quest'ultima  in  posizione   di   supremazia,   determinante   nella
 formazione della fattispecie complessa, non solo perche' senza il suo
 apporto l'atto adottato dal comune non  acquista  effetti,  ma  anche
 perche'   la   Regione  e'  titolare  di  poteri  di  approvazione  e
 modificazione.
    Testualmente  dice  la ricordata sentenza n. 286/1985 della Corte:
 "l'intervento delle regioni o delle province autonome in  materia  di
 piani  regolatori  e  programmi  di fabbricazione non ha soltanto una
 efficacia di controllo, ma si inserisce, quale elemento  costitutivo,
 in  una  fattispecie  a  formazione  progressiva,  potendosi con esso
 apportare modificazioni, variazioni,  soppressioni  e  aggiunte  alle
 previsioni formulate dal comune.
    E'  vero  che  sin dal momento dell'adozione da parte degli organi
 comunali lo strumento urbanistico produce alcuni effetti  prodromici,
 sia   pur   limitati,   i   quali  trovano  la  loro  giustificazione
 nell'esigenza che medio tempore non sia pregiudicata l'attuazione  di
 esso.   Tale  efficacia  anticipata  non  rileva  pero'  sulla  serie
 procedimentale di formazione del medesimo, serie che da' vita  ad  un
 atto  complesso  riferibile non soltanto agli enti minori (comuni) ma
 anche  a  quelli  (Regioni,   province   autonome)   che   provvedono
 all'approvazione".
    Secondo Cass., 11 novembre 1977 n. 4874, Riv. giur. edil. 1978, I,
 8 "Il piano regolatore  generale  ha  natura  di  atto  complesso  (a
 complessita'  ineguale),  risultando  dal  concorso (e dalla fusione)
 delle volonta' del comune e dello Stato (ora della regione),  dirette
 al raggiungimento di un unico, comune fine di pubblico interesse, si'
 che vengono a  fara  parte  integrante  della  complessa  fattispecie
 costitutiva  del programma di pianificazione sia la deliberazione del
 consiglio  comunale  di  adozione  del  piano  sia  il  decreto   del
 Presidente   della   Repubblica  (ora,  della  giunta  regionale)  di
 approvazione, tanto che l'efficacia normativa  del  piano  regolatore
 decorre  non gia' dalla data di adozione di esso da parte del Comune,
 ma da quella della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'avviso
 della  emanazione  del  decreto presidenziale di approvazione". Nello
 stesso ordine di idee la decisione del Cons. Stato, sezione quarta, 4
 dicembre 1973, n. 1180, Foro amm. 1973, I, 1188, Cons. Stato 1973, I,
 1813; Cons. Stato, sezione quarta, 16 dicembre 1980,  n.  1209,  Riv.
 giur.  edil.  1981,  I,  636;  Cons. Stato, sezione seconda, 11 marzo
 1969, n. 120, Cons. Stato 1969, I, 1060; Cons.  Stato,  ad.  gen.,  2
 marzo  1961,  n.  267, Riv. amm. R.I. 1962, 225; Cons. Stato, sezione
 quarta, 1› febbraio 1961, n. 60, Cons. Stato  1961,  I,  207;  Id.  5
 dicembre 1958, n. 975, ivi 1958, I, 1433.
    Cass.  Sez. II, 27 maggio 1975, n. 2135, Foro it. 1976, I, 100, in
 motivazione  112,  ripete  che  "il  decreto  del  Presidente   della
 Repubblica (oggi del presidente della giunta regionale), concludendo,
 dal punto di vista formale e con efficacia esterna, l'iter  formativo
 del  provvedimento, realizza sostanzialmente una nuova deliberazione,
 mediante la quale il progetto di piano adottato  dal  comune  risulta
 integrato  e  completato.  Esso  non  e',  quindi,  un  mero  atto di
 controllo sulla deliberazione comunale di adozione del piano,  ma  si
 pone  come  un  elemento  costitutivo  perfezionante  la  fattispecie
 complessa da cui ha origine il piano regolatore".
