N. 256 SENTENZA 16 - 18 maggio 1989

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 Costituzione della Repubblica italiana - Regione Sardegna Indizione
 di referendum consultivo - Sussistenza di interessi unitari nazionali
 estranei a quelli sui quali la regione puo' incidere - Non spettanza
 alla regione - Annullamento del decreto del presidente della giunta
 regione Sardegna del 19 ottobre 1988, di tre referendum consultivi da
 tenersi l'11 dicembre 1988 e il 16 aprile 1989
(GU n.21 del 24-5-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO,
    dott.  Francesco  GRECO,  prof.  Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele
 PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,
    prof.  Francesco  Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
 Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con ricorso del Presidente del Consiglio dei
 ministri notificato il 5 novembre 1988, depositato in Cancelleria  il
 7  novembre  1988 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 1988, per
 conflitto di attribuzione sorto  a  seguito  della  dichiarazione  10
 ottobre  1988  dell'Ufficio  regionale  del  Referendum della Regione
 Sardegna e del decreto 19 ottobre 1988 del  Presidente  della  Giunta
 della  Regione  Sardegna,  nonche'  ogni  altro  atto o deliberazione
 relativi ai referendum;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore
 Francesco Greco;
    Uditi  l'avv. Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l'Avvocato
 dello Stato  Antonio  Bruno  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con decreto del 19 ottobre 1988, n. 161 il Presidente della
 Giunta  regionale  della  Sardegna,   vista   la   deliberazione   di
 ammissibilita'  in data 10 ottobre 1988 dell'Ufficio Regionale per il
 referendum,  ha  indetto  la  relativa  consultazione  popolare   sui
 seguenti quesiti:
       a)  se gli elettori siano contrari alla presenza in Sardegna di
 basi militari straniere istituite a seguito  di  atti  internazionali
 non  sottoposti  al  prescritto controllo del Parlamento e diretti ad
 offrire  punti  di  approdo  e  di  rifornimento  anche  a   navi   e
 sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare;
       b)  se  siano  favorevoli  a  che  il Consiglio regionale della
 Sardegna presenti alle Camere, ai sensi dell'art. 121, secondo comma,
 della  Costituzione,  e 51 dello Statuto sardo, una proposta di legge
 per vietare, esperendo le necessarie  iniziative  internazionali,  il
 transito  e l'approdo, nelle acque territoriali italiane, di naviglio
 a propulsione nucleare o con a bordo armi atomiche;
       c)  se  vogliano che lo stesso consiglio, ai sensi della teste'
 citata  normativa,  presenti  una  proposta  di  legge  di  revisione
 dell'art.  80 della Costituzione, per consentire l'accertamento della
 volonta'  popolare,  tramite  referendum  consultivo,  sui   trattati
 internazionali  di  natura  politica  la  cui  ratifica e' sottoposta
 all'autorizzazione del Parlamento;
    Con  il  suddetto decreto sono stati, altresi', convocati i comizi
 elettorali per l'11 dicembre 1988, quanto ai primi due quesiti, e per
 il 16 aprile 1989, quanto al terzo;
    2.  -  A seguito di cio', il Presidente del Consiglio dei ministri
 ha sollevato  conflitto  di  attribuzione,  in  relazione  agli  atti
 menzionati  in epigrafe, chiedendo che l'adita Corte dichiari che non
 spetta  alla  Regione  Sardegna  ammettere  ed   indire   referendum,
 ancorche'  consultivi, per quesiti relativi alle materie non comprese
 nelle competenze della Regione stessa e, in particolare, per  quesiti
 relativi  ai  rapporti internazionali e/o alla difesa della Patria; e
 che, viceversa, compete allo Stato ogni attribuzione relativa a  tali
 particolari  materie;  annulli  gli  atti  in  relazione  ai quali il
 conflitto e' stato sollevato e, preliminarmente,  in  via  cautelare,
 sospenda l'esecuzione del ripetuto decreto 19 ottobre 1988.
    3.  -  Resiste  al  ricorso  la  Regione  Sardegna,  la  quale  ha
 depositato due memorie, deducendo l'inammissibilita' del conflitto e,
 comunque,  la sua infondatezza, instando per la sollecita trattazione
 della richiesta di sospensione e facendo all'uopo  espressa  rinunzia
 ai termini processuali.
