N. 283 SENTENZA 17 - 25 maggio 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Pensioni
 civili e militari- I.N.P.S.- Rate di pensione non riscosse-
 Prescrizione quinquennale- Interpretazione autentica- Applicazione
 anche alle rate comunque non poste in pagamento- Irrazionale
 omogeneizzazione di posizioni soggettive difformi (liquidazione e
 riscossione)- Illegittimita' costituzionale.
 (Legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 11).
 (Cost., artt. 3 e 38)
(GU n.22 del 31-5-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,
 prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art.11 della legge
 11 marzo 1988, n.67 (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio
 annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988), promosso
 con ordinanza emessa il 7  giugno  1988  dal  Pretore  di  Parma  nel
 procedimento  civile  vertente  tra Schianchi Anselmina e l'I.N.P.S.,
 iscritta al n.744 del registro  ordinanze  1988  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51, prima serie speciale,
 dell'anno 1988.
    Visti   gli   atti   di  costituzione  di  Schianchi  Anselmina  e
 dell'I.N.P.S.,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11  aprile  1989  il  Giudice
 relatore Giuseppe Borzellino;
    Uditi  gli  avv.ti  Salvatore  Cabibbo  per  Schianchi  Anselmina,
 Pasquale  Varis  per  l'I.N.P.S.  e  l'avvocato  dello  Stato   Luigi
 Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - In un giudizio civile promosso per ottenere dall'I.N.P.S. la
 riliquidazione della pensione di riversibilita' con  integrazione  al
 trattamento  minimo,  l'adito  Pretore  di Parma, con ordinanza del 7
 giugno 1988 (n. 744), ha ritenuto non  manifestamente  infondata,  in
 riferimento agli artt.3, 36, 38, 101 della Costituzione, la questione
 di legittimita' dell'art.  11  della  legge  11  marzo  1988,  n.  67
 (Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
 dello Stato - legge finanziaria 1988).  La  norma,  nell'interpretare
 autenticamente  l'art.  129  del regio decreto-legge n. 1827 del 1935
 (Perfezionamento  e  coordinamento   legislativo   della   previdenza
 sociale),  ha statuito che "la prescrizione quinquennale ivi prevista
 si applica  anche  alle  rate  di  pensione  comunque  non  poste  in
 pagamento".
    Il   giudice  a  quo  sottolinea  il  carattere  solo  formalmente
 interpretativo e sostanzialmente innovativo della  norma  denunciata,
 atteso che, per consolidata giurisprudenza, la prescrizione breve sub
 art.  129  regio  decreto-legge  n.  1827  cit.  era  precedentemente
 ritenuta  operante  nei riguardi dei soli crediti dell'assicurato per
 versamenti periodici di pensione gia' liquidati e posti in pagamento.
    E  da cio', appunto, deriverebbe l'irrazionalita' ed arbitrarieta'
 dell'intervento del legislatore dell'88,  comportante  ingiustificata
 incisione  su  situazioni sostanziali consolidatesi per effetto della
 pregressa giurisprudenza in tema di prescrizione decennale delle rate
 di  pensione  (o differenze pensionistiche) non riscosse, perche' mai
 liquidate dall'Istituto interessato.
    La    violazione    dei   precetti   costituzionali   evocati   si
 verificherebbe per effetto:
      della  ingiustificata equiparazione giuridica ed economica delle
 due diverse situazioni delle rate  liquidate  e  non  riscosse  e  di
 quelle non ancora liquidate;
      della lesione del diritto acquisito alla adeguatezza in concreto
 e proporzionalita' della prestazione pensionistica alle  esigenze  di
 vita libera e dignitosa;
      della  invasione  della funzione giurisdizionale, con intervento
 ex auctoritate attuato in  assenza  di  contrastanti  interpretazioni
 della norma precedente al solo fine della compressione retroattiva di
 diritti.
    2.   -   Nel   giudizio   innanzi  alla  Corte  si  e'  costituita
 l'interessata aderendo alle conclusioni ed argomentazioni del Pretore
 remittente.
    Si  e' costituito altresi' l'INPS, rilevando come non possa essere
 contestato  al  legislatore  l'apprezzamento  sul  contenuto   e   il
 significato  di  pregresse  disposizioni di legge anche in assenza di
 contrasti giurisprudenziali, posto che la  legge  interpretativa,  al
 pari  di  ogni  altro  comando  legislativo, e' norma completa che si
 integra con la norma interpretata.
    Viene  altresi'  posta  in  dubbio  l'asserita  lesione di diritti
 acquisiti (in base a legge precedente), vertendosi, nella specie, "in
 materia  di  arretrati  per  integrazione  al  minimo  di trattamenti
 pensionistici,  riconosciuti  per  effetto  di  pronunce   ablatorie,
 comportanti un esborso aggiuntivo per la finanza pubblica".