    Sarebbe  superfluo  insistere  nel rilevare che i poteri regionali
 sono dati per  la  tutela  degli  interessi  generali  sovracomunali,
 regionali,   statali  quali  individuati  dall'art.  10  della  legge
 urbanistica.
    I  poteri  della  regione  ora  ricordati sono tanto importanti da
 essere qualificanti nelle funzioni di governo del territorio  proprie
 di  questa e nella ricostruzione della posizione stessa della regione
 nel  sistema  costituzionale,   determinata   dall'art.   117   della
 Costituzione:  e  la  configurazione  del  piano regolatore come atto
 complesso ineguale con supremazia regionale e' principio fondamentale
 della materia, puntualmente confermato dalla stessa legge n. 47/1985.
    Questa,  infatti,  nel porre regole per snellire i procedimenti di
 formazione dei piani urbanistici, dispone nell'art. 24  che  "non  e'
 soggetto   ad   approvazione  regionale  lo  strumento  attuativo  di
 strumenti generali" (piani regolatori) "salvo che per le aree  e  per
 gli  ambiti  territoriali individuati dalle Regioni come di interesse
 regionale in sede  di  piano  territoriale  di  coordinamento  o,  in
 mancanza,  con  specifica deliberazione", mentre nell'art. 25 prevede
 che le regioni emanino norme che  "prevedono  procedure  semplificate
 per   l'approvazione  degli  strumenti  attuativi  in  variante  agli
 strumenti urbanistici generali", "per l'approvazione di varianti agli
 strumenti  urbanistici  generali  finalizzate  all'adeguamento  degli
 standards urbanistici posti da disposizioni statali o regionali".
    In  conclusione,  il  piano  regolatore  generale e' sempre atto a
 complessita' ineguale, mentre il piano attuativo e' atto del  comune,
 e  la  variante al p.r.g. e' sempre atto a complessita' ineguale, pur
 se approvabile con procedura piu' rapida  determinata  dalle  singole
 regioni.
    Di  questi  poteri regionali le leggi della regione Emilia-Romagna
 disciplinano l'esercizio, attribuendo ai  singoli  organi  le  dovute
 competenze  e  regolando il procedimento nelle due fasi di formazione
 dell'atto, quella comunale e quella regionale.
    3.1.  -  Il  congegno  previsto  dalla  legge n. 122/1989 non solo
 interviene nella  disciplina  di  dettaglio  della  formazione  degli
 strumenti   per   la   regolazione   del   territorio   e  delle  sue
 modificazioni, ma pone a carico della regione, per  l'attuazione  dei
 compiti  istruttori  e  decisori  relativi  alla  fase  regionale del
 procedimento, un termine di brevita' irragionevole, tale da non poter
 essere  provvedibilmente rispettato: cosicche' di fatto quel che puo'
 apparire un'eccezione derivante da negligenze regionali (e  cioe'  la
 formazione  dell'approvazione  del  programma  comunale  per silenzio
 accoglimento) diventa la regola. La regione non puo'  esaminare,  nel
 troppo   breve   termine  concessole,  cento  o  duecento  programmi,
 provenienti da comuni con forti congestioni di traffico e problemi di
 parcheggio (basti pensare, per citare a caso alcuni esempi, ai comuni
 sulla via Emilia, a quelli della zona costiera, a  quelli  a  cavallo
 delle  grandi direttrici autostradali); ne' puo' svolgere un'adeguata
 istruttoria e prendere  una  motivata  decisione  per  verificare  le
 coerenze  con  le  previsioni  del  piano,  con  le  interconnessioni
 intercomunali provinciali, con l'impatto, nel sistema del  territorio
 regionale  nelle  sue complesse valenze urbanistiche, paesistiche, di
 trasporti e via dicendo (sempre necessarie ed esplicitamente previste
 nell'art. 6 primo comma e nel secondo comma, che prevedono intese con
 l'Ente ferrovie dello Stato che vanno verificate  in  sede  regionale
 nonche'  nell'art.  10 per quanto riguarda le infrastrutture di sosta
 finalizzate all'interscambio con il sistema di  trasporto  collettivo
 da  gestire da enti concessionari di autostrade o da societa' da esse
 controllate, in correlazione ad  un  sistema  che  e'  di  competenza
 regionale  e  -  in  quanto  materia prevista dagli artt. 117 e 118 -
 affidato ad un piano dei trasporti, secondo il d.P.R. n.  616/1977  e
 la  legge  10 aprile 1981, n. 151, legge quadro per l'ordinamento, la
 ristrutturazione e il potenziamento dei trasporti pubblici locali, ed
 articolato  secondo  obiettivi  di integrazione fra diversi servizi e
 modi di trasporto e  di  pianificazione  dei  trasporti  e  strumenti
 urbanistici).