    4.  -  Hanno proposto intervento i sigg.ri Dessi' Antonio ed altri
 nella  loro  qualita'  di  componenti  del  comitato  promotore   dei
 referendum  in questione, sostenendo preliminarmente l'ammissibilita'
 di tale atto, opponendosi alla richiesta di sospensione formulata dal
 ricorrente  e  deducendo  l'inammissibilita' del ricorso oltre che la
 sua infondatezza nel merito.
    5.1  -  La  difesa  del  ricorrente, rilevando che i referendum in
 contestazione sono stati indetti alla stregua della  legge  regionale
 17  maggio 1957, n. 20 e, precisamente, dell'art. 1 della stessa, nel
 testo sostituito dalla legge regionale 15  luglio  1986,  n.  48,  ha
 osservato  che  tale  sostituzione ha profondamente turbato l'assetto
 dell'istituto referendario, quale era stato anteriormente regolato in
 conformita'  di  specifiche  previsioni statutarie (artt. 32, 43 e 54
 dello statuto della Regione Sardegna): essa ha, infatti, aggiunto  ai
 tipi  originariamente  previsti  nuovi modelli di consultazione della
 volonta'  popolare,  fra  i  quali  si  collocano  anche  quelli   in
 contestazione  (riconducibili all'ipotesi di cui all'art. 3, lett. f,
 della "novella" del 1986).
    Ad   avviso   del   ricorrente,   siffatte   "addizioni"  alterano
 l'equilibrio tracciato dallo statuto regionale  tra  le  attribuzioni
 legislative  del  consiglio  e  le  espressioni politiche dirette del
 corpo  elettorale  e  danno  luogo  al  riconoscimento,  in  capo  al
 presidente della giunta, di competenze che potrebbero essere reputate
 esorbitanti rispetto all'ambito segnato dall'art.  34  dello  statuto
 stesso.
    In  particolare, i referendum consultivi, caratterizzandosi per il
 fatto che il "parere" ad essi conseguente non e' richiesto da  organi
 istituzionali della Regione, ma a questa "imposto" dagli elettori che
 sottoscrivono la relativa richiesta, snaturano i connotati essenziali
 di  qualsiasi funzione consultiva e, prevedibilmente, possono causare
 turbamento nell'assetto istituzionale della Regione  medesima,  quale
 risulta  definito  da  norme  di  rilievo  costituzionale:  donde  la
 possibilita' che la Corte, ritenendola non manifestamente  infondata,
 sollevi   incidentalmente   la  questione  di  costituzionalita',  in
 riferimento agli artt. 3, 4, 5, 32, 43 e 54 dello statuto  regionale,
 dell'art.  1  della  legge regionale n. 20/1957, nel testo sostituito
 dall'art. 3, lett. f, della legge regionale n. 48/1986,  che  prevede
 la possibilita' di indire referendum popolari per esprimere parere su
 questioni di particolare interesse sia regionale che locale.
    E  nello stesso ordine di idee, ad avviso del ricorrente, potrebbe
 la Corte sollevare questione di costituzionalita' degli artt. 6, 7, 8
 della citata legge n. 20 del 1957, come sostituiti dagli artt. 2, 3 e
 4 della legge regionale 24 maggio 1984,  n.  25,  in  riferimento  ai
 "principi  organizzatori" desumibili dall'art. 87, sesto comma, della
 Costituzione, dall'art. 2 della legge costituzionale 11  marzo  1953,
 n.  1,  e  dalla  legge  ordinaria statale 25 maggio 1970, n. 352 (ed
 anche in relazione all'art. 1, ove si menzionano  i  "principi  della
 Costituzione" nonche' agli artt. 2, 3 e 4 dello statuto regionale).
    5.2  -  Quanto  al  merito  del sollevato conflitto, la difesa del
 ricorrente ha osservato che gli atti in contestazione  sono  invasivi
 di  competenze statali (violando gli artt. 1, 3, 4, 5, 14, 32, quarto
 comma, 34 e 51, primo comma, dello  statuto  della  Regione  Sardegna
 approvato  con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, nonche' i
 "principi della Costituzione", stabiliti dagli artt. 5, 11, 52, primo
 comma,  72, quarto comma, 75, secondo comma, 87, sesto, ottavo e nono
 comma, 95, primo e secondo comma, e 115  della  Costituzione),  oltre
 che viziati per sviamento di potere.
