N. 281 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 ottobre 1987- 23 maggio 1989
N. 281 Ordinanza emessa il 14 ottobre 1987 (pervenuta alla Corte costituzionale il 23 maggio 1989) dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra I.N.P.S. e Mazzi Giovanni ed altro Previdenza e assistenza sociale - Rendita vitalizia - Preclusione al lavoratore, al fine della costituzione della rendita vitalizia, della prova con mezzi diversi da documenti di data certa, del pregresso rapporto di lavoro, della sua durata e della retribuzione percepita - Ingiustificata disparita' di trattamento del lavoratore rispetto al datore di lavoro - Incidenza negativa sul diritto di difesa e sul diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore in caso di invalidita' o vecchiaia Richiamo alla sentenza della Corte n. 261/1984 di infondatezza di identica questione, ritenuta superabile dal giudice rimettente. (Legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, quarto e quinto comma). (Cost., artt. 3, 24 e 38).(GU n.24 del 14-6-1989 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza, 17, presso il servizio legale dell'istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Gerardo Piciche' e Gianni Romoli, giusta procedura in calce al ricorso, ricorrente contro Mazzi Giovanni e Vedovelli Giovanni, intimati, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Verona dell'11 gennaio 1985, depositata il 4 giugno 1985, n. 8100/84 r.g.; Udita, nella pubblica udienza del 14 ottobre 1987, la relazione della causa svolta dal cons. rel. dott. Senese; Udito il p.m., in persona del sost. proc. gen. dott. Mario Zema, che ha concluso per la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale. RITENUTO IN FATTO Il tribunale di Verona, pronunciando in grado d'appello (sentenza 11 gennaio-4 giugno 1985), confermava la decisione del pretore di quella citta' n. 63/1983 che in accoglimento della domanda proposta dal sig. Giovanni Mazzi, aveva tra l'altro condannato, con pronuncia resa anche nei confronti dell'IN.P.S., il sig. Giovanni Vedovelli, alle cui dipendenze il Mazzi assumeva di aver lavorato con mansioni di autista dal gennaio 1964 al 30 settembre 1980, a risarcire il lavoratore del danno conseguente al mancato versamento dei contributi assicurativi per il periodo gennaio 1964-20 luglio 1972, mediante costituzione di una rendita vitalizia reversibile ex art. 13 della lege n. 1338/1962. La decisione era motivata dal rilievo che, secondo l'interpretazione dell'art. 13 sopra citato offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 26/1984, il lavoratore che agisce per la costituzione della rendita e' tenuto a provare l'esistenza nonche' la durata del rapporto oltre che l'ammontare della retribuzione, ma tale prova non deve necessariamente consistere in una prova scritta di data certa salvo che per cio, che attiene all'esistenza del rapporto. Nella specie, risultando l'esistenza del rapporto dalla iscrizione del Mazzi nel libro-paga dell'impresa a partire dal 20 luglio 1972, oltre che dai versamenti contributivi a partire da tale data, doveva considerarsi assolto l'onere di fornire prova scritta in ordine a tale fatto, mentre la maggiore durata del rapporto, e precisamente la sua decorrenza sin dal gennaio 1964, ben poteva essere provata, secomndo quanto ritenuto dal pretore, attraverso testimoni, della cui ammissione pertanto a torto l'I.N.P.S. si doleva. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'I.N.P.S., affidandolo ad un unico motivo. Il Mazzi ed il Vedovelli non si sono costituiti. RITENUTO IN DIRITTO La Corte osserva: 1) con l'unico mezzo del ricorso l'I.N.P.S. censura l'impuganta sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 13 della legge n. 1338/1962 e 51 della legge n. 153/1969, nonche' per vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, del c.p.c.), deducendo che erroneamente il tribunale avrebbe ritenuto che il rigore probatorio di cui all'art. 13/4 citato della legge n. 1338/1962 valga solo per il datore di lavoro e non anche per il lavoratore il quale, nel caso in cui al successivo quinto comma della stessa disposizione, agisce direttamente per la costituzione della rendita vitalizia. Aggiunge, poi, che, comunque, non potrebbe seguirsi il ragionamento del tribunale la' dove questo ha ritenuto sussistente la prova scritta di data certa, on ordine all'esistenza del rapporto di lavoro nell'arco di tempo in relazione al quale era stata richiesta la costituzione della