N. 286 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 1987- 24 maggio 1989
N. 286 Ordinanza emessa il 5 novembre 1987 (pervenuta alla Corte costituzionale il 24 maggio 1989) dal tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Rauss Carla e Gagliardi Baldassarre Stato civile - Dichiarazione giudiziale di paternita' e maternita' naturale - Competenza del tribunale dei minorenni "nel caso di minori" - Altra questione - Adozione del provvedimento di dichiarazione di paternita' e maternita' naturale in camera di consiglio - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni identiche in base all'elemento dell'eta' del soggetto del cui riconoscimento si deve decidere - Incidenza negativa sul diritto di difesa per le limitazioni derivanti dalla procedura della camera di consiglio. (Legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 68; codice civile (disposizioni di attuazione del) art. 38, primo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.24 del 14-6-1989 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 1527/1982 r.g.c. promossa da Rauss Carla (avv. A. Di Nuzzo) attrice, nei confronti di Gagliardi Baldassarre (avvocati Adavastro e Cappelletto), convenuto, e con l'intervento del pubblico ministero. F A T T O Con atto di citazione notificato in data 6 luglio 1982, Rausa Carla ha chiesto dichiararsi che il proprio figlio, nato a Pisa l'11 marzo 1975 e denunziato presso l'ufficio dello stato civile di quel comune nel nome di Rauss Sandro, e' figlio naturale del convenuto Gagliardi Baldassarre. L'ammissibilita' di tale azione era stata dichiarata da questo tribunale ai sensi dell'art. 274 del c.c., con decreto in data 13 febbraio 1982, notificato il 25 marzo 1982. Si sono costituite in giudizio entrambe le parti ed il convenuto ha contestato il fondamento della domanda e la veridicita' delle circostanze dedotte dall'attrice a fondamento di essa. Nel corso dell'istruttoria e' stata disposta ed eseguita una consulenza tecnica medico-legale, affidata a due specialisti; sono state inoltre assunte numerose testimonianze. Previa autorizzazione, le parti hanno precisato le conclusioni, ribadendo le istanze formulate nei rispettivi atti iniziali; il p.m. ha concluso per l'accoglimento della domanda. All'udienza del 1º ottobre 1987, il tribunale ha trattenuto la causa in decisione. D I R I T T O L'azione per la dichiarazione giudiziale della paternita' o maternita' naturale e' prevista dall'art. 269 del c.c. ed e' attribuita in via generale alla competenza del Tribunale ordinario, mentre, per effetto di specifico richiamo, la competenza "nel caso di minori" e' oggi riservata al tribunale per i minorenni dal primo comma dell'art. 38 delle disp. att., come modificato dall'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184, norma sopravvenuta di immediata applicazione nei procedimenti in corso al momento della entrata in vigore della legge n. 184/1983, rimanendo salva soltanto la validita' del decreto di ammissibilita' dell'azione eventualmente gia' emesso. La giurisprudenza e' costante in tal senso (Cass. 9 agosto 1985, n. 4425, Il Dir. Fam. e delle Persone, 1985, 924; Cass. 18 ottobre 1986, n. 6140, ivi, 1987, 119; vedi anche Cass. 6 novembre 1976, n. 4044). Trattandosi di competenza inderogabile, e poiche' Rauss Sandro e' tuttora minorenne, il tribunale di Pisa allo stato non puo' esaminare la causa nel merito e dovrebbe, anche in assenza di qualsiasi eccezione od accenno delle parti, declinare la propria competenza, come gia' avvenuto in altri procedimenti analoghi; il collegio deve pero' prendere atto dell'esistenza di problema di legittimita' costituzionale della norma sulla competenza, problema sul quale non risulta essere intervenuta la decisione della Corte costituzionale, all'esame della quale la questione e' stata rimessa ripetutamente, anche di ufficio, proprio dai tribunali minorili (tribunale per i minorenni di Bologna, ordinanze 2 luglio 1985 e 17 gennaio 1986, Rivista citata, rispettivamente 1986, 20, e 1987, 59; tribunale per i minorenni di Napoli, ordinanze 