    Alla  Regione  ed  agli  organi  che  per  essa  agiscono  non  e'
 consentito  indire  o  dichiarare  ammissibili  referendum  popolari,
 ancorche'   consultivi,   in  relazione  alla  materia  dei  rapporti
 internazionali ed  alla  difesa  che  sono  di  esclusiva  competenza
 statale  ed anche alle disposizioni in essa ricadenti per le quali la
 Regione difetta anche di competenza.
    L'interesse  nazionale  non  tollera  frammentazioni e riduzioni a
 livello regionale o locale e necessita di gestione unitaria idonea  a
 garantire le fondamentali esigenze della collettivita'.
    Non  ha rilievo il riferimento, contenuto nei quesiti referendari,
 al potere di iniziativa legislativa spettante al consiglio  regionale
 ex  art.  51,  primo  comma,  dello statuto, per la emanazione di una
 legge ordinaria statale o per una revisione della Costituzione.
    E cio' perche':
       a) la funzione legislativa nella menzionata materia e' e rimane
 statale anche quando e' sollecitata da un consiglio regionale;
       b)  il  potere  del  consiglio  regionale e' limitato alle sole
 materie che interessano la Regione onde  il  rinvio  alle  norme  che
 fissano l'ambito delle competenze regionali e statali;
       c) l'esercizio del potere, previo ausilio del parere favorevole
 ottenuto  attraverso  la   consultazione   referendaria,   privilegia
 l'iniziativa  regionale  onde  il  rischio  che diventi uno strumento
 surrettizio per scardinare la prefissata distribuzione di  competenze
 tra Stato e Regione.
    5.3  -  Il  ricorrente  ha  chiesto  la sospensione del decreto in
 contestazione per il grave turbamento che potrebbe verificarsi.
    Ha  anche  denunciato  vizi  di  sviamento di potere, di manifesta
 illogicita' e di contraddittorieta' di motivazione.
    6.  -  Il  comitato  dei  promotori  del  referendum  ha sostenuto
 l'ammissibilita' del proprio intervento sia perche' essi sarebbero  i
 veri  contraddittori,  sia  in  base  alla sentenza n. 70 del 1978 di
 questa Corte.
    Nel  merito  ha eccepito la inammissibilita' o la infondatezza del
 ricorso, alla stregua della sentenza n. 829 del 1988.
    7.  -  Alla udienza del 22 novembre 1988 la Corte ha ritenuto che,
 secondo quanto  piu'  volte  da  essa  affermato,  del  giudizio  per
 conflitto  di  attribuzioni  sono  parti solo i soggetti titolari dei
 poteri in contestazione e  non  sono  ammessi  ne'  interventori  ne'
 controinteressati  ne'  cointeressati,  con la conseguenza che, nella
 specie, le parti sono esclusivamente lo Stato e la Regione  Sardegna.
    Con  ordinanza  n.  1040  del  1988, la Corte ha, poi, disposto la
 sospensione del decreto impugnato  limitatamente  ai  due  referendum
 indetti  per  l'11  dicembre 1988 in quanto il loro svolgimento prima
 della decisione di merito potrebbe  pregiudicare  gli  effetti  della
 medesima. Ha poi fissato l'udienza di merito.
    8.  -  Con ordinanza del 25 gennaio 1989, la Corte ha richiesto le
 informazioni   necessarie   e   la   copia   del   provvedimento   di
 autorizzazione alla proposizione del conflitto, al fine di chiarire i
 termini  della  contestazione,  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
 ministri che ha depositato l'estratto del verbale delle deliberazioni
 del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1988.
    9.  -  La difesa della Regione ha presentato tre memorie. Con esse
 ha  anzitutto  eccepito  l'inammissibilita'   del   ricorso   perche'
 tenderebbe  a  reiterare il giudizio di ammissibilita' del referendum
 gia'   effettuato   dall'ufficio    competente:    l'inammissibilita'
 dell'istanza  diretta  a  far  sollevare  di ufficio due questioni di
 legittimita' della legge  n.  20  del  1957  perche'  e'  stata  gia'
 sottoposta al controllo del Governo.