rendita, sol perche' risultava provato con documenti di data certa un rapporto di lavoro per un periodo immediatamente successivo; in quanto con tale artificio sofistico si trasformerebbe arbitrariamente il problema della prova di quel precedente e contestato rapporto in un problema di prova della durata del rapporto incontestato per tale via aprendo il varco alla costituzione di posizioni assicurative fittizie che appunto il legislatore ha voluto evitare attraverso il rigore probatorio imposto dal ricordato art. 13; 2) premesso che la ratio decidendi della decisione impugnata si esaurisce, secondo quanto gia' avvertito in narrativa, nell'affermazione che le limitazioni poste dal citato art. 13 riguardano solo la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro e non anche quella della durata di esso e della misura della retribuzione corrisposta; e che la stessa decisione non contiene alcun cenno ad una pretesa differenziazione della posizione del datore di lavoro rispetto a quella del lavoratore in ordine alle limitazioni di prova stabilite dalla predetta disposizione, si' che le doglianze al riguardo svolte dall'I.N.P.S. risultano inconferenti; consegue che l'unica questione, sulla quale questa Corte e' chiamata a pronunciarsi, attiene al punto se le limitazione di prova stabilite dal quarto comma del citato art. 13 riguardino tutti i fatti indicati in tale disposizione a) esistenza del rapporto; b) durata di esso; c) misura della retribuzione) ovvero solo il primo di tali fatti (esistenza del rapporto), con il corollario (ove si ritenga questa seconda alternativa) che, qualora risulti provata con documenti di data certa una tale esistenza, l'asserita estensione del rapporto stesso oltre i termini iniziale e/o finale risultanti dalla documentazione si configuri come controversia sulla durata di esso e possa, pertanto, esser provata con qualsiasi mezzo; 3) la giurisprudenza di questa Corte (con la sola eccezione di cass. n. 1537/1980, che peraltro negava in radice l'applicabilita' del rigore probatorio ex art. 13 citato in sede giudiziale) ha costantemente ritenuto la prima delle due suddette alternative sopra indicate (cfr. cass. nn. 1858/1973, 1870/1978, 4658/1978, 4658/1978, 2867/1980, 2499/1981). Ma la disciplina risultante da tale interpretazione ha formato oggetto di numerose questioni di legittimita' costituzionale, sollevate da vari giudici di merito (tra le altre, ordinanza pretore Arezzo, 31 gennazio 1978, che per primo ebbe a sollevare la questione; ordinanza tribunale Torino 22 ottobre 1980; ordinanza pretore Torino 27 maggio 1981; in Gazzetta Ufficiale, rispettivamente, 5 giugno 1978, n. 154, 25 febbraio 1981, n. 56, 13 gennaio 1982, n. 12) con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, 36, primo comma, 38, secondo e quarto comma, in varia guisa combinati tra loro. Decidendo su tali questioni, la Corte costituzionale, con sentenza n. 26/1984 (pubblicate nella Gazzetta Ufficiale 22 febbraio 1984, n. 53), le ha ritenute "non fondate nei sensi di cui in motivazione" ed ivi ha precisato, con riferimento alla censura d'irragionevolezza della disciplina denunciata per la "pratica impossibilita'" che essa determinerebbe "per il lavoratore di far valere in giudizio l'istituto della rendita vitalizia", che "il problema... va risolto in via ermeneutica, e pertanto, non gia' eliminando dal mondo dei valori giuridici la norma che non irragionevolmente ha disposto, per un istituto speciale, speciali limiti probatori, bensi' interpretandola". E, procedendo quindi a tale interpretazione, la stessa corte costituzionale ha affermato: "L'onere probatorio, che il lavoratore, ai sensi del quinto comma dell'art. 13 della legge n. 1338/1962, - ma anche il datore di lavoro, ai sensi del quarto comma, - e' tenuto ad assolvere per ottenere la costituzione della rendita vitalizia, puo' riguardare: a) la effettiva esistenza del rapporto di lavoro; b) la durata dello stesso; c) l'ammontare della retribuzione percepita. Trattasi di "fatti" tra loro intimamente legati, eppure giuridicamente distinguibili, anche se la norma di cui al quarto comma sembri prescrivere i "documenti di data certa" per tutti i "fatti" in parola, mentre il quinto comma non accenna alla durata. Il "fatto" sub a) attiene fuor di ogni dubbio all' an e percio' e' il presupposto legittimamente l'esercizio del diritto di accensione della rendita mentre il "fatto" sub c), a sua volta, attiene, fuor di ogni dubbio, al quantum, ed e' rapportato