17 gennaio 1986 e 4 dicembre 1986, rispettivamente nella Riv. citata 1987, 64, e in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, 1º aprile 1987, n. 14,82). La rilevanza della questione, che come detto attiene alla competenza, e' ovvia nel presente procedimento; quanto alla non manifesta infondatezza, il collegio condivide gli argomenti prospettati dai giudici minorili, e ritiene pertanto di poterli qui riassumere, richiamandosi alle piu' analitiche motivazioni delle ordinanze citate ed aggiungendo qualche osservazione che appare meritevole di ulteriore attenzione. Diversa e' l'intonazione delle varie ordinanze, ma costante il riconoscimento della stretta correlazione fra la competenza ed il genere di procedura da adottare e fra i dubbi di legittimita' che investono le norme regolanti i due ordini di problemi. Si rimarca che l'azione per la dichiarazione della paternita' o maternita' si configura come vera e tipica azione di stato ed ha natura chiaramente contenziosa. La pronunzia alla quale e' chiamato il giudice e' una dichiarazione di diritti, basata sull'accertamento rigoroso di fatti storici, insofferente di qualsiasi discrezionalita' ed indifferente a qualsiasi valutazione di concreti interessi. Pertanto, l'unica struttura idonea al raggiungimento del risultato rigoroso e' l'ordinario processo di cognizione, nel quale l'imparzialita' e terzieta' del giudice si realizza nel pieno rispetto del principio dispositivo e nella continuita' del contraddittorio. E' da questa premessa che discende la critica alla scelta operata dal legislatore, perche' alla devoluzione della cognizione al t.m. segue necessariamente l'adozione del rito camerale, invece di quello contenzioso. Questo tribunale e' a conoscenza di una affermazione giurisprudenziale, secondo la quale nelle cause promosse a norma dell'art. 269 del c.c. dovrebbe adottarsi il rito contenzioso anche davanti al t.m. (t.m. Roma 15 giugno 1985, Riv. citata, 1985, 986), ma tale affermazione, rispettosa delle esigenze di metodo nella trattazione delle cause, contrasta con il dettato legislativo e pertanto non puo' essere e non e' dalla prevalente giurisprudenza condivisa. Ai procedimenti di cui si parla e' applicabile, davanti al t.m., il rito della camera di consiglio, perche' cosi' e' testualmente disposto in linea generale dal terzo comma dello stesso art. 38 delle disp. att., rimasto immodificato in questa parte ("in ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio"), ed infatti le eccezioni alla regola del rito camerale davanti al t.m. sono specificamente disposte dove sono volute, come nei giudizi di opposizione alla dichiarazione dello stato di adottabilita'. Anche la Corte di cassazione ha ormai affermato la applicazione del rito camerale nelle cause di cui all'art. 269 del c.c., che si svolgono davanti al t.m., con la citata sentenza n. 4425/1985. Nota la Corte che anche nel rito camerale e' garantito il diritto di difesa, ed analogo e' l'indirizzo della Corte costituzionale, ma non si giunge mai ad affermare che il diritto di difesa trovi la medesima pienezza di garanzia (Cass., sentenza n. 913/1973; Corte costituzionale, sentenza n. 202/1975). Rispetto al rito contenzioso, il rito camerale si caratterizza come procedura spiccatamente officiosa, destinata a materie in cui, per l'esclusivita' o preminenza di interessi pubblicistici, si giustificano metodi di indagine sommari, informali, inquisitori, il distacco dalla corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, infine, la sottrazione al continuo controllo delle parti di attivita' istruttorie, tese piu' alla realizzazione di esigenze superiori alle parti stesse, che all'accertamento rigoroso di fatti e di spettanza di diritti. Queste differenze nella struttura dei due procedimenti sono accuratamente analizzate nelle ordinanze qui richiamate, che trovano ampia conferma in una recente pronunzia della Corte di cassazione a sezioni unite (23 ottobre 1986, n. 6220, Riv. citata, 1987, 121). In tale pronunzia si riafferma che i provvedimenti del t.m., sebbene riguardino