    Ha  eccepito  la  mancanza  di  autorizzazione  del  Consiglio dei
 ministri  al  Presidente  del  Consiglio  di  proporre  conflitto  di
 attribuzione  in  ordine al terzo referendum, quello da tenersi il 16
 aprile 1989, in quanto non compresa nel telex inviato  all'Avvocatura
 Generale  dello  Stato.  E  dopo  l'acquisizione  dell'estratto della
 deliberazione del Consiglio dei ministri del  28  ottobre  1988,  pur
 ribadendo  quanto  innanzi  dedotto,  ha  aggiunto  che nel documento
 esibito non sarebbero stati individuati con  certezza  ne'  l'oggetto
 dell'impugnativa riguardo a tutti e tre i quesiti referendari, ne' le
 attribuzioni lese, ne' le norme costituzionali violate.
    Nel  merito  ha insistito nel rilevare che, ai fini del referendum
 consultivi,  la  Regione  ha   competenze   piu'   ampie,   dovendosi
 considerare  gli  interessi  e  non  le materie e che nella specie e'
 indubbia l'esistenza di interessi regionali.  Ha  affermato,  infine,
 che si deve tenere conto della peculiarita' dei referendum consultivi
 diretti solo alla formulazione di voti ed ha ribadito  che  il  terzo
 referendum  non  riguarda  la  materia dei trattati internazionali ma
 solo una proposta di revisione di una  norma  costituzionale  (l'art.
 80).
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri ha sollevato nei
 confronti  della  Regione  Sardegna,  conflitto  di  attribuzione  in
 relazione  agli atti preparatori e al decreto del 19 ottobre 1988, n.
 161, del presidente della giunta  regionale  della  Sardegna  con  il
 quale,  a  seguito della deliberazione di ammissibilita' dell'ufficio
 regionale  per  il  referendum,  sono  state  indette   consultazioni
 popolari sui seguenti quesiti:
       a)  se gli elettori siano contrari alla presenza in Sardegna di
 basi militari straniere istituite a seguito  di  atti  internazionali
 non  sottoposti  al  prescritto controllo del Parlamento e diretti ad
 offrire  punti  di  approdo  e  di  rifornimento  anche  a   navi   e
 sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare;
       b)  se  siano  favorevoli  a  che  il consiglio regionale della
 Sardegna presenti alle Camere, ai sensi dell'art. 121, secondo comma,
 della  Costituzione,  e 51 dello statuto sardo, una proposta di legge
 per vietare, esperendo le necessarie  iniziative  internazionali,  il
 transito  e l'approdo, nelle acque territoriali italiane, di naviglio
 a propulsione nucleare o con a bordo armi atomiche;
       c)  se  vogliano che lo stesso consiglio, ai sensi delle citate
 normative, presenti una proposta di legge di revisione  dell'art.  80
 della  Costituzione,  per  consentire  l'accertamento  della volonta'
 popolare, a mezzo referendum consultivo, sui trattati  internazionali
 di  natura  politica la cui ratifica e' sottoposta all'autorizzazione
 del Parlamento.
    Il  presidente  suindicato  ha  chiesto che sia dichiarato che non
 spetti  alla  Regione  Sardegna  ammettere  ed   indire   referendum,
 ancorche'  consultivi,  con  quesiti  relativi a materie non comprese
 nella sua competenza ed,  in  particolare,  con  quesiti  relativi  a
 rapporti  internazionali  ed  alla difesa della Patria e che, invece,
 compete allo Stato ogni attribuzione relativa alle dette  materie  e,
 di  conseguenza,  siano  annullati  gli atti in relazione ai quali e'
 sollevato il conflitto.
    2. - E' preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilita' del
 ricorso sollevata dalla Regione resistente secondo cui,  in  realta',
 dinanzi   alla  Corte  si  sarebbe  proposto  un  nuovo  giudizio  di
 ammissibilita' dei referendum gia' effettuato  dagli  organi  a  cio'
 deputati ed estraneo alla competenza della Corte medesima.
    L'eccezione non e' fondata.