    Si  deve  aggiungere,  a  proposito  della  annotazione  accennata
 riguardante gli artt. 6 e 10, che proprio l'aver regolato i  rapporti
 relativi   all'Ente   ferrovie   e   alle   societa'   concessionarie
 autostradali sulla base di intese dirette fra questi enti e i  comuni
 comporta una funzione regionale di controllo-valutazione di interessi
 territoriali sovracomunali, che viene riconosciuta dalla legge  negli
 artt.  3 e 6 ma che e', di fatto, resa impossibile dalla brevita' del
 termine.
    Che  tutto cio' sia fatto nel giro di trenta giorni, tenendo conto
 che  la  competenza  ad  approvare  una  variante  di  uno  strumento
 urbanistico appartiene alla giunta secondo la legislazione regionale,
 e' palesemente impossibile, cosi' come e' impossibile  che  nel  caso
 particolare disciplinato dall'art. 6 tutto cio' sia fatto nel maggior
 termine di sessanta giorni, che e' pur sempre troppo corto.
    3.2.  -  Ne  consegue  che,  nella realta' effettuale, il congegno
 strutturato   sull'imposizione   di   un    termine    manifestamente
 insufficiente  comporti  che automaticamente si applichi la norma sul
 silenzio accoglimento e che cosi' scompaia la funzione di  formazione
 dell'atto  complesso  con  cui  si realizza il governo del territorio
 spettante alla regione, con  violazione  delle  competenze  regionali
 che, secondo i principi fondamentali, sono esercitate ed esercitabili
 in quanto vi sia la necessaria partecipazione alla formazione e  alla
 modificazione degli strumenti urbanistici.
    3.3.  -  Pertanto  o il termine esageratamente breve e' voluto per
 sottrarre scientemente alla regione il potere che  le  appartiene,  e
 allora  la norma viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione, oppure
 il termine e' frutto di irragionevolezza, per cui nel momento  stesso
 in   cui   una   norma   riconferma  la  necessita'  delle  due  fasi
 dell'approvazione della  variante,  nello  stesso  contesto  un'altra
 norma ne rende impraticabile l'esercizio: e tale irragionevolezza del
 pari viola gli artt.  117  e  118  della  Costituzione  in  relazione
 all'art. 3 della Costituzione e all'art. 97 della Costituzione.
    4.1.  -  La  Corte,  in  altre  circostanze, ha gia' provveduto ad
 annullare norme che ponevano termini  irragionevolmente  brevi,  tali
 che  nell'effettivita' dell'applicazione della norma (che la Corte ha
 sempre considerato di fondamentale rilevanza) rendevano di  difficile
 esercizio, e per cio' ledevano, situazioni soggettive garantite dalla
 costituzione.
    Tale  e'  l'insegnamento  dato dalle sentenze 22 novembre 1962, n.
 93, con cui veniva dichiarata la illegittimita'  dell'art.  18  della
 legge fallimentare, r.d. 16 marzo 1942, n. 267; 5 luglio 1968, n. 85,
 sulla illegittimita' dell'art. 28 del r.d. 17 agosto 1935,  n.  1765,
 con  disposizioni sull'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul
 lavoro; 22 dicembre 1969, n. 159, di dichiarazione di  illegittimita'
 dell'art.   32,   terzo   e  settimo  comma  del  r.d.  n.  1165/1938
 sull'edilizia economica e popolare; 23 marzo 1981, n. 42, punto 5, in
 diritto,  con  cui  e'  stato  dichiarato illegittimo l'art. 25 della
 legge fallimentare.