    E'  intervenuto  il  Presidente  dei Consiglio dei ministri che ha
 eccepito l'infondatezza della questione. Secondo  l'Avvocatura  dello
 Stato  "l'uso  dello  strumento di interpretazione autentica da parte
 del legislatore nell'ambito delle proprie potesta' discrezionali  non
 e'   tale   da  compromettere  e  limitare  l'ordinaria  potesta'  di
 interpretazione del giudice, ai fini dell'applicazione della  legge".
    Quanto,  poi,  all'assunta violazione dell'art. 3 Cost., sul piano
 della par condicio dei cittadini che versassero prima e dopo la legge
 interpretativa  nella  situazione data, la lamentata differenziazione
 nel tempo non sarebbe "tale  da  costituire  di  per  se'  disparita'
 rilevabile,  poiche'  anche  il  diverso arco temporale e' di per se'
 sufficiente ad  integrare  adeguato  elemento  differenziatore  nelle
 situazioni date".
                         Considerato in diritto
    1.1.  - Stabilisce l'art. 129, primo comma del regio decreto-legge
 4 ottobre 1935 n. 1827 (Perfezionamento e  coordinamento  legislativo
 della  Previdenza  sociale), convertito nella legge 6 aprile 1936, n.
 1155, che le rate di pensione non riscosse entro  cinque  anni  dalla
 loro scadenza sono prescritte.
    Con  l'art.  11 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per
 la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
 finanziaria  1988) la norma di cui innanzi e' stata interpretata "nel
 senso che la prescrizione prevista si  applica  anche  alle  rate  di
 pensione comunque non poste in pagamento".
    1.2.  -  Il  remittente  dubita della legittimita' di quest'ultimo
 disposto: il fatto stesso di un intervento interpretativo attuato  in
 assenza  di  contrasti  sulla  norma comporterebbe compressione della
 funzione giurisdizionale, in violazione dell'art. 101  Cost.  Sarebbe
 realizzata,  in  ogni  caso,  ingiustificata equiparazione, a fini di
 applicare la  prescrizione  quinquennale,  tra  quanto  forma  ancora
 oggetto  di liquidazione e la differente situazione inerente ai ratei
 posti in riscossione: tutto cio' violerebbe l'art.3 e coevamente  gli
 artt.  36  e  38  Cost. per le implicazioni negative sui principi che
 tutelano le esigenze di vita del lavoratore.
    2. - La questione e' fondata.
    Invero,  la  Corte ha gia' avuto modo di considerare che non e' di
 per  se'  contrastante  con  precetti  costituzionali,  ancorche'  in
 assenza  di  pronunce  discordanti,  una  legge d'interpretazione: il
 legislatore,  infatti,  concorrendo   scelte   politico-discrezionali
 coerenti, puo' imporre determinati significati a precedenti norme.
    Tuttavia,  l'emanazione  di disposizioni del genere puo' rivelarsi
 direttamente  in  contrasto  con  specifici  precetti  costituzionali
 (sentenze  n.36  del  1985 e n. 123 del 1988). Tanto e' concretamente
 occorso in fattispecie, essendo fuor di dubbio che  la  normativa  in
 esame  comporta che la prescrizione (breve) di cui all'art. 129 legge
 del 1935 viene  a  dispiegare  i  suoi  effetti  su  tutte  le  fasi,
 comunque, del procedimento inteso alla liquidazione. Il che, disposto
 peraltro a distanza d'oltre un  cinquantennio  da  una  incontroversa
 applicazione della norma circoscritta alle somme gia' in riscossione,
 e' elemento  rivelatore  di  concreta  irrazionalita':  identicamente
 disciplinandole,  si rendono omogenee posizioni soggettive difformi e
 cioe' la fase, non  ancora  esaurita,  della  liquidazione  (o  della
 riliquidazione),  con  la  ben diversa fattispecie della riscossione.
 Quest'ultima soddisfa, infatti, per validi criteri d'ordine contabile
 nei  pagamenti,  all'esigenza di limitare nel tempo l'esperimento dei
 relativi adempimenti.
    Risultano  cosi'  violati  i  principi  dell'art.3 Cost., con ovvi
 riflessi sulle garanzie introdotte  dal  successivo  art.38,  essendo
 evidenti, nei confronti dei soggetti interessati, il venir meno delle
 connotazioni di adeguatezza alle esigenze di vita, ivi tutelate.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.11 della legge 11
 marzo 1988, n.67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
 e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 maggio 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: BORZELLINO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 25 maggio 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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