    Come  gia'  rilevato  in  precedenti decisioni (sentenza n. 43 del
 1982),   esula   dai    compiti    di    questa    Corte    giudicare
 dell'ammissibilita'  dei  referendum  regionali  mentre rientra fra i
 suoi poteri stabilire, come si richiede nel caso di specie, se l'atto
 di  ammissione  di  referendum  regionali leda la sfera di competenza
 costituzionalmente garantita allo Stato.
    Nella  specie,  la  sola lettura del ricorso introduttivo convince
 che trattasi di un vero e proprio conflitto di attribuzione.  Invero,
 non   e'   posto   in  discussione  l'operato  dell'ufficio  preposto
 all'accertamento dell'ammissibilita' dei referendum ed,  inoltre,  e'
 specificamente  contestato  il  decreto  del  presidente della giunta
 regionale di indizione e  di  effettuazione  dei  referendum  stessi,
 quale  atto  produttivo  della lesione della sfera delle attribuzioni
 che lo Stato  rivendica:  ne  emerge,  percio',  chiaramente  che  la
 materia  referendaria  viene  in  rilievo esclusivamente in relazione
 alla specifica rivendicazione di una propria sfera di attribuzioni da
 parte del ricorrente.
    3.  - Non e' fondata nemmeno l'altra eccezione di inammissibilita'
 del terzo referendum.
    La  difesa  della  Regione ha rilevato che il telex del 31 ottobre
 1988, con il quale il Ministro per gli affari regionali ha comunicato
 all'Avvocatura  Generale  dello Stato la decisione della proposizione
 del conflitto di attribuzioni di cui trattasi, non  si  riferisce  al
 terzo referendum, ma riguarda solo i referendum che hanno per oggetto
 gli insediamenti militari stranieri nell'isola.
    Dall'estratto  delle  deliberazioni del Consiglio dei ministri del
 28 ottobre 1988, rimesso a questa Corte a seguito dell'ordinanza  del
 25  gennaio 1989, si evince che la decisione di proporre il conflitto
 riguarda tutti e tre i referendum, sia quelli da  effettuarsi  il  18
 dicembre  1988,  sia  quello  (cioe'  il  terzo) da effettuarsi il 16
 aprile 1989.
    Trattasi  di atto sicuramente sufficiente, in quanto sono indicati
 gli  elementi  essenziali   e   necessari   per   la   individuazione
 dell'oggetto di detta decisione.
    4. - Sono fondate le ragioni che sorreggono nel merito il ricorso.
    Lo statuto speciale per la Regione Sardegna prevede tre referendum
 regionali: un referendum abrogativo (art. 32); un referendum  interno
 al    procedimento    legislativo   regionale   di   modifica   delle
 circoscrizioni  e  delle  funzioni  delle  province  (art.  43);   un
 referendum  consultivo,  inserito  nel procedimento di modifica dello
 statuto se il progetto di modifica  sia  stato  approvato,  in  prima
 deliberazione,  da  una  delle  Camere  ed  il  parere  del Consiglio
 regionale sia contrario (art. 54).
    I  tre referendum sono stati disciplinati, anche per la procedura,
 dalla legge 17 maggio 1957, n. 20, e poi con la legge 24 maggio 1984,
 n.  25,  per adeguare alcune norme procedimentali alle statuizioni di
 questa Corte (sentenza n. 43 del 1982).
    Successivamente,  la  legge  regionale  15  luglio 1986, n. 48, ha
 previsto sei ipotesi di referendum:
       a)  per deliberare l'abrogazione di una legge regionale o di un
 atto avente valore di legge, fatta eccezione per le leggi  tributarie
 e di approvazione dei bilanci;
       b)  per deliberare l'abrogazione di un regolamento o di un atto
 o provvedimento amministrativo regionale;
       c)  per  modificare  le  circoscrizioni  e  le  funzioni  delle
 province, ai  sensi  dell'art.  43  dello  statuto  speciale  per  la
 Sardegna;
       d)  per  esprimere  il  parere  su un progetto di modificazione
 dello statuto ai sensi dell'art. 54 dello statuto speciale;
       e)  per  esprimere il parere, prima della loro approvazione, su
 progetti di legge  ovvero  di  regolamenti  o  atti  o  provvedimenti
 amministrativi di competenza del consiglio o della giunta regionale;
       f)   per  esprimere  il  parere  su  questioni  di  particolare
 interesse sia regionale che locale.