    Sono  tutti  casi  in  cui  la  irragionevole brevita' del termine
 ledeva il diritto dei soggetti privati  sancito  dall'art.  24  della
 Costituzione.
    4.2.  -  E'  di  tutta  evidenza che nel caso sottoposto all'esame
 della Corte non v'e' alcun riferimento a quel parametro normativo; ma
 vi  e'  ugualmente  una  statuizione di legge che, ponendo un termine
 troppo breve, integra una  violazione  di  norme  costituzionali  che
 assicurano   la  protezione  di  una  situazione  riconosciuta  dalla
 costituzione.  Questa,  nel  caso  in  questione,  e'  la  competenza
 regionale  lesa  dalla  realta'  di  un  congegno  che  impedisce  la
 formazione  di  un  atto  regionevolmente  istruito  e   meditato   e
 sostituisce alla competenza regionale quella del comune che propone e
 decide con effetti al di fuori della sua  area  e  del  suo  livello,
 mentre  la  legge  ritiene,  giustamente,  che  debba  subentrare  la
 competenza regionale; ed e' interesse protetto,  anche  e  insieme  a
 quello  specifico  ricordato,  il  buon  andamento  tutelato  in  via
 generale dall'art. 97 della Costituzione.
    4.3. - Se la normazione prevede un procedimento a due fasi, con la
 presenza deliberativa di due soggetti - comune e regione  -  ciascuno
 portatore  delle  sue  competenze,  funzioni ed interessi, secondo un
 modulo che non viene sostituito o modificato (perche' anzi  la  legge
 n.  122/1989  conferma  il procedimento in due fasi per la formazione
 della  modificazione  dell'atto  complesso),   e'   irragionevole   e
 contrario  alla  logica del buon andamento, qual'e' stato individuato
 dal legislatore nel costruire il procedmento a due  fasi  di  cui  e'
 stato  fatto cenno, impedire, di fatto, che la fase dell'approvazione
 trovi il suo svolgimento e, di fatto, obliterarla nel momento  stesso
 in cui la si riafferma.
    L'irragionevole violazione dell'art. 97 dell Costituzione si salda
 a  quella  delle  competenze  regionali,  perche'  la  diversita'  di
 soggetti operanti nelle due fasi, uno dei quali, quello regionale, e'
 fornito di competenza costituzionalmente garantita,  viene  di  fatto
 annullata,  concentrando  in  un  solo  soggetto la deliberazione che
 modifica l'atto  -  strumento  urbanistico  -  imputato  al  soggetto
 Regione  e  da  questo concretamente formato come atto a complessita'
 ineguale; mentre con  l'impedire  di  fatto  l'ordinato  manifestarsi
 delle   potesta'   istruttorie   e  decisorie,  si  sostituisce  alla
 competenza garantita dalla costituzione una competenza diversa  e  si
 sostituisce al modello regionale delle due fasi un altro non previsto
 ne' voluto formalmente.
    5.1.  - L'art. 9 poi, per altro verso e per altre ragioni, lede le
 competenze  regionali  poste  dagli  artt.  117  e  118,  consentendo
 un'indiscriminata  utilizzazione di qualsiasi sottosuolo in forma che
 appare contraddittoria. Incidentalmente  si  puo'  far  rilevare  che
 l'art.  9,  nel  secondo  comma,  prevede  che  qualora  vi  sia  una
 conformita'  agli  strumenti  urbanistici  si   formi   il   silenzio
 accoglimento sulla domanda di autorizzazione, con una distinzione fra
 casi di conformita' e casi di non conformita' che, peraltro, piu' non
 sussiste  in quanto si e' costituita, nel primo comma, una situazione
 soggettiva in deroga.