posizioni di diritto soggettivo, chiudono procedimenti non conteziosi e si esauriscono in un governo di interessi sottratti all'autonomia privata, senza risolvere un conflitto su diritti contrapposti; si rammenta inoltre la revocabilita' e modificabilita' di detti provvedimenti proprio in relazione al loro oggetto e alla loro natura. Le materie di competenza del t.m. trattate in questa sentenza sono disparate e le affermazioni sono di ordine generale, ma appare significativo che non venga menzionata la particolare materia dell'art. 269 del c.c., nella quale si presenta nel modo piu' evidente un conflitto su diritti contrapposti e si richiede una decisione con i piu' chiari caratteri della definitivita'. In questa prospettiva, nota il t.m. di Napoli che, proprio in vista della decisione sul diritto, perfino nella fase preliminare prevista dall'art. 274 del c.c., e nonostante la natura meramente strumentale di essa, si e' voluto dare piu' ampio spazio alla difesa delle parti, ammettendo esplicitamente l'esame degli atti e il deposito di memorie illustrative, il che rende ancor piu' incomprensibile che le garanzie difensive siano rimaste minori nella fase successiva, regolata dalla sola normale disciplina sul rito in camera di consiglio, quando si tratta di giungere alla pronunzia definitiva. Segue a queste considerazioni la conclusione che la scelta legislativa, unitariamente comprendente competenza e rito, solo apparentemente trova coerente collocazione nella tendenza del legislatore a demandare al giudice minorile le materie riguardanti i minorenni, dando luogo invece ad una insanabile incongruenza. Se davanti al t.m. viene adottato il rito camerale, piu' snello e duttile, si e' visto che e' inevitabile una frattura del sistema al quale e' ricollegata la tutela delle esigenze di difesa e del principio di uguaglianza; se, invece, si vuole ammettere la applicabilita' del rito contenzioso, si perde ogni comprensibile giustificazione della preferenza per il giudice minorile, con la conseguenza che ogni disparita' risulta censurabile di fronte al principio costituzionale di uguaglianza, per irrazionalita': una irrazionalita' tanto grave, da far pensare ad un "refuso" di stampa, secondo quanto si legge nell'ordinanza meno recente del t.m. di Bologna. Percio', non condivide questo Collegio l'alternativa prospettata nella piu' recente delle ordinanze del giudice emiliano, nella quale in via autonoma e, appunto, in via alternativa, si propone alla Corte costituzionale di valutare l'illegittimita' del terzo comma dell'art. 38 delle disp. att., onde consentire almeno che il t.m. procede con rito ordinario nella materia che qui interessa, come ha ritenuto possibile gia' allo stato della normativa il t.m. di Roma contro l'insegnamento della giurisprudenza anche della suprema Corte. L'incongruenza, ad avviso di questo collegio, risiede propriamente nella norma sulla competenza, di cui al primo comma dell'art. 38; non in quella del terzo comma, che regola in via generale il rito da seguirsi avanti al t.m. e che, se venisse sottratta dal suo ambito di applicazione l'azione ex art. 269 del c.c., potrebbe senza difficolta' continuare ad operare per le altre competenze affidate al t.m. Impostata in tali termini, la questione rimane rilevante in una causa promossa davanti al tribunale ordinario, mentre, se il dubbio di legittimita' investisse autonomamente la norma sul procedimento, il giudice ordinario dovrebbe dichiarare comunque la propria incompetenza, lasciando al giudice legittimamente investito della causa di porsi il problema della conformita' alla Costituzione del rito applicabile davanti al lui. In realta', e' implicito in quanto si e' detto fin qui, ma va affermato piu' chiaramente, che la opzione del legislatore poggia unicamente su di un fattore accidentale, sul "dato estrinseco e transuente costituito dall'eta' del soggetto generato", come testualmente si dice nella piu' recente ordinanza del t.m. di Bologna. Questo spunto merita attenzione. Anche affrontando il problema esclusivamente dal punto di