    I  referendum  indetti  con  il  decreto  impugnato ricadono nella
 previsione di cui alla lettera f).
    5. - I referendum consultivi, anche se sul piano giuridico formale
 non sono vincolanti e non concorrono  a  formare  la  volonta'  degli
 organi  che  li  hanno  indetti,  restano,  pero', espressione di una
 partecipazione politica popolare che trova fondamento negli artt. 2 e
 3  della  Costituzione:  manifestazione  che  ha una spiccata valenza
 politica ed ha rilievo sul piano della consonanza tra la comunita'  e
 l'organo  pubblico  nonche'  della connessa responsabilita' politica,
 quale espressione di orientamenti e di valutazioni in ordine ad  atti
 che l'organo predetto intende compiere.
    Il  loro  esito  potrebbe  condizionare  gli  atti da compiersi in
 futuro e le scelte discrezionali che spettano  a  determinati  organi
 centrali.
    Comunque,  nel  rapporto  con le istituzioni statali, sulle grandi
 questioni di interesse  generale  deve  esprimersi,  e  nello  stesso
 momento,   l'intero   corpo   elettorale.  Al  referendum  consultivo
 regionale, anche attesa  la  partecipazione  della  sola  popolazione
 regionale,  non  puo'  certamente  darsi  quello  stesso  spazio  che
 potrebbe avere il referendum consultivo nazionale.
    Rispetto   ai   referendum   consultivi   regionali,   si  pongono
 necessariamente  dei  limiti,  proprio  per  evitare  il  rischio  di
 influire  negativamente  sull'ordine  costituzionale e politico dello
 Stato.
    5.1  -  Alla stregua delle considerazioni fatte, si deve cogliere,
 quindi,  il  significato  dell'interesse  regionale  e   locale   che
 qualifica  i  quesiti referendari e il conseguente potere dell'organo
 che li indice. Ha certamente rilievo la distinzione, sostenuta  dalla
 difesa  della  Regione, tra materia ed interesse sotteso, ma non puo'
 giungersi alla conseguenza che possa risultare incisa la sfera  delle
 attribuzioni riservate allo Stato.
    Vi  sono  interessi  la  cui  cura  e  la cui realizzazione spetta
 esclusivamente allo Stato in base ai  principi  costituzionali  e  ai
 principi  fondamentali dell'ordinamento. Vi sono scelte affidate alla
 esclusiva competenza  degli  organi  centrali  dello  Stato  che  non
 possono  essere  assolutamente  condizionate o, comunque, influenzate
 dall'esito di detti referendum consultivi.
    La  stessa  difesa  della  Regione  riconosce  che vi sono materie
 fondamentali per gli interessi dello Stato.
    Questa  Corte  ha  affermato  (sentenza  n.  286  del 1985) che le
 Regioni curano materie di loro competenza; sono enti esponenziali  di
 interessi  propri  anche  se  essi non si debbano vagliare secondo il
 rigido metro delle competenze attribuite alle stesse, mentre vi  sono
 posizioni   che,   intrinsecamente  e  indivisibilmente,  fanno  capo
 all'intera collettivita' nazionale.
    E  sotto  altro profilo, di recente ha rilevato anche (sentenza n.
 829 del 1988), che le Regioni hanno un ruolo di presenza politica, ma
 sempre   per   questioni   di   interesse   regionale,  eventualmente
 concernenti settori estranei alle materie di cui all'art.  117  della
 Costituzione,  talche' vi sia possibilita' di una proiezione di detto
 interesse al di la' dell'ambito regionale. Va, cioe', riconosciuto un
 ruolo  di  rappresentanza generale della collettivita' regionale e di
 prospettazione istituzionale delle sue esigenze ed aspettative. Ma vi
 sono  interessi  che  riguardano,  nella  loro  essenza  unitaria, la
 collettivita' nazionale, come tali affidati alla  cura  dello  Stato,
 che  i  mezzi a disposizione delle Regioni non possono intaccare. Ove
 vi sia intreccio di interessi nazionali e regionali e sempre che  sia
 possibile, possono farsi intese tra Stato e Regione nella funzione di
 cooperazione e di collaborazione.