    L'intervento    del    legislatore,    che    pone    una   regola
 indiscriminatamente  uguale  per  tutti,  in   zone   di   espansione
 extraurbane  o  nei  centri  storici,  in  zona  A  o  B o C, lede le
 competenze che  la  costituzione  attribuisce  alle  regioni  perche'
 regolino  l'assetto  del territorio tenendo conto nel dettaglio della
 peculiarita'  delle   aree   regionali   e   subregionali   e   delle
 caratteristiche  locali,  non  consentendo formulazioni genericamente
 arbitrarie che non tengono conto del sommarsi di effetti  automatici,
 il  quale  sconvolge gli assetti per i quali si deve procedere ad una
 attivita' pianificatoria. Cosicche', se anche le predette  arbitrarie
 formulazioni   tengono   presenti  le  normative  a  salvaguardia  di
 interessi paesistici, ignorano per il resto le diversita' geologiche,
 anche se si deve ritenere che la normativa introdotta dall'art. 9 non
 abbia nessuna capacita' di modificare le norme dettate  per  le  zone
 sismiche  dalle  leggi  statali  legge  10  dicembre  1981, n. 741, e
 regionali (legge Emilia-Romagna 19 giugno 1984, n. 35  e  regolamento
 13  ottobre  1986,  n.  13),  perche', se cosi' non fosse, vi sarebbe
 altra lesione delle competenze regionali.
    Anche in questo caso gli interessi di difesa del paesaggio, valore
 primario (sentenza n. 151/1986), non vengono tutelati da un  congegno
 di silenzio accoglimento che consente la modifica del territorio dopo
 un termine di novanta giorni, relativamente breve se  si  tien  conto
 della  vastita'  della  parte  del  territorio  nazionale  soggetto a
 vincoli paesistici per la legge n. 431/1985, ai vincoli  imposti  con
 atto amministrativo e al numero di domande che verra' presentato.
    5.2.  -  Per  dimostrare  la  irragionevolezza del termine si puo'
 ricordare che nel concedere agli abusivisti la sanatoria la legge  n.
 47/1985  prevedeva  nell'art.  32  che per le opere costruite su aree
 sottoposte a vincolo le  amministrazioni  preposte  alla  tutela  del
 vincolo  avessero  a  loro  disposizione  un  termine  di centottanta
 giorni, decorso il quale la domanda si intendeva rigettata.
    La legge n. 47/1985 venne modificata dal d.-l. 12 gennaio 1988, n.
 2, oggetto di giudizio da  parte  della  Corte,  che  riconobbe  come
 l'espressione  di  parere negativo fosse una competenza regionale che
 la regione ben poteva tutelare, e  che  di  fronte  alla  statuizione
 dell'art.9  della  legge  n.  122/1989  deve ugualmente tutelare, non
 perche' la formulazione disconosca la sua competenza, ma perche'  pur
 riconoscendola - ne impedisce di fatto l'esercizio con un congegno di
 silenzio  accoglimento   che   fa   sopravvenire   il   provvedimento
 silenzioso,  o  gli effetti analoghi a quelli del provvedimento, dopo
 un periodo di tempo troppo breve.
    Che  tale  esso  sia  lo  dimostra  la comparazione con il termine
 doppio di centottanta  giorni,  fissato  dalla  legge  n.  47/1985  e
 confermato  dalla  legge  n. 68/1988 con la quale e' stato convertito
 con modificazioni il d.-l. n. 2/1988. Tale legge, nel confermare  che
 il  silenzio  portava  ad  un  rifiuto,  ha previsto la sua eventuale
 impugnazione. Orbene, se il legislatore trova congruo un  termine  di
 centottanta  giorni  per  arrivare  ad  un  rifiuto di accogliere una
 domanda che possa porsi in contrasto  con  i  valori  paesistici,  un
 termine  dimezzato per arrivare ad un accoglimento non e' ragionevole
 e si risolve in una reale compessione delle competenze regionali, che
 non  possono  essere  esercitate, e nella reale perdita di tutela del
 valore primario di tutela paesistica.