al "fatto" sub b). La rilevanza di tale distinzione appare innegabile, potendosi sulla sua base affermare che, se i "fatti" di cui sopra sono giuridicamente distinguibili e distinti, non v'e' motivo di applicare ad essi la medesima disciplina probatoria. In altre parole, una volta provata documentalmente l'effettiva esistenza del rapporto di lavoro, ben puo' il giudice ammettere mezzi diversi dai documenti di data certa per raggiungere la prova della durata e dell'ammontare della retribuzione (Corte costituzionale n. 26/1984, punto 15 della motivazione, in foro it. 1984, I 637); 4) siffatta interpretazione, che costituisce il fondamento della pronuncia interpretativa di rigetto delle questioni di costituzionalita' sopra ricordate, non e' stata peraltro accolta dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte. Se, infatti, non e' mancata qualche pronuncia che ha fatto propria l'interpretazione proposta dalla Corte costituzionale (cfr., ad es. cass. n. 3853/1984), i successivi svolgimenti giurisprudenziali sono andati via via recuperando il precedente indirizzo: cosi' - a parte cass. n. 1283/1984 che, pubblicate il giorno successivo della pubblicazione della citata Corte cost. n. 26/1984, ribadisce l'orientamento di cui alle sentenze citate sopra sub 3) - le piu' recenti pronunce di questa Corte riaffermano il principio secondo cui "il lavoratore che richiede all'I.N.P.S. la costituzione, della rendita vitalizia di cui all'art. 13 della legge n. 1338/1962 in sostituzione del datore di lavoro, e' tenuto a fornire, come quest'ultimo, la prova dell'esistenza e della durata del rapporto di lavoro e della misura della retribuzione percepita, sulla base di documenti di data certa" (cosi' dalla massima ufficiale di cass. n. 3351/1986; cfr. anche cass. n. 2841/1986 e, successivamente, cass. n. 1807/1987, cass. 5805/1987 e, sia pure per incidens, cass. n. 8291/1987); 5) in presenza di un tale orientamento della prevalente e piu' recente giurisprudenza di questa corte, il collegio ritiene doveroso - prima di conformarsi a siffatto indirizzo, che disattende la interpretazione dell'art. 13, quarto e quinto comma, cit. della legge n. 1338/1962 (in ragione della quale la Corte costituzionale ebbe a ritenere non fondati i sospetti d'incostituzionalita' prospettati su tale disposizione - sottoporre nuovamente all'esame della stessa Corte la disposizione suddetta, affinche' essa valuti, con riferimento all'interpretazione che questa Corte ne ha ritenuto nelle pronunce ricordate sub 4), i sospetti di costituzionalita' gia' illustrati nelle richiamate ordinanze dei pretori di Arezzo e Torino e del tribunale di Torino ed esaminati nella ricordata sentenza n. 26/1984 di detta Corte. In particolare, e' da sottoporre all'esame di quest'ultima il sospetto d'irragionevole e grave compressione del diritto di azione e di difesa (artt. 24, primo e secondo comma, in combinazione con l'art. 3, primo e secondo comma della costituzione) che la garanzia, dal legislatore apprestata (in attuazione dell'art. 38, secondo e quarto comma, della costituzione) in favore del lavoratore con il ricordato art. 13 della legge n. 1338/1962, riceve dal rigore del regime probatorio nella stessa disposizione stabilito; regime interpretato (non gia' secondo quanto ritenuto dalla Corte costituzionale nella motivazione della ricordata sentenza interpretativa di rigetto n. 26/1984, bensi') nel senso che il lavoratore deve provare con documenti di data certa sia l'esistenza che la durata del rapporto di lavoro e l'ammontare della retribuzione corrisposta. Evidente la rilevanza di tale questione ai fini della decisione della presente causa; e desumibile dalla stessa sentenza n. 26/1984 della Corte costituzionale (punti da 13 a 15 della motivazione letti in connessione con il dispositivo) la non manifesta infondatezza della questione. A tanto consegue la sospensione del giudizio in corso sino alla decisione della corte sulla questione come sopra propostale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e 136 Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' decida la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, quarto e quinto comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, in rapporto al combinato disposto degli artt. 24, primo e secondo comma, 3, primo e secondo comma, e 38, secondo e quarto comma della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Roma, addi' 14 ottobre 1987 Il presidente: (firma illeggibile) 89C0640