    5.2  -  Cio'  posto,  per  quanto  riguarda  l'attivita'  politica
 internazionale, il compimento delle relative scelte e la stipulazione
 di  accordi e di trattati, questa Corte ha gia' ritenuto (sentenze n.
 179 del 1987; n. 187 del 1985) che rientra nella esclusiva competenza
 degli  organi  centrali  dello  Stato  il  potere  di determinare gli
 indirizzi di politica estera.
    Il  carattere unitario ed indivisibile della Repubblica condiziona
 e subordina le autonomie regionali (art. 5 della Costituzione), nelle
 quali   non   puo'   essere  compresa  la  potesta'  di  decidere  la
 instaurazione e la gestione dei rapporti internazionali e anche  solo
 di condizionare le scelte di politica estera.
    Ne'  puo'  distinguersi fra trattati gia' stipulati e ratificati e
 trattati da stipulare poiche' anche questi sono frutto di  scelte  di
 politica  internazionale  e  sono di competenza degli organi centrali
 dello Stato sottratti, comunque, alla ingerenza  di  qualsiasi  altro
 soggetto.
    Cio'  e'  comprovato dall'art. 12 della legge n. 400 del 1988, che
 nell'istituire la conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,
 le  regioni  e  le  province autonome, ha espressamente escluso che i
 "compiti di informazione, consultazione e raccordo" ad essa  imputati
 possano  concernere  "gli  indirizzi  generali relativi alla politica
 estera" oltre a quelli relativi alla difesa, alla  sicurezza  e  alla
 giustizia.
    Non  mancano  certo casi in cui la Regione e' abilitata a svolgere
 attivita' di rilievo internazionale (sentenze n. 179 del  1987  e  n.
 924  del  1988),  come  pure  sussistono  casi  in  cui si prevede la
 rappresentanza regionale nell'elaborazione di progetti di trattati di
 commercio  che  il  Governo  intende  stipulare  con Stati esteri per
 scambi di specifico interesse della Regione (art. 52, statuto Regione
 Sardegna):  ma si tratta chiaramente di ipotesi che non ricorrono nel
 caso  dei  referendum  consultivi  in  discussione  e  che  non  sono
 suscettibili di interpretazione estensiva.
    5.3 - Anche la difesa militare e' prerogativa degli organi statali
 (artt. 11 e 52  della  Costituzione).  E'  esclusivo  interesse,  con
 carattere  unitario  ed  indivisibile,  dello  Stato  la difesa della
 integrita' territoriale, della indipendenza  e  della  sopravvivenza.
 L'accertamento e la realizzazione di siffatto interesse, che assicura
 la salvaguardia del territorio nazionale, spetta, dunque,  unicamente
 allo Stato.
    In  particolare,  la difesa del territorio nazionale e' oggetto di
 accordi  di  cooperazione  e   di   trattati   con   la   conseguente
 responsabilita'  dello Stato in sede internazionale. Cosi' e' oggetto
 di  accordi  internazionali  tra  Stati  la  installazione  di  opere
 difensive,  di  basi  militari  terrestri,  marittime e aeronautiche.
 Coinvolgono anche scelte esclusivamente statali la individuazione dei
 mezzi di difesa, delle linee generali di conservazione, di sviluppo e
 di capacita' difensiva delle forze armate e tutto  quanto  cio'  che,
 nei  piani strategici, e' diretto a garantire la sicurezza interna ed
 esterna dello Stato.
    La  dislocazione  di  dispositivi  militari  nelle varie parti del
 territorio nazionale e' il risultato di una strategia concordata  tra
 Stati   alleati   che   tiene  conto  di  situazioni  complessive  di
 schieramenti e di  nuove  tecnologie  che  spesso  esigono  anche  il
 segreto  militare.  Ovviamente,  data la conformazione del territorio
 nazionale, puo' accadere che alcune  Regioni  siano,  a  causa  delle
 ricordate  installazioni,  piu'  sacrificate  di  altre:  ma  di cio'
 sussiste  una  adeguata  giustificazione  nei  preminenti   fini   da
 realizzare  che  interessano l'intera popolazione per la tutela degli
 indivisibili interessi supremi della Repubblica.