vista del minore, i cui interessi immediati e per definizione transeunti si ritengono meglio tutelati dal giudice minorile, non puo' dimenticarsi che quando e' in gioco l'assetto definitivo di diritti fondamentali e destinati a regolare tutta la vita, la prima esigenza per lo stesso minore e' quella della massima garanzia di abiettivita' dell'accertamento e della pronunzia. In cio', le esigenze del minore non sono diverse da quelle che gli si dovrebbero riconoscere dopo il raggiungimento della maggiore eta', e il suo interesse, che puo' contrapporsi a quello delle altre parti in relazione al contenuto della pronuncia finale, e' invece parallelo ed anzi indentico a quello degli altri soggetti per quanto riguarda il rigore e la controllabilita' dell'accertamento dei fatti. Nella meno recente ordinanza del t.m. di Bologna, si prospetta l'assurdita' di un concreto procedimento pendente avanti al giudice minorile ma destinato a concludersi dopo il raggiungimento della maggiore eta' da parte dell'interessato: e' un caso particolare, ma appare utile ricordarlo per illustrare quanto incongrua sia la disciplina qui criticata. Nelle materie di normale competenza del t.m., infatti, la paradossalita' di una situazione quale quella indicata e' esclusa dal fatto che, con raggiungimento della maggiore eta', cessa la materia del contendere, mentre per l'azione di stato permane invariata la necessita' di giungere alla decisione sul diritto. Percio', insieme alla irrazionalita' del rito, prima di essa e come causa di essa, si insiste nel prospettare l'irrazionalita' delle scelta della competenza funzionale: notando che alla competenza funzionale consegue l'adozione di regole diverse per la determinazione della competenza territoriale (altrimenti disciplinata dagli artt. 18, 28 e 70 del c.p.c.), con ulteriore disparita' di trattamento in pregiudizio del convenuto, altra conseguenza del dato estrinseco dell'eta' del soggetto generato al momento in cui, per scelta altrui, viene proposta l'azione. D'altro canto, se e' innegabile che il minorenne in quanto tale si trovi sempre in una condizione di svantaggio, va rimarcato che non dipende affatto dalla identificazione dell'organo giudicante l'applicabilita' delle norme che introducono misure particolari per ovviare agli effetti di quella situazione. Per quanto riguarda la tutela dei diritti nella causa di stato, e' comunque prevista la nomina, occorrendo, di un curatore provvisorio ai sensi dell'art. 274; per quanto riguarda la soddisfazione delle esigenze di vita immediate e legate alla minore eta', vi e' altra norma speciale non riferita esclusivamente al t.m., l'art. 277 del c.c., che consente l'emissione, con la pronuncia sulla filiazione, di provvedimenti che seguono gli stessi schemi dei provvedimenti tipici della giustizia minorile, ne' vi sarebbe alcuna disarmonia ove provvedimenti del genere venissero preparati e deliberati dal giudice ordinario, al quale l'ordinamento gia' attribuisce poteri e doveri analoghi ad esempio nell'ambito delle cause matrimoniali, in cui tanto spesso si trovano coinvolti i minorenni. Deve pertanto di ufficio dichiararsi non manifestamente infondata, oltre che rilevante, la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 68 della legge n. 184/1983, il quale modificando il primo comma dell'art. 38 delle disp. att. al giudice civile, ha attribuito al tribunale per i minori i provvedimenti contemplati dall'art. 269, primo comma, del c.c., con riferimento ai casi riguardanti i minorenni; questione, l'accoglimento della quale consentirebbe a questo tribunale di decidere la gia' istruita causa, che per il momento deve essere sospesa.
P. Q. M. Letto ed applicato l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 68 della legge n. 184/1983 e 38, primo comma, della disp. att. del c.c. siccome in contrasto - nel senso precisato nella motivazione - con gli artt. 24 e 3 della costituzione; Dispone la sospensione del giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Cosi' deciso in Pisa il 5 novembre 1987. (Seguono le firme) 89C0646