    5.3.   -   La  regione  Emilia-Romagna  deve  rivendicare  la  sua
 legittimazione sotto il profilo dell'invasione delle sue  competenze,
 delineate  a norma degli artt. 117 e 118; ma deve anche insistere sul
 profilo della violazione dell'art. 9 della Costituzione,  che  tutela
 un  valore  primario  e principio supremo che appartiene al novero di
 quelli  che  non  possono  essere   sovvertiti   neppure   da   leggi
 costituzionali  (sentenza n.  1146/1988) e che reggono, al pari degli
 altri  valori  dello  stesso   tipo,   l'intero   ordinamento   della
 Repubblica,  imponendo  che l'esercizio delle competenze legislative,
 anche del legislatore costituzionale, sia  conforme  a  quei  valori,
 operanti   nell'intero   ordinamento.  Le  competenze  legislative  e
 amministrative attribuite dagli artt. 117 e  118  come  vanno  lette,
 configurate esercitate alla luce dei principi generali e dei principi
 fondamentali cosi' - a maggior ragione -  vanno  lette,  configurate,
 esercitate  alla  luce  dei  valori superiori, che sono di rango piu'
 elevato dei  principi  ricordati,  e  tali  da  confermare  i  poteri
 regionali,   che  comunque  a  quei  principi  supremi  debbono  dare
 attuazione, cosi' come la danno ai principi generali  e  ai  principi
 fondamentali. La competenza delle regioni, che esse possono e debbono
 difendere, e' quella risultante dagli artt. 117 e  118  che  elencano
 materie i cui vertici sono regolati dai principi di diverso grado che
 costituiscono elementi  portanti  dell'assetto  normativo  istitutivo
 delle  competenze,  attribuite,  innanzi  tutto, per l'attuazione dei
 valori  primari,  principi  condizionanti  ma  anche  e   soprattutto
 propulsivi,  conformate dai principi nel triplice livello di principi
 fondametali, di principi  generali,  di  principi  supremi.  Come  le
 Regioni  possono  dolersi  se i principi fondamentali vengono violati
 con lesione delle loro competenze (ad esempio con la  sottrazione  di
 area normativa), cosi', a maggior ragione, possono dolersi se vengono
 poste norme che non consentano loro di  attuare  i  valori  superiori
 alla cui attuazione sono chiamate, con lesione delle loro competenze;
 il che avviene quando la disciplina della legge statale sia  posta  a
 scapito della loro competenza in modo tale da non garantire la tutela
 di un valore primario alla cui  attuazione  le  regioni  sono  tenute
 secondo  i canoni di collaborazione, di leale intesa, di ripartizione
 di competenze posti dalla Corte, e in forza del potere-dovere in  cui
 si  sostanzia  la  loro  competenza,  che  e'  il  potere  dovere  di
 legiferare  e  amministrare  nell'ambito  delle  proprie   competenze
 secondo la costituzione e che esse correttamente difendono.
    La  irragionevolezza  della  disciplina  e  l'alterazione del buon
 andamento dell'amministrazione, la riduzione di fatto di  poteri  che
 si   dichiara  di  confermare  con  la  solennita'  dell'enunciazione
 legislativa e che, invece, vengono  aboliti  attraverso  un  congegno
 normativo,  sono  tutte  lesioni  della competenza regionale, ma sono
 anche tutte lesioni del valore primario della tutela  del  paesaggio,
 anch'essa  potere  delle  regioni,  principio ordinatorio attivamente
 propulsivo  e  non  meno  limite  della  loro  attivita'  e  di  essa
 qualificante oggetto e modo di operare.
    Dal  momento  che  la tutela del valore primario spetta anche alle
 regioni,  e  anzi  nella  prima  fase  alle  regioni,  la  previsione
 irragionevole  del  modo di tutelare un valore primario che impedisca
 il corretto esercizio della competenza regionale costituisce  lesione
 di questa.
                                P. Q. M.
    Si   chiede   che   la   Corte  costituzionale  voglia  dichiarare
 l'illegittimita' degli artt. 3, secondo comma, 6, sesto  comma,  e  9
 della  legge  24  marzo 1989, n. 122, per violazione degli artt. 117,
 118, 3, 9 e 97 della Costituzione.
      Roma, addi' 3 maggio 1989
                           (Seguono le firme)

 89C0547