    Tuttavia,  v'e'  anche  una previsione normativa (legge n. 898 del
 1976), secondo cui lo Stato tiene conto degli interessi regionali  ed
 agisce  sentite  anche  le  Regioni interessate (sentenza n. 1065 del
 1988).
    6. - Cio' detto in linea generale, rileva la Corte che i primi due
 referendum hanno per oggetto la installazione di  basi  militari,  il
 transito  e  l'approdo di navi estere da guerra in porti italiani per
 esigenze difensive. Sono il risultato di accordi politici presi in un
 quadro internazionale relativo all'attuazione dei piani di difesa del
 territorio nazionale. Trattasi  di  scelte  effettuate  dagli  organi
 centrali  dello Stato nell'esercizio del potere di indirizzo politico
 che ad essi compete.
    Per  quanto  riguarda  il  terzo  quesito,  osserva che la Regione
 Sardegna, sia in base alla Costituzione (art.  121,  secondo  comma),
 sia  in  base al suo statuto speciale (art. 51), puo' presentare alle
 Camere, attraverso il suo consiglio regionale,  voti  e  proposte  di
 legge,  anche  di  revisione  costituzionale. Ma la sussistenza di un
 interesse unitario come sopra  definito  impedisce  di  affermare  la
 spettanza  alla  Regione  del  potere di promuovere proposte di leggi
 dello Stato dalle quali esulano  del  tutto  interessi  di  carattere
 regionale.  Di  conseguenza,  la  stessa  indizione del referendum in
 questione viene ad incidere su interessi estranei a quelli sui  quali
 la Regione puo' adottare propri provvedimenti.
    7.  -  Perdono,  quindi,  consistenza  processuale le questioni di
 legittimita'  costituzionale,  il   cui   esame   viene   sollecitato
 dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato.  L'una  concernente l'art. 1
 della legge n. 20 del 1957, nel testo sostituito dall'art. 3, lettera
 f),  della  legge  n. 48 del 1986, in riferimento agli artt. 3, 4, 5,
 32, 43 e 54 dello statuto della Regione Sardegna,  sotto  il  profilo
 che,  aggiungendo detta norma, a quelli previsti dallo statuto, nuovi
 modelli  di  referendum,  come  quelli  in  esame,  avrebbe  alterato
 l'equilibrio   tracciato   dallo   statuto   stesso  in  ordine  alle
 attribuzioni  legislative  del  consiglio  ed  avrebbe  conferito  al
 presidente  della  giunta  competenze  esorbitanti  rispetto a quelle
 segnate dalla norma costituzionale, con la  possibilita'  di  causare
 turbamento   nell'assetto  istituzionale  della  Regione  cosi'  come
 definito da norme di rilievo costituzionale. L'altra, concernente gli
 artt.  6,  7 e 8 della medesima legge n. 20 del 1957, come sostituiti
 dagli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 25 del  1984  (Norme  regolatrici
 della   procedura   referendaria),   in   riferimento   ai   principi
 organizzatori  desumibili  dagli  artt.  87,   sesto   comma,   della
 Costituzione,  2  della  legge  11  marzo  1953,  n.  1,  dalla legge
 ordinaria 25 maggio 1970, n. 352, e dagli artt. 1, 2,  3  e  4  dello
 statuto speciale della Regione: cio' tenuto anche conto del fatto che
 le censurate norme regolano  il  procedimento  referendario,  sicche'
 appaiono estranee all'attuale conflitto.
    8.  - Pertanto, va dichiarato che non spetta alla Regione Sardegna
 indire i referendum in esame e, quindi, va annullato il  decreto  del
 19 ottobre 1988 con il quale il presidente della giunta della Regione
 Sardegna ha indetto i tre  referendum  consultivi  che  si  sarebbero
 dovuti  tenere  rispettivamente due l'11 dicembre 1988 ed il terzo il
 16 aprile 1989.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
       a)  dichiara  che  non spetta alla Regione indire referendum di
 cui al decreto del presidente della giunta della Regione Sardegna del
 19 ottobre 1988, n. 161;
       b)  annulla  il  detto  decreto  di indizione di tre referendum
 consultivi che si sarebbero dovuti tenere  rispettivamente  due  l'11
 dicembre 1988 ed il terzo il 16 aprile 1989;
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 18 maggio 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 89C0563